; Cv.< >».. COSTRV^IKE CLASSICI ITALIANI NOVISSIMA BIBLIOTECA DIRETTA DA FERDINANDO MARTINI SERIE I VOLUME VII DANTE LA COMMEDIA CON UN DISCORSO DI GIUSEPPE MAZZINI ISTITUTO EDITORIALE ITALIANO MILANO Curò la scelta delle note, traenJole dai testi migliori, REGINA TERRUZZI, insegnante di letteratura italiana all'Istituto Tecnico ' Carlo Cattaneo^ di Milano. Ruggero Bongìii, in un libro al quale i sessMita e piii anni da che vide la luce nulla han tolto della sua op- portunità, si domandava il perche la letteratura italiana non fosse popolare in Italia ; il perchè gli italiani, le ita- liane in ispecie, pi e ferissero leggere — quando leggevano — libri inglesi o francesi, piuttosto che libri scritti nella lingua loro; e del fatto indagava le cagioni con acume critico e svariata dottrina. Forse egli andava, nelle sue conclusioni, oltre il vero; tuttavia non v'ha dubbio che anche oggi (e gli. italiani, le italiane in ispecie, si fanno ogni giorjio piit, checche altri ne dica, amici del libro) anche oggi inutilmente si tente- rebbe di proporre al maggior numero la lettura di scrit- tori che già si avessero in Biblioteca di Classici : e i cui volumi quando non fossero strumento di studiosi rimasero vana viostra. e intonso arredaynento di scaffali. Or noi ci proponemmo, nell'offrire una nuova collesione di scrittori classici, raccogliere in poco numero di voltimi quanto un italiano, anche se volto ad altri studi, deve co- noscere della propria letteratura. Ove ci sorregga il pubblico favore, a questa prima serie succederà 2cna seconda. Dtie criteri ci gradarono nell'impresa : dare ai volumi 7ina veste signorilmente ìiitida e leggiadra, si che il libro appaghi insieme lo spirito e l' occhio, e abbia nella sua forma stessa ragioni alla propria conservazione e custodia : offrirlo a tale viodicità di prezzo che gii consenta di giun- gere ai meno agiati ed essere, per così dire, il libro di tutti. Ci incoraggiò e ci fu largo di ogni maniera di sìigge- ybnenti FERDINANDO MARTINI del cui nome illu- de si fregia la BIBLIOTECA DI CLASSICI ITA- LIANI che oggi licenziamo alle stampe. L'Istituto Editoriale Italiano. Stab. Tipo-Litogr. G. ABBIATI - Vìa P. Tenaglia, 9 - Milano DANTE Nella chiesa di Santacroce in Firenze, tra i nomi di molti grandi Italiani, un monumento, innalzato da non molti anni, porta il nome di Dante Allighieri. A Por- ciano, poche miglia lontano dalle fonti d'Arno, i conta- dini indicandovi la torre maggiore, vi dicono ch'ivi Dante fu prigioniero. In Gubbio, trovate una via che ha nome da Dante, e s'insegna con orgoglio una casa ov'ei fu. A Tolmino, presso a Udine, i montanari additano al viag- giatore la grotta ov'egli lavorava, il sasso su ch'egli se- deva. In ogni città d'Italia, primo nome che vi s'affaccia allo sguardo, appena v'arrestate davanti all'invetriata d'un librajo, il primo ritratto che v'affascina l'occhio ogni qual volta voi guardate per entro a una bottega dii stampe, è quello d'i Dante. Chi fu l'uomo, il cui nome è fidato alle memorie di tutto un popolo? Che fece eglii per la Nazione che dopo cinque secoli e mezzo continua ad ammirarlo e a raccomandarne il ricordo alle generazioni che ver- ranno? Pochi tra voi lo sanno. Alcuni hanno udito ch'ci fu potente Poeta, e ignorano perchè fu potente, quali idee lo animassero, qual fede lo dirigesse ne' suoi lavori. Nes- suno forse sa ch'ei fu grande sovra tutti i grandi Italiani, perchè amò sovra tutti la Patria, e l' adorò destinata a cose pi ili grandi che non spettano a tutti gli altri paesi. Nessuno sa che infelicissimo, ramingo, mendico, Dante conservò intatto fino all'ultimo giorno il pensiero che do- G. Mazzini minò la sua vita, e mori confortato, cinque secoli addie- tro, nella credCinza che l'Italia sarebbe un giorno Nazione e direttrice una terza volta dell'incivilimento Europeo. Pure, qual forza non aggiungerebbe alla vostra fede il sapere che il più grande intelletto di tutta Italia, anzi di tutta Europa, era credente nella credenza che noi predi- chiamo, e tendeva allo scopo medesimo che noi oggi cer- chiamo raggiungere? Dante fu tale uomo, che a nessuno Italiano, comunque sfornito d' educazione, dovrebbe essere concesso senza rimprovero d'ignorarne il nome, i meriti, i patimenti e i pensieri. Dante ha fatto pii^i per l'Italia, per la gloria e per l'avvenire del nostro Popolo, che non dieci generazioni d'altri scrittori o d'uomini di Stato. Gli stranieri i più \ogliosi di vilipenderci e dichiararci per sempre impotenti, s'arretrano quasi con terrore davanti a quel nome che né secoli, né viltà di servaggio, né tirannia di stranieri, di principi nostri e di gesuiti hanno potuto o potranno mai cancellare: la terra che ha fecondato un'anima cosi po- tente è terra singolane e cova una vita che non può spe- gnersi. Tutti gli ingegni italiani che scrissero virilmente e giovarono al progresso dell'idea Nazionale, trassero gran parte della loro ispirazione da Dante. Dante può riguar- darsi come il padre della nostra lingua : ei la trovò povera, incerta, fanciulla, e la lasciò adulta, ricca, franca, poetica : scelse il fiore delle voci e dei modi da tutti i dialetti, e ne formò una Lingua comune che rappresenterà un giorno fra tutti noi l'Unità Nazionale, e la rappresentò in tutti que- sti secoli di divisione in faccia alle nazioni straniere. Dante fu grande come poeta, grande come pensatore, grande come politico' nei tempi suoi : grande oltra tutti i grandi, perchè, intendendo meglio d'ogni altro la missione del- l'uomo Italiano, riunì teorica e pratica, potenza e virtù : — Pensiero ed Azione. Scrisse per la Patria, congiurò per la Patria, trattò la penna e la spada. Costante nell'Amore, adorò fino all'ultimo giorno la memoria della donna che gli insegnò prima ad amare. Irremovibile nella Fede, patì miseria, esilio, persecuzioni, né mai tradì la riverenza alla Patria, la dignità dell'anima, la credenza ne' suoi principii. Le madri Italiane un giorno ne trasmetteranno la vita, co- me insegnamento, ai fanciulli Italiani. Giova intanto indi- Dante caria per cenni al popolo ch'cQli ainò e clic ne tradurrà un giorno in fatti il pensiero. Dante Aelighieri nacque in Firenze, s'ignora in qual g orno del mese di maggio dell'anno 1265, da una fami- glia d'antica discendenza romana : il padre fu giurecon- sulto ; la madre ebbe nome Bella, non si sa di qual casa; il figlio, battezzato in San Giovanni, fu detto Durante, che s'accorciò poi in Dante. Madre e padre morirono, quan- d'egli era ancora fanciullo di nove anni o poco più. Il primo fatto che noi conosciamo della vita di Dante è il suo primo amore. Condotto il primo giorno di maggio 1274 nelle case di Folco Portinari, ricco cittadino fondatore dell'ospedale di Santa Maria Nuova, innamorò di Bea- trice, figlia di Folco, fanciulla d'otto anni e mesi. Questo amore, concepito a nove anni, ispirò, doininò tutta intera la vita di Dante : fu l'anima dell'anima sua. La storia del suo innamoramento sta registrata in un libretto intitolato Vita Nuova, scritto da lui medesimo in gioventia : né mai amore più puro, più caldo, più gentile e poetico si miostrò fra viventi. I primi versi ch'egli, nove anni dopo l'innamora- mento, compose, riguardano Beatrice, e non molto dopo egli decideva che avrebbe fatto immortale quel nome, e lo fece. Fu riamato, ma castamente, quietamente, e certo con meno fervore. Non s'accasarono, forse per la diversità di condizioni materiali. Beatrice fu data in moglie a un Si- mone dei Bardi, e non molto dopo, nel 1290, mori. Dante l'amò sempre dell'amore dell'anime, pensò ch'essa, dal- l'alto d'una vita migliore, lo proteggesse e lo guidasse a virtù, e ne perpetuò la memoria nel suo Poema. Alcuni de' suol versi d'amore per lei, inseriti nella Vita Nuova, sano superiori a quei del Petrarca, il cui affetto sentiva spesso meno dell'uomo che del letterato. Intanto ei pensava alla patria, e s'occupava, come deve ogni uomo che nasce in libero Stato, d'elle cose pubbli- che. Già egli aveva, nell'età di ventiquattro anni, combat- tuto valorosamente nelle prime file della cavalleria Fioren- tina a Campaldino contro i Ghibellini d'Arezzo : e l'anno dopo nella guerra dei Fiorentini contro ai Pisani. Ma nel 1300, a trentacinque anni d'età, ei fu eletto uno dei Pr'Iori in Firenze, quando le discordie civili fra i così detti Bianchi e Neri infuriavano nella città. Dante ottenne che — 9 — (j. Mazzini i capi delle, due fazioni fossero mandati in esilio. S'era proposto di ricorrere, come a mediatore, a uno straniero, Carlo di Valois, protetto di Papa Bonifazio Vili, e di confì- darg-li l'armi e il danaro della città : Dante s'oppose. Pare rh'ei nO'Tì fosse amato da' suoi colleghi di governo, fatto è che allontanato sotto pretesto d'ambasceria a Roma, mentr'egli cercava indurre a fini di pace Papa Bonifazio Vili, e Papa Bonifazio Vili lo teneva a bada, si trovò condannato in Firenze, da un tribunale composto di Neri, a una mu'.ta d'ottocento lire e a due anni d'esilio, e la gente della fazione che lo condannava die' il guasto ai suoi averi e alla sua abitazione. Il processo era ingiusto e feroce : lo condannava assente per falli non verij su false scritture ; lo condannava per azioni spettanti al tempo del suo Priorato, che nessuno aveva piia diritto d'esaminare. Dante non fé' conto del giudizio, non pagò la multa, non si presentò. I suoi nemici, crescendo in ira, fulminarono contro lui una seconda condanna, e nel marzo 1302 decre- tarono ch'egli, dove mai fosse preso, fosse arso vivo. D'al- lora in poi, Dante, tenuto dapprima per Guelfo, fu tenuto, ed è tuttavia tenuto da tutti per GhibeU'no. L'aver mutato partito è l'unica colpa di che gli scrittori poco favorevoli a lui credano poterlo accusare : l'unica di che i favorevoli si credano in dovere di cercargli scuse. E perchè mutare partito, non per convinzione maturata, ma per ira e himi- cizie personali o persecuzioni patite, è delitto dei più gravi che la potenza dell'intelletto aggrava più sempre, è neces- sario rpiegarvi, quanto è concesso in poche parole, il vero di questa accusa, perchè non crediate che acciecati dal Genio noi proponiamo alla vostra venerazione un colpe- vole. Il vero è che Dante non fu Guelfo né Ghibellino, ma com'egli dice in un verso del suo poema, s'era fatto parte per sé stesso. Le idee di Dante erano beh altre e più ardi- te che non quelle dei Guelfi o dei Ghibellini. Egli fu quindi or cogli uni or cogli altri, tanto quanto gli parevano poter giovare come mezzi a raggiungere lo scopo ch'ei s'era prefisso, non più. Inoltre, i partiti allora, per la natura dei tempi e per influenza continua degli eventi stranieri, mutavano spesso nome, capi, alleati, cosi che l'individuo il quale si rimanca fermo nelle prime credenze pareva mu- Dante tare a riguardo de! propiio partito. Cangiò il (ìuelHsmo, non Dante. I Guelfi erano i difensori del Papa, i Ghibellini dell'Im- pero. L'Impero rappresentava l'organizzazione feudale, l'a- ristocrazia : i nobili quindi furono Ghibellini. Il municipio, il Comune, il popol3 insomma fu Guelfo. Il Gueìlismo trion- fò. Il Comune si stabilì irrevocabilmente. Il feudalismo di- ventò impossibile. Rimase influenza, e in alcune parti po- tere, a taluni fra gli individui della nobiltà; ma la nobiltà, come corpo, fu spenta, d'allora e per sempre, in Italia. Bensì, il popolo vincitore non seppe trarre tutto il frutto che si poteva dalla sua vittoria. I tempi non erano ma- turi per la Nazione. Rimase dunque tra quei Comuni senza legame un fermento d'anarchia che suddivise i partiti e creò nuove liti, non di pr.ncipii, ma di passioni, d'inte- ressi, d'ambizioni individuali. 1 Papi che per tenerla di- visa chiamavano in Italia uno straniero contro l'altro, le attizzavano sempre più. Sotto Urbano IV, che chiamò in Italia Carlo d'Angiò, i partiti s'erano già modificati. Sotto Bonifazio Vili, che chiamò Carlo di Valois, cangiarono interamente. I Guelfi e i Ghibellini diedero luogo ai Bian- chi e ai Neri : popolani i primi, patrizi i secondi. I Neri parteggiavano per Carlo di Valois, e perchè Carlo era stato chiamato da Bonifazio Vili, si dissero Guelfi. I Bianchi stavano contro il Francese, e dacché i Ghibellini s'erano mostrati avversi ai Francesi fin dalla chiamata di Carlo d'Angiò, s'affratellarono con essi, quando Carlo di Valois li cacciò da Firenze. Dante fu Guelfo ne' suoi primi anni di gioventili ; poi fu Bianco: sempre col Popolo, cioè coll'elemento della Na- zione futura. Ma i tempi non erano allora, come abbiam detto, ma- turi per la Nazione. Il popolo non andava più in là del- l'idea di Comune. I Papi non potevano né volevano fon- dare l'Unità Italiana; e l'Unità Ital ana era il pensiero pre- dominante nell'anima di Dante. Cercando per quali mezzi potesse fondarsi, ei si trovava tra la Francia e la Ger- mania; ambe tendenti a governare l'Italia; ma la Francia, forte per unità, pericolosa per la simpatia che svegliava pur troppo fra noi ; la Germania, incapace allora d'unità, incapace per la lingua, per l'opposizione dei Papi e altro. G. Mazzini di conciliarsi favore. L'Imperatore era intanto Sconosciuto (la tutta, Europa come centro nominale deli 'autorità tempo- rale. Dante, non potendo distrugg-ere questo fatto, voilea giovarsene; ma in qua! modo? A Dante poco importava chi- l'uomo il quale avrebbe rappresentato, vivo lui, l'Impero, fosse Italiano o Ger- martico' : più che l'Imperatore, gli importava l'Impero: g'ili importava di toglierlo alla Germania e di ripiantarlo in Italia; gli importava che dall'Italia partisse allora come sempre la parola dell'autorità, la direzione del movimento Europeo. Dante sentiva fremersi dentro l'orgoglio della vita Italiana più potente che non fu nei migliori trla' suoi concittadini fino ai tempi nostri. La Patria era per lui una Relig;ione. Adorava in essa non solamente il hel paese dov'egli aveva ricevuto la prima carezza materna o sa- lutato il primo sorriso d'amore di Beatrice, ma la terra destinata da Dio alla graaide missione di dare unità mo- rale all'Europa e per mezzo d'Europa all'Umanità. Ei piantava per base « che il popolo Romano avea per di- ritto e per divina predestinazione preso impero sopra tutti i mortali • — che Roma era la sede preparata dalla Prov- videnza all'Impero. » Affermava « che nessun popolb avea più dolce natura nel signoreggiare, più forte nel sostenere, più sottile nell'acquistare, della gente latina, massima- mente del santo romano popolo. » Credeva che « fossero deg'nc di reverenza le pietre che stanno nelle mura dellia santa e g^loriosissima Roma, e il suolo dov'ella siede fosse degno oltre quello che per li uomini è predicato e pro- vato. )) Roma, capitale dell'Italia, era dunque sede naturale dell'Impero universale : in Roma dovea collocarsi il rap- presentante di questo Impero : da Roma partire l'ispira- zione all'Umanità. È chiaro che con siffatte credenze, con- segnate da lui in libri che pochissimi fra gl'Italiani leg- gono, intitolati Convito e Della Monarchia, Dante si sepa- rava tanto dai Gh'bellini quanto dai Guelfi. I Ghib."llini vo- levano sottomettere l'Italia all'Impero Germanico: Dante volea assorbire l'Impero Germanico in Roma, e provare che a nessun uomo. Italiano o straniero, era possibile eser- citare ragionevolmente codesto Impero se non dall'Italia e da Roma. Dante Tale era 11 pensiero di Dante, dtiruomo ii piij potente per ingegno che sia nato in Italia. Né mai egli tradì quel pensiero : Tutta la sua vita, com- battuta e tristissima vita, fu d'uomo che sente la dignità della propria fede e non vuole contaminarla. Cacciato in esilio, cercò d'operare per le proprie credenze. Gli esuli lo elessero nel 1302 membro d'un Consiglio di dodici che do- veva occuparsi delle cose loro ; ma trovando che i suoi col- leghi operavano stoltameiite. Dante li abbandonò. Ritentò nel 1307, ma inutilmente. Andò pellegrino per tutta Italia, di città in città, di corte in corte, tormentato dall'ira gene- rosa che alternava in lui coU'amore, dalla miseria, dal tedio compagno inseparabile dell'esilio e da un pensiero insi- stente che lo affaticava, ma senza avvilirsi, senza rinnegar quel pensiero, senza tradirlo col silenzio o con atti non de- gni. Trattato con sospetto o con fasto villano dai capi di parte, or Guelfi or Ghibellini, che lo ospitavano, imparò come sa di saie Lo pane altrui, e come è duro calle Lo scendere e il salir per l'altrui scale. imparò a diffidare della fama, della riconoscenza, dell'a- micizia, e d'ogni cosa fuorché dell'anima sua, dell'avve- nire della sua Patria e di Dio ; imparò quel desiderio di morte che stilla a goccia a goccia nel cuore dell'esule fin- ché invada tutta la sua persona, e ch'egli espresse in que- gli altri suoi versi non so quant'io mi viva, Ma già non fia il tornar mio tanto tosto. Ch'io non sia col voler prima alla riva, e imparò, studiando gM uomini e le cose e i condottieri ambiziosi e i tirannetti italiani nei quali ad ora ad ora ei cercava infondere un pensiero generoso d'unificazione Ita- liana, che non v'era nulla da sperare, e l'amarezza di quel- l'idea che dice : tu morrai senza vedere verificato il con- cetto più santo dell'anima tua. E nondimeno, durò. Non piegò vilmente la testa davanti al soffio della sventura, o se la piegò talora segretamente, fu Come la fronda che flette la cima Nel transito del vento, e poi si leva Per la propria virtù che la sublima. — 13 — (}. Mazzini l*atì in silenzio; scrisse; consegnò via via nel Poema eter- no al quale lavorava, le impressioni dell'anima, le sue ven- dette contro ai malvagi, le sue benedizioni ai pochissimi che trovò buoni, serbandole per gettarle ai posteri dietro il sepolcro; e intanto, quando gli eventi glie ne porgevano occasione^ non tralasciò mai di predicare le proprie cre- denze, e d'i chiamare all'Unità la sua Patria. Intorno' al 1316, quand'egli era vecchio di cinquantun anno, quei che ^governavano Firenze gli offrirono di rimpatriare e di riavere i suoi beni a patto ch'ei si dichiarasse perdonato, e quindi colpeA'ole. Altri, invitato, accettò ; ma Dante negò : e noi \'ogliamo tradurvi quel tanto che ci è rimasto della lettera latina con ch'egli rispose all'amico che gli trasmetteva quella proposta, perchè l'anima di Dante v'è tutta scolpita, e perchè molti esuli dei tempi nostri hanno bisogno d'i me- ditarla. « Dalle vostre lettere, colla debita riverenza e con affetto da me ricevute, ho con animo grato e pensatamente rac- colto quanto vi stia a cuore ch'io ritorni alla patria : e tanto più io vi sono riconoscente quanto è più raro che gli esuli incontrino amici. Rispondo or dunque alle co-se in quelle si- gnificate, e se noi fo come forse la pusillanimità di taluni vorrebbe, prego affettuosamente che l'esame della vostra prudenza preceda il giudizio. « Le lettere del vostro e mio Nipote e d'altri parecchi amici mi dicono che in virtù di decreto novellamente escito in Fiorenza sull'assoluzione degli esuli, io, purché accet- tassii di pagare una certa somma e sottomettermi alla ver- gogna dell'oblazione, potrei, rimanendomi assolto, tornare in patria immediatamente. Nel che, per vero dire, sono, o padre, due cose degne di riso e mal consigliate : mal consiglate dico, accennando a quei che le espressero, dac- ché le vostre lettere più prudenti e assennate non conte- nevano siffatte proposte. « È questo dunque il glorioso modo per cui Dante Alli- ghieri è richiamato, dopo quasi quindici anni di esilio, alla patria? Questo merita un'innocenza a tutti patente? Questo i sudori e le lunghe fatiche negli studi durate? Lungi dal- l'uomo della Filosolìa famigliare questa inconsiderata bas- sezza degna d'un cuore di fango, ch'egli a guisa di certo misero saputello e d'altri vuoti di fama patisca, cjuasi — 14 — Danie vinto, d'essere offerto al riscatto! Lungi dall'uomo apo- stolo della giustizia, ch'egli offeso d'ingiuria, paghi agli offensori, quasi lo avessero beneficato, un tributo del suo! « Per via siffatta, o padre mio, non si ritorna alla pa- tria; ma se un'altra per voi o poscia per altri si troverà che non tradisca la fama e l'onore di Dante, io mi v'appi- glierò a passi non lenti : e se per via si fatta non s'entra in Fiorenza, io mai in Fiorenza non entrerò. Che? non ve- drò io d'ogni dove le sfere delle stelle e del sole? Non potrò io d'ogni dove sotto il cielo meditare intorno alla dol- cissima verità, se prima io non mi tolga ogni gloria, anzi mi renda ignominioso al popolo e alla città Fiorentina? Pane, certo, non mi mancherà. » Per siffatta risposta i Fiorentini gli rifulmlnarono con- tro un altro bando. Bensì Dante trovava, negli ultimi anni della sua vita, stanza più riposata e confortata di cure ami- chevoli, presso Guido, signor di Ravenna, e per bre^'e tempo anche in Verona nella corte di Cane della Scala, famoso a quei tempi e Capitano della Lega Ghibellina, Dante avea moglie, una Gemma Donati, da lui presa dopo la morte di Beatrice, ma non l'ebbe mai seco da quando fu esule : aveva figli, ma è incerto s'ei ne avesse mai presso alcuno. Scrisse, oltre il Poema, più libri latini e italiani dei quali or non importa parlarvi. Amava con ardore la musica, e sapea di disegno. Aveva il volto bruno di colore, mestamente severo e pensoso. Era di mediocre statura, alquanto curvo nelle spalle. Parlava pcco, elo- quentissimo quando s'incaloriva. Morì nel 1321, il 21 set- tembre, in età di cinquantasei anni, di ritorno da una am- basciata a Venezia per Guido Novello, signor di Ravenna, (he lo accorò pel mal esito. Guido gli celebrò i funerali, e poco dopo fu costretto dai casi a fuggir di Ravenna a Bo- logna. Né, se i figli suoi non s'opponevano virilmente, avremmo in oggi certezza del luogo ove dormono l'essa del più grande pensatore d'Italia, dacché il cardinale Pog- getto si mosse verso Ravenna non molto dopo la fuga di Guido, con ordine di Papa Giovanni di dissotterrare l'ossa di Dante e maledirle e disperderle. Un giorno, Dante pellegrinando venne al monastero del Corvo in Monte Caprione nella Lunigiana. e richiesto da un frate che si cercasse, rispose : Pace. Pace, nessuno, fra- — 15 — CI. Mazzini te od altri, poteva dargliela In terra. Ma la pace, dei morti, s'essi, come crediamo, oruardano ancora con amo- re alle cose nostre, è l'adempimento del pensiero che li agitò sulla terra. Volete voi, Italiani, onorare davvero la memoria dei vostri Grandi e dar pace all'anima di Dante Allighieri? Verificate il concetto che lo affaticò nella sua vita terrestre. Fate Una e potente e libera la vostra con- trada. Spcg-nete fra voi tutte quelle m.eschinissime divi- sioni contro le quali Dante predicò tanto, che condannarono lui, l'uomo che più di tutti sentiva ed amava il vostro avve- nire, alla sventura e all'esilio, e voi a una impotenza di secoli che ancor dura. Liberate le sepolture dei vostri Gran- di, deg;li uomini che hanno messo una corona di gloria sulla vostra Patria, dall'onta d'essere calpeste dal piede d'un soldato straniero. E quando sarete fatti deg'ni di Dan- te nell'amore e nell'odio — quando la terra vostra sar.^ vostra e non d'altri' quando l'anima di Dante potrà g'uar- dare in voi senza dolore e lieta di tutto il suo orgoglio Ita- liano noi innalzeremo la statua del Poeta sullia maggiore altezza di Roma, e scriveremo sulla base : Al Profeta DELLA Nazione Italiana gli Italiani degni di Lui. (Scritto per gli Operai Italiani in Londra, nvWAposto- lato Popolare). 75 Settembre 1844. Giuseppe Mazzini 16 LA DIVINA COMMEDIA I iN F E R N O CANTO Nel mezzo del cammin dì nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita. 3 Eh quanto a dir qual era è cosa dura questa selva selvaggia ed aspra e forte, che nel pensier rinnova la paura ! C Tanto è amara che poco è piti morte : ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò dell'altre cose, ch'io v'ho scorte. 9 r non so bea ridir com'io v'entrai; tant'era pìen di sonno in su quel punto, che la verace via abbandonai. 12 Ma poi che fui al pie dun colle giunto, là dove terminava quella valle, che m'avea di paura il cor compunto, 15 guardai in alto, e vidi !e sue spalle vestite già de' raggi del pianeta, che mena dritto altrui per ogni calle. 18 1. Nel mezzo. — A 35 anni. 7. Che poco è più morte. — e cioè nel 1300, perchè Dante è che di poco ò pu'i doloiosa 1 1 nato nel 1265. mcrte. 2. Selva. — Ficiira il vizio e n- j. ^„„.,,. nv., ,,• ^ li. Picn di sonno. — Pieno 1 Ignoranza. ^ 3. La diritta via. — Della vir- d' peccati. tu e della fede. — 19 — • La Divina Commedia Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m'era durata la notte, ch'i' passai con tanta pietà. 21 E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago alla riva, si volge all'acqua perigliosa e guata ; 24 cosi l'animo mio, che ancor fuggiva, si volse indietro a rimirar lo passo, che non lasciò giammai persona viva, 27 Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, si che il pie fermo sempre era il più basso. 30 Ed ecco, quasi al cominciar dell'erta, una lonza leggiera e presta molto, che dì pel maculato era coperta : 33 e non mi si partia dinanzi al volto; anzi impediva tanto il mio cammino, ch'io fui per ritornar più volte vòlto. 36 Tempo era dal principio del mattino, e il sol montava su con quelle stelle ch'eran con lui, quando l'amor divino 39 mosse da prima quelle cose belle ; si che a bene sperar m'era cagione, di quella fera alla gaietta pelle, 42 l'ora del tempo e la dolce stagione : ma non si, che paura non mi desse la vista, che mi apparve, d'un leone. 45 Questi parca che contra me venesse con la test 'alta e con rabbiosa fame, si che parea che l'aer ne temesse : 48 ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca nella sua magrezza, e molte genti fé' già viver grame; 51 ji. Pietà. — Angoscia. quando, secondo ì;1ì antichi, j8. Poi ch'èi. — Poich'ebbi. Dio (amor divino) creò il monde. 32. Lonza. — (Pamtera, Leo- 42. (iaietta peLe. — Screziata, p.-u-do) simbolo di lussuria. 45- I-^onc. — S'inbo-lo di su- •:ì7. Mattino. — Venerdì san- perbia. lo', 8 d'aprile. 40- Lupa. — .Simbolo d'ava- :^8, 39, 40. — Il sole era nel- ri^ia. la costellazione Ariete , come • — 20 — Inferno - Canio I questa mi porse tanto di gravezza, con la paura, che uscia di sua vista, ch'io perdei la speranza dell'altezza. 54 E quale è quei, che volentieri acquista, e giugne il tempo che perder lo face, che in tutt'i suoi pensier piange e s'attrista ; 57 tal mi fece la bestia senza pace, che, venendomi incontro, a poco a poco mi ripingeva là dove il sol tace. 60 Mentre ch'io rovinava in basso loco, dinanzi agli occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco. 63 Quando vidi costui nel gran diserto, « Miserere di me, gridai a lui, qual che tu sii, od ombra od uomo certo ». 66 Risposemi : ce Non uomo; uom già fui, e li parenti miei furon lombardi, e mantovani per patria ambedui. 69 Nacqui sub lulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma, sotto il buono Augusto, al tempo degli dèi falsi e bugiardi. 72 Poeta fui, e cantai di quel giusto fìgliuol d'Anchise, che venne da Troia, poi che il superbo Ilion fu combusto. 75 Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte, ch'è principio e cagion di tutta gioia? » 78 « Or se' tu quel Virgilio, e quella fonte, che spande di parlar si largo fiume?, risposi lui con vergognosa fronte. 81 54. Speranza dell' altezza. — la cui voce pareva indebolita. Speranza di giungere sulla vetta 70. Nacqui sub Julio ecc. — del colle. V-irgil'o nacque nel 70 e mori 60. Là dove il sol tace. — Nel. nei 19 a. C, al tempo di Giulio la selva oscura dove non penetra Cesare, che, essendo morto nel il sole. d4 a. C, non ebbe tempo di ono- 63. Chi per lungo silenzio pa= rare Virgilio ancor giovane. rea fioco. — Virgilio, poeta al- 73. Quel giusto. — Enea, fi- la Corte di Augusto; simbolo wlio di Anchise e Venere, della ragione umana, illuminata 75. Illon. — Troia, distrutta dalla filosofia. dalle fiamme. 63. Per lungo silenzio, ecc. — 79- Quella Fonte. — Di poesia. D&nle. La Dxvjna Commedia O degli altri poeti onore e lume, vagliami il lungo studio e il grande amore, che m'ha fatto cercar lo tuo volume. 84 Tu se' lo mio maestro e il mio autore : tu se' solo colui, da cui io tolsi lo bello stile, che m'ha fatto onore, 87 Vedi la bestia per cui io mi volsi : aiutami da lei, famoso saggio, ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi ». 90 (( A te convien tenere altro viaggio, rispose, poi che lagrimar mi vide, se vuoi campar d'esto loco selvaggio : 93 che questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo impedisce che l'uccide; 96 ed ha natura si malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo il pasto ha più fame che pria. 99 Molti son gli animali, a cui s'ammoglia, e più saranno ancora, infìn che il veltro verrà, che la farà morir con doglia. 102 Questi non ciberà terra né peltro, ma sapienza e amore e virtute, e sua nazion sarà tra Feltro e Feltro : , 105 di quell'umile Italia fìa salute, per cui mori la vergine Camilla, Furialo e Turno e Niso di ferute. lo8 84. VoluiT.e. — L'Eneide, la cedabile è quella secondo la qua- Biico.ica e le Georgiche. le Dante designa gli oscuri na- 100. Gli animali ecc. — i vi- tali tra umili panni, zi o gli uomini avari. 106. Umile Italia. — Italia loi. Veltro. — allegorico per- I.azia'e. .--onaggio indeterminato, che do- 107. Camilla. — figlia di Me- vrebbc essere (1 futuro libera- tabore, re dui Vcls<;i, morta com- tore. battendo contro Enea. 103. Peltro. — IMftal'o vile 108. Eurialo. ■ Niso. — gio- 105. E sua nazion sarà tra Fel= vani troiani, morti rombatten- tro e Feltro. — L'inicrpretaziti- do contro i Volsci. Turno. — ne di questo verso e collegata a capo dei Rutuli ucciso da Enea, quella data al Veltro. E più ac- Ferute. — Ferite. — ?? — Inferno - Canto I Questi la caccerà per ogni villa, fin che l'avrà rimessa nello inferno, là onde invidia prima dipartilla. Ili Ond'io per lo tuo me' penso e discemo che tu mi segui, ed io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco eterno, 114 ove udirai le disperate strida, vedrai gli antichi spiriti dolenti, che la seconda morte ciascun grida; 117 e poi vedrai color, che son contenti nel foco, perché speran di venire, quando che sia, alle beate genti : 120 alle qua' poi se tu vorrai salire, anima fla a ciò di me pili degna, con lei ti lascerò nel mio partire ; 123 che quello imperador, che là su regna, perch'io fui ribellante alla sua legge, non vuol che in sua città per me si vegna. 126 In tutte parti impera, e quivi regge, quivi è la sua città e l'alto seggio : 0 felice colui, cu' ivi elegge!» 129 Ed io a lui : « Poeta, io ti richeggio per quello Dio, che tu non conoscesti, acciò ch'io fugga questo male e peggio, 132 che tu mi meni là dov'or dicesti, si ch'io vegga la porta di san Pietro e color cui tu fai cotanto mesti ». AUor si mosse, ed io gli tenni dietro. 136 112. Me'. — Metello. 124. Imperador. — Dio. 117. Seconda morte. — la dan (25,. Ribellante. V— Virgilio nazione. era papano. iiSesegg. Color, che son con 126. Città. — Ne! suo regno. tenti, ecc. — Gli spiriti del Pur- 130. Richeggio. — Richiedo, gatorio che ane'ano al Paradisi). 132. Peggio. — li male eterno. 121. Alle qua'. — .'Mie c]uali. 134. Porta di San Pietro. — 122. Ànima fia, ecc. — Bea- Purgatorio. trice. 23 La Divina Commiìdia CANTO II Lo giorno se n'andava, e l'aer bruno toglieva gli animai, che sono in terra, dalle fatiche loro ; ed io sol uno 3 m'apparecchiava a sostener la guerra si del cammino e si della pietate, che ritrarrà la mente, che non erra. 6 O Muse, o alto ingegno, or m'aiutate : o mente, che scrivesti ciò ch'io vidi, qui si parrà la tua nobilitate. 9 Io cominciai : « Poeta che mi guidi, guarda la mia virtiì, s'ella è possente, prima che all'alto passo tu mi fidi. 12 Tu dici che di Silvio lo parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente. 15 Però se l'avversario d'ogni male cortese i fu, pensando l'alto effetto, che uscir dovea di lui, e il chi e il quale, 18 non pare indegno ad uomo d'intelletto: ch'ei fu dell'alma Roma e di suo impero nell'empireo ciel per padre eletto; 21 la quale e il quale, a voler dir lo vero, fùr stabiliti per lo loco santo, u' siede il successor del maggior Piero. 24 13. Tu dici che di Silvio, ecc. 17. Pensando l'alto effetto. — — Virgilio racconta nell'Eneide Pensando ai suoi distendenti. che Enea, padre di Silvio, disco- ^^ l^ qugjg e il quale. — se vivo nell'inferno. ^^^^ ^ ;, ^^^ \rc.^^ro. j4-iv Immortale secolo. — La -,, ,^ . vi a eterna. -4- U'. - Ove. Ironcanunlu 16. Se l'avversario d'ogni ma del latino ubi. le. — Dio. Maggior Piero. — Pietro apo- 17. L — ■ Gli, a lui, Enea. slolo, primo pontefice. Inferno - Canto 1 1 Per questa andata, onde gli dai tu vanto, intese cose, che furon cagione di sua vittoria e del papale ammanto. 27 Andovvi poi Io Vas d'elezione, per recarne conforto a quella fede, ch'è principio alla via di salvazione. 30 Ma io perchè venirvi? o chi '1 concede? io non Enea, io non Paolo sono : me degno a ciò né io né altri crede. 33 Per che, se del venire io m'abbandono, temo che la venuta non sia folle : se' savio, e intendi me' ch'io non ragiono"». 36 E quale è quei, che disvuol ciò che volle, e per nuovi pensier cangia proposta, si che dal cominciar tutto si tolle ; 30 tal mi fec'io in quella oscura costa : perché, pensando, consumai la impresa, che fu nel cominciar cotanto tosta. 42 « Se io ho ben la tua parola intesa, rispose del magnanimo quell'ombra, l'anima tua è da viltate offesa; 45 la qual molte fiate l'uomo ingombra, si che d'onrata impresa lo rivolve, come falso veder bestia, quand'ombra. 48 Da questa tema acciò che tu ti solve, dirotti P'Brch'io venni, e quel che intesi nel primo punto che di te mi dolve. 51 Io era tra color che son sospesi, e donna mi chiamò beata e bella, tal che di comandare io la richiesi. 54 26-27. Intese, ecc. — .Ulusionc 41. Perchè... consumai. — Co- alla predizione di Anchise al figlio -ì abbandonai. Enea sulla stirpe che egli avreb- 42. Tosta. — Pronta, be stabilito in Italia, che dove- 48. Come ialso, ecc. — Comi- va dare i fondatori di Roma. il vedere falso fa indietreggiar ■ 28. Vas d'elezione. — Dal b:- la bestia che si adombra, blico vas electionis, detto di San 49. Solve. — Sciolga, liberi. Paolo, il quale fu rapito in Pa- 51. DolVe, — Arcaismo per radiso. dolse. _3Q. Si tolle. — Si toglie, si a- /;2. Io era ecc. — \'irgilio sfiene. era nel linbo dove sono quelli — 25 — Ì.A Divina Commedia Lucevan gli occhi suoi pili che la stella e cominciomrni a dir soave e piana, con angelica voce, in sua favella : 57 ' O anima cortese mantovana, di cui la fama ancor nel mondo dura, e durerà quanto il mondo lontana ; 60 l'amico mio, e non della ventura, nella diserta piaggia è impedito si nel cammin, che vòlto è per paura : 63 e temo che non sia già si smarrito, ch'io mi sia tardi al soccorso levata, per quel eh io ho di lui nel cielo udito. 66 Or muovi, e con la tua parola ornata, e con ciò ch'è mestieri al suo campare, l'aiuta si ch'io ne sia consolata. 69 Io son Beatrice, che ti faccio andare ; vegno di loco, ove tornar disio ; amor mi mosse, che mi fa parlare. 72 Quando sarò dinanzi al Signor mio, di te mi loderò sovente a lui'. Tacette allora, e poi comincia' io : 75 ' O donna dì virtù, sola per cui l'umana specie eccede ogni contento da quel ciel che ha minor li cerchi sui ; , 78 tanto m'aggrada il tuo comandamento, che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi : più non t'è uopo aprirmi il tuo talento. 81 Ma dimmi la cagion, che non ti guardi dello scender qua giuso in questo centro dall'ampio loco, ove tornar tu ardi '. 84 che vivono senza sperare, in Essa guiderà il poeta dal Para- continuo des'o del Paradiso. diso terrestre a quello Celeste. 6i. Ventura. — Fortuna. 76-78. O donna, e;c. — Signo- 70. Beatrice. — Sloricamente ra di tutte le virtù, per le quali è il nome della donna amata dal Turnana specie avanza tutte le poeta : fiorentina, figlia di Fol- creature, contenute nel cielo dei- co Portinari, e spesa di Simon la luna (il meno ampio), de' Bardi, morta i'I 1290; alle- 81. Aprirmi il tuo talento. — goricamcnte rappre enta la scien- Esprimermi la tua volontà, za rivelala, divina, la teologia. 8^ Centro. — Inferno. — 26 — INKEKNO - CaNKj I I ' Da che tu vuoi saper cotanto addentro, dirotti brevemente, mi rispose, perch'io non temo di venir qua entro. 87 Temer si dèe dì sole quelle cose e 'hanno potenza di fare altrui male : dell'altre no, che non son paurose. 90 Io son fatta da Dio, sua mercé, tale, che la vostra miseria non mi tange, né fiamma d'esto incendio non m'assa'e. 93 Donna è gentil nel ciel, che si compiange di questo impedimento, ov'io ti mando, si che duro giudicio là su frange. 96 Questa chiese Lucia in suo domando, e disse : - Or ha bisogno il tuo fedele di te, ed io a te lo raccomando. - 99 Lucia, nimica di ciascun crudele, si mosse, e venne al loco dov'io era, che mi sedea con l'antica Rachele. 102 Disse : - Beatrice, loda di Dio vera, che non soccorri quei che t'amò tanto, che uscio per te della volgare schierar 105 Non odi tu la pietà del suo pianto, non vedi tu la morte che il combatte su la fiumana, ove il mar non ha vanto? - 108 Al mondo non fùr mai persone ratte a far lor prò, né a fuggir lor danno, com'io, dopo cotai parole fatte, 111 vermi qua giù dal mio beato scanno, fidandomi del tuo parlare onesto, che onora te e quei che udito l'hanno'. 114 93. Esto. — Codesto. 10 V Loda. — Lode. <)4. Donna è gentil nel cieL.. m^. Uscio per te della volgare — Maria, s'mbolo del'a grazia schiera. — Che si elevò su tutti divina. I,j,j. ^i; g.^ji p p2t- gli scritii. c)7. Lucia. _ La martire si- ^^'g pjumana, ove il mar ecc. racusana, simbolo della grazia t > * i. . • J^„■■•,^.-« oi illumina.ite — L'Acheronte, non infei.ore al- (,S. Tuo fedele. — Dante stesso. l'tceano nelle tempeste. J02. Rachele — figlia di La- m- Dopo cotsi parole fatte. bano, e moglie di Giacobbe, — Dopo le parole dette da Lii- simbolo della vita contemplativa. eia. — 27 — La Divina Commedia Poscia che m'ebbe ragionato questo, gli occhi lucenti lagrimando volse; per che mi fece del venir più presto : 117 e venni a te cosi, com'ella volse; dinanzi a quella fiera ti levai, che del bel monte il corto andar ti tolse. 120 Dunque che è? perché, perché ristai? perché tanta viltà nel core allette? perché ardire e franchezza non hai, 123 poscia che tal tre donne benedette curan di te nella corte del cielo, e il mio parlar tanto ben t'impromette? » 126 Quali i fioretti, dal notturno gelo chinati e chiusi, poi che il sol gl'imbianca si drizzan tutti aperti in loro stelo; 129 tal mi fec' io, di mia virtude stanca, e tanto buono ardire al cor mi corse ch'io cominciai come persona franca : 132 c( O pietosa colei che mi soccorse, e tu cortese, che ubbidisti tosto alle vere parole che ti porse! 135 Tu m'hai con desiderio il cor disposto si al venir, con le parole tue, ch'io son tornato nel primo proposto. 138 Or va, che un sol volere è d'ambedue : tu duca, tu signore e tu maestro ». Cosi gli dissi ; e poiché mosso fue, entrai per lo cammino alto e Silvestro. 142 122. Allette. — Accogli. Que- j-^s. Proposto. — Proposito di sta desinenza della seconda per- seguirti, sona dell'indicativo è frequentis- i^o. Duca. — (ìiiid.-i. sima in Dante. CANTO III (( Per me si va nella chtà dolente, per me si va nell'eterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Città dolente. — L'Inferno. — 28 - Inferno - Canto III Giustizia mosse il mio alto fattore, fecemi la divina potestate la somma sapienza e il primo amore. 6 Dinanzi a me non fùr cose create, se non eterne, ed io etemo duro : lasciate ogni speranza, voi, ch'entrate ! )> 9 Queste parole di colore oscuro vid'io scritte al sommo d'una porta; per ch'io: ((Maestro, il senso lor m'è duro». 12 Ed egli a me, come persona accorta : (( Qui si convien lasciare ogni sospetto ; ogni viltà convien che qui sia morta. 15 Noi slam venuti al loco ov'io t'ho detto, che tu vedrai le genti dolorose, c'hanno perduto il ben dello intelletto)). 18 E poi che la sua mano alla mia pose, con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro alle segrete cose. 21 Quivi sospiri, pianti ed alti guai risonavan per l'aer senza stelle, per ch'io al cominciar ne lagrimai. 24 Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle, 27 facendo im tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aria senza tempo tinta, come la rena quando a turbo spira. 30 Ed io, ch'avea d'orror la testa cinta, dissi: ((Maestro, che è quel ch'i' odo? e che gent' è, -che par nel duol sì vinta? » 33 Ed egli a me : « Questo misero modo tengon l'anime triste di coloro, che visser senza infamia e senza lodo. 36 Mischiate sono a quel cattivo coro degli angeli, che non furon ribelli, né fùr fedeli a Dio, ma per sé fóro. 39 6. Somma sapienza. — Il ver- 3g. Fòro. — B'urono. Allude bo, ossia il Figliuolo ; il primo ag;H angeli rimasti neutrali du- amore, lo spirito santo. rante là ribellione di Lucifero. - 29 — La Divina Commedia Caccianli i ciel per non esser men belli ; né lo prolondo inferno gli riceve, che alcuna gloria i rei avrebber d'elli ». 42 Ed' io : (( Maestro, che è tanto grave a lor, che lamentar gli fa si forte ? » Rispose : « Dicerolti molto breve. 45 Questi non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa, che invidiosi son d'ogni altra sorte. 48 Fama di loro il mondo esser non lassa, misericordia e giustizia gli sdegna : non ragioniam di loj, ma guarda e passa ». 51 Ed io, che riguardai, vidi un'insegna, che girando correva tanto ratta che d'ogni posa mi pareva indegna : 54 e dietro le venia si lunga tratta di gente, ch'i' non avrei mai creduto che morte tanta n'avesse disfatta. 57 Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltate il gran rifiuto. 60 Incontanente intesi, e certo fui, che quest'era la sètta dei cattivi, a Dio spiacenti ed a' nemici sui. 63 Questi sciaurati, che mai non fùr vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch'erano ivi. 66 Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiando di lagrime, ai lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto. 69 42. Che alcuna, ecc. —Perchè, .S3-54- Che girando correva ecc. secondo il Casini, i dannati si — Che mi pareva dovesse girare glorierebbero di aver compagni eternamente, di pena quegli angeli che non ^.^ Tratta. — Schiera, [leccarono di ribellione, ma sola- ^ q^^^^ _ pj^^^.^ ^^ r^l,j,._ mente di viltà _ ^^ assunto al pontificalo col 4^. Dicerolti. — le lo diro; ' . ^ ricorda il verbo dicere. "0'"e di C-^lestmo V, vi nnun- 4(). Questi non hanno speran= zio dopo cinque n,esi. za di morte. — Non hanno spe- 62. Sètta dei cattivi. — Sdiie- ranza che le loro pene abbiano ra dei vili. fine. — 30 — Ìni'EKno - Canto 1 1 i E poi che a riguardare oltre mi diedi, vidi gente alla riva d'un gran fiume; per ch'io dissi «. Maestro, or mi concedi 72 ch'Io sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer si pronte, com'io discerno per lo fioco lume ». 75 Ed egli a me : « Le cose ti fien conte, quando noi fermerem li nostri passi su la trista riviera d'Acheronte». 78 Allor con gli occhi vergognosi e bassi, temendo no '1 mio dir gli fusse grave, infino al fiume di parlar mi trassi. 81 Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio bianco per antico pelo, gridando : « Guai a voi, anime prave ! 84 Non isperate mai veder Io cielo : i' vegno per menarvi all'altra riva, nelle tenebre eterne, in caldo e in gelo ; 87 e tu che se' costi, anima viva, partiti da cotesti che son morti ». Ma poi ch'ei vide ch'io non mi partiva, 90 disse : « Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare : pili lieve legno convien che ti porti ». 93 E il duca a lui : « Caron non ti crucciare : vuoisi cosi colà, dove sì puote ciò che si vuole, e più non dimandare ». 96 Quindi fùr quete le lanose gote al nocchier della livida palude, che intorno agli occhi avea di fiamme rote. 99 71. Fiume. — L'Acheronte o aùtologica, trasformata da Dan- lìume del dolore, il più grande te in demonio. dell'Inferno. qi. Per altra via. — La via 73 Costume. — Leo-^-e àelìe an me buone che, dopo la 76. Conte. — Palesi.*" ' '"«'^'S' scendono alla foce del o luj .roac: ivT- ^^ „; Tevere; e ivi sono raccolte dal- 81. Mi irassi. — Mi astenni. i.a i u- ^„^.„ ^' 1 Angelo nocchiero, e portate a- - 8.1. Un vecchio. — Caronte, y^^^^^ jg] purgatorio (cfr. Purg. figlio dell'Erebo e della Notte; ][ loi e seguenti). barcaiolo dell'Averno , divinità 9:;. Colà. — In cielo. — 31 — r.\ Divina Commedia Ma quell'anime, ch'erari lasse e nude, cangiar colore e dibatterò i denti, ratto che inteser le parole crude. 102 Bestemmiavano Iddio e i lor parenti, l'umana specie, il luogo, il tempo e il seme di lor semenza e di lor nascimenti. 105 Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, alla riva malvagia, che attende ciascun uom che Dio non teme. 108 Caron dimonio, con occhi di bragia, loro accennando tutte le raccoglie ; batte col remo qualunque s'adagia. Ili Come d'autunno si levan le foglie l'una appresso dell'altra, infln che il ramo rende alla terra tutte le sue spoglie; 114 similemente il mal seme d'Adamo : gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni, come augel per suo richiamo. 1 17 Così sen vanno su per l'onda bruna, ed avanti che sian di là discese, anche di qua nuova schiera s'aduna. 120 « Figliuol mio, disse il maestro cortese, quelli che muoion nell'ira di Dio tutti convegnon qui d'ogni paese : 123 e pronti sono a trapassar lo rio, che la divina giustizia gli sprona si che la tema si volge in disio. 126 Quinci non passa mai anima buona ; e però, se Caron di te si lagna, ben puoi saper ornai che il suo dir suona ». 129 Finito questo, la buia campagna tremò sì forte che dpllo spavento la mente di sudore ancor mi bagna. 132 114. Spoglie. — Le foglie soni 115. Mal seme. ci.rne le visti dr-l ramo. demi. — 32 — Inferno - Caniu I\" La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia, la qual mi vinse ciascun sentimento : e caddi, come l'uom cui sonno piglia. 136 133. Diede vento. — Spirò. 13^. Mi vinse. - Mi fece per- 134. Balenò. — Sprigionò una dere. luce a guisa di baleno. CANTO IV Ruppemi l'alto sonno nella testa un greve tuono si ch'io mi riscossi, come persona che per forza è desta : 3 e l'occhio riposato intorno mossi, dritto levato, e fiso riguardai per conoscer lo loco dov'io fossi. 6 Vero è che in su la proda mi trovai della valle d'abisso dolorosa, che tuono accoglie d'infiniti guai. 9 Oscura, prof ond 'era e nebulosa, tanto che, per ficcar lo viso al fondo, io non vi discemeva alcuna cosa. 12 ic Or discendiam qua giù nel cieco mondo ; incominciò il poeta tutto smorto : io sarò primo, e tu sarai secondo ». 15 Ed io, che del color mi fui accorto, dissi : « Come verrò, se tu paventi, che suoli al mio dubbiare esser conforto? » 18 Ed egli a me : « L'angoscia delle genti, che son qua giù, nel viso mi dipigne quella pietà, che lu per tema senti. 21 Andiam, che la via lunga ne sospigne ». Cosi si mise e cosi mi fé' entrare nel primo cerchio che l'abisso cigne. 24 II. Per ficcar. — Pei- quar.t . 22. Ne sospigne. — Incili i ficcassi gli occhi. far presto. 31. Senti. — Giudichi. — .1.^ — La Divina Commedia Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto ma che di sospiri, che l'aura eterna facevan tremare : 27 ciò avvenia di duol senza martiri, ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi, e d'infanti e di femmine e di viri. 30 Lo buon maestro a me : (( Tu non dimandi che spiriti son questi che tu vedi? Or vo' che sappi, innanzi che pili andi, 33 ch'ei non peccaro; e s'ellì hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo, eh 'è parte della fede che tu credi : 36 e se furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente Dio ; e di questi cotai son io medesmo. 39 Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti ; e sol di tanto offesi, che senza speme vivemo in disio ». 42 Gran duol mi prese al cor quando lo intesi, però che gente di molto valore conobbi che in quel limbo eran sospesi. 45 (( Dimmi, maestro mio, dimmi, signore, comincia' io, per voler esser certo di quella fede che vince ogni errore, 48 uscicci mai alcuno, o per suo merto o per altrui, che poi fosse beato?» E quei, che intese il mio parlar coverto, 51 rispose : « Io era nuovo in questo stato, quando ci vidi venire un possente con segno di vittoria incoronato. 54 25. Secondo che per ascoltare. 41. E sol di tanto offesi. — Ai- — Per quel che si poleva asco'- Hitti sol da quvslo. laie. 48. Di quella fede. — Delia ci c- 26. Ma' che. — pù che. ^^^^za criistiaia intorno alla dì- 28. Senza martiri — Non per ^^^^^ ^,j tristo al limbo. do.ore fi.ico, ma pel rammarico Coverto. - Avendo ,accen. (h non poter vedere Uio. "^ ^ . . , -?-? Andi Vada nato a Cristo senza nominarlo. 34. Mercédi. — Meriti. .'?2. Nuovo. — Vi si trovava da 40. Difetti. — 11 non aver co- poco più di cinquant'anni, essen- nosciuta la vera fede. — Rio. — do morto il 22 settembre dell'an- Colpa, reato. no 19 av. Cristo, - 34 - Inferno - Canto I\' Trasseci l'ombra del primo parente, d'Abel suo figlio, e quella di Noè, di Moisè legista e ubbidiente ; 57 Abraàm patriarca e David re, Israel con lo padre e co' suoi nati, e con Rachele, per cui tanto fé', 60 ed altri molti ; e fecegli beati : e vo' che sappi che, dinanzi ad essi, spiriti umani non eran salvati )>. 63 Non lasciavam l'andar, perch'ei dicessi, ma passavam la selva tuttavia ; la selva, dico, di spiriti spessi. . 66 Non era lunga ancor la nostra via di qua dal sonno ; quando vidi un foco, ch'emisperio di tenebre vincia. 69 Di lungi v'eravamo ancora un paco, ma non si ch'io non discemessi in parte che onrevol gente possedea quel loco. 72 i< O tu, che onori ogni scienza ed arte, questi chi son c'hanno cotanta onranza, che dal modo degli altri li diparte?» 75 E quegli a me: «L'onrata nominanza, che di lor suona su nella tua vita, grazia acquista nel cìel che sì gli avanza ». 78 Intanto voce fu per me udita : «Onorate l'altìssimo poeta! l'ombra sua torna, ch'era dipartita». 81 Poi che la voce fu restata e queta, vidi quattro grand 'ombre a noi venire; sembianza avevan né trista né lieta. 84 Lo buon maestro cominciò a dire : « Mira colui con quella spada in mano, che vien dinanzi a' tre si come sire : 87 ;:;v Trasseci l'oaibra del primo la quale io era svenuto, abba- parente. — Trasse di qui reni- yliato dalla folgore, bra di Adamo. 6g. Emisperio di tenebre vin= 68. Di qua dal sonno. — DI eia. — Fugava le tenebre della qua dalla riva d '.Acheronte, sul- metà del cerchio. - 35 - La Divina Commedia quegli è Omero poeta sovrano ; l'altro è Orazio satiro, che viene, Ovidio è il terzo e l'ultimo è Lucano. 90 Però che ciascun meco si conviene nel nome, che sonò la voce sola, fannomi onore, e di ciò fanno bene». 93 Cosi vidi adunar la bella scuola di quei signor dell'altissimo canto, che sopra gli altri cora 'aquila vola. 96 Da ch'ebber ragionato insieme alquanto, volsersi a me con salutevol cenno ; per che il maestro sorrise di tanto : 99 e più d'onore ancora assai mi fenno, ch'essi mi lecer della loro schiera, si ch'io fui sesto tra cotanto senno. 102 Cosi n'andammo infìno alla lumiera, parlando cose, che il tacere è bello, si com'era il parlar colà dov'era. 105 Venimmo al pie d'un nobile castello, sette volte cerchiato d'alte mura, difeso intorno d'un bel fìumicello. 108 Questo passammo, come terra dura : per sette porte entrai con questi savi ; giugnemmo in prato di fresca verdura. Ili 88. Omero. — 11 grande ^oeta q?. Che sonò la voce sola. -- greco al quale si attribuiscono i La voce che aveva invitati i poeti due poemi l'Iliade e l'Odissea. a rendere onore a Virgilo. 89. Orazio. — Fiacco di Vena- 103. Lumiera. — 11 punto den- sa (6.T a. C. - 8 d. C.) grande !:- jg si irradiava la luce. rico "latino.^ autore di Odi, Epi- ^^g Nobile castello. — Simbo stole e Satire. ,. e- ■ Io de' la sapienza umana. 90. Ovidio. - Nasone di Su- ^^^^ _ ^.^^^^^ mona (43 a C 17 d C.) autor. 7 ^^^^^^^ ^.^^, ^^^^^^.^ delle Eroidi, delle Metamorfosi, ' ■ .• • r ^ dei Fasti, delle Tristezze. prudenza, giustizia, fortezza. Lucano. — Al. Annec. Lucano temperanza : e delle tre virtù di Cordova (39-65 d. C), poeta speculative: mlelligenza, scienza epico, autore del poema eroico : e sapienza. Faisalia. 108. Fiumicello. — Simbolo 91-92. Ciascun meco si convie= dell'umana attiUnline ad apprcn- ne nel nome. • — E' poeta al pari dere. (li me. -36 Inferno - Canto I\' Genti v'eran con occhi tardi e gravi, di grande autorità ne' lor sembianti -, parlavan rado, con voci soavi, 114 Traemmoci cosi dall'un de' canti in loco aperto luminoso ed alto, si che veder poteansi tutti quanti. 117 Colà diritto, sopra il verde smalto, mi fiìr mostrati gli spiriti magni, che del vederli in me stesso n'esalto. 120 Io vidi Elettra con molti compagni, tra' quai conobbi Ettore ed Enea, Cesare armato con gli occhi grifagni. 123 Vidi Camilla e la Pentesilea dall'altra parte, e vidi il re Latino, che con Lavinia sua figlia sedea. 126 Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, Lucrezia, lulia. Marzia e Corniglia, e solo in parte vidi il Saladino. 129 Poi che innalzai un poco più le ciglia, vidi il maestro di color che sanno, seder tra filosofica famiglia. 132 12 1. Elettra. — Figlia di A- ij8. Lucrezia. — Figlia di Sp. tlante, la quale da Giove generò Lucrezio e moglie di Collatino. Dardano, progenitore dei Tro- Julia. — Figlia di C. Giulio Ce- iani. sare e moglie di Pompeo. Mar= 122. Ettore. — Figlio di Pria- zia. _ piglia di Marzio Filippo, Ilio, ultimo re troiano, glorifica- ,. moglie prima di Catone Uti- to da Omero. Enea, troiano che, ^^^^ ^ . ^j ^^ Ortensio, fa- profugo, venne in Italia e vi ^oso oratore. " fondò il sue regno _ Corniglia. - Cornelia, figlia 123. Cesare. — Caio Giulio ^j p Cornelio Scipione Africano, Cesare spianò la via dell impero. ^ jj^ j; Tiberio Sempronio 124. Camilla. — (cfr. I 107). ,-, , , , kl • r-^i: La Pentesilea. - Figlia di Mar- ,V-''k''S°' ^al quale ebbe 1 figli te, e regina delle Amazzoni, / ''^f \°- ^^'° (^^t-uni romani) e combatteva per i Troiani e fu '^ ^^''Li.S™"^' q u r uccisa da Achille. ^ ^^9- Saladino. - Sul ano d, 12=;. Latino. - Figlio di Fau- f f "° ^ ^'' .S\"^ ("37-J.i93). ce- no, e re del Lazio. 'ebre per virtù e liberalità. 126. Lavinia. — Figlia di La- ^31- Maestro ecc. — Aristotile, tino, promessa prima a Turno filosofo, (384-322 a. C.) fu te- e poi sposa ad Enea. nuto nel medioevo nel massimo 127. Bruto. — Lucio Ginn io onore. Bruto, primo console Romano. — 37 — Dante, -i I-A Divina Commedia Tutti l'ammiran, tutti onor gli fanno : quivi vid'io e Socrate e Platone, che innanzi agli altri più presso gli stanno; 135 Democrito, che il mondo a caso pone, Diogenès, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone ; 138 e vidi il buono accoglitor del quale, Dioscoride dico ; e vidi Orfeo, Tullio e Lino e Seneca morale ; 141 Euclide geometra e Tolomeo, Ippocrate, Avicenna e Galieno, i^.;. Socrate. — Filosofo ate- niese (470-399 a. C.) iniziatore della vera filosofia morale, ridot- ta poi a perfezione da Aristotile. Platone. -- Filosofo ateniese (427-347 a. C.) disicepolc di So- crate, capo degli accademici. 136. Democrito. — Filosofo di Abdera (462 (?) 361 a. C.) alun- no e seguace di Leucippo. Che il mondo ecc. — Democrito in- segnava essere il mondo stato fatto a caso pel cieco e fortuito concorso degli atomi. 137. Diogenès. — Il Cinico di Sinope (404-323 a. C.) filosofo che sdegnò ogni agio della vita, e aspramente riprese i vizi u- mani. Anassagora. — Filosofo di Clazomene (500-428 a. C.) mae- stro di Pericle. Tale. — Talete, uno dei sette savi della Grecia (639-546 a. C-), di Mileto. 138. Empedoclès. — Filosofo (li Girgcnli (490-430 a. C.) au- tore d'im poema sulla natura e sui principi delle cose. 138. Eraclito. — Forse il filo- sofo di Efeso, vissuto verso il t:oo a. C. Zenone. — Due filosofi ebbe- ro questo nome ; Zenone di Elea, vissuto verso il 460 a. C. e Ze- none di Citio (300 a. C), fonda- tore delia scuoia degli Scoici. 140. Dioscoride. — Pedanio Dioscoride, medico di Anazarbo in Cilicia (1° secolo d. C.) auto- re di un'opera in cui tratta del- la qualità (del quale) delle pian- te. Orfeo. — Mitico poeta e musi- co di Tiacia, figlio della musa Calliope. 141. Tullio. — M. Tullio Ci- cerone, oratore e filosofo d'Arpi- no (106-43 a- C.) Lino. — Poeta mitico greco, figlio di Apollo e Calliope. Seneca. — Seneca, filosofo di Cordova (morto nel 65, d. C.) autore di molte ojiere morali. 142. Euclide. — Celebre mate- matico alessandrino, vissuto in- lorno al 300 a. C. riomeo. — Claudio Ptolo- meo, geografo, matematico e a- stronomo egiziano, vissuto nel II specolo d. C. ; aggiunse agli otto cieli degli astronomi anteriori a lui il cielo mc'bile. 143. Ippocrate. — Medico di Coo (470-356 a. C.) autore de- gli Aforismi. Avicenna. — Famoso medico arabo (9S0-1036), autore di un commento su Aristotile. Galieno. — Claudio Galieno, mi-dico di Pergamo (131-201 d. C.) autore di molte oi.ore di me- dicina. - 38 - ]ni"erng - Canto \' Averrois che il gran comento feo. 144 Io non posso ritrar di tutti a pieno ; però che sì mi caccia il lungo tema che molte volte al fatto il dir vien meno. 147 La sesta compagnia in due si scema : per altra via mi mena il savio duca, fuor della queta, nell'aura che trema; e vengo in parte, ove non è che luca. 151 144. Averrois. — Filosofo ara- 14S. Si scema. — SI riduce a bo di Cordova (11 26-1 198), au- due. tore di tre celebri commenti so- 151. Non è che luca. — Non pra Aristotile, il grande, il mez v'è cosa che riluca, /ano, e !e analisi o parafrasi. CANTO V Cosi discesi del cerchio primaio giù nel s-econdo, che men loco cinghia, e tanto più dolor, che pugne a guaio. ,3 Stavvi" Minos orribilmente e ringhia : esamina le colpe nell'entrata, giudica e manda, secondo che avvinghia. 6 Dico, che quando l'anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa ; e quel conoscitor delle peccata 9 vede qual loco d'inferno è da essa : cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa. 12 j. Primaio. — Primo. zione greca fatto giudice dell'in- 2. Men loco cinghia. — Cin- ferno e trasforniato in demonio es minor tratto. da Dante. 3. Pugne a guaio. — Costrin- 6 Che avvinghia. — Avvolge gè i dannati a lamentarsi. la coda. 4. Minos. — Mitico figlio di io. E' da essa. — E' adatta Giove e d'Europa, savio re •■ ;;d essa. legislatore di Creta, dalla tradi- — 39 - La Divina Commedia Sempre dinanzi a lui ne stanno molte : vanno a vicenda ciascuna al giudizio; dicono e odono, e poi son giù volte. 15 « O tu, che vieni al doloroso ospizio, disse Minos a me, quando mi vide, lasciando l'atto di cotanto ufìzio, 18 guarda com 'entri, e di cui tu ti fide : non t'inganni l'ampiezza dell'entrare!» E il duca mio a lui : (( Perché pur gride? 21 Non impedir lo suo fatale andare : vuoisi cosi colà, dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare )). 24 Ora ìncomincian le dolenti note a farmisi sentire : or son venuto là dove molto pianto mi percote. 27 Io venni in loco d'ogni luce muto, che mugghia, come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. 30 La bufera infernal, che mai non resta, mena gli spirti con la sua rapina, voltando e percotendo li molesta. 33 Quando giungon davanti alla ruina, quivi le strida, il compianto e il lamento, bestemmian quivi la virtù divina. 36 Intesi che a cosi fatto tormento ènno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. 39 E come gli stornei ne portan l'ali, nel freddo tempo, a schiera larga e piena, cosi quel flato gli spiriti mali : 42 di qua, di là, di giù, di su gli mena ; nulla speranza gli conforta mai, non che di posa, ma di mmor pena. 45 12. Quantunque gradì, — d'ingresso al s(>condo cerchio, Quanti cerchi. dove formasi la bufera, che as^f- 15. Volte. — Precipitate. gira in turbine i dannati. ■jn. Ampiezza. — Facilità. 38. Enno. — Sono. 31. Mai non resta. — Non "-,g. Talento. — .Appetito, bas- b'arresta mai. so istinto. 34. Ruina. — Forse il luogo 44. Nulla. — Nessuna. — 40 — Inferno - Canto V E come i gru van canlando lor lai, facendo in aer dì sé lunga riga ; cosi vid'io venir, traendo guai, ombre portate dalla detta briga : per ch'io dissi : <( Maestro, chi son quelle genti, che l'aer nero si gastigar » « La prima di color, di cui novelle tu vuoi saper, mi disse quegli allotta, fu imperatrice di molte favelle. A vizio di lussuria fu si rotta, che libito fé' licito in sua legge, per tórre il biasmo, in che era condotta. Eli' è Semiramis, di cui si legge che succedette a Nino, e fu sua sposa : tenne la terra che il Soldan corregge. L'altra è colei, che s'ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo ; poi è Cleopatràs lussuriosa. Elena vidi, per cui tanto reo tempo si volse, e vidi il grande Achille, che con amore al fine combatteo. 48 51 54 57 60 63 66 4g. Briga. — 7'urbine. 53. Allotta. — Allora. "54. Favelle. — Popoli. 56-57. Che libito fé' licito ecc. — Che per legge riconobbe le- cito quanto le piacesse, per evi- tare il biasimo. 58. Semiramis. — Semira- mide, regina d'Assiria (1356- 13 14 a. C.) per sposare il figlio, promulgò una legge che {-er- metteva di tali matrimoni. 60. Soldan. — Sultano di E- cjit'.o. I suoi territori erano g'à stati conquistati da Nino, mari- to di Semiramide. Corregge. — Regge, governa. 61. Colei. — Didone, figlia di Belo, fondatrice e regina di Car- tagine ; divenuta vedova di Si- cheo, avtva fatto voto di castità, al quale venne meno per amo- re tli Enea. 53. Cleopatràs. — Figlia di Tolomeo Aulete (69-30-3. C.) re- gina d'Egit o, amante, prima di G. Cesare, poi di Antonio ; di- venuta prigioniera d" Ottaviano si uccise per non ornarne il trionfo. 64. Elena. — Figlia di Giove e di Leda, moglie di Menelao, re di Sparta, rapita da Paride, onde la guerra troiana. 65. Achille. — Figlio di Peleo e di Teti, eroe greco, fu ucciso a tradimento da Paride, mentre celebrava le sue nozze con Polis- sena, figlia di Priamo re di Troia. 41 — F,A DiVIKA COMMF.nlA Vidi Paris, Tristano » ; e più di mille, ombre mostrommi, e nominoUe a dito, che amor di nostra vita dipartine. 69 Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e i cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72 Io cominciai : « Poeta, volentieri parlerei a que' due, che insieme vanno e paion si al vento esser leggieri ». 75 Ed egli a me : <( Vedrai, quando saranno più presso a noi ; e tu allor li prega per quell'amor che i mena, e quei verranno». 78 Si tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce : « O anime affannate, venite a noi parlar, s' altri noi niega ». 81 Quali colombe dal disio chiamate, con r ali alzate e ferme, al dolce nido vengon per l'aer dal voler portate ; 84 cotali uscir della schiera ov'è Dido, a noi venendo per l'aer maligno, si forte fu l'affettuoso grido. 87 (( O animai grazioso e benigno, che visitando vai per l'aer perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90 se fosse amico il re dell'universo, noi pregheremmo lui per la tua pace, poiché hai pietà del nostro mal perverso. 93 Di quel che udire e che parlar ti piace noi udiremo e parleremo a vuì, mentre che il vento, come fa, si tace. 96 67. Paris. — P.-arIcle, figlio di dianr.ollo Malalesta, signore di Priamo, il rapitore di Elena. Pa Rimini. Pao'o, fratello di Gian- lis cavaliere della Tavo a Kw- notto, nato verso il 1250, fu elet- tonda, amante di Vienna. ^^ capitano del Popolo in Firenze rristano. — Cavaliere della . '- Tavola Rotonda, figlio di Melia- nel 12S2. dus; innamorato d'Isotta, mo- 89. Perso. - Colore iia d ros- glie di suo zio Marco, re di so e il nero, con prevalenza del Cornovaglia, fu da lui ucciso. nero. 74. Qiie' due, — Francesca, 00. Nei che tignimmo il raon figlia di Guido da Poirnta, si- do di sanjSiiij^no. — Che fummo gncre di Ravenna, spo^ù nel 1275 uccisi. — 42 — Inferno - Canto V Siede ia terra, dove nata fui, su la marina dove il Po discende per aver pace co' seguaci sui. 99 Amor, che al cor gentil ratto s'apprende, prese costui della bella persona che mi fu tolta, e il modo ancor m' offende. 102 Amor, che a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer si forte, che, come vedi, ancor non mi abbandona. 105 Amor condusse noi ad una morte : Caina attende chi vita ci spense ». Queste parole da lor ci fùr porte. 108 Da che io intesi quelle anime offense, chinai '1 viso, e tanto il tenni basso, finché il poeta mi disse: "Che pense?» Ili Quando risposi, cominciai : « O lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!» 114 Poi mi rivolsi a loro, e parla' io, e cominciai :« Francesca, i tuoi marriri al lagfimar mi fanno tristo e pio. 117 Ma dimmi : al tempo de' dolci sospiri, a che e come concedette Amore, che conosceste i dubbiosi desiri?» 120 Ed ella a me : <' Nessun maggior dolore, che ricordarsi del tempo felice nella miseria ; e ciò sa il tuo dottore. 123 Ma se a conoscer la prima Yadice del nostro amor tu hai cotanto affetto, farò come colui che piange e dice. 126 97. Terra. — Ravenna. non consente che qua'cuno, il 9Q. Per aver pace co' ssgnaci quale sia amato, non riami. sui. — Per terminare il suo cor- 104. Piacer. — Aspetto piace- so, in.sieme con gfli affluenti. vele. 102. Il modo. — Fu uccisa con 107. Caina. — Bo'gia dei fra- Paolo dal marito. iricidi. Ancor m' offende. — Perchè Chi. — Il marito, Giannotto non ebbe tempo di pentirsi, e fu log. Offense. — Offese, dannata. 119. A che, e come. — A qual io;,. Amor, che a nullo amato indizio, e in qual guisa v'ac- amar perdona. — Amore, ch.e correste. — 43 — La Divina Commedia Noi leggevamo un giorno per diletto di Lancelotto, come amor lo strinse : soli speravamo e senza alcun sospetto. 129 Per più fiate gli occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso : ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132 Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, • 135 la bocca mi baciò tutto tremante : Galeotto fu il libro e chi lo scrisse ; quel giorno più non vi leggemmo avante». 138 Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangeva si che di pietade io venni meno si com' io morisse, e caddi, come corpo morto cade. 142 128. Lancelotto. — Eroe dei ìT,y. Galeotto. — E' il Sinj- romanzi della Tavola Rotonda, scalco che pregia la regina Gi- amo Ginevra, mcglie del reArtù nevra di baciare il timido Lan- 130-131. Gli occhi ci sospinse cilotto. quella lettura. — Ci sospinse gli 138. Quel giorno più non vi occhi ad incontrarsi. leggemmo avante. — Verso che 133. Il desiato riso. — La hoc- adombra il mistero supremo del ca, che più partecipa al sorriso. totale amore. CANTO VI Al tornar della mente, che si chiuse dinanzi alla pietà de' duo cognati, che di tristizia tutto mi confuse, nuovi tormenti e nuovi tormentati mi veggio intorno, come eh' io mi mova, e come ch'io mi volga e eh' io mi guati. 44 Inferno - Canto \'f Io sono al terzo cerchio, della piova eterna, maledetta, fredda e greve : regola e qualità mai non 1' è nuova. 9 Grandine grossa e acqua tinta e neve per l'aer tenebroso si riversa : pute la terra che questo riceve. 12 Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sopra la gente che quivi è sommersa. 15 Gli occhi ha vermigli, la barba unta ed atra, e il ventre largo, e unghiate le mani ; graffia gli spiriti, scuoia ed isquatra. 18 Urlar gli fa la pioggia come cani : dell'un de' lati fanno all'altro schermo ; vclgonsi spesso i miseri profani. 21 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, le bocche aperse e mostrocci le sanne : non avea membro che tenesse fermo. 24 E il duca mio distese le sue spanne ; prese la terra, e con piene le pugna la gittò dentro alle bramose canne. 27 Qual è quel cane, che abbaiando agugna e si racqueta poi che il pasto morde, che solo a divorarlo intende e pugna ; 30 cotai si fecer quelle facce lorde dello demonio Cerbero, che introna l'anime si ch'esser vorrebber sorde. 33 Noi passavam su per l'ombre che adona la greve pioggia, e ponevam le piante ' sopra lor vanità che par persona. 36 f). Regola e qualità. — Sem- Diversa. — Strana, di forma pre a un modo, sempre la stes- paurosa, insolita. sa. iS. Isquatra. — Squarta. IO. Acqua tinta. — Nevischio, 22. Il gran vermo. — La be- o, secondo altri, acqua sporca. stia immonda. i-^. Cerbero. — Cane a 3 te- 30. Pugna. — S'affatica, ste con coda e crine di serpente, 34. Adona. — Abbatte, fiacca, figgilo di Tifeo e di Echidna, sta 36. Vanità. — Sembianza cor- a guardia dei'Inferno. porea, vana ombra. — 45 — La Divina Co:mj,iedia Elle giacean per terra tutte e quante, fuor eh' una che a seder si levò, ratto ch'ella ci vide passarsi davante. 39 e O tu, che se' per questo inferno tratto, mi disse, riconoscimi, se sai : tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto». 42 Ed io a lei : « L'angoscia che tu hai forse ti tira fuor della mia mente, si che non par eh' io ti vedessi mai. 45 Ma dimmi chi tu se', che in si dolente loco se' messa, ed a si fatta pena che, s' altra è maggio, nulla è si spiacente ». 48 Ed egli a me : « La tua città, eh' è piena d' invidia si che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena. 51 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco : per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco ; 54 ed io anima trista non son sola, che tutte queste a simil pena stanno per simil colpa ». E più non fé' paro'a. 57 Io gli risposi : « Ciacco, il tuo affanno mi pesa si che a lagrimar m' invita : ma dimmi, se tu sai, a che verranno . 60 li cittadin della città partita ; s' alcun v' è giusto; e dimmi la cagione, per che 1' ha tanta discordia assalita ». 63 Ed egli a me : « Dopo lunga tenzone ' verranno a! sangue, e la parte selvaggia caccerà 1' altra con molta offensione. 6G 42. Tu fosti ecc. — Nascesti Donati, che presero il nome di prima che io morissi. Bianchi u Neri. 43-44. L'angoscia che tu hai (i^;. Verranno al sangue. — Al ecc. — Il dolore li trasfigura sì ra'.endimnijorio jel 1310 i delia- che Io non posso riconoscerti. teschi assalirono i cerchiesrhi, e 48. Maggio, — Maggiore. Ricoverino de' Cerchi n'ebbe il 4g. Città. — Firenze. naso tagliato. òi. Deila città partita. — Del- Parte selvaggia, — Bianca o la citt.^ divisa in guelfi e ghibel- rerchiesca. lini. 66. Ca.xerà l'altra. — Nel 64. Tenzone. — Contfsa ira jjiug.io 1301 i capi de' Neri fu- le due frizioni de' Cerchi e dei rono mnndati in e-ilio. - 46 -^- Inferno - Canto \'I Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l'altra sormonti con la forza di tal che testé piaggia. 69 Alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo 1' altra sotto gravi pesi, come che di ciò pianga e che ne adonti. 72 Giusti son duo, ma non vi sono intesi : superbia, invidia ed avarizia sono le tre faville che hanno i cori accesi ». 75 Qui pose fine al lacrimabil suono; ed io a lui : <( Ancor vo'che m' insegni, e che di più parlar mi facci dono. 78 Farinata e il Tegghiaio, che fur si degni, Iacopo Rusticucci, Arrigo e il Mosca, e gli altri che a ben far poser gl'ingegni, 81 dimmi ove sono, e fa eh' io li conosca ; che gran desio mi stringe di sapere, se il ciel gli addolcia o lo inferno gli attosca )>. 84 E quegli : « Ei son tra le anime più nere ; diversa colpa giù li grava al fondo : se tanto scendi, li potrai vedere. 87 Ma quando tu sarai nel dolce mondo, pregoti che alla mente altrui mi rechi : più non ti dico e più non ti rispondo ». 90 Gli diritti occhi torse allora in biechi, guardommi un poco e poi chinò la testa ; cadde con essa a par degli altri ciechi. 93 E il duca disse a me : « Più non si desta di qua dal suon dell'angelica tromba, quando verrà la nimica podestà : 96 6S Infra ecc. — Entio tm care se stesso e Guido Caval- anni. tanti. 6q. Tal ecc. — Bonifacio Vili go. Arrigo. — Uno di quelli cha procedeva ambiguamente, che ebbero parte nell'uccisione de3treg;giandosi tra i partiti. de! Buondelmontì. 7o..4Ue terrà, ecc. — I Neri 84. Gli addolcia. — T.i fa bea- soverchieranno i Bianchi. li. 7;^. Giusti son duo. — Non q^;. Di qua ecc. — Prima ciel bene s'.ntende a chi voglia Daii- giudizio universale. t"- qui alludere ; forse vuol indi- qf^. Nimica podestà. — Cristo. -^ 47 — La Divina Commedia ciascun ritroverà la trista tomba, ripiglierà sua carne e sua figura, udirà quel che in eterno rimbomba ». 99 Si trapassammo per sozza mistura dell'ombre e della pioggia, a passi lenti, toccando un poco la vita futura; Hi2 per eh' io dissi : « Maestro, esti tormenti cresceranno ei dopo la gran sentenza, o fien minori, o saran si cocenti?» 103 Ed egli a me : (( Ritorna a tua scienza, che vuol, quanto la cosa è più perfetta, più senta il bene, e cosi la doglienza. . 108 Tutto che questa gente maledetta in vera perfezion già mai non vada, di là, più che di qua, essere aspetta)). Ili Noi aggirammo a tondo quella strada, parlando più assai eh' io non ridico ; venimmo al punto dove si digrada : quivi trovammo Fiuto il gran nemico. 115 T03. Toccando. — Co! disccw- saranno ma^.ejiori. so. 114. Si digrada. — Si scen- ico. Scienza. — Dottrina tee- de al quarto cerchio. logica cristiana. 1115. Pluto. — Figlio di De- to8. Doglienza. — Dolore. meter e di Iasione, personifica III. Di là ecc. — Dopo il giù- la ricchezza. dlzio finale i tormenti dei triisti CANTO VII '< Pape Satan, pape Satan aleppe », cominciò Pluto con la voce chioccia. E quel savio gentil, che tutto seppe, 3 disse per confortarmi : « Non ti noccia la tua paura, che, poter ch'egli abbia, non ti torrà lo scender questa roccia )). 6 1. Pape ecc. — Parole inconi- ne grida per spaventare i due prensibili e mistorios", che Fiuto. \iaggiatori. 2. Chioccia. — Rauca Inferno - Canio VII Poi sì rivolse a quell'enfiata labbia, e disse : a Taci, maledetto lupo : consuma dentro te con la tua rabbia. 9 Non è senza cagion l'andare al cupo : vuoisi nell'alto là dove Michele fé' la vendetta del superbo strupo ». 12 Quali dal vento le gonfiate vele caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca, tal cadde a terra la fiera crudele. 15 Cosi scendemmo nella quarta lacca, prendendo più della dolente ripa, che il mal dell'universo tutto insacca. 18 Ahi giustizia di Dio, tante chi stipa nuove travaglie e pene, quante io viddi ? e perché nostra colpa si ne scipa? 21 Come fa l'onda là sovra Cariddi, che si frange con quella in cui s'intoppa ; cosi convien che qui la gente riddi. 24 Qui vid'io gente più che altrove troppa, e d' una parte e d'altra, con grand'urli, voltando pesi per forza di poppa : 27 percotevansi incontro, e poscia pur li si rivolgea ciascun, voltando a retro, gridando: « Perché tieni? )>, e ((Perché burli?)) 30 Cosi tornavan per lo cerchio tetro, da ogni mano all'opposito punto, gridandosi anche loro ontoso metro : 33 7. Labbia. — Faccia. 22. L'onda. — Ci^e \'iene dal 11. Michele. — Arcangelo che mare Jonio. dal Cielo scacciò gli angeli ri- 27. Per forza di poppa. — belli a Dio. Spingendo col petto. 12. Strupo. - Violenza. P""" ''• T". tempre li. 14. Fiacca. _ Si spezza. .^^- ^"i=^^ *''°'- " ^ '^''^^"- ": . „ ' . bi.i avaro .' 16. Lacca. — Fossa costituen- Perchè burli? — Perchè getti te il quarto cerchio. con prodigalità? 17. Pigliando. — Inoltrandoci. 32. Mario. — Parte. 1(3. Stipa. — Ammassa. 3V Anche ecc. — Sempro i.» 20. Nuove. — Inaudite. loro vergognosa cantilena : Per^ 21. Scipa. — Strazia. che tieni? ecc. — 49 — La Divina Commedia poi si volgea ciascun, quando era giunto per lo suo mezzo cerchio all'altra giostra. Ed io, che aveva lo cor quasi compunto, 36 dissi : . 48 Ed io : (( Maestro, tra questi cotali dovre' io ben riconoscere alcuni, che furon immondi di cotesti mali». 51 Ed egli a me : « Vano pensiero aduni : la sconoscente vita, che i fé' sozzi, ad ogni conoscenza or li fa bruni. 54 In eterno verranno alli due cozzi ; questi risurgeranno del S'Cpulcro col pugno chiuso, e questi co' crin mozzi. . 57 Mal dare e mal tener lo mondo pulcro ha tolto loro, e posti a questa zuffa : qual ella sia, parole non ci appulcro. 60 Or puoi, figliuol, veder la corta buffa de' ben, che son commessi alla Fortuna, per che l'umam gente si rabbuffa; 63 T,f,. All'altra giostra. — A in. 45. Dispaia. - Separa. coatrarsl nel punto opposto. 48. In cui usa avarìzia il suo ,^8. Cherci. — Chierici. soperchio. — In cui vuole l'a- 40. Tutti ecc. — Avari e prò-. Aarizia far sentire il suo eccesso. rliglii furono ricchi nell'in, ellct- -j. SconDSLCnie. — .Sregolata, fo' i:;8. Fulcro. — Bollo. 42. Con misura nullo spendio 60. Parole non ci appulcro. -- fèrci. — Non vi fecero alcuna Non dirò beile parole, spesa che fosse regolata. 61. Buffa. — Vanità. — ^o — Ikfeuno - Canto \'! 1 che tutto l'oro, ch'é sotto la luna, o che già fu, di queste anime stanche non potrebbe farne posar una ». 66 «Maestro, diss'io lui, or mi di' anche, questa Fortuna, di che tu mi tocche, che è, che i ben del mondo ha si ira branche ? » 69 E quegli a me : « O creature sciocche, quanta ignoranza è quella che vi offende ! or vo'che tu mia sentenza ne imbocche. 12 Colui, lo cui saver tutto trascende, fece li cieli, e die lor chi conduice, si che ogni parte ad ogni parte splende, 75 distribuendo egualmente la luce : similemente agli splendor mondani ordinò general ministra e duce, 78 che permutasse a tempo li ben vani, di gente in gente e d'uno in altro sangue, o'tre la difension de' senni umani ; 81 per che una gente impera, e l'ahra langue, seguendo lo giudizio di costei, che è occulto, come in erba l'angue. 84 Vostro saper non ha contrasto a lei : ella provvede, giudica e persegue suo regno, come il loro gli altri dèi. 87 Le sue permutazion non hanno triegue : necessità la fa esser veloce ; si spesso vien chi vicenda consegue. 90 Quest'è colei, eh' è tanto posta in croce pur da color che le dovrian dar lode, dandole biasmo a torto e mala voce. 93 72. Imbocche. — Pucevi a gui- 8i. Olire. — Senza che forza sa di bambino che prende il o ingegno umano possa impe- tibo. dirlo. 75. Ogni parte ecc. — Ciascu 84. Angue. — Serpe, no dei nove cori angelici risplen- gg. Persegue. — Eseguisce, de a ima delle nove sfere cele go. Si spesso ecc. — SI spesso st'i. avviene cb« ne conseguano mu- 78. General ministra e duce. fazioni. — La Fortuna. — SI — La Divina Commedia Ma ella s' è beata, e ciò non ode : con l'altre prime creature lieta volve sua spera, e beata si gode. 96 Or discendiamo ornai a maggior pietà : già ogni stella cade, che saliva quando mi mossi, e il troppo star si vieta». 99 Noi ricidemmo il cerchio all'altra riva sopra una fonte, che bolle e riversa per un fossato che da lei deriva. 102 L'acqua era buia assai vie più che persa e noi, in compagnia dell'onde bige, entrammo giù per una via diversa. 105 Una palude fa, che ha nome Stige, questo tristo ruscel, quando è disceso al pie delle maligne piagge grige. 108 Ed io, che di mirar mi stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano, ignude tutte e con sembiante offeso. Ili Questi si percotean, non pur con mano, ma con la testa, col petto e co' piedi, troncandosi coi denti a brano a brano. 114 Lo buon maestro disse : « Figlio, or vedi l'anime di color cui vinse l'ira : ed anche vo' che tu per certo credi 117 che sotto l'acqua ha gente che sospira, e fanno pullular quest'acqua al summo, come l'occhio ti dice, u'che s'aggira. 120 Fitti nel limo dicon : ' Tristi fummo nell'aer dolce che dal sol s'allegra, portando dentro accidioso fummo : 123 or ci attristiam nella belletta negra '. Quest'inno si gorgoglìan nella strozza, che dir noi posson con parola integra », 120 <)!{. Prime creature. — Angeli. m. Offeso. — Sdegnoso. 97. Pietà. — Angoscia. 120. U" che. — Ove che, do- 100. Ricidemmo. — Attraver- vunque. sammo. 123. Fummo. — l'umo, ira. lof). Stige. — Palude che cii"- 124. Belletta. — Melma, fondu la città di Dite. _ 52 — Inferno - Canto Vili Cosi girammo della lorda pozza grand' arco tra la ripa secca e il mézzo, con gli occhi volti a chi del fango ingozza : venimmo al pie d'una torre al da sezzo. 130 128. Mézzo. — Suolo paludoso. 130. Al (la s^zzo, — Da ^\- limo. CANTO Vili Io dico seguitando, ch'assai prima che noi fossimo al pie dell'alta torre, gli occhi nostri n'andar suso alla cima, 3 per due fìammette che i' vedemmo porre, e un'altra da lungi render cenno tanto eh' a pena il potea l'occhio tórre. 6 Ed io mi volsi al mar di tutto il senno; dissi : <( Questo che dice ? e che risponde quell'altro foco? e chi son quei che il fenno?» 9 Ed egli a me : « Su per le sucide onde già puoi scorgere quello che s'aspetta, se il fummo del pantan noi ti nasconde ». 12 Corda non pinse mai da sé saetta che si corresse via per l'aere snella, com'io vidi una nave piccioletta, 15 venir per l'acqua verso noi in quella, sotto il governo d' un sol galeoto, che gridava: «Or se' giunta, anima fella?» 18 « Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vóto, disse lo mio signore, a questa volta : più non ci avrai, che sol passando il loto ». 21 4- *'• — Ivi. la figlia Ccronide offesa da A- 6. Tórre. — Scorgere. doUo, incendiò il tempio di Del- i^. Finse. — Spinse. fo, e per questo fu condannato 16. In quella. — • In quel mo- all'Inferno. mento. 21. Più non ci avrai, ecc. — 17. Galeoto, — Piloto. Non ci avrai che nel momento 19. Flegiàs. — Personaggio di traghettarci sullo Stige. mitologico : esso, per vendicare Panie, 4 La Divina Commedia Quale colui, che grande inganno ascolta che gli sia fatto, e poi se ne rammarca, fecesi Flegiàs nell'ira accolta. 24 Lo duca mio discese nella barca, e poi mi fece entrare appresso lui, e sol quand' io fui dentro, parve carca. 27 Tosto che il duca ed io nel legno fui, secando se ne va l'antica prora dell'acqua più che non suol con altrui. 30 Mentre noi correvam la morta gora, dinanzi mi si fece un, pien di fango, e disse: ((Chi se' tu che vieni anzi ora?)) 33 Ed io a lui. *(( S' io vegno, non rimango ; ma tu chi se', che sei si fatto brutto?)) Rispose : (( Vedi che son un che piango », 3(5 Ed io a lui : (( Con piangere e con lutto, spirito maledetto, ti rimani ; eh' io ti conosco, ancor sia lordo tutto )). 39 Allora stese al legno ambo le mani : per che il maestro accorto lo sospinse, dicendo : « Via costà con gli altri cani ». 42 Lo collo poi con le braccia mi cinse, baciommi il volto e disse : ((Alma sdegnosa, benedetta colei che in te s' incinse ! 45 Quei fu al mondo persona orgogliosa ; bontà non è sua memoria fregi : cosi s'è l'ombra sua qui furiosa. 48 Quanti si tengon or là su gran regi, che qui staranno come porci in brago, di sé lasciando orribili dispregi!» 51 Ed io : (( Maestro, molto sarei vago di vederlo attuffare in questa broda, prima che noi uscissimo del lago ». . 54 -i^. Accolta. — Repressa. -^(). Ancor sia. — Aiu'orchè 27. Carca. — Per il peso del sia. corpo di Dante. Virgilio è ombra. 45. Colei che in te s'incinse! 30. Con altrui. — Con le om- — Tua madre. bre. 50. Brago. — l'ango, melma. 33. Anzi ora. — Prima di mo- rire. - .14 - Inferno - Canto Vili Ed egli a me : <( Avanti che la proda ti si lasci veder, tu sarai sazio : di tal disio converrà che tu goda ». 57 Dopo ciò poco, vidi quello strazio far di costui alle fangose genti, che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. 60 Tutti gridavano : <( A Filippo Argenti » : e '1 fiorentino spirito bizzarro in sé medesmo si volgea co' denti. (33 Quivi il lasciammo, che più non ne narro : ma negli orecchi mi percosse un duolo, per eh' io avanti intento l'occhio sbarro. tj6 Lo buon maestro disse : « Omai, figliuolo, s' appressa la città che ha nome Dite, co' gravi cittadin, col grande stuolo». 69 Ed io : « Maestro, già le sue meschite là entro certo nella valle cerno, vermiglie, come se di foco uscite 12 fossero )>. Ed ei mi disse : « Il foco eterno, ch'entro l'affoca, le dimostra rosse, come tu vedi in questo basso inferno». 75 Noi pur gìugnemmo dentro all'alte fosse, che val!an quella terra sconsolata : le mura mi parean che ferro fosse. 78 Non senza prima far grande aggirata, venimmo in parte, dove il nocchier, forte, «Uscite, ci gridò, qui è l'entrata». 81 Io vidi più di mille in sulle porte da' ciel piovuti, che stizzosamente dicean : k Chi è costui, che senza morte 84 .!;8. Quello. — Tale. me da Dite o Lucifero. \(). Alle. — Dalle. 70. Meschite. — Moschee, ovo 61. Filippo Argenti. — Messer si adora Maometto, e qui dimo- Filippo Argenti dei Cavicciuli, ra di spiriti infernali. degli Adimari di Firenze, segna- 71. Cerno. — Vedo. latosi per il vizio dell'iracondia. 77. Vallan. — Circondano. Dicesi fosse nemico di Dante. Sj. Mille. — Mille diavoli. 62. Bizzarro. — Stizzoso. 83. Da' ciel piovuti. — Preci- 68. Dite. — La parte inferio- nitati nell'inferno dal cielo, dopo re dell'inferno, che prende il no- la loro ribellione. - 5.S - La Divina Commedia va per lo regno della morta gente ? » E il savio mio maestro fece segno di voler lor parlar segretamente. 87 Allor chiusero un poco il gran disdegno, e disser : « Vien tu solo, e quei sen vada, che si ardito entrò per questo regno. 90 Sol si ritorni per la folle strada : provi se sa ; che tu qui rimarrai, che gli hai scorta si buia contrada ». 93 Pensa, lettor, se io mi sconfortai nel suon delle parole maledette ; eh' io non credetti ritornarci mai. 96 (! O caro duca mio, che più di sette volte m'hai sicurtà renduta, e tratto d'alto periglio che incontra mi stette, 99 non mi lasciar, diss' io, cosi disfatto : e se '1 passar più oltre e' è negato, ritroviam l'orme nostre insieme ratto». 102 E quel signor, che li m' avea menato, mi disse : (( Non temer, che il nostro passo non ci può torre alcun, da tal n' è dato. 105 Ma qui m' attendi ; e lo spirito lasso conforta e ciba di speranza buona, ch'io non ti lascerò nel mondo basso )>. 108 Cosi sen va, e quivi m'abbandona lo dolce padre, ed io rimango in forse, che '1 si e '1 no nel capo mi tenzona. 1 1 1 Udir non potè' quel eh' a lor si porse: ma ei non stette là con essi guari, che ciascim dentro a prova si ricorse. 114 Chiuser le porte que' nostri avversari nel petto al mio signor, che fuor rimase, e rivolsesi a me con passi rari, 117 QÓ. Ritornarci. — Ritornare in battono nella mia mente, la spe- questo mondo. ranza del ritorno di \'irgilio e 07. Che più dì sette, — Tante. la paura che rimanesse tra j de- 105. Ta!, — Dio. moni. nò. In forse, — In dubbio. 114. A prova. — A gara, jii. Che 'I sì ecc. •— Si coiti- 117. Rari, — Lenii, 56 Inferno - Canto IX Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase d'ogni baldanza, e dicea ne' sospiri : ((Chi m'ha negate le dolenti case?» 120 Ed a me disse; «Tu, perch'io m'adiri, non sbigottir, eh' io vincerò la prova, qual ch'alia difension dentro s'aggiri. 123 Questa lor tracotanza non è nuova, che già r usaro a men segreta porta, la qual senza serrame ancor si trova. 126 Sovr' essa vedestù la scritta morta : e già di qua da lei discende l'erta, passando per li cerchi senza scorta, tal che per lui ne fia la terra aperta». 130 iiS. Rase. — Prive. 125. Cbé già l'usaro ecc. — 120. Dolenti case. — La città Già tentaro-no di opporsi a Cri- di Dite. sto, che scendeva tr.onfante al 123. Qual ch'alia difension ecc. Limbo. — Chiunque sia che si opponga 128. Lei. — Porta, al nostro entrare. 130. Tal. — Messo de! cielo. CANTO IX Quel color che viltà di fuor mi pinse, veggendo il duca mio tornare in volta, pili tosto dentro il suo nuovo ristrinse. 3 Attento si fermò com' uom che ascolta ; che r occhio no '1 potea menare a lunga per l'aer nero e per la nebbia folta. 6 « Pure a noi converrà vincer la punga, cominciò ei, se non... Tal ne s' offerse I Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga!» 9 2 3. Veggendo il duca mio ecc. 7. Punga. — Pugna. — Virgil.o, vedendo Dante im- 8. Tal ne s'offerse! — Tale pallidire a! suo tornare, per in- persona che potere avrà di aprir- fcndergj coraggio dissimula il ci il cammino : è il messo che proprio turbamento. verrà dal cielo, f, A lunga. — Da lontano. — SI — La Divina Commedia Io vidi ben si com'ei ricoperse lo cominciar con l'altro che poi venne, che fùr parole alle prime diverse. 12 Ma non di men paura il suo dir dienne, perch' io traeva la parola tronca forse a peggior sentenza ch'ei non tenne. 15 « In questo fondo della trista conca discende mai alcun del primo grado, che sol per pena ha la speranza cionca?» 18 Questa question fec'io; e quei: c( Di rado incontra, mi rispose, che di nui faccia il cammino alcun per quale io vado. 21 Vero è eh' altra fiata qua giù fui congiurato da quella Eriton cruda, che richiamava l'ombre a' corpi sui. 24 Di poco era dì me la carne nuda, ch'ella mi fece entrar dentro a quel muro, per trarne un spirto del cerchio di Giuda. 27 Queir è il più basso loco e il più oscuro, e il più lontan dal ciel che tutto gira : ben so il cammin ; però ti fa securo. 30 Questa palude, che il gran puzzo spira, cinge d' intorno la città dolente, u'non potemo entrare omai senz'irà)). 33 Ed altro disse, ma non l'ho a mente; però che l'occhio m'avea tutto tratto vèr l'alta torre alla cima rovente, 36 lo. Ricoperse. — Nascose con rebbe finita la guerra tra Ce- ret'.cenza il suo pensiero pauroso. sare e Pompeo, ricorse alla maga 14. Parola troaca. — La reti- Eritone, la quale richiamò l'ani- cenza. ma d'un morto da poco, e la co- 15. A peggior sentenza. — A strinse a rientrare nel corpo e l)eggior significato. parlare. 17. Primo grado. — ' Primo 2^. Di poco era di me la car= cerchio, cicè il Limbo. ne nuda. — Da poco il mio cor- 18. Cionca. — • Tronca. no era spoglio dell'anima: da 20. Incontra. — .Accade. poco ero morto. 23. Congiurato. — Scongiura- 27. CercJiio di Giuda. — No- lo, cosUeito. no cerchio. l)a quella Eriton cruda. — 33. Senz'irà. — Lira dei d- Lucano, nella Farsaglia, racconta moni, che Sesto, figliuolo di Pompeo, 36. Vèr. — \'erso. impaziente dii sapere come sa- - 58 - itsiFERNo - Canto IX óve in un punto furon dritte ratto tre furie infernal di sangue tinte, elle membra femminili aveano ed atto, 39 e con idre verdissime eran cinte : serpentelli e ceraste avean pyer crine, onde le fiere tempie eran avvinte. 42 E quei che ben conobbe le meschine della regina dell'eterno pianto: « Guarda, mi disse, le feroci Erine. 45 Questa è Megera dal sinistro canto ; quella, che piange dal destro, è Aletto ; Tesifone è nel mezzo » : e tacque a tanto. 48 Con r unghie si fendea ciascuna il petto, batteansi a palme, e gridavan si alto, eh' io mi strinsi al poeta per sospetto. 51 (( Venga Medusa ! si '1 farem di smalto, dicevan tutte riguardando in giuso; mal non vengiammo in Teseo 1' assalto ». 54 (( Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso ; che, se il Gorgon si mostra e tu il vedessi, nulla sarebbe del tornar mai suso». ó7 Cosi disse il maestro ; ed egli stessi mi volse, e non si tenne alle mie mani, che con le sue ancor non mi chiudessi. 60 38. Tre Furie. — Sono le tre Pallade ; fu uccisa colle sorelle sorelle Erinni o Eumenidi, Me- da Perseo, figlio di Giove e di gara, Aletto e Tesifone, figlie Danae ; il capo di Medusa aveva d'Acheronte e della Notte. il potere di convertire in p'etra 40. Idre. — Serpenti. chi Io guardava. 41. Ceraste. — Serpenti cor- 54. Mal non vengiammo ecG, nuti. — * Abbiamo fatto male a non 44. Regina dell'eterno pianto. vendicare l'assalto di Teseo. Que- — Proserpina, figlia di Giove e sti era scjso all'inferno per fa- di Cerere, moglie di Plutone re pire Proserpina, e vi fu tenuto dejrinferno. prigionieiro, 'finché Ercole non 51. Sospetto. — Timore. andò a liberarlo. 52. Medusa. — La minore del- 1^6. Gorgon. — Il capo di Me- le Gorgoni, figlie di Forco, dio dusa. marino ; essa ebbe i capelli bel- c,-j. Nulla. — Nessuna speran- lissimi trasformati in serpi da za. — .S9 — La Divina CoimediA O voi, che avete gì' intelletti sani. mirate la dottrina che s' asconde sotto il velame degli versi strani ! 63 E già venia su per le torbid'onde un fracasso d' un suon pien di spavento, per cui tremavano ambedue le sponde ; 66 non altrimenti fatto che d' un vento impetuoso per gli avversi ardori, che fìer la selva, e senza alcun rattento 69 li rami schianta, abbatte e porta fuori : dinanzi polveroso va superbo, e fa fuggir le fiere e li pastori. 72 Gli occhi mi sciolse, e disse : <( Or drizza il nerbo del viso su per quella schiuma antica, per indi ove quel fummo è più acerbo ». 75 Come le rane innanzi alla nimica biscia per 1' acqua si dileguan tutte, fin che alla terra ciascuna s' abbica ; 78 vid' io più di mille anime distrutte fuggir cosi dinanzi ad un, che al passo passava Stige con le piante asciutte. 81 Dal volto rimovea quell'aer grasso, menando la sinistra innanzi spesso ; e sol di quell'angoscia parea lasso. . 84 Ben m'accorsi ch'egli era del ciel messo; e volsimi al maestro, e quei fé' segno eh' io stessi cheto ed inchinassi ad esso. 87 Ahi quanto mi parea pien di disdegno! Giunse alla porta, e con una verghetta r aperse, che non ebbe alcun ritegno. 90 u O cacciati del ciel, gente dispetta, cominciò egli in su l' orribil soglia, ond'esta tracotanza in voi s'alletta? 93 63. Strani. — Misteriosi, alle- 69. Pier. — Percuote, ferisce. forici ; il mito dantesco di Me- Rattento. — Ostacolo, àusa è inteso dai commentatori 7.^-74. Nerbo del Viso. — La nei modi più disparali. Forse potenza visiva. rallej?oria dantesca è la seguen- 78. S'abbica. - .S'attacca, te: L'ira (Le Furie) infernale gì. Gente dispetta. — Gente tenta impetlire all'uomo di redi- dispettosa, mersi mediante la paura, che im- pedisca- all'anima di operare. — 60 — ts'FERNo - Canto ÌX Perché ricalcitrate a quella voglia, a cui non puote il fin mai esser mozzo, e che più volte v'ha cresciuta doglia? yu Che giova nelle fata dar di cozzo? Cerbero vostro, se ben vi ricorda, ne porta ancor pe'ato il mento e il gozzo ». 99 Poi si rivolse per la strada lorda, e non fé' motto a noi ; ma fé' sembiante d'uomo, cui altra cura stringa e morda 102 che quella di colui che gli è davante : e noi movemmo i piedi in vèr la terra, securi appresso le parole sante. 105 Dentro v'entrammo senza alcuna guerra : ed io, ch'avea di riguardar disio la condizion che tal fortezza serra, 108 com' io fui dentro, l'occhio intorno invio; e veggio ad ogni man grande campagna piena di duolo e di tormento rio. 1 1 1 Si come ad Arli, ove il Rodano stagna, si com' a Pola presso del Quarnaro, che Italia chiude e suoi termini bagna, 114 fanno i sepolcri tutto il loco varo : cosi facevan quivi d' ogni parte, salvo che il modo v'era più amaro; 117 che tra gli avelli fiamme erano sparte, per le quali eran si del tutto accesi che ferro più non chiede verun'arte. 120 Tutti gli lor coperchi eran sospesi, e fuor n' uscivan si duri lamenti, che ben parean di miseri e d'offesi. 123 9_:^. Mozzo. *- Impedito. liei, agli antichi sepolcreti, che, 97. Fata. — \'olere divino im- ai suoi t^mpi, si vedevano nella mutabile. campagna di Arias, in Provenza, qg. Pelato. — Ercole vinse presso il delta del Rodano, e in l'opposizione di Cerbero, incate- queJla, di Pola, sul golfo del nandolo e trascinandolo fuori dal- Ouai-nero l'inferno. "■ ,, ' ,. . . , 112-114. Si com'a ecc. _ Dan- "-v Varo. - \ .ano, muguale. te paragona la «Grande cani- 120. Che ferro più non chiede pagna » sparsa di arche infuoca- ecc. — Che nessuna abilità di te, dentro cui giacciono gli ere- fabbro richiede. — 61 — Ì,A Divina CommeuìA Ed io : <( Maestro, quai son quelle genti, che seppellite dentro da queir arche si fan sentir con gli sospir dolenti?» 126 Ed egli a me : (( Qui son gli eresiarche, co' lor seguaci, d'ogni sètta; e molto più che non credi son le tombe carche : 129 simile qui con simile è sepolto ; e i monimenti son più e men caldi ». E poi eh' alla man destra si fu volto, passammo tra i martiri e gli alti spaldi. 133 i-^i. Monimenti. — Tumuli, 133. Spaldi. — Parti superiori loinbe. delle mura. CANTO X Ora sen va per un secreto calle tra il muro della terra e li martiri lo mio maestro, ed io dopo le spalle. 3 (( O virtù somma, che per gli empi giri mi volvi, cominciai, com' a te piace, parlami e satisfammi a' miei desiri. 6 La gente, che per li sepolcri giace, potrebbesi veder? già son levati tutti i coperchi, e nessun guardia face ». 9 Ed egli a me: «Tutti saran serrati, quando di losafàt qui torneranno coi corpi, che là su hanno lasciati. 12 Suo cimitero da questa parie hanno con Epicuro tutti i suoi seguaci, che r anima col corpo morta fanno. / 15 9. Face. — Fa. 13. Suo. — Loro. 11. losafat. — Valle presso Gè- 14. Epicuro. — Filosofo di A- rusaleinme, dove, secondo i libri tene (3-12-270 av. C.) fondatore sacri, avverrà il giudizio univer- delia scuoia degli Epicurei, alla sale. Allora gli spiriti riprende- quale attribuirono la dottrin.a che ranno il loro corpo, e gli eresiar- l.i voluttà è ì! bene sommo. (Ili vedranno chiudersi il roper- chic della tomba. — 62 — Inferno - Canto X Però alla dimanda che mi faci quinc' entro satisfatto sarai tosto, ed al disio ancor che tu mi taci ;>. 18 Ed io : « Buon duca, non tegno nascosto a te mio cor, se non per dicer poco ; e tu m' hai non pur mo a ciò disposto». 21 « O tòsco, che per la città del foco vivo ten vai cosi parlando onesto, piacciati di ristare in questo loco. 24 La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patria natio, alla qual forse io fui troppo molesto ». 21 Subitamente questo suono uscio d' una dell' arche : però m' accostai, temendo, un poco più al duca mio. 30 Ed ei mi disse: «Volgiti; che fai? vedi là Farinata che s'è dritto : dalla cintola in su tutto il vedrai ». 33 r avea già il mio viso nel suo fitto; ed ei s'ergea col petto e con la fronte, come avesse lo inferno in gran dispitto. 36 E r animose man del duca e pronte mi pinser tra le sepolture a lui, dicendo : « Le parole tue sien conte ». 39 Com' io al pie della sua tomba fui, guardommi un poco, e poi quasi sdegnoso mi dimandò: «Chi fùr li maggior tui?» 42 i8. Disio. — Desiderio di ve- Questi poi li sconfisse a Mon- dor qualcuno degli eresiarchi. t'Aperti, presso il fiume Arbia ; 22. Tòsco. — Toscano. impedita nella dieta d' Empoli 23. Onesto. — Rispettoso, qua- la distruzione dì Firenze, vi rien- le si deve. con Virgilio. irò trionfante coi suoi, scaccian- 26. Nobil patria. — Firenze, la done gli avversari. Morto nói bellissima e famosissima figlia 1264, fu sepolto nel cimitero di di Roma, come Dante la defini- Santa Reparata, dove poi sorse sce nel « Convito ». Santa Mai'ia del Fiore 32. Fariùata. — .Manente degli 34. Viso. — Occhi. Uberti detto Farinata, capo dei '36. Dispitto. — Dispetto, di- t/hibeUini fiorentini ; nel 1228 eb- sprezzo, be mano nella cacciata dei guelfi, 39. Conte. — Chiare e misu- che, ritornati in F'irenze, prò- rate scris'^ero, nel 125S, Farinata. - 63 - La Divina Commedia Io, ch'era d'ubbidir desideroso. non gliel celai, ma tutto gliel' apersi ; ond' ei levò le ciglia un poco in soso, 45 poi disse : (( Fieramente furo avversi a me ed a' miei primi ed a mia parte, si che per due fiate gli dispersi ». 48 ((S'ei fùr cacciati, ei tornar d'ogni parte, rispos'io lui, l'una e l'altra fiata; ma i vostri non appreser ben quell'arte». 51 Allor surse alla vista scoperchiata un' ombra lungo questa infino al mento; credo che s'era in ginocchion levata. 54 D' intorno mi guardò, come talento avesse di veder s'altri era meco; ma poi che il suspicar fu tutto spento, 57 piangendo disse : <( Se per questo cieco carcere vai per altezza d'ingegno, mio figlio ov'è? e perché non è teco?» 60 Ed io a lui : « Da me stesso non vegno ; colui, che attende là, per qui mi mena, forse cui Guido vostro ebbe a disdegno ». 63 Le sue parole e il modo della pena m'avevan di costui già letto il nome; però fu la risposta cosi piena. 66 Di subito drizzato gridò : « Come dicesti? Egli ebbe!? non viv'egli ancora? non fiere gli occhi suoi lo dolce lome?» 69 4,^. Soso. — Su. .S7- !• suspicar fu uitto spento. 47. Primi. — .\ntciuUi. — Il dubbo fu del lutto scom- < 48. Due. — La prima nel 124S, parso. la seconda nel 1260. 60. Figlio, — Guido Cavalcanti 50. L'una e l'altra fiata. — di Firenze, amico di Dante, e Nel ^e'^'T^-o 1251 ed alla line p-pla ins'^n?. Egli era guelfo del 126(1. ^^| parte bianca, e nel 1300 fu 51. Non appreser ben que'.rat- ,-onfinatc. a Sarzana, donde (ornò te. - Di tornare m ,)atria dal- ^^n.^ialato a Firenze, e vi mori 1 esilio. ,, ^r Un'ombra. - Cavalcante "« '« l^^^^"" anno 1300. Cavalcanti, guelfo, padre di Gui- ^6. Piena. - Compu.ta. do Cavalcanti. 69. Non fiere ecc. — Non fen- Lungo. — .accanto. sce la luce gli occhi suoi? - 64 - iNKERKo - Canto X Quando s'accorse d' alcuna dimora ch'io faceva dinanzi alla risposta, supin ricadde, e più non parve fuora. 72 Ma queir altro magnanimo, a cui posta restato m'era, non mutò aspetto, né mosse collo, né piegò sua costa, 75 « E se, continuando al primo detto, egli han quell'arte, disse, male appresa, ciò mi tormenta più che questo letto, 78 Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia della donna che qui regge, che tu saprai quanto quell'arte pesa. 81 E se tu mai nel dolce mondo regge, dimmi, perché quel popolo è si empio incontro a' miei in ciascuna sua legge?» 84 Ond'io a lui : «Lo strazio e il grande scempio, che fece l'Arbia colorata in rosso, tale orazion fa far nel nostro tempio >.. 87 Poi eh' ebbe sospirando il capo scosso, « A ciò non fui io sol, disse, né certo senza cagion sarei con gli altri mosso : 90 ma fu' lo sol colà, dove sofferto fu per ciascun di toglier via Fiorenza, colui che la difesi a viso aperto ». 93 70. Dimora. — Indugio. 8^. Lo strazio ecc. — Alluda 73. Posta. — Richiesta o desi- alla hatiaglia di Montaperti sul- delio. l'Arbia, dove i ghibellini fìoren- 76. Detto. — Discorso. tini coi servi e i cavalieri tedc- 78. Lelto. — Tomba infocata. s^-i-,; ji Manfredi sconfissero i 80. Donna. — Proserpina , ^.^gig ^j Firenze. la hina. 87 Xale orazion fa far nel no 81. Che tu saprai ecc. - Dan- ^^ro temnio. - Cosi fa decreta- te esiliato nel 1302, invano ten- ^^ j^j Fiorentini nel tempio di tera rientrare colla forza in ri- r- r- , • • ..-^ • .-„„ renze nel 1304, e cioè cinquanta ^^'^ Giovanm,_ me 1 pnori pren- ...esi dopo la predizione di Fari- J^:^"^ '^ decision, ^uHe cose d, nata (1300-1304). '^ ^ °'' 82. Regge. — Se tu eserciti 9i- Ma fu' io sol colà ecc. — qualche influenza nel governo di Ad Empoli i ghibellini fuorusciti, Firenze. vittoriosi a Monaperti, volevano .S4. Incontro a' miei ecc. — I! decretare la distruzione di Firen- popolo fio'"entino nel 1280 richia- ze e Farinata fu il solo che si mò in patria gli esuli, eccetto gli (apponesse. Uberti, capi dei ghibellini. Sofferto. — Cons;nliio, — 6< - La Divina Commedia « Deh, se riposi mai vostra semenza, prega' io luì, solvetemi quel nodo, che qui ha inviluppata mia sentenza. 96 E' par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che il tempo seco adduce, e ne! presente tenete altro modo». 99 ili cui nc« ci sarà il accusato di eresia. futuro, ma l 'eterne-. 120. Cardinale. - — Ottaviano o 109. Di mia colpa. • — Di a\e- .\ttaviano degli Ubaldini, v(jsco- — 66 — Inferno - Canto XI Indi s'ascose ; ed io in vèr l'antico poeta volsi i passi, ripensando a quel parlar che mi parea nemico. 123 Egli si mosse ; e poi cosi andando, mi disse : « Perché sei tu si smarrito ? n ed io li satisfeci al suo dimando. 126 <( La mente tua conservi quel eh' udito hai contra te, mi comandò quel saggio, ed ora attendi qui » ; e drizzò il dito. 129 (( Quando sarai dinanzi al dolce raggio di quella, il cui bell'occhio tutto vede, da lei saprai di tua vita il viaggio ». 132 Appresso volse a man sinistra il piede : lasciammo il muro, e gimmo in vèr lo mezzo per un sentier eh' ad una valle flede, che in fin là su facea spiacer suo lezzo. 136 vo di Bologna (1240-1244) cardi- dannati del 1283 c'è anche Fa- nale nel 1245 ; mori nel 1272 ; rinata, sebbene morto da quasi parteggiò pei Ghibellini e gli si vent'anni. attribuisce il motto: «Se anima ^^t,. A quel parlare ecc. — La è per li ghibellini io l'ho per- profezia di Farinata dei versi eluta ». _ „ Altri. — Eretici, i cui nomi '9-oi. y • '^ono scritti nei processi, nei qua- '."^i- Quella. beatrice, li, con la persona, è perseguitata i.l.'i- Fiedc. — Riesce nella val- perfino la memoria. Tra 1 con- le, che forma il settimo cerchio. CANTO XI In su l'estremità d' un' alta ripa, che facevan gran pietre rotte in cerchio, venimmo sopra piti crudele stipa : 3 e quivi per l'orribile soperchio del puzzo, che il profondo abisso gitta, ci raccostammo dietro ad un coperchio 6 d'un grande avello; ov'io vidi una scritta che diceva : « Anastasio papa guardo, lo qual trasse Fotin della via dritta ». 9 3. Più crudele stipa. — Con- 4. Soperchio. — Eccesso, irerie di anime tormentate da pe- 8. Anastasio. — Anastasio li- ne più dolorose. romano, eletto papa nel 496 e -67- La Divina Commedia « Lo nostro scender conviene esser tardo, si che s' ausi prima un poco il senso al tristo fiato, e poi non fia riguardo». 12 Cosi il maestro ; ed io : k Alcun compenso, dissi lui, trova, che il tempo non passi perduto» : ed egli : «Vedi che a ciò penso n. 15 « Figliuol mio, dentro da cotesti sassi, cominciò poi a dir, son tre cerchietti di grado in grado, come quei che lassi. 18 Tutti son pien di spirti maledetti : ma perché poi ti basti pur la vista, intendi come e perché son costretti. 21 D'ogni malizia, ch'odio in cielo acquista, ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale 0 con forza o con frode altrui contrista. 24 Ma perché frode è dell'uom proprio male, più spiace a Dio ; e però stan di sutto gli frodolenti, e più dolor gli assale. 27 De' violenti il primo cerchio è tutto : ma perché si fa forza a tre persone, in tre gironi è distinto e costrutto. 30 A Dio, a sé, al prossimo si puòne far forza ; dico in loro ed in lor cose, come udirai con aperta ragione. 33 morto nel 408. Dante accolse la 22. Malizia. — Violenza e fro- leggenda ch'egH fo.-^se traviato de. all'eresia c'a Fo ino di Tessaloni- 2^. Ma perchè frode è deh ca, il quale affermava la natu- l'uom ecc. — Ma perchè la frode rale concezione e generazione di è male proprio dell'uomo, dovu- Cristo. la ad eccesso d'ingegno, a dìffe- Guardo. — Custodisco. renza della violenza che è dovuta II. S'ausi. — S'avvezzi. _ rid eccesso di forza. 16-66. Divisione del lasso in- ^6 Stan di sutto — Neli'ot- ferm., <>ss^a dHla ci-tà di Dre. , j ,^^,^^ ^^....j^,^ 18. Di érado in grado. — Di- o « • .. 1, • in gradami, restringemisi progres- -^8. I^imo. _ Pruno eie a ct- sivamente, come i sei cerchi già «à di Dite e settimo dell mfcr- percorsi. "O- 20. Ma perchè poi ti basti pur ?,?,. Ragione. — Ragionamento, la vista. — Ma perchè poi ti ba- esposizione, sti il solo gUcU'darc. - ^8 Inferno - Canto XI Morte per forza e ferule dogliose nel prossimo si danno; e nel suo avere, ruine, incendi e toilette dannose : 3(3 onde omicide e ciascun che mal fiere, guastatori e predon, tutti tormenta lo giron primo per diverse schiere. 39 Puote uomo avere in sé man violenta e ne' suoi beni : e però nel secondo giron convien che senza prò si penta 42 qualunque priva sé del vostro mondo, biscazza e fonde la sua facultade, e piange là dove esser dèe giocondo. 45 Puossi far forza nella deitade, col cor negando e bestemmiando quella, e spregiando natura e sua bontade : 48 e però lo minor giron suggella del segno suo e Sodoma e Caorsa, e chi, spregiando Dio, col cor favella. 51 La frode, ond'ogni coscienza è morsa, può l'uomo usare in colui che 'n lui fida, ed in quei che fidanza non imborsa. 54 Questo modo di retro par che uccida pur lo vinco d'amor che fa natura ; onde nel cerchio secondo s'annida 57 36. Toilette. — Estorsioni, natura, del quale furono colpe- ruberie, voli i suoi abitanti. 37. Omicide. — Omicidi. Mal Caorsa. — Cahors, città prin- "T;. B JatS" &T."sta .a. -P'"», ^f =■"» 0"-/,/" ■•""; cullane. - Dissipa i suoi averi ^">.. tristamente celebre per 1 "t.5ilS.ge.acc.-Epla„.. 'T "1" - -. - Bestem.la c;e nell'altra vita ove avrebbe pò- anche in cuore. tato essere lieto. .S4. Fidanza non imborsa. — 46. Nella deitade. — Contro Non si fida. Y)[q .T.vji6. Questo modo di retro 48. Spregiando natura. — Non ecc. — Questo secondo modo di rispett-ando le leggi naturali. frode, verso chi non si fida, di- 49. Minor. — Terzo. strugge solo il naturale senti- lo. Sodoma. — Antica citt.'i mento di amore per il prossimo. della Palestina , distrutta dal cjy. Secondo. — Dei tre cer- fuoco celeste, pel peccato contro chietti, ossia ottavo dell'inferno. - 69 - Dante. s La Divina Commedia ipocrisia, lusinghe e chi affattura, falsità, ladroneccio e simonia, rufflan, baratti e simile lordura. 60 Per l'altro modo quell'amor s'obblia, che fa natura, e quel eh 'è poi aggiunto, di che la fede speziai si cria : 63 onde nel cerchio minore, ov'è il punto dell'universo in su che Dite siede, qualunque trade in eterno è consunto ». 66 Ed io : (( Maestro, assai chiaro procede la tua ragione, ed assai ben distingue questo baratro e il popol che i! possiede. 69 Ma dimmi : quei della palude pingue, che mena il vento e che batte la pioggia e che s'incontran con si aspre lingue, 12 perché non dentro dalla città roggia son ei puniti, se Dio gli ha in ira? e se non gli ha, perché sono a tal foggia?» 75 Ed egli a me : c( Perché tanto delira, disse, lo ingegno tuo da quel ch'eì suole? ovver la mente dove altrove mira? 7& Non ti rimembra di quelle parole, con le quai la tua Etica pertratta le tre disposizion che il ciel non vuole, 81 5S. Lusinghe. — Seduzioni. 61. Per I altro modo ecc. — Col tradire chi si fida si uccide non solo il vincolo naturale del- l'amore del prossimo, ma anche (.)uello creato dalla parentela, dal- l'amicizia, dalla fede data. 64. Onde ecc. — Nono cerchio, il ))iìi piccolo di lutti. Punto, — Il centro della terra secondo il sistema tolemaico. 6.<^. Dite siede. — Lucifero di- mora. 66. Trade. — Tradisce. 70-72. Quei della palude ecc. --- Tulli i peccatori puniti fuori della città di Dile iiell'alto in- ferno'. 73. Roggia. — Rovente. 75. Foggia. — In tal modo tormentati. 79. Tua Etica pertratta. — K- tica d'Aristotile che distesamen- te tratta. Si. Disposizion. — Dit-posiziu- ni dell'anima, vizi. 70 — Inferno - Canto XI incontinenza, malizia e la matta bestialitade? e come incontinenza men Dio offende e men biasimo accatta? 84 Se tu riguardi ben questa sentenza, e rechiti alla mente chi son quelli che su di fuor sostengon penitenza, 87 tu vedrai ben perché da questi fèlli sien dipartiti, e perché men crucciata la divina vendetta gli martelli ». 90 (( O sol che sani ogni vista turbata, tu mi contenti si, quando tu solvi, che, non men che saper, dubbiar m'aggrata. 93 Ancora un poco indietro ti rivolvi, diss'io, là dove di' che usura offende la divina bontade, e il groppo solvi ». 96 « Filosofìa, mi disse, a chi la intende, nota, non pure in una sola parte, come natura lo suo corso prende 99 dal divino intelletto e da sua arte : e, se tu ben la tua Fisica note, tu troverai, non dopo molte carte, 102 che l'arte vostra quella, quanto puote, segue, come i! maestro fa il discente ; si che vostr'arte a Dio quasi è nipote. 105 8-'. Incontinenza. — Secondo Aristotile è l'eccesso nel godi- mento dei piaceri, che ha per fon- damento i bisogni corporali (man- giare, bere, ecc.) o l'eccesso del desiderio del bene ; (gloria, ric- chezza, ecc.). Malizia. — La frode o il cat- tivo liso della ragione. 82-S^ O la matta bestialitade. — Scddisfazione di quelle voglie, che non sono dilettevoli per se istesse, crudeltà. 84. Accatta. — Acquista. 8.V Riguardi. — Rifletti. 87. Su ecc. — Nei cerchi supe- riori, fuori della ciltà di Dite. 91. Sol. — Sole. 92. Solvi. — Sciogli i miei dubbi, rispondi alle mie doman- de. 94. Ti rivolvi. — Rivolgiti. 95. Là dove (cfr. v. 48). 96. 11 groppo solvi. — Sciogli il nodo della qui^-tlone. fj8. Non pure. — Non soltan- to. joo. Arte. — Opercire diviiu). loi. Fisica. — Fisica di Ari- stotele da te studiata. Note, — Consdderi. 103. Quella. • — La jiatura. 105. Quasi. — L'arte è figlila della natura, questa è figlia di Dio, quindi l'arte può dirsi ni- |;ote di Dio. — 7^ La Divina Commedia Da queste due, se tu ti rechi a mente lo Genesi dal principio, conviene prender sua vita ed avanzar la gente. E perché l'usuriere altra via tiene, per sé natura e per la sua seguace dispregia, poiché in altro pon la spene. Ma seguimi oramai, che il gir mi piace che i Pesci guizzan su per l'orizzonta e il Carro tutto sovra il Coro giace, E il balzo via là oltre si dismonta». 108 U 115 107. Genesi. — Il primo libro della Bibbia, in cui leggesi che Dio ordinò la natura secondo i bisogni dell'uomo, a cui prescris- se il lavoro, ossia l'arte. 109. Altra via, ecc. — diver- sa da quella prescritta da Dio, l'usuraio aumentando le sue fa- coltà coll'altrui sudato lavoro. 110. Per sé. — In se stessa. Seguace. — L'arte III. In altro. — Nel guada- gno illecito. 113-114. Che i Pesci guizzan ecc. — Perchè la costellazione dei Pesci è all'ori^^zonte e I Orsa Maggiore (Carro di Boote) si tro- va fra ponente e settentrione, donde il vento Coro (Maestro), spira tra ponente e tramontana. Son circa le tre del nove aprile. 115. E il balzo. — L'altra ripa disiCende molto lontano. CANTO XII Era lo loco, ove a scender la riva venimmo, alpestre, e, per quel ch'ivi er'anco, tal ch'ogni vista ne sarebbe schiva. Qual è quella ruina, che nel fianco di qua da Trento l 'Adice percosse 0 per tremuoto o per sostegno manco, 3. Ne sarebbe sciiiva. — Ne rifuggirebbe con orrore. 4. Quella ruina. — Forse è la frana chiamata « Li Slavini di Marco» tra Marco e Mori sulla sinistra dell'Adige, a tre chilo- metri da Rovereto ; forse è la rovina del Castel di Pietro, a nord di Rovereto presso Trento ; forse è il varco apertosi dall'A- dige a traverso le falde del mon- te" Pastello nel luogo ditto dcl'a Ch'usa. (). Manco. — Mancalo. Inferno - Canto XII che da cima del monte, onde si mosse, al piano è si la roccia discoscesa ch'alcuna via darebbe a chi su fosse ; P cotal di quel burraio era la scesa : e in su la punta della rotta lacca l'infamia di Greti era distesa, l?. che fu concetta nella falsa vacca ; e quando vide noi sé stesso morse, si come quei, cui l'ira dentro fiacca. 15 Lo savio mio in ver lui gridò : « Forse tu credi che qui sia il duca d'Atene, che su nel mondo la morte ti porse? 18 Partiti, bestia, che questi non viene ammaestrato dalla tua sorella, ma vassi per veder le vostre pene». 21 Qual è quel toro che si slaccia in quella che ha ricevuto già '1 colpo mortale, che gir non sa, ma qua e là saltella ; 24 vid'io lo Minotauro far cotale : e quegli accorto gridò : « Corri al varco ; mentre ch'è in furia, è buon che tu ti cale». 27 Cosi prendemmo via giù per lo scarco di quelle pietre, che spesso moviènsi sotto i miei piedi per lo nuovo carco. 30 g. Alcuna via ecc. — - Nes»u- rabbia di non poter addentare i na via porgerebbe a chi voles- due viandanti, se scendere. 17. Duca d'Atene. — Teseo, 10. Burrato. — Precipizio. re di Atene, uccise il Minotauro, 11. Fin su la punta della rot= liberando la sua città dal bar- ta iacea. — Sull'orlo della fra- baro tributo _ di dargli a divo- na. rare sette giovani e sette fan- 12. Infamia. — Il Minotauro, ciuHe. mostro nato in Creta dalla mo- ^. \o- dorella. - .arianna, figl.a struosa unione di Pasife, moglie '^ Minos e Pasife, mnamorata d, ,. ,,. ^ e- j leseo, gli insegnò il modo per d. Mmos, con un toro. Secondo uccidere il Minotauro. Dante è un toro con testa d'uo- 2-^. Cotale. — Nello stesso mo. Si pasceva di carne umana, modo. per questo il poeta l'immagina ' 26. Quegli. — Virgilio, custode del cerchio dei violenti. 27. Ti cale. — Discenda. ifv Falsa. — Di legno era la 28-29. Lo scarco di quelle pie= vacca nella quale entrò Pasife. tre. — La costa sassosa rotta i.T. L'ira dentro fiacca. — Il dalla frana. Minotauro morse sé stesso per la 30. Nuovo carco. — Il peso I..\ DlVIW rOMATF.niA Io già pensando ; e quei disse : « Tu pensi forse a questa rovina, eh 'è guardata da quell'ira bestiai ch'io ora spensi. 33 Or vo' che sappi che l'altra fiata, ch'i' discesi qua giù nel basso inferno, questa roccia non era ancor cascata. 36 Ma certo poco pria, se ben discerno, che venisse colui che la gran preda levò a Dite del cerchio superno, 39 da tutte parti l'alta valle feda tremò si ch'io pensai che l'universo sentisse amor, per lo quale è chi creda 42 più volte il mondo in caos converso : ed in quel punto questa vecchia roccia qui ed altrove tal fece riverso. 45 Ma ficca gli occhi a valle ; che s'approccia la riviera del sangue, in la qual bolle qual che per violenza in altrui noccia ». 48 O cieca cupidigia, o ira folle, che si ci sproni nella vita corta, e nell'eterna poi si mal c'immolle ! 51 Io vidi un'ampia fossa in arco torta, come quella che tutto il piano abbraccia, secondo ch'avea detto la mia scorta : 54 del corpo di Dante, nuovo rarcn mava che la loro concordia a- perchè insolito, aggiirandosi ivi vrebbe avuto per effetto il Caos, solo le anime. cioè una massa confusa di nia- 37. Pria. — Prima che spiras- feria. se Cristo. 4v Tal fece riverso. — Fu ro- 38. Colui. — Cripto (cfr. v. 53 vescialo dal terremoto in tal mo- *" pfeda.' _ Le anime tratte dal ,,47-, La riviera del sangue. - Limbo '' H^'Seto"'''. nume di sangue coj» 15 .. bollente. 40. Feda. - Brutta. q^^, ^^^ _ Chiunque. 41. Iremo. — Accenna al ter- ^j C'immolle, — Ci b:i"ni remoto che, secondo la leggon- • i„ ^r^.Q torta. — "Circo- da evano-iiica, agitò il mondo al- iare. la morte di Cristo. i^:,. Come quella ecc. — Ls- lo pensai ecc. — Allude al- sendo quella, il primo dei tre gi- lè dottrine d'Empedocle, che di- rO'ni del seti imo cerchio, ceva il mondo formalo dalla di- 54. Aveva detto. — Cfr. fnf. scordia degli elementi, ed affer- TX, 30. — 74 — Inferno - Canto XH e, tra ii pie della ripa ed essa, in traccia correan Centauri armati di saette, come sclean nel mondo andare a caccia. Vedendoci calar ciascun ristette, e della schiera tre si dipartirò con archi ed asticciuole prima elette. E l'un gridò da lungi : «A qual martire venite voi, che scendete la costa? Ditel costinci; se non, l'arco tiro». Lo mio maestro disse : « La risposta farem noi a Chiron costà di presso : mal fu la voglia tua sempre si tosta ». Poi mi tentò e disse : (( Quegli è Nesso, che mori per la bella E>eianira, e fé' di sé la vendetta egli stesso : e quel di mezzo, che al petto si mira, è il gran Chirone, il qual nudri Achille ; quell'altro è Polo, che fu si pien d'ira. D'intorno al fosso vanno a mille a mille, saettando quale anima si svelle del sangue più che sua colpa sortille ». 57 60 63 66 69 72 75 5v In traccia. — In fila. 5(3. Centauri. — Mostri che a- vevano forma umana dal petto in su, e forma equina nel resto; fàgli, eccetto Chirone, di Issione p di Nefele, simboli della vio- lenza. ho. Asticciuole prima elette. — Saette scelte prima. 6^^. Costinci. — Ual luogo ove siete. 6.^. Ciiiron. — Capo ed il più rjiusto dei Centauri, figlio di Sa- turno e di Fillira, fu maestro ed educatore di Achille. 66. Mal fu. — Con tuo danno. Tosta. — Precipitosa. 67. Mi tentò. — Mi toccò per meglio attirare la mia attenzione. Nesso. — Trasportando Deia- nira, sposa di Ercole, di là del fiume Eveno se ne innamorò, e ner questo fu mortalmente ferito da Ercole. 69. Egli stesso. — Nesso diede la sua camicia intrisa di sangue avvelenato a Deianira, dandole a credere ch'essa aveva la virtù di innamorare chi l'inclossaxa. Deia- nira, per riguadagnare l'amore d'Ercole, gli fece vestire la ca- micia, ma invece Ercole infuriò e mori. -2. Polo. — Questo centauro, nelle nozze di Piritoo e Ippoda- mia, tentò di far violenza alla sposa e alle altre donne dei La- pitl. 74-75. Si svelle. — Esce dalia riviera sanguinosa di più di quan- to le è permesso dalla sorte. — 75 — I,.\ Divina Commedia Noi ci appressammo a quelle fiere snelle : Chiron prese uno strale, e con la cocca fece la barba indietro alle mascelle. 78 Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, disse ai compagni : « Siete voi accorti che quel di retro muove ciò eh' ei tocca? 81 Cosi non soglion fare i pie de' morti ». E il mio buon duca, che già gli era al petto dove le duo nature son consorti, 84 rispose : (( Ben è vivo, e si soletto mostrarli mi convien la valle buia : necessità '1 c'induce, e non diletto. 87. Tal si parti da cantare alleluia, che mi commise quest'uficio nuovo; non è ladron, né io anima fuia. 90 Ma per quella virtù, per cui io muovo li passi miei per si selvaggia strada, danne un de' tuoi, a cui noi siamo a pruovo, 93 che ne dimostri là ove si guada, e che porti costui in su la groppa ; che non è spirto che per l'aer vada)). 9G Chiron si volse in sulla destra poppa, e disse a Nesso: «Torna, e si li guida, e fa cansar, s'altra schiera v'intoppa ». 99 Noi ci movemmo con la scorta fida lungo la proda del bollor vermiglio, ove i bolliti facean alte strida. 102 Io vidi gente sotto infino al ciglio ; e il gran Centauro disse : « Ei son tiranni che diér nel sangue e nell'aver di piglio. U>5 77. Cocca. — Tacca o solco 88. Tal. — Beatrice, della parte posteriore d?lla frrc- go. Fuia. — l.adra. eia. qi. Quella virtù. — La virtù 78. Fece la barba indietro ecc. divna - Si ravviò la barba scostandola ^ ^ .^_ _ ,^ ,^,^, rai.enì'e."'' ''"' "" "^ 97- P«PP^- " l-^'<>- 84. Le duo nature. — Dell'uo- 09- V'intoppa. -- V'incontra. mo e ci*"! ravallo. - 76- Inferno - Canto XII Quivi SI piangon li spietati danni, quivi è Alessandro e Dionisio fero che fé' Cicilia aver dolorosi anni; 108 e quella fronte e' ha il pel cosi nero è Azzolino, e quell'altro eh 'è biondo è Obizzo da Esti, il qual per vero 111 fu spento dal figliastro su nel mondo ». Allor mi volsi al poeta, e quei disse : «Questi ti sia or primo, ed io secondo». 114 Poco più oltre il Centauro s'afBsse sopra una gente, che infino alla gola parea che di quel bulicame uscisse. 117 Mostrocci un'ombra dall'un canto sola, dicendo : ce Colui fésse in grembo a Dio lo cor che in sul Tamigi ancor si cola )>. 120 Poi vidi gente, che di fuor del rio tenea la testa ed ancor tutto il casso ; e di costoro assai rìconobb'io. 123 107. Alessandro. — Alessan- dro Magno re di Macedonia, o Alessandro tiranno di Fere, in Tessaglia. Dionisio. — Tiranno di Sira- cusa, fors:; Dionisio il vecchio. no. Azzolino. — Ezzelino IH da Romano (i 194-1259) tiranneg- giò la Marca Trevigiana e fu grande sostenitore della parte imperiale nell'Italia superiore. 111. Obizzo da Esti. — Obiz- 7C II, figlio di Rinaldo e di A- delaide da Romano, marchese di Ancona e di Ferrara (mori nel I2Q3 forse strangc-lato dai due figli maggiori Azzo Vili e Al- dobrandino). 112. Figliastro. — Figlio sna- turato, oppure illegittimo. 114. Questi, ecc. — Nesso sia ora il tuo primo duce e maestro. 117. Bulicame. — Fiume di sangue bollente. 119-120. Colui fesse ecc. — Colui trafisse : Guido di Mon- fort, vicario di Toscana per Car- lo I di Angiò, volendo vendicare la morte del padre .Simone, as- sassinato per opera di Edoardo I re d' Inghilterra, uccise nel 1272, a Viterbo, in una chiesa, Arrigo, cugino di Edoardo, alla presenza di Carlo I d '.Angiò e di Filippo III re di Francia. Il ca- davere d'Arrigo fu trasportato in Inghilterra e sepolto nelle tombe reali, ma il cuore, dicesi, fu rinchiuso in vaso prezioso e posto in mano d'una statua sul- la sponda del Tamigi. 119. Fésse. — Fendette. 120. Si cola. — Gronda anco- ra sangue agli occhi degli in- cesi. 122. Casso. — Busto, petto. — 77 — La Divina Commedia Cosi a più a più si facea basso quel sangue si che cocea pur li piedi ; e quivi fu del fosso il nostro passo. « Si come tu da questa parte vedi lo bulicame che sempre si scema, disse il Centauro, voglio che tu credi che da quest'altra a più a più giù prema lo fondo suo, infìn ch'ei si raggiunge ove la tirannia convien che gema. La divina giustizia di qua punge quell'Attila c'ne fu flagello in terra, e Pirro e Sesto : ed in eterno munge le lagrime, che col bollor disserra a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo, che fecero alle strade tanta guerra )). Poi si rivolse, e ripassossi il guazzo. 126 129 132 135 139 124. A più a più. — A mano a mano che si proc-ede\'a, il livello del santone s'abbassava. 126. È quivi ecc. ~ Qui pas- sammo. 12-. Questa parie, — Da'la parte onde siamo venuti. 130. Da quest'altra a più a più giù prema ecc. — Da quest'al- tra parte si sprofo'nda sempre più. 131. Ei, — 11 bulicame. Si raggiunge, — Perviene. 132. Tirannia. — I tiranni. 134. Attila. — Condottiero àe- q\i Unni (433 '45 3^' soprannomi- nato Flagello di Dio, per le stra- rl da lui compiute. 13:;. Pirro. — Neoptolemo, fi- glio di Achille e Deidamia, fece strage dei troiani. Altri credono: Pirro re dell'Espiro (319-2^2 n. C), terribile nemico^ dei Romani. Sesto. • — Figlio di Pompeo il (rrande, avversario di Giulio Ce- sare e famoso corsaro. 137. Rinier da Corneto. — La- drone famoso del tempo di Dante, correva le strade di Maremma fi- no a Roma. Rinier Pazzo. — Della famiglia dei Pazzi di Firenze ; ladrone del- le contrade di Valdarno, fu sco- numiicato nel 1269. 139. Guazzo. — Guado. CANTO XIII Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco, che da nessun sentiero era segnato. -78 Inff.pno - Canto XIII Non frondi verdi, ma di color fosco, non rami schietti, ma nodosi e involti, non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco. 6 Non han si aspri sterpi né si folti quelle fiere selvagge, che in odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. 9 Quivi le brutte Arpie lor nido fanno, che cacciar delle Strofade i troiani con tristo annunzio di futuro danno. 12 Ale hanno late, e colli e visi umani, pie con artigli, e pennuto il gran ventre ; fanno lamenti in su gli alberi strani. 15 Lo buon maestro : <( Prima che più entre, sappi che se' nel secondo girone, mi cominciò a dire, e sarai mentre l'8 che tu verrai nell orribil sabbione : però riguarda bene, e si vedrai cose che torrien fede al mio sermone n. 21 Io sentia da ogni parte traer guai, e non vedea persona che il facesse ; per ch'io tutto smarrito m'arrestai. 24 r credo ch'ei credette ch'io credesse che tante voci uscisser tra que' bronchi da gente che per noi si nascondesse. 27 Però disse il maestro : (( Se tu tronchi qualche fraschetta d'una d'este piante, li pensier c'hai si faran tutti monchi ». 30 ,:^. Schietti. — Senza nodi, di- condo Virgilio', dimoravano nelle ritti. isole Strofadi nel mar Jonio. Involti, — Contorti. 12. Con «risto, ecc. — Celeno, (1. Tòsco. — Veleno. una delle Arpie, allontanò i tro- 7. Non han ecc. — Gli animali iani dalle isole, predicendo loro selvatici della Maremma toscana s'randi sciagure e fame terribile. che fuggono i luoghi coltivati, 18-19. Mentre ecc. — P'ino al non hanno per ripararsi o na- momento in cui entrai nel terzo scendersi boscaglie cosi folte e girone. spinose. 21. Torrien ecc. — Incredibili 9. Cecina e Corneto. — Segna- se io te Ìk raccontassi. no i confini della Maremma to- 22. Traer guai. — Emettere scana. lamenti. 10. Arpie. — Mostri dal volto 26. Bronchi. — Sterpi. di fanciulla e il corpo d'uccello, 30. Si faran tutti monchi. — ■ figlie di Taumante ed Elettra ; se- Cadranno dinanzi alla verità. f.A Divina Commedia Allor porsi la mano un poco avante, e colsi un ramicel da un gran pruno ; e il tronco suo gridò : « Perché mi schiante ? » 33 Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a gridar : «Perché mi scerpi? non hai tu spirto di pietate alcuno? 36 Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi ; ben dovrebb 'esser la tua man più pia, se state fossim 'anime di serpi ». 39 Come d'un stizzo verde, che arso sia dall'un de' capi, che dall'altro geme e cigola per vento che va via ; 42 sì della scheggia rotta usciva insieme • parole e sangue : ond'io lasciai la cima cadere, e stetti come l'uom che teme. 45 « S'egli avesse potuto creder prima rispose il savio mio, anima lesa, ciò c'ha veduto pur con la mia rima, 48 non averebbe in te la man distesa ; ma la cosa incredibile mi fece indurlo ad opra, che a me stesso pesa. 51 Ma dilli chi tu fosti, si che, in vece d'alcuna ammenda, tua fama rinfreschi nel mondo su, dove tornar gli lece ». 54 E il tronco : « Si con dolce dir m'adeschi ch'io non posso tacere ; e voi non gravi, perch'io un poco a ragionar m'inveschi. 57 Io son colui, che tenni ambo le chiavi del cor di Federico, e che le volsi serrando e disserrando si soavi 60 perchè sono inesatte le tue sup- io narro nell'Eneide (III, 22 e posizioni. segg.), intorno alle piante che ^i;. Scerpi. — Strazi. tiarlano e clan sangue. 40. Stizzo verde, — Tronco ^i^-^t,. In vece d' alcuna ani' verde, non disseccato. mènda. — A compensarti del do- 41. Geme. — Stilla, manda lor.' che t'ha inditto. f^occe di linfa. 54. Gli lece. — Gli è permesso. " 43. Sclieggia. — Il ramo dal 57. M'inveschi. — Mi, tratten- qualc Dante strappò il ramo- ga. scello. 58. Io son colui ecc. — Pier 48. Ciò c'Iia veduto ecc. — Se della \'igna di Capua, per com- Dante avesse creduto a quanto niere i suoi studi a Bologna do- — So — Infermo - Canto XIII che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi : fede portai al glorioso ufizio, tanto ch'io ne perdei lo sonno e i polsi. (33 La meretrice, che mai dall'ospizio di Cesare non torse gli occhi putti, morte comune e delle corti vizio, (;<3 infiammò contra me gli animi tutti ; e gl'inflammati infiammar si Augusto che i lieti onor tornare in tristi lutti. 69 L'animo mio per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto. 72 Per le nuove radici d'esto legno vi giuro che giammai non ruppi fede al mio signor, che fu d'onor si degno. 75 E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che invidia le diede ». 78 Un poco attese, e poi : « Da ch'ei si tace, disse il poeta a me, non perder l'ora; ma parla, e chiedi a lui se più ti piace)). 81 Ond'io a lui : « Dimandai tu ancora di quel che credi che a me satisfaccia ; ch'io non potrei, tanta pietà m'accora)). 84 vette mendicare ; fu nominato di 64. La meretrice ecc. — L'in- poi cancelliere di Federico II, vidia che non manca mai alla' ma, caduto in disgrazia, fu nel corte dei principi. 1248 incarcerato ed acciecato. Si 6."^. Putti. — Da meretrice. uccise per il dolore e per non 66. Morte. — Peccato comune subire la pena infamanfe alla a tutti oli uomini. c|uale era stato condannato. 6S. GJ'inGainmati. — I corti- 5;8. Ambo le chiavi. — Del con- piani invidiosi. Augusto. — • Fc- cedere, e del negare; oi)pure del- derico II. l'amore e dell'odio; o delle cose 70. Disdegnoso gusto. — Sde- segrete e delle palesi. gnatOi. 61. Che dal segreto suo ecc. — 71. Disdegno. — \ituperio al- .Allcnlanai quasi tutti gii altri trui. conlìdenti. 73. Nuove radici. — Pier della 6;^. Ch'io ne perdei ecc. — Vigna era morto da poco, cioè Ch'io vi sacrificai il sonno nella nel 12^9. notte e l'attività nel giorno. 77. Conforti. — Rivendichi. — 81 — La Divina Commedia Però ricominciò : a Se l'uom ti faccia liberamente ciò ciie il tuo dir prega, spirito incarcerato, ancor ti piaccia 87 di dirne come l'anima si lega in questi nocciii ; e dinne, se tu puoi, s'alcuna mai da tai membra si spiega ". 90 Allor soffiò lo tronco forte, e poi si converti quel vento in cotal voce : c( Brevemente sarà risposto a voi. 93 Quando si parte l'anima feroce dal corpo ond'ella stessa s'è divelta, Minos la manda alla settima foce. 96 Cade in la selva e non l'è parte scelta, ma là dove fortuna la balestra, quivi germoglia come gran di spelta ; 99 surge in vermena ed in pianta silvestra : l'Arpie, pascendo poi delle sue foglie, fanno dolore, ed al dolor finestra. 102 Come l'altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch'alcuna sen rivesta : che non è giusto aver ciò ch'uom si loglie. 105 Qui le strascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun dell'ombra sua molesta ». 108 Noi eravamo ancora al tronco attesi, credendo ch'altro ne volesse dire, quando noi fummo d'un romor sorpresi, HI ,So. Se l'uom ecc. — Se Dantr; 102. Finestra. — .Apertura don- consenle a Érancamcnte riiabili- de esce il pianto e il lamento. tarli, ti piaccia pine ecc. 10^. Come l'altre verrem ecc. 8<,. Nocchi. — Tronchi. _ Riprenderemo il nosLio corpo go. Si spiega. - Si scoglie, s. .^ ^j ^,,,, -^^^^-^ sprigiona ^^^ . ^^^ _ ^ 04. Feroce. — Spietata con bo ^ . . ' gjg^^g ' questo CI rienlrcrnmo. «AFoce. - Cerchio. ""^- ^' I"""" bell'ombra sua 97. Scelta. Slabilila. molesta. — Al ramo che racchìu- ij(). Spelta. — Fano. de l'anima infcsla al corpo. 100. Vermena. — Giunco sol- kh). Attesi. — In attesa. li!.;. — 82 — Inferno ■ Canto XIII similemente a colui che venire sente il porco e la caccia alla sua posta, ch'ode le bestie e le frasche stormire. 114 Ed ecco duo dalla sinistra costa, nudi e graffiati, fuggendo si forte che della selva rompièno ogni rosta. 117 Que! dinanzi : (( Ora accorri, accorri, Morte ! » e l'altro, a cui pareva tardar troppo, gridava : « Lano, si non furo accorte 120 le gambe tue alle giostre del Toppo » ; e poiché forse gli fallìa la lena, di sé e d'un cespuglio fece groppo. 123 Di retro a loro era la selva piena di nere cagne bramose e correnti, come veltri che uscisser di catena. 126 In quel che s'appiattò miser li denti, e quel dilaceraro a brano a brano ; poi sen portar quelle membra dolenti. 129 Presemi allor la mia scorta per mano, e menommi al cespuglio che piangea, per le rotture sanguinenti, invano. 132 (( O lacomo, dioea, da Sant'Andrea, che t'è giovato di me fare schermo? che colpa ho io della tua vita rea?» 135 Quando il maestro fu sopr'esso fermo, disse : « Chi fusti, che per tante punte soffi con sangue doloroso sermo ?» 138 113. Alla sua posta. — Dove Delesmanini ; fu al seguito di Fe- sta appostato al varco della sei- derico II nei 1237, e t'aito ucci- vaggina. j^^re poi da Ezzelino IV da Ro- 117. Rosta. — Viluppo di ra- ^ano nel 1239. mi e frasche. 120. Sì non furo accorte. -- 118. Quel dinanzi. -.E' lo Non cosi furono pronte. scialacquatore lano (dei Ma- j^,. Giostre. -La battaglia coni di S-.ena, che nella baita- ,, „■ , > -r- ■ r glia del Toppo, in cui i Senesi ^"^ ^^'^ve del Toppo si fece a furono sconfitti dagli Aretini, an- corpo a corpo, come nelle gio- dò sicuro incontro alla morte. ^'•''^• 119. L'altro. _ E' il famoso ^-.V ^^'^^ ^«"«PP»- — Si ayvol- dissipatore Giacomo da Sant'An- s-2 nell'intrico d'un cespuglio, drea di Padova, figlio di Odo- 13.S. Sermo. — Sermone, pa- rico di Monselice, e di Speronella iole. 83 La Divina Commedia E quegli a noi : « O anime, che giunte siete a veder lo strazio disonesto c'ha le mie fronde si da me disgiunte, 141 raccoglietele al pie del tristo cesto. Io lui della città che nel Batista mutò '1 primo patrono; ond'ei per questo Hi sempre con l'arte sua la farà trista : e se non fosse che in sul passo d'Arno rimane ancor di lui alcuna vista, 147 quei cittadin, che poi la rifondarno sopra il cener che d'Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno. Io fei giubetto a me delle mie case )>. 151 ijy. Quegli. — Forse è Lotto locata sopra una torre jjresso dcii'ìl Agli (giudice a Bologna e l'Arno. Dai barbari la statua fu nelle Marche, priore in Firenze, gettata nel fiume ; ripescata nel- capitano del Popolo a Cremona l'Soi fu posta in capo del Ponte p. a Modena, podestà a Trento, Vecchio ; i resti di tale statua vi Cremona e Pistoia) che s'impic- rimasero fino al 1333. co per un errato consiglio che a- 144. Ond'ei per questo ecc. — veva dato. Forse è Rocco de* Onde Marte, l'antico patrono, la Mozzi, che s'impiccò nelle case contristerà sempre con la guerra, proprie, dopo aver consumato j^g_ ^tti,a. _ Dante crede alla 142. Cesto. — Cespuglio ^^^ g^^,^ d'strutta da Attila nel 143. De.la citta che nel Bati= • vi , , „•, < • sta ecc. - Di Firenze, che in- t^^'. ^f^'^^ ^^ ^ °*'^^' ""^ ^^' nanzi al cristianesimo riconosce- troti, nel 542. va per protettore Marte, dio della i.'Ji- Giubbetto. — (Dal fran- guerra e dopo scelse S. Giovan- cese gibtt), forca, paiibolo; op- ni Battista, a cui dedicò il tem- pure l'edificio dove in Parigi si pio di Marte, la cui statua fu col- giustiziava. CANTO XIV Poiché la carità del natio loco mi strinse, raunai le fronde sparte, e rende' le a colui ch'era già fioco. Indi venimmo al fine, ove si parte lo secondo giron dal terzo, e dove si vede di giustizia orribil arte. I. Carità del natio loco. — A- 3. Fioco. — .Silenzioso, mor patrjo. 4. Fine. — Confine, termine. -84- iNi-ERNo - Canto XFV A ben manifestar le cose nuove, dico che . arrivammo ad una landa, che dal suo letto ogni pianta rimuove. 9 La dolorosa selva 1' è ghirlanda intorno, come il fosso tristo ad essa : quivi fermammo i passi a randa a randa. 12 Lo spazzo era im' arena arida e spessa, non d' altra foggia fatta che colei, che fu da' pie di Caton già soppressa. 15 O vendetta di Dio, quanto tu dèi esser temuta da ciascun che legge ciò che fu manifesto agli occhi miei 1 18 D'anime nude vidi molte gregge, che piangean tutte assai miseramenle, e parea posta lor diversa legge. 21 Supin giaceva in terra alcuna gente, alcuna si sedea tutta raccolta, ed altra andava continuamente. 24 Quella che giva intomo era più molta, e quella men che giaceva al tormento, ma pili al duolo avea la lingua sciolta. 27 Sopra tutto il sabbion d'un cader lento piovean di foco dilatate falde, come di neve in alpe senza vento. 30 Quali Alessandro in quelle parti calde d'India vide sopra lo suo stuolo fiamme cadere infìno a terra salde ; 33 per ch'ei provvide a scalpitar lo suolo con le sue schiere, per ciò che il vapore me' si stingueva mentre ch'era solo : 3'ò 8. Landa. — Campagna pia- dalle deserte arene di Libia, che neggiante e Ijrulla. Catone Uticense prefugo calcò, q. Che dal suo letto ecc. — e"uidiando i resti delle milizie di Sul suo suolo nessuna pianta at- Pompeo presso Giuba, re della tecchisce. Numidia. 11. Fosso. — FlegtMonte. 21. Diversa legge, — Tormen- 12. A randa a randa. — Ra- to diverso. sente. 31. .Alessandro. — .Alessandro i^ Spazzo. — La distesa del Magano, suoio. .'i4-36- Perch'ei provvide a scal= Ì4. Non d'altra foggia fatta pitar !o suolo ecc. — Onde A- the colei ecc. — Non diversa l^-ssandro faceva spegnere subito — 85 - Dante, 6 La Divina Commedia tale scendeva 1 ' eternale ardore ; onde l'arena s'accendea, com' ésca sotto focile, a doppiar lo dolore. 39 Senza riposo mai era la tresca delle misere mani, or quindi or quinci iscotendo da sé l'arsura fresca. 42 Io cominciai : <( Maestro, tu che vinci tutte le cose, fuor che i demon duri, che all' entrar della porta incontro uscinci, 45 chi è quel grande, che non par che curi 1 ' incendio e giace dispettoso e torto, si che la pioggia non par che il maturi ? » 48 E quel medesmo, che si fu accorto eh' io dimandava il mio duca di lui, gridò : (( Qual io fui vivo, tal son morto. 51 Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui crucciato prese la folgore acuta, onde r ultimo di percosso fui, 54 o s'egli stanchi gli altri a muta a muta in Mongibello alla fucina negra, chiamando : ' Buon Vulcano, aiuta aiuta ' , 57 si com'ei fece alla pugna di Flegra, e me saetti di tutta sua forza, non ne potrebbe aver vendetta allegra ». (50 rxÀ calpestìo dei piedi le falde di le mura di questa città sfidò Gio- fuoco, prima che ne piovessero yg bestemmiandolo, per cui que- altre. sti l'uccise con la sua folgore. 3g. Focile. — Acciarino. 47. Torto. — Torvo, bieco. '^o. Tresca. — Uà trescone, ^g. Maturi. — Domi, fiacchi, ballo campagnuolo , saltereccio, ,^2. Fabbro. — Vulcano che senza regola e tempo. Qui moto fabbricava le saette per Giove, rapido e convulso delle mani a !^^_ QH altri. — Gli altri fab- togliere di dosso le falde info- 5^-;^" ossia i Ciclopi, cate. A muta a muta. — L'un dopo 42. Fresca. — Di nuovo ca- l'altro, duta. 56. Mongibello. ~ Nell'Etna 4:;. Porta. — Porla di Dite. era la fucina di Vulcano. Ùscìnci. — Ci uscirono. 58. Flegra. — Valle della Tes- 46. Quel grande. — Capaneo, saglia, nella quale avvenne iM figlio di Ipponoo e di Laodice, combattimento fra Giove e i gi- UJio dei sette re (Adrasto, Tideo, ganti. Ippomedont-; Anfiarao, Fartene- 60. Vendetta allegra. — Non peo e Polinice) della Gn eia, con- avrebbe il piacere di vedermi u- federati contro Tebe, che di sul- miliato. . 86 - Inferno - Canto Xl\' Allora il duca mio parlò di forza tanto eh' io non 1' avea si forte udito : (( O Capaneo, in ciò che non s' ammorza 63 la tua superbia, se' tu più punito : nullo martirio, fuor che la tua rabbia, sarebbe al tuo furor dolor compito ». 66 Poi si rivolse a me con miglior labbia, dicendo: ((Quel fu l'un de' sette regi eh' assiser Tebe ; ed ebbe e par eh' eg'.i abbia 69 Dio in disdegno, e poco par che il pregi : ma, come io dissi lui, li suoi dispetti sono al suo petto assai debiti fregi. 72 Or mi vien dietro, e guarda che non metti ancor li piedi nell'arena arsiccia, ma sempre al bosco li ritieni stretti ». 75 Tacendo divenimmo là ove spiccia fuor della selva un picciol fìumicello, lo cui rossore ancor mi raccapriccia, 78 Quale del Bulicame esce il ruscello, che parton poi tra lor le peccatrici, tal per 1' arena giti sen giva quello. 81 Lo fondo suo ed ambo le pendici fatt'eran pietra, e i margini da lato: per ch'io m' accorsi che il passo era liei. 84 ((Tra tutto l'altro ch'io t'ho dimostrato, poscia che noi entrammo per la porta, lo cui sogliare a nessuno è negato, 87 cosa non fu dagli tuoi occhi scorta notabil come lo presente rio, che sopra sé tutte fiammelle ammorta ». 90 Queste parole fùr del duca mio ; per che il pregai che mi largisse i! pasio di cui largito m' aveva il disio. 93 66. Compito. — Adeguato. la quale dicevasi, le meretrici de- 67. Labbia. — Aspetto. rivano l'acqua pei' il proprio ba- ùq. Assiser. — Assediarono. gno. 76. Divenimmo là ove spiccia. 84. Liei. — LI. — Giungemmo là donde scatu- 87. Sogliare. — ■ Soglia, limiturc. lisce. 90. Ammorta. — Spegne. 79. Bulicame. — Sorgente d'ac- 92. Largisse il pasto ecc. — qua bollente, presso Viterbo, dal- Soddisfacesse il mie desiderio, -87- La Divina Commedia (( In mezzo mar siede un paese guasto, diss' egli allora, che s' appella Creta, sotto il cui rege fu già il mondo casto. 95 Una montagna v' è, che già fu lieta d' acque e di fronde, che si chiamò Ida ; ora è diserta come cosa vieta. 99 Rea la scelse già per cuna fida del suo figliuolo ; e, per celarlo meglio, quando pìangea, vi facea far le grida. 102 Dentro dal monte sta dritto un gran veglio, che tien volte le spalle in vèr Damiata, e Roma guata si come suo speglio. 105 La sua testa è di fin oro formata, e puro argento son le braccia e il petto, poi è di rame infino alla forcata; 108 da indi in giuso è tutto ferro eletto, salvo che il destro piede è terracotta, e sta in su quel, più che in su 1' altro, crettd. Ili Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta d' una fessura che lagrime goccia, le quali accolte fóran quella grotta. 114 94. Mezzo mar. — Mediterra- neo. Guasto. — Rovinalo. 96. Rege. — Saturno, primo re di Creta. 98. Ida. . — Monte dell'isola di Creta, sulla, cui vetta nevosa Giove fu allevato dai Coribanti, ai quali fu affidato dalla madre Rea per salvarlo dal Padre Sa- turno, che lo voleva divorare, ad impedire che , secondo la profezia, gli loj;jliesse il lroi;o. 102. Far le grida. — Ai Cure- ti, servi di Ri a, incai'icati di co- prire gli strilli del bimbo con rumori e suoni. Veglio. — Secchio. 104. Damiata. — Città dell'E- eilto su una foce del Nilo, ed indica l'oriente. 105. Speglio. — Specchio. 106. La sua testa è di fin oro ecc. — 1 vari metalli che com- pongono la statua del gran ve= glio ricordano il corso dell'uma- nità nelle sue varie epoche, e il suo peggioramento. 108. Forcata. — Dove le gam- be si congiimyono al corpo. 112. Fuor che l'oro. — All'età dell'oro i^li uomini erano felici, per cui non piangevano. II V Lagrime. — Simbolo del dolore umano. 114. Grotta. — Interno del monte. — «8 Inferno - Canto XIV Lor corso in questa valle si diroccia : fanno Acheronte, Stige e Flegetonta ; poi sen van giù per questa stretta doccia 117 infin là dove più non si dismonta : fanno Oocito ; e qual sia quello stagno, tu il vederai, però qui non si conta ». 120 Ed io a luì : a Se il presente rigagno si deriva cosi dal nostro mondo, perché ci appar pure a questo vivagno?» 123 Ed egli a me : « Tu sai che il loco è tondo, e, tutto che tu sii venuto molto pur a sinistra giù calando al fondo, 126 non se' ancor per tutto il cerchio vòlto; per che, se cosa n'apparisce nuova, non dèe addur maraviglia al tuo volto ». 129 Ed io ancor : « Maestro, ove si trova Flegetonte e Lete; che dell' un taci, e l'altro di' che si fa d'està piova?» 132 « In tutte tue question certo mi piaci, rispose; ma il bollor dell'acqua rossa dovea ben solver l' una che tu faci. 135 Lete vedrai, ma fuor di questa fossa, là ove vanno l'anime a lavarsi, quando la colpa pentuta è rimossa ». 138 Poi disse : « Ornai è tempo da scostarsi dal bosco; fa, che di retro a me vegne : li margini fan via, che non son arsi, e sopra loro ogni vapor si spegne ». 142 ii.v Si diroccia. — Precipita. 127. Non se' ecc. — Non hai 116. Flegetonta. — O pioggia ancor percorso un cerchio inte- di lagrime, la riviera del sangue ^^^ sebbene sii venuto scendendo in cua stanno 1 violenti. g.^, ^ sinistra. Doccia. — (.anale, condotto. \- » .,*x n r a ih i r„ o ¥ ' i„ „•• • A- nfi. Lete. — Il fiume dell oblio. 118. La dove più non si di- -^ _ , ^^ , smonta. — In fondo all'inferno, ^37- La- - Nel paradiso terre- eh 'è al centro della terra. ^ • 119. eccito. — Sede di Lucife- ^7,^- Rimossa. — Lavata._ ro. 140. Fa, ecc. — NHcni dietro a 123. Vivagno. — Orlo, è il ter- ine. zo girone del settimo cerchio. - 89 - La Divina Commedia CANTO XV Ora cen porta l'un de' duri margini, e il fummo del ruscel di sopra aduggia si che dal foco salva l'acqua e gli argini. 3 Quale i fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, temendo il fiotto che vèr lor s'avventa, fanno Io schermo, perché il mar si fuggia ; G e quale i padovan lungo la Brenta, per difender lor ville e lor castelli, anzi che Chiarentana il caldo senta : 9 a tale imagine eran fatti quelli, tutto che né si alti né si grossi, qual che si fosse, lo maestro fèlli. 12 Già eravam dalla selva rimossi tanto, ch'io non avrei visto dov'era, perch'io indietro rivolto mi fossi; 15 quando incontrammo d'anime una schiera, che venia lungo l'argine; e ciascuna ci riguardava, come suol da sera 18 guardar l'un l'altro sotto nuova luna, e si vèr noi aguzzavan le ciglia, come vecchio sartor fa nella cruna. 21 2. Aduggia. — Annebbia, offu- sgelo delle nevi della Chiarcnla- sca. na o Carinzia. 3. Salva. — Ammorza le fìam- „_ Tutto. — Sel^bene non fos- me, tempera il fuoco. ggcQ Q^■^ 4. Guizzante. - Wissant, vii- ^^ q^^j ,.,,g ^j j^^g^^ g,,. _ laggiù presso Calais. Chiunque ne fosse il costruttore Bruggia. — bruges, città del ' Helgio. Coi nomi di questi due '^"^ rlou eni , ,:«,«„e: ai • rv .„ i„ • i;)..,.- i« A, M. Dalla selva iimossi. — AI- paesi Dan e vuole indicare la di- , r ,• , ,, ,. i ■ .- : -.a. e ■ i„ „'„o.-..^„i;f.s ontanati da la seva dei suicidi. p-a fiamminga da un esitremita ^ o •.• v, i, i • •uìl'altra ^^' S^'*'^'"2> — E quella dei 7-9. È quale ecc. — 11 poeta violenti contro natura, paragona le dighe fiamminghe '8-19. Ci riguardava ecc. - agli argini padovani, costruiti Ogni anima lissava noi, come per difendere il paese dalle i- l'uno snob guardare l'altro, nondazioni del fiume Brenta, quando è sera e c'è porvi luce, quando esso si gonfia per il di- essendo luna nuova. — 90 — Inferno - Canto XV Così adocchiato da cotal famiglia, fui conosciuto da un, che mi prese per lo lembo e gridò : (( Qual maraviglia? » 24 Ed lo, quando il suo braccio a me distese, ficcai gli occhi per lo cotto aspetto si che il viso abbruciato non difese 27 la conoscenza sua al mio intelletto ; e chinando la mano alla sua faccia, risposi: ((Siete voi qui, ser Brunetto?)) 30 E quegli : (( O fìglìuol mio, non ti dispiaccia, se Brunetto Latini un poco teco ritorna indietro, e lascia andar la traccia ». 3^ Io dissi lui : (( Quanto posso ven preco ; e se volete che con voi m'asseggia, faròl, se piace a costui, che vo seco )>. 3fi (( O fìgliuol, disse, qual di questa greggia s'arresta punto, giace poi cent'anni senza arrostarsi quando il foco il feggia. 39 Però va oltre; io ti verrò a' panni, e poi rigiugnerò la mia masnada, che va piangendo i suoi eterni danni ». 42 Io non osava scender della strada per andar par di lui ; ma il capo chino tenea, come uom che reverente vada. 45 Ei cominciò : (( Qual fortuna o destino anzi l'ultimo di qua giù ti mena? e chi è questi che mostra il cammino? » 48 27. Difese. — liiipe(il il rico- 3;,. Traccia. — Schiera, com'i- noscimento. tiva. 32. Brunetto Latini. — Fio- 35. Asseggia. — Segga. rentLno (1210 (?) 1294), guelfo, ^g. Punto. — Un momento, poeta, notaio e poi cancelliere „ Sg„j,a arrostarsi quando il di Firenze, e ambasciatore pres- . ' ., ,„^^. .- , „ ^^ Aif.., „ V j- /- .• 1- lOco 11 leggia. — Senza scher- so Alfonso X re (ii Casliglia. . . °° , , r Sconfitti i guelfi a Montaperti mirsi m qualche modo dal fuoco, riparò in Francia, donde rimpa- 4°- ^' panni. — Di fianco, trio nel 1266, e partecipò a tutti 42. Danni. — Pene, gli affari pubblici della sua cit- 44. Par di lui. — Al fianco, a tà, e guidò gli studi di Dante. livello. — 91 — La Divina CoMisrEDiA (( Là su di sopra in la vita serena, rispos' io lui, mi smarrì' in una valle, avanti che l'età mia fosse piena. Pur ier mattina le volsi le spalle : questi m'apparve, tornand' io in quella, e riducemi a ca per questo calle ». Ed egli a me : « Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto, se ben m'accorsi nella vita bella ; e s' io non fossi si per tempo morto, veggendo il cielo a te cosi benigno, dato t' avrei all' opera conforto. Ma queir ingrato popolo maligno, che discese di Fiesole ab antico e tiene ancor del monte e del macigno, ti si farà, per tuo ben far, nimico; ed è ragion, che tra li lazzi sorbi si disconvien fruttare al dolce fico. Vecchia fama nel mondo li chiama orbi, gente avara, invidiosa e superba : da' lor costumi fa che tu ti forbi. La tua fortuna tanto onor ti serba, che l'una parte e l'altra avranno fame di te; ma lungi fìa dal bécco l'erba. 51 54 57 60 63 66 69 72 <;i. Piena. — Compiuta. 52. Pur ier mattina. — Solo ieri mattina, 8 aprile. 54. Ca. — Casa, 55. Se tu segui ere. — Dante era nato quando il sole era nel'a costellazione dei Gemelli, la qua- le, secondo gli astro'ogi, predi- spone gli uomini aJla scienza. 61. Popolo. — Di Firenze, che S.Ì considera derivato da quello di Fiesole. 6.!;. Tra li lazzi sorbi ecc. — Nca è ronveniente al fico [rulli- fìcare fra i sorbi, che sono di sa- pore aspro. 67. Vecchia fama ecc. — I fio- renitini, dice la leggenda, furono chiamati orbi, perchè si lascia- rono ingannare da Totiia, che si mostrò loro amico per pren- dere la città, e poi dai Pisani, accettando da essi due colonne di Porfido giù guaste dal fuoco. 6g. Fttrbi. — Ti serbi immune. 71. Che l'una parte e l'altra. — I Bianchi e i Neri. 72. Ma lungi fìa ecc. — Non potranno averti. 92 Inferno - Canto X\' Faccian le bestie fiesolane strame di lor medesme, e non tccchin la pianta, s 'alcuna surge ancora in lor letame, 75 in cui riviva la sementa santa di quei roman, che vi rimaser quando fu fatto il nido di malizia tanta ». 78 (( Ss fosse tutto pieno il mio dimando, risposi lui, voi non sareste ancora dell'umana natura posto in bando; 81 che in la mente m' è fitta, ed or mi accora, la cara e buona imagine paterna di voi, quando nel mondo ad ora ad ora 84 m'insegnavate come l'uom s'eterna; e quant' io l'abbia in grado, mentre io vivo convien che nella mia lingua si scerna. 87 Ciò che narrate di mio corso scrivo, e serbolo a chiosar con altro testo a donna che saprà, se a lei arrivo. 90 Tanto vogl' io che vi sia manifesto, pur che mìa coscienza non mi garra, che alla fortuna, come vuol, son presto. 03 Non è nuova agli orecchi miei tale arra : però giri fortuna la sua rota, come le piace, e il villan la sua marra ! » 90 7:;. Bestie flesolaue. — I fìu- rentini. 74. Pianta. — Dante vanta la sua origine da gente romana e non da quella fiesolana. 77-7S. Quando fu fatto il ni= do. — Quando accanto ai Ro- niani originari posero s:anza i fiesolani. 79. Pieno. — E- audito. 81. Dell'umana natura ecc. — Non sareste ancor morto. 82. M'accora. — Perchè abbru- stolito. 84. Ad ora ad ora. — A quan do a quando. 87. Nella mia lingua ecc. — Si riconosca nelle mie parole. 88. Corso. — Vita. 8g. Chiosar con altro testo. — .Spiegare, insieme con le parole di Ciacco e la predizione di Fa- rinata. go. Donna che saprà. — Bea- trice, che me lo saprà spiegare. g2. Garra. — Rimorda. 93. Presto. — Preparato, 94. Arra. — • Promessa, mer- cede, rifercntesi alla predizic'ne di Brunetto. — Q3 La Divina Commedia Lo mio maestro allora in su la gota destra si volse indietro, e riguardommi ; poi disse : « Bene ascolta chi la nota ». 99 Né per tanto di men parlando vommi oon ser Brunetto, e dimando chi sono 11 suoi compagni più noti e più sommi. 102 Ed egli a me: «Saper d'alcuno è buono: degli altri fia laudabile il tacerci, che il tempo sarìa corto a tanto suono. 105 In somma sappi che tutti fùr cherci e letterati grandi e di gran fama, d'un medesmo peccato al mondo lerci. 108 Priscian sen va con quella turba grama, e Francesco d'Accorso anche; e vedervi, s'avessi avuto di tal tigna brama, 111 colui potei che dal servo de' servi fu trasmutato d'Amo in Bacchigliene, dove lasciò li mal protesi nervi. 114 Di più direi ; ma il venir e il sermone più lungo esser non può, però eh' io veggio là surger nuovo fummo dal sabbione. 117 07. Maestro. — Virgilio. QQ. Bene ascolta chi la nota. E' buon uditore colui rlie tìen conto di ciò che sente. 100. Né per tanto di men ecc. — Ad cella della inttt ruzione di Virgilio, non interrompo di par- lare con Brunetto. lo.i^. A tanto suono. — Tanto sono numerosi. jn6. Ciierci. — Chierici. J08. Lerci. — Macchiati. 109. Priscian. — Prisciano di Cesarea (città della Mauritania) celebre grammatico del 6° se- colo d. C. no. Francesco d'Accorso. — Fisjlio del giurista Accursio ; fu erande giurista egli pure (1225-1293); professore a Ox- ford con Edoardo I, poi insegnò a Bologna ove mori. 111. Tigna. — Sozzura. 112. Colui potei ecc. — Potevi vedervi. Andrea de' Mozzi, cano- nica e poi vescovo di Firenze (1289), trasferito a Vicenza ove mori nel 1296. Servo de' servi. — 11 papa, cIk^ ò chiainato negli atti della chie- sa : servus servoru»Ji Dei. 113. D'Arno in Bacchi gliojie. — Da Firenze a Vicenza. 114. Lasciò. — Mori. 117. Fummo. — Polverio sol- levato da altra s.chie'ra. 94 — Inferno - Canto %Vl Gente vien, con la quale esser non deggio ; sieti raccomandato il mio «Tesoro», nel quale io vivo ancora; e più non cheggio». 120 Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna ; e parve di costoro quegli che vince, non colui che perde. 124 ]i8. Tesoro. — Opera princi- corsa del Palio, o drappo cclo- pale di Brunetto Latini, scritta rato, che si dava in premio ai in liingua francese, e tradotta vincitori. Fu istituito nel 1207, in italiano da Bono Giamboni. per festeggiare la vittoria ripor- 120. Vivo, — Ho fama. tata sui Conti di San Boniiacio 122. Il drappo. — Spettacolo e i Montecchi. popolare che si faceva la prima 124. Quegli che vince. — T.il- domenica di quaresima per la mente Brunetto correva. CANTO XVI Già era in loco ove s'udia il rimbombo dell'acqua che cadea nell'altro giro, simile a quel che l'amie fanno rombo ; 3 quando tre ombre insieme si partirò, correndo, d'ima torma che passava sotto la pioggia dell'aspro martiro. 6 Venian vèr noi, e ciascuna gridava : «Sostati tu, che all'abito ne sembri essere alcun di nostra terra prava )>. 9 Ahi me, che piaghe vidi ne' lor membri, recenti e vecchie, dalle fiamme incese ! Ancor men duol, pur eh' io me ne rimembri. 12 Alle lor grida il mio dottor s'attese, volse il viso vèr me, e : (( Ora aspetta, disse, a costor si vuole esser cortese; 15 2. Giro. — Cerchio ottavo. 9. Terra prava. — F"iiienze. T,. Simile a quel che l'arme 11. Incese. — Accese. fanno rombo. — Simile al ronzio 12. Pur. — Solo. rhe fanno le api attorno alle ar- i;^. S'attese. — Prestò atten- nie o alveari. zione. — 9^ — La Divina Commedia e se non fosse il foco che saetta la natura del loco, io dicerei che meglio stesse a te, che a lor, la fretta ». 18 Ricominciar, come noi ristemmo, ei l'antico verso; e quando a noi fùr giunti, fenno una rota di sé tutti e trei. 21 Qual sogliono i campion far nudi ed unti, avvisando lor presa e lor vantaggio, prima che sien tra lor battuti e punti ; 24 cosi, rotando, ciascuno il visaggio drizzava a me, si che in contrario il collo faceva a' pie continuo viaggio. 27 K Eh, se miseria d'eslo ioco sollo rende in dispetto noi e nostri preghi, cominciò l'uno, e il tinto aspetto e brollo, 30 la fama nostra il tuo animo pieghi a dirne chi tu se', che i vivi piedi cosi sicuro per lo inferno freghi. 33 Questi, l'orme di cui pestar mi vedi, tutto che nudo e dipelato vada, fu di grado maggior che tu non credi : 3() nepote fu della buona Gualdrada ; Guido Guerra ebbe nome, ed in sua vita fece col senno assai e con la spada. 39 i8. La fretta. — Di andar lo- a voilgere il collo in senso con- ro incontro. trarlo dei piedi. ig. Ei. — - Essi. 28. Loco sollo. — Luogo arc- 20. Verso. — Pianto. noso, cedevole. 21. Fenno una rota tutti e 29. Rende ecc. — Ci fa spre- trei. — Si disposero in circolo gevoli. tutti e tte. 30. Tristo aspetto e brollo. — 22. Campion. — Lottatori eh} Aspetto abbruciiato e scorticato, combattevano nei) duelli gludizia- 37. Gualdrada. — Figlia di ri, per sostenere le lagioni d'ai- Bellincione Berti de' Ravignanì, tri, che avevan diritto di non il niaggiore cavaliere di Firenze ; combattere personalmente. moglie del conte Gu!do Gtierra 23. Avvisando ecc. — Badan- IV', tipo di virtù domestica; cb- (\o al modo di prendere ravv. 45 S'io lussi stato dal foco coperto, gittato mi sarei tra lor di sotto, e credo che il dottor 1' avria sofferto. 48 Ma perch' io mi sarei bruciato e cotto, vinse paura la mia buona voglia, che di loro abbracciar mi faoea ghiotto. 51 Poi cominciai : (c Non dispetto, ma doglia la vostra condizion dentro mi fìsse tanto che tardi tutta si dispoglia, 54 tosto che questo mio signor mi disse parole, per le quali io mi pensai che, qual voi siete, tal gente venisse. 57 Di vostra terra sono ; e sempre mai l'opre di voi e gli onorati nomi con affezion ritrassi ed ascoltai. 60 Lascio lo fele, e vo per dolci pomi promessi a me per lo verace duca ; ma fino al centro pria convien eh' i' tomi n. US (( Se lungamente l'anima conduca le membra tue, rispose quegli allora, e se la fama tua dopo te luca, (36 ebbe parte nella battaglia di Be- 4-. La fiera moglie ecc. — La nevento. Rientrò in Firenze nel iiio,£flie insopportabile, dalia qua- 1267 e vi mori nel 1272. le dovè separarsi. 41. Tegghiaio Aldobrandi. — 46. Coperto. — Riparato. • Degli Adimari, prode cavaliere ^y_ Gittato. — SareL disceso da e autorevole cittadino, sconsigliò loro nel sabbione. sene'r^'''*'"' '"''"'"''''^ ''''"^'■'' ' ' .S4- Si dispoglia. - Si dilegua, ^'"voce. — Fama 60. Ritrassi. — Conobbi. 44. Rusticucci. — Cavaliere 61. Fele. — Il male. — Pomi. fiorentino, procuratore speciale I* J;'^"^." r. del comune *di Firenze ; dopo la Torni. — Scenda, battaglia di Montaperti ebbe la 64. Se lungamente ecc. — casa distrutta dai ghibellini. Così possa lungamente ecc. — 97 — La Divina Coinimedia cortesia e valor di' se dimora nella nostra città si come suole, o se dei tutto se n' è gita fuora ; 69 che Guglielmo Borsiere, il qual si duole con noi per poco, e va là coi compagni, assai ne cruccia con le sue parole ». 72 ure venuta dal conta- 90. Parve. — Parve oppor- do. tuno. Sùbiti. — Rapidi, facili. 93. Per parlar. — Parlando. 78. Come al ver si guata. — 94-100. Come ecc. — Paragona Con »Uii;oro. la caduta del Flegetontc dal set- cj8- Inferno - Canto XVI che si chiama Acquacheta suso, avante che si divalli giù nel basso letto, ed a Ferii di quel nome è vacante, 99 rimbomba là sopra San Benedetto dell'Alpe, per cadere ad una scesa, ove dovea per mille esser ricetto ; 102 cosi, giù d'una ripa discoscesa, trovammo risonar quell'acqua tinta, si che in poc'ora avria l'orecchia offesa. 105 Io aveva una corda intorno cinta, e con essa pvensai alcuna volta prender la lonza alla pelle dipinta. 108 Poscia che l'ebbi tutta da me sciolta, si come il duca m'avea comandato, porsila a lui aggroppata e ravvolta. Ili Ond'ei si volse in vèr lo destro lato, e alquanto di lungi dalla sponda la gittò giuso in quell'alto burraio. 114 « E pur convien che novità risponda, dicea fra me medesmo, al nuovo cenno che il maestro con l'occhio si seconda)). 117 Ahi, quanto cauti gli uomini esser denno presso a color, che non veggion pur l'opra,. ma per entro i pensier miran col senno! 120 Ei disse a me : « Tosto verrà di sopra ciò eh' io attendo, e che il tuo pensier sogna tosto convien ch'ai tuo viso si scopra)). 123 timo all'ottavo cerchio alla ca- — Monastero di .San Buiedetto, scafa del torrente Acquacheta, (he, non ostante le sue iinmensc nell'Appennino romagnolo, sopra ricchezze, albergava soltanto pi> la badia di S. Benedetto, che chi monaci, verso Forlì cambia nome £jet- 10.15. Offesa. — Assordata, tandosii nel fiume Montone. Que- 106. Corda. — Forse il cordo- sto è il primo della costa sinistra ne dell'ord'ne di .San Francesco dell'Appennino, che vada diretta- simboi'egg'ante la castità, mente al mare, perchè gli altri 107. Con es.sa pensai tee. — che lo precedono sono tutti af- Seguendo la regola di S. Fran- fluenti del Po, che scende dal cesco sperai vincere la lussuria Monviso (Monte Veso). (se la lonza ne è il simbolo). loi. Scesa. — E' la cascata 114. Burraio. — Profondo pre- dei Romiti, sopra San Bene- cipizlo. detto. 117. Seconda. — Segue coU'oc- 102. Ove dovea per mille ecc. chio.. - 99 — La Divina Commedia Sempre a quel ver e' ha faccia di menzogna dèe l'uom chiuder le labbra fin ch'ei puote, però che senza colpa fa vergogna ; ma qui tacer noi posso : e per le note di questa commedia, lettor, ti giuro, s'elle non sien di lunga grazia vote, ch'io vidi per quell'aer grosso e scuro venir nuotando una figura in suso, meravigliosa ad ogni cor sicuro, si come torna colui che va giuso talora a solver àncora, eh' aggrappa o scoglio o altro che nel mare è chiuso, che in su si stende e da pie si rattrappa. iJ4-i2(). Sempre a quel ver ecc. — L'ucmo deve evitare di parlare di cose o fatti ineravi- fjliosi, che i>&ison esser presi per falsi. 137-ijQ. lì per le note. — Le mie parole non siano care a 126 129 132 13U lungo ai lettori se io non vidi, ecc. 133. Colui. — Il mariaiaio. 134. Solver. — Sciogliere. 131^. Chiuso. — Nascosto. 136. Cile iu su si stende ecc. — Protende il corpo in allo e ritrae le gambe. CANTO XVI! « Ecco la fiera con la coda aguzza, che passa i monti e rompe i muri e l'armi ; ecco colei che tutto il mondo appuzza )>. Si cominciò lo mio duca a parlarmi, ed accennolle che venisse a proda, vicino al fin de' passeggiati marmi ; e quella sozza imagine di froda sen venne, ed arrivò la testa e il busto, ma in su la riva non trasse la coda. 9 I. riera. — Gerione, gigante a (re teste, figlio di Crisaore e di Calirroe re dell'isola Eritta nei mari occidentali, ucciso da Erco- le per rapirgli il gregge. Dan- te ne fa il simbolo della frode e Io pone a guardia dell'ottavo cer- chio. 6. Vicino al fin de' passeggia ti marmi. — Sul limitare degli argini di i)i(>tra su cui avevano tinora camminalo. Inferno •• Canto XVII La faccia sua era faccia d'uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle ; e d'un serpente tutto l'altro fusto. 12 Due branche avea pilose infìn l'ascelle; lo dosso e il petto ed ambedue le coste dipinte avea di nodi e di rotelle : 15 con più color, sommesse e soprapposte non fér mai drappo tartari né turchi, né fùr lai tele per Aragne imposte. 18 Come talvolta stanno a riva i burchi, che parte sono in acqua e parte in terra, e come là tra li tedeschi lurchi 21 Io bévero s'assetta a far sua guerra ; cosi la fiera pessima si stava su l'orlo che, di pietra, il sabbion serra : 24 nel vano tutta sua coda guizzava, torcendo in su la venenosa forca che, a guisa di scorpion, la punta armava. 27 Lo duca disse : (c Or convien che si torca la nostra via un poco infino a quella bestia malvagia che colà si corca )>. 30 Però scendemmo alla destra mammella e dieci passi femmo in su lo stremo, per ben cessar la rena e la fiammella : 33 e quando noi a lei venuti semo, poco più oltre veggio in su la rena gente seder propinqua al loco scemo. 36 Quivi il maestro : « Acciò che tutta piena esperienza d'esto giron porti, mi disse, or va, e vedi la lor mena. 39 14. Coste. — • Fianchi. sua guerra. — 11 castoro si di- 15. Di nodi e di rotelle. — spone sulla riva a prendere i Simboleggiano i lacci e i raggi- pesci, con la coda nell'acqua. ri degl'ingannatori. 2.^. Nel vano. — Nell'aria. Aragne. — Celebre tessitrice di 26. Forca. — Ceda forcuta, Lidia, mutata in ragno da Mi- r^erchè l'uomo può usar frode in nerva con cui volle gareggiare chi si fida e in chi non si fida, nell'arte del tessere. 33. Cessar. — Causare. 19. Burchi, — Navicelle. 36. Propinqua al loco scemo. 21. Lurchi. — Beoni e ghiot- — Vicina al burrato. Ioni. 3g. Mena. — L'agitar dell'' 22. Lo bévero s'assstl^i a far mani per alleviare il lormento. Dante. La Divina Commedia Li tuoi ragionamenti sian là corti : mentre che torni parlerò con questa, che ne conceda i suoi omeri forti». 42 Cosi ancor su per la strema testa di quel settimo cerchio, tutto solo andai, ove sedea la gente mesta. 45 Per gli occhi fuori scoppiava lo duolo ; di qua, di là soccorrien con le mani, quando a' vapori, quando al caldo suolo : 48 non altrimenti fan di state i cani, or col ceffo, or col pie, quando son morsi 0 da pulci o da mosche o da tafani. 51 Poi che nel viso a certi gli occhi pòrsi, ne' quali il doloroso foco casca, non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi 54 che dal collo a ciascun pendea una tasca, che avea certo colore e certo segno, e quindi par che il loro occhio si pasca. 57 E com' io riguardando tra lor vegno, in una borsa gialla vidi azzurro, che d' un leone avea faccia e contegno. OO Poi procedendo di mio sguardo il curro, vidine un'altra come sangue rossa mostrando un'oca bianca più che burro. 63 Ed un, che d'una scrofa azzurra e grossa segnato avea lo suo sacchetto bianco, mi disse : « Che fai tu in questa fossa ? (56 Or te ne va ; e perché se' vivo anco, sappi che il mio vicin Vitaliano sederà qui dal mio sinistro fianco : 69 4j. Ancor su per la strema te 6i. Curro. — Coiao. sta. — ' Continuando da solo il 62. Altra. — Borsa, lammino sul!' orlo estremo del 63. Oca biauca più che burro. c( rchio. — L'arma dejjii Obriachi, ghi- 55. Tasca. — Bursa. bellini fiorentini. i:;7. Il loro occhio si pasca. — 64. Scrofa. — L' arma degli Si offra sempre agli occhi, fontt Scrove.efni di Padov.u. di tortura perenne. 68. Vicin. — CoPicittadino. 60. Faccia e contegno E'I) Vitaliano. — Forse è Vitalian . stemma del Gianfigiiazzi di Fi- del Dente, padovano, podestà del renze : guelfi ed esiliati dopo li la sua città, oppure è Vitaliano battaglia di Montaperli. Vitaliani, celebre usur.i'o. Inferno - Canto XVII con questi, fìorentin, son padovano ; spesse fiate m' intronan gli orecchi, gridando : ' Vegna il cavalier sovrano, 72 che recherà la tasca co' tre bécchi ' ». Qui distorse la bocca, e di fuor trasse la lingua, come bue che il naso lecchi. 75 Ed io, temendo no 'I più star crucciasse lui che di poco star m'avea ammonito, torna' mi indietro dall' anime lasse. 78 Trovai lo duca mio eh' era salito già su la groppa del fiero animale, e disse a me : a Or sie forte ed ardito ; 81 ornai si scende per si fatte scale : menta dinanzi, eh' io voglio esser me/.zn, si che la coda non possa far male». 84 Qual è colui, e' ha si presso il riprezzo della quartana, e' ha già 1' unghie smoric, e trema tutto, pur guardando il rezzo, 87 tal divenn' io alle parole porte; ma vergogna mi fa' le su2 minacce, che innanzi a buon signor fa servo forte. 9i) Io m' assettai in su quelle spallacce ; si volli dir, ma la voce non venne coiti' io credetti : « Fa che tu m' abbracce ». 93 Ma esso, che altra volta mi sovvenne ad altro forse, tosto eh' io montai con le braccia m' avvinse e mi sostenne ; 9G e disse : « Gerion, muoviti omai ! le rote larghe e lo scender sia poco : pensa la nuova soma che tu hai ». 99 7-'. Cavalier sovrano. — Gio- 8^. Mezzo. — Fra te e la coda, vannii Buiamonti, grande usu- ,s<^. Colui. — Il febbricitante, laio finito poi miseramente. Riprezzo. — Biivldo. 73. La tasca con tre becchi. — 73. La tasca con tre becchi. — E' l'arma di Buiamonti. Sol guardando il rezzo (luogo 76. Temendo no '1 piìi star ombroso e fresco). crucciasse. _ Temendo che il 95. Altro forse. — In altro m'o fermarmi e'i desse noia. passe difficile. 77. Lui. — Virgilio. 08. Ruote. — Giri. La Divina Commedia Come la navicella esce del loco in dietro in dietro, si quindi si tolse ; e poi eh' al tutto si senti a giuoco, 102 là ov'era il petto, la coda rivolse, e quella tesa, come anguilla, mosse, e con le) branche l'aria a sé raccolse. 105 Maggior paura non credo che fosse quando Fetòn abbandonò li freni, per che il ciel, come pare ancor, si cosse, 108 né quando Icaro misero le reni senti spennar per la scaldata cera, gridando il padre a lui : ((Mala via tieni », 111 che fu la mia, quando vidi ch'i 'era nell'aer d'ogni parte, e vidi spenta ogni veduta, fuor che della fiera. 114 Ella sen va nuotando lenta lenta ; rota e discende, ma non me n' accorgo se non ch'ai viso di sotto mi venta. 117 Io sentìa già dalla man destra il gorgo far sotto noi un orribile stroscio ; per che con gli occhi in giù la testa sporgo. 120 Allor fu' io piìi timido allo scoscio, però eh' io vidi fochi e sentii pianti ; ond'io tremando tutto mi raccoscio. 123 E vidi poi, che noi vedea davanti, lo scendere e il girar per li gran mali che s' appressavan da diversi canti. 126 i()2. A giuoco. — Libero, a sole, cosicché csl'i cadde nel nia- siio agio. re. 107.' Fetonte. — Figlio del So j,2. Mia. — Paura, le e di Climene: guidando i ca- u-,. Se non che ecc. — M'ac- valli del padre per le vie del eie- ^^^^^ j; scendere solo per l'aria lo, precipitò ncll'Lndano, ^j.,,, ^j ^^^^0 mi soffia contro. io8. Per che il ciel... — La „ r.^-r,^ it i7i * *„ Via Lattea (Galassia). ,"8. Gorgo - 11 Flegetonte ino. Icaro. - Figlio di Dcda- ^^'^ '^Ì^ "f" «"'"^^^ ^^''^•^^°- lo, il quale per fuggire da Creta i2i. Scoscio. — Scoscendimcn- co-strul delle ali, per sé e per il ^*^- lìglio, attaccandole con la cera ; 123. Mi raccoscio. — Mi slrin- ma questa si liqueffcc allorché i^o con le gambe alia gro]ipa di Icaro si avvicinò di tropjx> al Oerioaic. — 104 — Inferno - Canto X\"11I Come il lalcon eh' è stato assai su V ali, che senza veder logoro o uccello fa dire al falconiere : (( Oimè, tu cali discende lasso, onde si mosse snello, per cento rote, e da lungi si pone dal suo maestro, disdegnoso e fello : così ne pose al fondo Gerione a pie a pie della stagliata ròcca, e, discarcate le nostre persone, si dileguò come da corda cocca. 128. Logoro. — Strumento u- Fato dal falconiere per richiama- re il falcone. 129. Oimè. — Perchè rnli sen- za preda. ecc. !29 132 13G DOIK 130. Onde.., parti veloce. 132. Maestro. — Falconiere. 134. Stagliata. — A picco. 136. Cocca. — Per freccia, 1. p;irte per il ditto. CANTO XVIII Loco è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra e di color ferrigno, come la cerchia che d' intomo il volge. Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia im pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò 1' ordigno. Quel cinghio, che rimane, adunque è tondo, tra il pozzo e il pie dell'alta ripa dura, ed ha distinto in dieci valli il fondo. Quale, dove per guardia delle mura pili e pili fossi cingon li castelli, la parte dov'ei son rende figura; 12 BoU valli. I. Ma!eboIge. fesse del male. 3. Cerchia. — Ripa. » La roc- ca stagliata » del settimo cerchio. 4. Nel dritto mezzo. — Pro- prio nel mez;;c. t;. Vaneggia. — ■ S'apre, si sprofonda. Pozzo. — Nono cerchio. ò. Suo loco. — A suo luogo. 7. Cinghio. — Spazio circolare fra il pozzo e la ripa del settimo cerchic>. ' 12. Rende figura. — Prende aspetto. iof5 — f.A DniNA Commedia tale imagine quivi facean quelli : e come a tai fortezze dai lor sogli alla ripa di fuor son ponticelli, 15 così da imo della roccia scogli movìen, clie ricidean gli argini e i fossi infino al pozzo, che i tronca e raccògli. 18 In questo loco, della schiena scossi di Gerion, trovammoci ; e il poeta tenne a sinistra, ed io retro mi mossi. 21 Alla man destra vidi nuova pietà, nuovi tormenti e nuovi frustatori, di che la prima bolgia era repleta. 24 Nel fondo erano ignudi i peccatori : dal mezzo in qua ci venìan verso il volto, di là con noi, ma con passi maggiori ; 27 come i roman, per l'esercito mOlto, l'anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo còlto, 30 che dall' un lato tutti hanno la fronte verso il castello e vanno a Santo Pietro, dall'altra sponda vanno verso il monte. 33 Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battean crudelmente di retro. 3G Ahi, come facean lor levar le berze alle prime percosse I già nessuno le seconde aspettava né le terze. 39 Mentr'io andava, gli occhi miei in uno furo scontrati ; ed io sì tosto dissi : « Di già veder costui non son digiuno ». 42 13. Quelli. — I dieci fossi con- og. Esercito. — Folla, centrici. 30. Hanno.... modo colto. — 16. Da imo. — Dal basso del- Hanno trovato modo, la balza. 32. Castello. — Sant'Angtlo. J7. Movièn. — Si, partivano. '33. Il monte. — Forse il mon- ib. Che i... — Che li... le' Giordano su cui eran le cas;^ 24. I^epleta. — Ripiena. degli Orsinii. 26. Dal me.'zo ecc. — Una 35. Ferze. — Sferze, schiferà camminava inconti'o ai 37. Berze. — (^alca<:jna. due poeti, l'altra invece andava 42. Di già veder costui ecc. — rolla stPissa direzione di Danto e Non è la prima voUa che vedo Virt^ilio. costui. — 106 — Inferno - Canto X\'III Per eh' io a figurarlo i piedi affissi : e il dolce duca meco si ristette, ed assentì ch'alquanto indietro gissi. 45 E quel frustato celar si credette bassando il viso, ma poco gli valse ; ch'io dissi : «Tu che l'occhio a terra gette, 48 se le fazion che porti non son false, Venedioo se' tu Caccianimico ; ma che ti mena a sì pungenti Salse? » 51 Ed egli a me : « Mal volentier lo dico ; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico. 54 Io fui colui, che la Ghisolabella condussi a far la voglia del Marchese, come che suoni la sconcia novella. 57 E non pur io qui piango bolognese ; anzi n' è questo loco tanto pieno che tante lingue non son ora apprese 60 a dicer ' sipa ' tra Savena e Reno : e se di ciò vuoi fede o testimonio, recati a mente il nostro avaro seno ». 63 Così parlando il percosse un demonio della sua scuriada, e disse : <( Via, ruffian, qui non son femmine da conio ». 66 Io mi raggiunsi con la scorta mia : poscia con pochi passi divenimmo là 've uno scoglio della ripa uscia. 69 4-. Affissi. — Arrestai. daveri dei p:iusti/iati. Qui vale 40. Fazioa. — Fattezze. per luog;o di pena. 50. Venedico ecc. Vencdico ?,^- GhisolabeUa. — .Sorella di Caccianimico dell'Orso, bologne- Caccianimico, e, dicesi, da lui ..,,,, ■ ■'„ A 1 ^,, venduta al marchese Obizzo se, partecipò ali uccisione d;l cu- ,^ Sfino Guido Paltena, e fu accusa- ^ gi.^Sipa. _ Idiotismo holo- (o di aver dato ricetto a un mal- n-nrse • Sia Tra Savena e fattore; fu capitano del popolo pteno.' Ciré a Boloona. a Modena (1273), podestà d'Irne^ ' (^^ Seno. — Indole, caratt.- la, di Milano (1275) e di Pistoia ^„_ " (1283); fu brandito da Rologna 66. Femmine da conio. — Don- nei 1289. ne vendute. 1^1. Salie. — Valletta presso 68. Divenimmo. — Pervenini- Brijoona ove si gettavano i ca- mo. — 107 — r.A [Divina Commedia Assai leggeramente quel salimmo ; e volti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie eterne ci partimmo. 72 Quando noi fummo là dov'ei vaneggia di sotto, per dar passo agli sferzati, lo duca disse : » Attienti, e fa che feggia 75 10 viso in te di questi altri mal nati, a' quali ancor non vedesti la faccia però che son con noi insieme andati ». 78 Del vecchio ponte guardavam la traccia, che venia verso noi dall'altra banda e che la ferza similmente scaccia. 81 11 buon maestro, senza mia dimanda, mi disse : <( Guarda quel grande che viene, e per dolor non par lagrime spanda : 84 quanto aspetto reale ancor ritiene ! Quelli è Giason, che per core e per senno li Colchi del monton privati fène. 87 Egli passò per l'isola di Lenno, poi che le ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno. 90 Ivi con segni e con parole ornate Isiflle ingannò, la giovinetta che prima l'altre avea tutte ingannate. ' 93 Lasciolla quivi gravida soletta : tal colpa a tal martiro lui condanna ; ed anche di Medea si fa vendetta. 96 7;^. Vaneggia. — Fa .arco, si rhe abbanclrmò pc-v Creusa, figlia protende sul vuoto. di Creonte, re di Corinto. ys,. Attienti. — Fermali. 87. Fène. — Fece. _ Feggia. — Ferisca il suo 90. A morte, ecc. — Uccisero spfuardo, tutti i maschi, perchè le trascu- T.;; 4.« •,„ ini; ravano per attendere alla guer 70. La traccia. — La iila d'i ^ • seduttori. ' ingannate. — Isifiie fece 86. (nasone. - Piglio di Eso- ^g'^fe alle do^nne che avevano ne re di Tessaglia, duce degli f^^f^, strage di tutti gli uomini, .\rgonauti alla conquista del yel- ^i; jj^^t- ucciso anche suO padre. lo d'oro in Colchidi", sodultoire ,^(,_ Medea. — Figlia di Oeta, di Isifiie, figlia di Toante regina re della Colchide, aiutò Ciiasone di Lf'nino; sodutlore di Medea, a conquistare il vel'o d'oro. — 108 — Inferno - Canto XVI TI Con lui sen va chi da tal parte inganna : e questo basti della prima valle sapere, e di color che in sé assanna ». 99 Già eravam là 've lo stretto calle con l'argine secondo s'incrocicchia, e fa di quello ad un altr'arco spalle. 102 Quindi sentimmo gente, che si nicchia nell'altra bolgia e che col muso sbuffa e sé medesma con le palme picchia. 105 Le ripe eran grommate d' una muffa, per r alito di giii che vi si appasta, che con gli occhi e col naso facea zuffa. 108 Lo fondo è cupo sì che non ci basta loco a veder senza montare al dosso dell'arco, ove lo scoglio piii sovrasta. Ili Quivi venimmo ; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco, che dagli uman privati parea mosso. 114 E mentre eh' io là giù con l'occhio cerco, vidi un col capo si di merda lordo, che non parea s'era laico o cherco. 117 Quei mi sgridò : « Perché se' tu si ingordo di riguardar più me che gli altri brutti?)) Ed io a lui : « Perché, se ben ricordo, 120 già t'ho veduto coi capelli asciutti, e sei Alessio Interminei da Lucca : però t'adocchio più che gli altri tutti ». 123 Ed egli allor, battendosi la zucca : « Qua giù m' hanno sommerso le lusinghe, ond' io non ebbi mai la lingua stucca». 126 Appresso ciò lo duca : « Fa che pinghe, mi disse, il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con gli occhi attinghe 129 07. Da tal parte. — In tal Lucca. — Cavaliere IuccIipsp, niodn. gran lusingatore e adulatore. 09. Assanna. — Racchiude. " 126. Stucca. — Sazia. IO]. Si nicchia. — - Si lamen- 127. Pinghe. — Spingi, la sommessamente. 120. Con gli occhi attinghe. 106. Grommate. — Incrostate. — Giunga con gVi occhi a ve- 114. Privati. — Cessi. dere. Alessio Interminei da ICQ ^ La Divina Commedia di quella sozza e scapigliata fante, che là si graffia con 1' unghie merdose, ed or s'accoscia, ed ora è in piede stante. 132 Taide è, la puttana, che rispose al drudo suo, quando disse : ' Ho io grazie grandi appo te r ' - ' Anzi, meraviglioss '. E quinci sien le nostre viste sazie)/. 136 i;,o. Fante. ■ — Donna. co» di Terenzio, ove sono detle ìT,^. Taide. Cortigiana ate- le parole citale da Dante, iiiesp, che fieura nell' « Eunu- CANTO XIX O Simon mago, o miseri seguaci, che le cose di Dio, che di bontate déono essere spose, e voi rapaci 3 per oro e per argento adulterate ; or convien che per voi suoni la tromba, però che nella terza bolgia state. 6 Già eravamo alla seguente tomba montati, dello scoglio in quella parte che appunto sopra mezzo il fosso piomba. 9 O somma Sapienza, quant'è l'arte che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, e quanto giusta tua virtù comparte! 12 lo vidi per le coste e per lo fondo piena la pietra livida di fóri d'un largo tutti, e ciascun era tondo. 15 I. Simon mago. — Di Sama- :;. Tromba. — Quella del ban- r"a ; e.se-citava le arti magiche dltore dei vostri misfatti, e seduceva le genti : egli volava 7- Tomba. — Sommità del comprare dagli Apostoli^ la pò- ^^'^^^j^,;'^. _ Sovrasta par- tenza che essi avevano di far n- pendico'armente. cpvere lo Spirilo Santo agli uo- jj jyjai mondo. — Inferno, mini, imponendo le mani su di 12. Comparte. — Distribuisce. essi. 15. D'un largo. — Uguali in 3. Spose. — CùnL;iiinte. larghezza. — ITO — Inferno - Canto XIX Non mi parean meno ampi né maggiori che quei che son nel mio bel San Giovanni fatti per loco de' battezzatori; 18 l'un delli quali, ancor non è molt'anni, rupp' io per un che dentro vi annegava : e questo sia suggel ch'ogni uomo sganni. 21 Fuor della bocca a ciascun soperchiava d' un peccator li piedi, e delle gambe infino al grosso; e l'altro dentro stava. 24 Le piante erano a tutti accese intrambe ; per che si forte guizzavan le giunte che spezzate averian ritorte e strambe. 27 Qual suole il fiammeggiar delle cose unte muoversi pur su per 1' estrema buccia, tal era lì da' calcagni alle punte. 30 « Chi è colui, maestro, che si cruccia, guizzando più che gli altri suoi consorti, diss'io, e cui piti rossa fiamma succia?» 33 Ed egli a me : « Se tu vuoi eh' io ti porti là giti per quella ripa che più giace, da lui saprai dì sé e de' suoi torti». 30 Ed io : (( Tanto m' è bel, quanto a te piace ; tu se' signore, e sai eh' io non mi parto dal tuo volere, e sai quel che si tace ». 39 Allor venimmo in su l'argine quarto; volgemmo, e discendemmo a mano stanca là giù nel fondo foracchiato ed arto : 42 iS. Per loco de' battezzatòri. 27. Ritorte e strambe. — Funi — Voy.zeAo o battistero, ove sta- di vimini ritorti e funi di ver- \a il sacerdote che doveva prò- mene intrecciate, cfdere aìla funzione. 28. Qual suole il fiammeggiar 20. Rupp'io ecc. — Dante era ecc. — Come le cose unte ardo- dei priori quando ruppe un poz- no solo alla superficie, cosi i Si- zetto in cui era caduto un barn- nioniaci ardevano solo nelle pian- hino e lo trasse vivo ancora. te dei pìpdi, dai calcagni alle 21. E questo ecc. — Questa dita. mìa affermazicne mi discolpa del- 3;^. Succia. — Succhia, asciu- l 'accusa di empietà. ^a. gli umori del corpo del dan- 22. Bocca. — Foro. lìato. 2^. Grosso. — Polpaccio. 37. M'è bel. — Mi è grato. 2ii. Guizzavan le giunte. — 41. Stanca. — Sinistra. .Si contorcevano le giimiure. 42. Atto. — Stretto. — Ili — La Divina Commedia e il buon maestro ancor della sua anca non mi dipose, si mi giunse al rotto di quei che si piangeva con la zanca. 45 '( O qual che se', che '1 di su tien di sotto, anima trista, come pai commessa, comincia' io a dir, se puoi, fa motto». 4S Io stava come il frate che confessa lo perfido assassin, che poi eh' è fitto richiama lui, perché la morte cessa ; 51 ed ei gridò : (c Se' tu già costi ritto, ss' tu già costi ritto, Bonifazio? di parecchi anni mi menti lo scritto. 54 Se' tu si tosto di queir aver sazio, per lo qual non temesti tórre a inganno la bella donna, e di poi farne strazio?» 57 Tal mi fec' io, quai son color che stanno, per non intender ciò eh' è lor risposto, quasi scornati, e risponder non sanno. 60 Allor Virgilio disse : <( Digli tosto : ' Non son colui, non son colui che cre.di ' » ; ed io risposi come a me fu imposto. C3 Per che lo spirto tutti storse i piedi ; poi sospirando e con voce di pianto, mi disse : « Dunque che a me richiedi? 66 44. Mi giunse al rotto. — Mi ^t,. Bonifazio. — Bonifazio pr>]-tò vicino al foro. Vili (Benedetto Cactnni), papa 4:^. Zanca. — (ianibn. dal 12^4 al 1303. 46. II di su. — La parie supe- 54. Di parecchi anni mi men= fiore del corpo. ti lo scritto. — Nirolò III credo 47. Commessa. — Piantata. di parlare a Bonifazio Vili, di 50. Poi cli'è fitto. — Condan- cui prevede la nroiic per l'ii nato ad esser propagginato, cicè ottobre 1303, mentre la peregri- sppolto vivo col capo in giù. nazione dantesca è anteriore di c;i. Ricliiama lui ecc. — Ri- tre anni, cliiama il lonfcs ore per r'iar- t;i^. Aver. — Ricchezze, dare la morte. .s6-.i7. Non temesti tórre a in- 152. Ei. — (iiovanni Gaetano ganno la bella donna. — - Ricor- Orsini eletto Papa co! nome di resti ;id ogni arte |)rr indurre N'icrc-'ò III uzA 1277 e morto nel Celestino V al gran ritiuto e far- 1280, vendette i benofici spiri- li capo della Chiesa (la bella Inali per i temperali. donna). iNi'ERxo - Canto XIX Se di saper chi io sia ti cai cotanto che tu abbi però la ripa corsa, sappi eh' io fui vestito del gran manto : 69 e veramente fui fìgliuol dell'orsa, cupido sì, per avanzar gli orsatti, che su l'avere, e qui me misi in borsa. 72 Di sotto al capo mio son gli altri tratti che precedetter me simoneggiando, per le fessure della pietra piatti. 75 Là giù cascherò io altresì, quando verrà colui ch'io credea che tu fossi, allor eh' io feci il sùbito dimando. 78 Ma più è il tempo già che i pie mi cossi e eh' io son stato cosi sottosopra, eh' ei non starà piantato coi pie rossi ; 81 che dopo lui verrà, di più laid'opra, di vèr ponente un pastor senza legge, tal che convien che lui e me ricopra. 84 Nuovo Giason sarà, di cui si legge ne' « Maccabei » : e come a quel fu molle suo re, cosi fla a luì chi Francia regge ». 87 Io non so s' io mi fui qui troppo folle, eh' io pur risposi lui a questo metro : ((Deh, or mi di', quanto tesoro volle 90 6q. Manto, — Papale nella fessura Clt-ni -ni': V, più sl- 70. Fili fìgliuol dell'orsa. — moniaco di lui. Fui di Casa Orsini. g-. Di vèr ponente. — Ber- 71. Avanzar. — Accrescere la traodo de Got già ai'civescovo potenza deq-li Orsini. ,lì Hordeaux, fra guascone: e- 72. Che su... ecc. — Nel mon- .,jj <^ttenrie il pontificato per il do intascai 1 oro, qui ho meFso , ,. ^.,. „ •, n ii„ ,.„ j; , r ' ■' favore di rihppo il Bello, le di me nel foro. ,, . ' ' ., ,• r-i y-i Altri. Papi l' rancia, e prese il nome di Clc- 75. Piatti. — Appiattati, na- mente V. scosti. S.v Giasone. — Figlio di S'i- 77. Colui. — Bonifazio. mj'ni" II e fratello di Onia IH, 7c)-S2. Ma più è il tempo ecc. sommi pontefici giudei: comprò — Io sono qui a cuocermi i pi(>di il pontificatij da! re Antioco e da vent'aniii (1J801300); Byiiil 1- introdusse costumi pagani, zio invece ve li cuocerà solo un- 86. Molle. — Condiscendriite. dici, perchè verrà a farlo cadere qu. Tesoro. — • Denaro. — 113 — La Divina Commedia nostro Signore in prima da san Pietro, ch'ei ponesse le chiavi in sua balia? certo non chiese se non : ' viernmi retro '. 93 Né Pier né gU altri tolsero a Mattia oro od argento, quando fu sortito al loco che perde l'anima ria. 9(3 Però ti sta, che tu se' ben punito ; e guarda ben la mal tolta moneta, ch'esser ti fece centra Carlo ardito. 99 E se non fosse che ancor lo mi vieta la reverenza delle somme chiavi, che tu tenesti nella vita lieta, 102 io userei parole ancor più gravi ; che la vostra avarizia il mondo attrista, calcando i buoni e su levando i pravi. 105 Di voi pastor s'accorse il vangelista, quando colei, che siede sopra l'acque, puttaneggiar coi regi a lui fu vista; 108 quella, che con le sette teste nacque e dalle dieci corna ebbe argomento, fin che virtute al suo marito piacque. Ili Fatto v'avete Iddio d' oro e d' argento : e che altro è da voi all'idolatre, se non ch'egli uno, e voi n'orate cento? 114 Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre ! » 117 04. Altri. — Apostoli. ci comandamenti di Mosè, sn- Mattia. — Eletto apostolo in condo i quali la Chiesa si gover- luoo;o di Giuda, il traditore. nò, finché i pontefici, mariti di Però ti sta. — Resta pur là. lei, furono virtuc-si. oq. Carlo. — D'Angiò: contro n-,. E che altro è da voi al» cui Niccolò III si pese, corrotto l'idolatre. — Quale differenza dall'oro di Giovanni da Precida. passa ira voi e l'idolatra. i()6. Vangelista. — San Gio- 114. Orate. — Adorate. vanni nell'Apocalisse parla di 115. Matre. — Madre. Roma pagana, e Dante applica 116. Conversione. — Al cri- le sue iiarole alla Roma papale. sliane^imo. 107. Colei. — Roma che sotto- Dote. — La donazione di Ro- mettevasi alla volontà dei Re. ma a Silvestro I, fatta da Co- io ). Sette teste. — Sette colli. stanlino, e dimostrata falsa da Ilo. Dalle dieci corna. — Die- Lorenzo Valla. — 114 — Inferno - Canto XX E mentre io gii cantava colai note, o ira 0 coscienza clie il mordesse, forte spingava con ambo le piote. 120 Io credo ben che al mio duca piacesse, con si contenta labbia sempre attese. Io suon delle parole vere espresse. 123 Però con ambo le braccia mi prese, e poi che tutto su mi s'ebbe al petto, rimontò per la via onde discese ; 126 né si stancò d'avermi a sé distretto, si mi portò sopra il colmo dell ' arco, che dal quarto al quinto argine è tragetto. 129 Quivi soavemente spose il carco, soave per lo scoglio sconcio ed erto, che sarebbe alle capre duro varco : indi un altro vallon mi fu scoperto. 133 120. Spìngava. — Tirava ciih i. i_'8. Si mi portò. — .Se pii- Picte. — Piante dei piedi. ina non mi portò. 122. Labbia. — Viso. i2<). Travetto. — Vano. i;,o. Spose, — Depi se. CANTO XX Di nuova pena mi convien far versi, e dar materia al ventesimo canto della prima canzon, eh' è d f,. ^ „ . . ' . , 76. Co . — Capo. Comincia a scorrere. nino, che sorge ad occidente drl Benaco, fra la vai Camonica e ""^s'coverno. — Governolo. il castello di Garda. ^,^ Lama. — Bassura palu- 67. Loco. — Luogo segnante dosa, il confine dei tre vescovadi: Tren- gì. Grama . — Insa'ubre. to, Brescia, Verona; forse l'Iso- 82. Vergine cruda. — Manto la dei Frali, ora Lecchi ; forse crudele. Inferno - Canto XX Li, per fuggire ogni consorzio umano, ristette co' suoi servi a far sue arti, e visse, e vi lasciò suo corpo vano. 87 Gli uomini poi, che intorno erano sparti, s'accolsero a quel loco, ch'era forte per lo pantan che avea da tutte parti. 90 Fér la città sopra quell'ossa morte; e per colei, che il loco prima elesse, Mantua l'appellar senz 'altra sorte. 93 Già fùr le genti sue dentro più spesse, prima che la mattia di Casalodi da Pinamonte inganno ricevesse. 96 Però t'assenno che, se tu mai odi originar la mia terra altrimenti, la verità nulla menzogna frodi ». 99 Ed io : « Maestro, ì tuoi ragionamenti mi son si certi e prendon si mia fede che gli ahri mi sarian carboni spenti. 102 Ma dimmi della gente che procede, se tu ne vedi alcun degno di nota ; che solo a ciò la mia mente rifìede ». 105 Allor mi disse : (( Quel, che dalla gota porge la barba in su le spalle brune, fu, quando Grecia fu de' maschi vota 108 si che appena rimaser per le cune, augure, e diede il punto con Calcanta in Aulide a tagliar la prima fune. Ili 86. Arti. — Magiche. sa dal falso consigliere Pina- Vano. — Mortale, caduco. mente, e la tenne lino al 1291. 93. Senz'altra sorte. — Senza Casalcdi. — Nome di un ca- tiane auguri, come antlcamen- stello del territc-rio bresciano, te usavasi per dare nome alle La fam'giia dei Casalodi era città. guelfa. 94. Più spesse. — Più nume- 97. T'assenno. — T'avverto, rose. 98. Originar. — Far derivare. 9:;. La mattia di Casalcdi. — qq. La verità nulla menzogna La stoltezza di .Alberto da Ca- frodi. — Nessuna n.enzogna fro- salodi, che dette ascolto a Pina- di la verità. monte dei Boinacolsi e bandi i 105. Rifiede. — Mira, suoi avversari; ne nacque vivo 106-112. Euripilo. — .Augure malcontento e perdette la signo- greco, il quale, con Calcante, ria di IMantova, 1269, che fu pre- quando parve pii!i opportuno, fe- — 119 — La Divina Commedia Euripilo ebbe nome, e cosi il canta l'alta mia tragedia in alcun loco : ben lo sai tu, che la sai tutta quanta. 114 Quell'altro, che ne' fianchi è cosi poco, Michele Scotto fu, che veramente delle magiche frode seppe il gioco. 117 Vedi Guido Bonatti ; vedi Asdente, che avere inteso al cuoio ed allo spago ora vorrebbe, ma tardi si pente. 120 Vedi le triste che lasciaron l'ago, la spola e il fuso, e fecersi indovine ; fecer malie con erbe e con imago. 123 Ma Vienne ornai, che già tiene il confine d'amen due gli emisperi e tocca l'onda, sotto Sibilia, Caino e le spine; 120 e già iernotte fu la luna tonda : ben ten dèe ricordar, che non ti nocque alcuna volta per la selva fonda )>. Si mi parlava, ed andavamo introcque. 130 ce toglier l'ancora alle navi gre- che, riunite nel porto di Aulirle, o salpare verso Troia, lanciando in Grecia soltanto i vecchi e i bambini. 110. Diede il punto. — Indicò l'ora propizia. 113. Tragedia. — L'Eneide. ii.<;. Che ne' fianchi è così po= co. — E' cosi sottile nei fianchi. 116. Michele Scotto. — Scoz- zese, indovino, astrologo e medi- co di Federico II imperatore. Scrisse un commento di Aristo- tile, e ne tradusse parecchi li- bri dall'arabo in latino. iiS. Bonatti. — Astrologo fa- moso di Foiiì, d;'l seco'o XIIT, ai servigi di Guiùo di Moiitefel- tro, e chiamato principe degli .1- strcloghi, per i suoi trattati. Assènte. — Maestro Benvenu- to, calzolaio di Parma del se- colo XIII, coltivò la magia. iig. Inteso. — .'\lteso. 121. Triste. — Fattiicch'ere. 124. Già tiene... ecc. — La lu- na è all'orizzonte, che separa i due emisferi. 126. Sibilia. — Siviglia. Caino... ecc. — Il volgo cre- deva e crede ancora di vedere nella luna Caino, che innalza u- na forcata di spine. 127. Tonda. — Piena. 128-120- Ben ecc. — 11 raggio della luna più d'una volta li gi;)- vò quando eri nella selva profonda, j jo. Introcque. — Intanto. 120 — Inferno - CANif) \\i CANTO XXI Cosi, di ponte in ponte, altro parlando, che la mia commedia cantar non cura, venimmo, e tenevamo il colmo, quando 3 ristemmo per veder l'altra fessura di Malebolge e gli altri pianti vani ; e vidiia mirabilmente oscura. fì Quale nell'arzanà de'viniziani bolle l'inverno la tenace pece a rimpalmar i lor legni non sani, 9 che navicar non ponno, e in quella vece chi fa suo legno nuovo, e chi ristoppa le coste a quel che più viaggi fece, 12 chi ribatte da proda e chi da poppa, altri fa remi ed altri volge sarte, chi terzeruolo ed artìmon rintoppa : 15 tal non per foco, ma per divina arte bollia là giuso una pegola spessa che inviscava la ripa da ogni parte. 18 Io vedea lei, ma non vedeva in essa ma che le bolle che il bollor levava, e gonfiar tutta, e riseder compressa. 21 Mentr'io là giù fisamente mirava, lo duca m.io dicendo : « Guarda, guarda ! » mi trasse a sé del loco dov'io stava. 24 Allor m.i volsi come l'uom cui tarda di veder quel che gli convien fuggire, e cui paura sùbita sgagliarda, 27 3. Colmo. — La sommità de'- 14. Volge. — Attorciglia, l'arco o ponticello. 15. Terzeruolo. — La vela mi- 4. Fessura. — Bclgia. no/e. 7. Arzanà. — Arsenale. Art-'mon. — Vela maggiore. 9. I^impalmar. — Rimpeciare Rintoppa. — I^attoppa. navigli Fconnessi. ig. Lei. — La pece. 13. Ribatte. -- Rinforza con 20. Ma che. — Più che, fiior- chicdi. ^ che. 121 [.A I')iviN"A Commedia che per veder non indugia il partire : e vidi dietro a noi un diavol nero correndo su per Io scoglio venire. 30 Ahi, quanto egli era nell'aspetto fiero 1 e quanto mi parea nell'atto acerbo, con l'ale aperte, e sopra i pie leggiero! 33 L'omero suo, ch'era acuto e superbo, carcava un peccator con ambo l'anche, e quei tenea de' pie ghermito il nerbo. 30 Del nostro ponte disse : (( O Malebranche, ecco un degli anzian di santa Zita ; mettetel sotto, ch'io torno per anche 39 a quella terra ch'i' n'ho ben tornita: ogn'uom v'è barattier, fuor che Bonturo; del no per li denar vi si fa ita». 42 Là giti il buttò, e per lo scoglio duro si volse, e mai non fu mastino sciolto con tanta fretta a seguitar lo furo. 45 Quel s'attuffò, e tornò su convolto; ma i demon, che del ponte avean copeiehio, gridar : « Qui non ha loco il santo Volto, 48 qui si nuota altrimenti che nel Serchio : però, se tu non vuoi de' nostri graffi, non far sopra la pegola soperchio ». ' 51 2S. Che per veiere non indii= 41. Bontuio. — Bonluro Dati, già il partire. — Fugge per pau- capo della parie popolare di Luc- ra nel mentre guarda con curio- ca nel principio del trecento, è sita. ritenuto da alcuni il peggiorerei 32. Acerbo. Crudele. barattieri lucchesi. Dante quindi 34-3S. L'omero suo ecc! — A- ^l"' P^'l^'.^bbe ironicamente, veva a cavalcione sugli omeri un 42- ^1 la "a. - Si dice sL peccalore 4.S- F"'"»- ~ Ladrone ; mai ca- -^6. Nerbo. — Collo del piede. "^ mastino disciolto non insegui ò- M-.ioh-on/'ho XT^ „o '1 ladrone tanto velocemente co- -ly. Malebranche. — Nome gè- , ,. 1 j- . „,„ „-j-„.. nnrico che il poeia dà ai diavoli. j^^'^^'J"^' ^^'^^^'^^^ ^" '^^'^ ^ '^'*«'^- :,S. Anzian di Santa Zita. - "'"''g; convolto. - Col dorso pie- Anziani erano chiamati dieci ma- n-aic in aria gistrati supremi di Lucca, dove "^'^g santo Vossilnl.' pa^s:irr'. — 124 — INFERNO - ("ANTO X\l ler, più oltre cinqu'ore che quest'otta, mille dugento con sessanta sei anni compiè che qui la via fu rotta. 114 Io mando verso là di questi miei a riguardar s'alcun se ne sciorina : gite con lor, ch'ei non saranno rei». 117 <( Tratti avanti, Alichino e Calcabrina, cominciò egli a dire, e tu, Cagnazzo, e Barbariccia guidi la decina. 120 Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo, Ciriatto sannuto, e GrafRacane, e Farfarello, e Rubicante pazzo. 123 Cercate intorno le boglienti pane ; costor sien salvi insino all'altro scheggio, che tutto intero va sopra le tane». 120 « O me ! maestro, che è quel che io veggio ? diss'io; deh, senza scorta andiamci soli, se tu sai ir, ch'io per me non la cheggio 129 Se tu sei si accorto come suoli, non vedi tu ch'ei digrignan li denti e con le ciglia ne minaccian duoli?)) 132 Ed egli a me : « Non vo' che tu paventi : lasciali digrignar pure a lor senno, ch'ei fanno ciò per li lessi dolenti )>. 135 Per l'argine sinistro volta dienno ; ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca per cenno, ed egli avea del cui fatto trombetta. 139 li:;. ler. — Malarocla, per ot- n6. Sciorina. — Esce un poco tener maggior fede da Virgilio, dalla pegola. ch'egli vuol ingannare dice: ie- ^^^ _ dolesti a voi. n, cinque ore più tardi di ades- i,„ „ ' ' • £-r • j ^i,„ 124. Fané. — Fame. s-ij compirono 1260 anni, da che 4? 1. ^ • ti cadde il pont'cello per il terre- ^25. Scheggio. - Ponte, molo che precedette la discesa di 126. Tane. — Bc4gie. Cristo all'Inferno. E' dunque il 13.=;. Lessi. — Le anime cotte q Aprile 1300. nella pece. - 125 — I.A i)l\l\A CoArMKlMA CANTO XXII Io vidi già cava'.ier muover campo, e cominciare stormo, e far lor mostra, e talvolta partir per loro scampo ; 3 corridor vidi per la terra vostra, o aretini ; e vidi gir gualdane, ferir tomeamenti, e correr giostra, fi quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane ; 9 né già con si diversa cennamella cavalier vidi muover né pedoni, né nave a segno di terra o di stella. 12 Noi andavam con li dieci dimoni : ahi, fiera compagnia ! ma nella chiesa coi santi ed in taverna coi ghiottoni. 15 Pure alla pegola era la mia intesa, per veder della bolgia ogni contegno e della gente ch'entro v'era incesa. 18 Come i delfini, quando fanno segno ai marinar con l'arco della schiena, che s'argomentin di campar lor legno; 21 talor cosi ad alleggiar la pena mostrava alcun dei peccatori il dosso, e nascondeva in men che non ba'.ena. 24 1. Muover campo. — Mettersi q. Istrane. — Inlrodoite dagli in marcia. stranieri. 2. Stormo. — Attaccar batla- m. Diversa. — Bizzarra, glia. 14. Nelia chiesa ecc. — Pro- Mostra. — Rassegna rli sol- verbio popolare che indica come "^'•'* ^ ,, r- • j- '^i compas^nia corrisponda ni luogo. 5. Gualdane. — Scorrerie di pente armata. ,- i„*«-„ ah 6. Torneamenti. _ Tornei. '"■ *"*''f- ~ Attenzione. 8. Cenni di castella. — Fuma- 17- Contegno,^ Condizione. le e segnali con bandiere di gicc'- 21. S'argomentin. -- Provve- no, fuochi di notte. dano. — 126 — Infermo - Canto XXT! E come all'orlo dell'acqua d'un fosso stanno i ranocchi pur col muso fuori, si che celano i piedi e l'altro grosso; 27 si stavan d'ogni parte i peccatori : ma come s'appressava Barbar iccia, cosi si ritraean sotto i bollori. 30 Io vidi, ed anco il cor me n'accapriccia, uno aspettar cosi, com'egli incontra che una rana rimane ed altra spiccia : 33i e Graffiacan, che gli era più d'incontra, gli arroncigliò le impegolate chiome, e trassel su, che mi parve una lontra. 3(5 Io sapea già di tutti quanti il nome, si li notai quando furono eletti, e poi che si chiamaro attesi come. 39 « O Rubicante, fa che tu gli metti gli unghioni addosso, si che tu lo scuoi », gridavan tutti insieme i maledetti. 42 Ed io : (( Maestro mio, fa, se tu puoi, che tu sappi chi è lo sciagurato venuto a man degli avversari suoi ». 45 Lo duca mìo gli s'accostò allato, domandoHo ond'ei fosse, e quei rispose : ((Io fui del regno di Navarra nato. 48 Mia madre a servo d'un signor mi pose, che m'avea generato d'un ribaldo distruggitor di sé e di sue cose. 51 Poi fui famiglio del buon re Tebaldo : quivi mi misi a far baratteria, di che io rendo ragione in questo caldo ». 54 E Ciriatto, a cui di bocca uscia d'ogni parte una sanna come a porco, gli fé' sentir come l'una sdrucia. 57 27. L'altro grosso. ~ Il gres- 48. Io fui del regno ecc. — so del corpo. Ciampolo Navarrese, grande ba- ;ì,},. Rimane. — Col muso l'uori. rattiere. Spiccia. — Si ritira veloce già 52. Tebaldo. — TebaWo II, nell'acqua. conte di Sciampagna, e re di Na- 39. Come. — Con quali nomi varrà nel 1253. si chiamavano. — 127 — r.A OivfN'A Commedia Tra male gatte era venuto il sorco ; ma Earbariccia il chiuse con le braccia, e disse: «State in là, mentr'io lo inforco »; 00 e al maestro mio volse la faccia : « Domanda, disse, ancor, se più desìi saper da lui, prima ch'altri il disfaccia». 63 Lo duca dunque : ce Or di', degli altri rii conosci tu alcun che sia latino sotto la pece?» E quegli: <( Io mi partii 60 poco è da un, che fu di là vicino; cosi foss'io ancor con lui coperto, ch'io non temerei unghia né uncino ». 60 E Libicocco : « Troppo avem sofferto », disse, e presegli il braccio col ronciglio, si che, stracciando, ne portò un lacerto. 72 Draghignazzo anche i volle dar di piglio giuso alle gambe ; onde il decurio loro si volse intorno intorno con mal piglio. 75 Quand'elli un poco rappaciati fòro, a lui, che ancor mirava sua ferita, domandò il duca mio senza dimoro : 78 « Chi fu colui, da cui mala partita di' che facesti per venire a proda?» Ed ei rispose : <( Fu frate Gomita, • 81 quel di Gallura, vasel d'ogni froda, ch'ebbe i nimici di suo donno in mano, e fé' si lor che ciascun se ne loda : 84 denar si tolse, e lasciolli di piano, si com'ei dice; e negli altri uffici anche barattier fu non picciol, ma sovrano. 87 58. Sorco. — Sorcio. S3. Donno. — Signore. 6.^. Latino. — Italiano. 84. Fé sì lor. — Li trattò cosi 7u. Sofferto. - Aspettato. ,,g^^g ^.j^^ ciascuno di essi, se ne 72. Lacerto. — Ln brano di , , ' loda, carne. „ ,^. . 74. Decurio. - Il decurione. ^^- ^* r'^"«- " '^"^ '^"'^^' 81. Gomita. — Frate sardo, -'^enza processo, vicario di Nino Visconti di Pisa, 86. Si com'ei dice. — Riferi- nel Giudicalo di Gallura (nord- sce. est delia Sardesfna.) Inferno - Canto XXII Usa con esso donno Michel Zanche di Logodoro ; ed a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche. 90 O me ! vedete l'altro che digrigna : io direi anco ; ma io temo ch'elio non s'apparecchi a grattarmi la tigna ». 93 E il gran proposto, volto a Farfarello che stralunava gli occhi per ferire, disse : « Fatti in costà, malvagio uccello ! )> 96 « Ss voi volete vedere o udire, ricominciò lo spaurato appresso, toschi o lombardi, io ne farò venire; 99 ma stien le male branche un poco in cesso, si ch'ei non teman delle lor vendette : ed io, sedendo in questo loco stesso, 102 per un ch'io son, ne farò venir sette, quand'io sufolerò, com'è nostr'uso di fare allor che fuori alcim sì mette ». 105 Cagnazzo a cotal motto levò il muso, crollando il capo, e disse : <( Odi malizia, ch'egli ha pensata per gittarsi giuso ». 108 Ond'ei, ch'avea lacciuoli a gran divizia, rispose : « Malizioso son io troppo, quand'io procuro a' miei maggior tristizia». Ili Alichin non si tenne, e, di rintoppo agli altri, disse a lui : « Se tu ti cali, lo non ti verrò dietro di galoppo, 114 88. Donno Michel Zanche di lor). Lacciuoli. — A-tuzie, fio- Logodoro. — • Giudicato di Sar- di. degna (nord-ovest) di cui fu go- no. Malizioso son io troppo vernatore per il Re Enzo. ecc. — Bella malizia è la mia ! Sq. A dir di Sardigna. — A ^^c. E' delto ironicamente, raccontar le cose di Sardegna. ^^^ Tristizia. — Tormento. gì. L altro - Farfarello. p. rintoppo. _ Contra- 04. E li gran pronosto. — . ' "• . *^^ „ y . . = " - riamente. "l'oo^^^'M^k branche. - I dia- '^4-ii.v Io non ti verrò dietro ^•oli di galoppo ecc. — lo non dovrò In cesso. — Cessin di tortu- usare le gamb- come te, ma ho rarci. le ali, più rapide. — 129 — La Divina Commedia ma batterò sopra la pece 1' ali : lascisi il collo, e sia la ripa scudo a veder se tu sol più di noi vali». 117 O tu che leggi, udirai nuovo ludo! Ciascun dall'altra costa gli occhi volse; quei prima, eh' a ciò fare era pili crudo. 120 Lo navarrese ben suo tempo colse, fermò le piante a terra, e in un punto sahò e dal proposto lor si sciolse. 123 Di che ciascun di colpa fu compunto, ma quei più, che cagion fu del difetto ; però si mosse, e gridò : ((Tu se' giunto ! » 126 Ma poco i valse, che l'ali al sospetto non poterò avanzar : quegli andò sotto, e quei drizzo, volando suso, il petto ; 129 non altrimenti l'anitra di botto, quando il falcon s'appressa, giù s' attuffa, ed ei ritorna su crucciato e rotto. 132 Irato Calcabrina della buffa, volando dietro gli tenne, invaghito che quei campasse per aver la zuffa. 135 E come il barattier fu disparito, cosi volse gli artigli al suo compagno, e fu con lui sopra il fosso ghermito. 138 Ma 1' altro fu bene sparvier grifagno ad artigliar ben lui, e ambedue cadder nel mezzo del bogliente stagno. 141 Lo caldo sghermitor subito fue : ma però di levarsi era niente, si aveano inviscate l'ali sue. 144 ii6. Lascisi il collo ecc. — La- 127. AI sospetto. — .Mia pau- scianio la sommità deirargine e ra che fece Ciampoio veloce, nascondiamoci giù per il pendìo. 132. Ei. — Il falcone. 118. Ludo. — Giiioro. 133. Buffa. — Inganno. 119. Quei prima ecc." — Il 135. Invagliito clic quei cam- diavolo die si era n;o.slrato piìi passe per aver la zuffa. — Con- contrar'o alla prova. tento che Ci.inipolo ^campasse 123. Dal proposto lor. — Da per azzuffarsi con Alichino. Barbariccia. 142. Lo caldo sglitrmitor... — 125. Quei. — .Alichino. Il caldo della pece li separò. J26. Giunto. — Raggiunto. 143. Niente. — Vano. 130 — Inferno - Canto XXI II Barbariccia, con gli altri suoi dolente, quattro ne fé' volar dall'altra costa con tutti i raffi, ed assai prestamente 147 di qua, di là discesero alla posta : porser gli uncini verso gì' impaniati, eh' eran già cotti dentro dalla crosta ; e noi lasciammo lor cosi impacciati. 151 14.S. Posta. — Luogo assegnato. CANTO XXIII Taciti, soli e senza compagnia, n'andavam l'un dinanzi e l'altro dopo, come i frati minor vanno per via. 3 Vòlto era in su la favola d'Isopo lo mio pensier per la presente rissa, dov'ei parlò della rana e del topo; 6 che più non si pareggia ' mo ' ed ' issa ' che r un con l'altro fa, se ben s'accoppia principio e fine con la mente fissa : 9 e come 1' un pensier dall' altro scoppia, cosi nacque di quello un altro poi, che la prima paura mi fé' doppia. 12 Io pensava cosi : « Questi per noi sono scherniti, e con danno e con beffa si fatta ch'assai credo che lor noi. 15 4. D'Isopo. — La favola non quelio del topo e della rana d 1- è di Esopo, ma a quei tempi la favola esopiana. passa\a come esopiana. Mo... ed issa. — Ora, adesso. 7. Che più non si pareggia j-^. Per noi. Per causa no- ecc. — Perchè il caso di Alichi- stra. no e Calcabiina è identico a 1^. Che lor noi, — Che dia lor noia. Ul La Divina Commedia Se r ira sopra il mal voler s'aggueffa, ei ne verranno dietro più crudeli che il cane a quella lepre ch'egli acceffa >>. 18 Già mi sentia tutti arricciar lì peli della paura, e stava indietro intento, quand' lo dissi: «Maestro, se non celi 21 te e me tostamente, i'ho pavento di Malebranche ; noi gli avem già dietro : io gl'imagino si che già li sento». 24 E quei : « S' io tossi di piombato vetro, r imagine di fuor tua non trarrei più tosto a me, che quella d'entro impetro. 27 Pur mo veniano i tuoi pensier tra' miei con simile atto e con simile faccia, si che d'entrambi un sol consiglio fei. 30 S' egli è che si la destra costa giaccia, che noi possiam nell'altra bolgia scendere, noi fuggirem l' imaginata caccia». 33 Già non compiè di tal consiglio rendere, ch'io li vidi venir con l'ali tese, non molto lungi, per volerne prendere. 36 Lo duca mio di sùbito mi prese, come la madre ch'ai romore è desta e vede presso a sé le fiamme accese, 39 che prende il figlio e fugge e non s'arresta, avendo più di lui che di sé cura, tanto che solo una camicia vesta : 42 e giù dal collo della ripa dura supin si diede alla pendente roccia, che l'un dei lati all'altra bolgia tura. 45 16. S'aggueffa. S'aggiunge 41-43. E non s'airesla... tanto 18. Acceffa. — Afferra coi den- che solo una camicia resta. — ti. Non s'indugia neppure ad indos- 25. Piombato vetro. : — Uno ^are una camicia. specchio. 43. Ripa dura. — .Argine di 26. Trarrei. — Rifletterei. pietra. 27. Impetro. — Stampo in me, 44. Supin si diede. — Si ab- conosco. bandonò Ecivolandc ixin le spalle 31. S'egli è. — Se è vero. contro la roccia. "34. Già non compiè ecc. — 45. L'un. — 11 superiore. — Non aveva ancor finito... Tura. — Chiude. — 132 — Infekno - Canto XXI li Non corse mai si tosto acqua per doccia a volger rota di molili terragno, quand'ella più verso le pale approccia, 48 come il maestro mio per quel vivagno, portandosene me sopra il suo petto, come suo figlio, non come compagno. 51 Appena fùr li pie suol giimti al letto del fondo giti, ch'el furono in sul colle sopr' esso noi : ma non gli era sospetto ; 54 che r alta provvidenza, che lor volle porre ministri della fossa quinta, poder di partirs' indi a tutti tolle. 57 Là giù trovammo una gente dipinta, che giva intorno assai con lenti passi, piangendo e nel sembiante stanca e vinta. 60 EUi avean cappe con cappucci bassi dinanzi agli occhi, fatte della taglia che per li monaci in Cologna fassi. 63 Di fuor dorate son si ch'egli abbaglia; ma dentro tutte piombo, e gravi tanto che Federico le mettea di paglia. 66 O in eterno faticoso manto ! Noi ci volgemmo ancor pure a man manca con loro insieme, intenti al tristo pianto ; 69 ma per lo peso quella gente stanca venia si pian che noi eravam nuovi di compagnia ad ogni muover d'anca. 72 Per eh' io al duca mio : « Fa che tu trovi alcun eh' al fatto o al nome si conosca, e gli occhi, si andando, intorno muovi ». 75 Ed un che intese la parole tósca, di retro a noi gridò : «Tenete i piedi, 47- Molin terragno. — Pianta- 6i. Bassi. — Abbassati siigli lo nella terra. occhi. 48. Approccia. — S'avvicina. gg Federico, ecc. — In con- ^49. Vivagno. _ Margine, n- ^^^^^^ ^. ^^^^^^^^ j^ ^^pp^ ^^^ ^^53. Fondo. - Sesta bolgia. Federico metteva ai rei di lesa 54. Gli era sospetto. — Non maestà eran di paglia. c'era da temere. 7i- Nuovi. — Cambiavamo. 57. Poder. — Facoltà. 77. Tenete. — Fermate. -- 133 — Dante. o La Divina Commedia voi che correte si per l'aura fosca: 78 forse eh' avrai da me quel che tu chiedi ». Onde il duca si volse, e disse : << Aspetta, e poi secondo il suo passo procedi ». 81 Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta dell'animo, col viso, d'esser meco; ma tardavagli il carco e la via stretta. 84 Quando fùr giunti, assai con 1' occhio bieco mi rimiraron genza far parola ; poi si volsero in sé, e dicean seco : 87 « Costui par vivo all'atto della gola ; e s'eì son morti, per qual privilegio vanno scoperti della grave stola?» 90 Poi disser me : <( O tòsco, eh' a! collegio degl'ipocriti tristi se' venuto, dir chi tu sei non avere in dispregio ». 93 Ed io a loro : « Io fui nato e cresciuto sopra il bel fiume d'Arno alla gran villa, e son col corpo eh' i'ho sempre avuto. 96 Ma voi chi siete, a cui tanto distilla, quant' io veggio, dolor giù per le guance? e che pena è in voi che si sfavilla?» 90 E r un rispose a me : « Le cappe rance son di piombo, si grosse che li pesi fan cosi cigolar le lor bilance. 102 Frati godenti fummo, e bolognesi ; io Catalano e questi Loderingo nomati, e da tua terra insieme presi, 105 88. All'atto. — Al moto. sta a Alilano (nel 1243) a Par- (ji>. Stola. — Cappa. ivn (la.so) a Piac'Mv.a (1260). Fu io(j. Rante. - Aranciate. rapo del governo a Bologna lov Frati (indenti. - l'rati i" (1265) a Firenze (1266) e poi an- cavaileri dell' ordine di Maria coia a iìolo.y;na. Mori nel con- V'ergine Gloriosa, fonc'alo in Bo- vento (nel 1285) dei Frati Go- logna nel 1261 allo scopo di denti a Ronzano, presso Bologna. comporre le discordie civili e fa- Loderiiij^o. — Degli Andalò niigliari ; invece intesero di più (Ghihellini) di Bologna, fu vo- a godere della vita, per cui il pò- desta in parecchie città dell' I- pulo li chiamò (godenti. talia centrale e fondatore del- 104. Catalano. — Dei Mala- l'ordine d' i Godenti, morì a Ron- volti (Giiel(i) di Bologna : pode- zano m-J 1293. — 1.34 Inferno - Canto XXI JI come suole esser tolto un uom solingo per conservar sua pace, e fummo tali, eh' ancor si pare intorno dal Gardingo ». 108 Io cominciai : « O frati, i vostri mali.... », ma più non dissi ; che all'occhio mi corse un, crocifìsso in terra con tre pali. IH Quando mi vide, tutto si distorse, soffiando nella barba coi sospiri ; e il frate Catalan, eh' a ciò s'accorse, 114 mi disse : « Quel confìtto, che tu miri, consigliò ì farisei, che convenia porre un uom per lo popolo a' martiri. 117 Attraversato e nudo è nella via. come tu vedi, ed è mestier ch'ei s^nta qualunque passa com'ei pesa pria : 120 ed a tal modo il suocero si stenta, in'questa fossa, e gli altri del concilio, che fu per li giudei mala sementa». 123 Allor vid' io maravigliar Virgilio sopra colui ch'era disteso in croce tanto vilmente nell'eterno esilio. 126 Poscia drizzò al frate cotal voce : (( Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci se alla man destra giace alcuna foce, 129 onde noi ambedue possiamo uscirci senza costringer degli angeli neri, che vegnan d'esto fondo a dipartirci». 132 107. Per conservar sua pace. Pontefice e suocere di Caifa-, r— Pietra alla 106. Si confessa. — Si .Tff( r- quale si attribuivano viriù mira- ma. (Xìlose contro i veleni, e quella di 112. Como. — Come, rendere invisibile chi la portava. 114. Oppilazion, — l^pilessia, che richiude i meati del corpo. T40 — Inferno - Canto XXIV Vita bestiai mi piacque, e non umana, si come mul eh' io fui : son Vanni Pucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana)). 12G Ed io al duca : « Digli che non mucci, e domanda che colpa qua giù il pinse ; ch'io il vidi uomo di sangue e di crucci )). 120 E il peccator, che intese, non s'infinse, ma drizzò verso me l'animo e il volto e di trista vergogna si dipinse; 132 poi disse : <( Pili mi duol che tu m' hai còlto nella miseria dove tu mi vedi, che quando fui dell'altra vita tolto. 135 Io non posso negar quel che tu chiedi : in giù son messo tanto, perch' io fui ladro alla sacrestia de' belli arredi; 138 e falsamente già fu apposto altrui. Ma perché di tal vista tu non godi, se mai sarai di fuor da' lochi bui, 141 aprì gli orecchi al mio annunzio, e odi : Pistoia in pria dì Neri si dimagra, poi Fiorenza rinnova gente e modi. 144 Tragge Marte vapor di Val di Magra eh' è di torbidi nuvoli involuto, e con tempesta impetuosa ed agra 147 sopra Campo Pìcen fia combattuto; ond'ei repente spezzerà la nebbia, si ch'ogni Bianco ne sarà feruto : e detto l'ho, perché doler ti debbia ». 151 127. Mucci. — Scappi. se di Giovagallo in Lunigiana, 138. Sacrestia. — Dì San Ja- eletto capitano e duce dei Neri copo di Pistoia. di Firenze nella guerra contro 143. Si dimagra. — Si spopola Pistoia. rol bando. 146. Nuvoli. — Soldati Neri. 144. Rinnova... ecc. — 11 di involuto. — Circondato. d Ognissanti del 1301, Carlo di g ^• p-^^^^ _ j_,^ ^^ Valois entrò in hirenze, e la . ^ . '^ =» parte Bianca fu bandita e il go- Pistoiese.^ verno fu dato al Neri. H9- t'- — H vapor ; Moroel'o 14C;. Vapor di Val di Magra. romperà, sconfiggerà i Bianchi. — Moro^^llo Mala?pina, marchr-- 151. Debbia. — Debba. — 141 — r.A Divina Commf.dia CANTO XXV Al fine delle sue parole il ladro le mani alzò con ambedue le fiche, gridando: «Togli, Dio, eh' a te le squadro»). 3 Da indi in qua mi fiìr le serpi amiche, perch' una gli s' avvolse allora al colio, come dicesse : « Io non vo' che più diche » ; 6 ed un'altra alle braccia, e rilegoUo ribadendo sé stessa si dinanzi che non potea con esse dare un crollo. 9 Ahi, Pis'ioia, Pistoia, che non stanzi d' incenerarti si che più non duri, poi che in mal fare il seme tuo avanzi? 12 Per lutti i cerchi dell'inferno oscuri non vidi spirto in Dio tanto superbo ; non quel che cadde a Tebe giù da' muri. 15 Ei si fuggi, che non parlò più verbo ; ed io vidi un centauro pien di rabbia venir chiamando : (( Ov'è, ov'è l'acerbo? » 18 Maremma non cred' io che tante n'abbia, quante bisce egli avea su per la groppa, infin ove comincia nostra labbia. ?1 Sopra le spalle, dietro da'la coppa, con l'ale aperte gli giacea un draco; e quello affoca qualunque s'intoppa. 24 2. Le mani... ecc. — Gesto S Ribadendo. — ■ Congiungen- volgare di scherno, che si fa do il capo con la coda, mettendo il pollice fra l'indice io. Stanzi. — Deliberi. e il nifdio ripiegati, e sporgendo i^. Il seme tuo avanzi. — Su- il pugno chiuso verso chi si vuol P';''' ' '"«' Icndaton in nequizia, . . che furono i soldati di Calilina. ingiuriare q^^, ^.^^ ^^^^^ ^^^^ _ ^.^ 3. Squadro. — Mostro. paiieo. 4. Mi fiìr le serpi amiche. — 18. L'acerbo. — L'indonabii. . -Mi vendicarono. 22. Coppa. — Nuca. — 142 — Interno - Canto X.W Lo mio maestro disse : (( Questi è Caco, che sotto il sasso di monte Aventino di sangue fece spesse volte laco. 27 Non va co' suoi fratei per un cammino,' per lo furto che frodolente fece del grande armento, ch'egli ebbe a vicino; 30 onde cessar le sue opere biece sotto la mazza d' Ercole, che forse gli ne die cento, e non senti le diece )>. 33 Mentre che si parlava, ed ei trascorse ; e tre spiriti venner sotto noi, de' quai né io né il duca mio s'accorse, 36 se non quando gridar : (( Chi siete voi ? » per che nostra novella si ristette, ed intendemmo pure ad essi poi. 39 Io non li conoscea ; ma ei seguette, come suol seguitar per alcun caso, che l'un nomare un altro conveneite, 42 dicendo : « Cianfa dove fia rimaso? )> per eh' io, acciò che il duca stesse attento, mi posi il dito su dal mento a! naso. 45 Se tu sei or, lettore, a creder lento ciò eh' io dirò, non sarà maraviglia, che io, che il vidi, appena il mi consento. 48 Com' io tenea levate in lor le ciglia, ed un serpente con sei pie si lancia dinanzi all'uno, e tutto a lui s'appiglia. 51 2^. Caco. — Centauro mo- j-e era gi;\ morto dai primi colpi. struosC', figlio di Vulcano, (a- 34. Ei. — Caco, moso ladrone che abitava una "-s. Novella. — Discorso, grotta dell'Aventino, e rubò quat- 40. Seguette. — Avvenne, tro buoi e quattro vacche dal 4^. Cianfa. — Dcnati, vivente gregge di Ercole. I muggiti de- nel 12S2, capitana i Neri ed cb- gli animali ne scoprirono il ri- be dal popolo il motto di casata coverò a Ercole, che andato alla di Maialami : ladro delle pubbliche grotta uccise Caco a colpi di eia- cose. va. 45. Mi posi il dito ecc. — Feci 28. Fratei. — Centauri. atto di tacere a Virgilio. 31. Biece. — Bieche, prave. 48. Il mi consento. — Appena 33. Non senti le diece. — Por- credo a me stesso. — 143 — T.A Divina Commedia Coi pie dì mezzo gli avvinse la pancia e con gii anterior le braccia prese ; poi gli addentò e l'una e l'altra guancia. 54 Gli deretani alle cosce distese, e misegli la coda tra ambedue, e dietro per le ren su la ritese. 57 Ellera abbarbicata mai non fue ad arbor si, come l'orribil fiera per l'altrui membra avviticchiò le sue. HO Poi s' appiccar come di caJda cera fossero stati, e mischiar lor colore ; né l'un né l'altro già parea quel ch'era, G3 come procede innanzi dall'ardore per lo papiro suso un color bruno, che non è nero ancora, e il bianco more. 60 Gii altri due riguardavano, e ciascuno gridava : a O me, Agnél, come ti muti ! vedi che già non sei né due né uno ». 69 Già eran li due capi un divenuti, quando m'apparver due figure miste in una faccia, ov'eran due perduti. 72 Pèrsi le braccia due di quattro liste ; le cosce con le gambe, il ventre e il casso divenner membra che non fùr mai viste. 75 Ogni primaio aspetto ivi era casso : due e nessun l'imagine perversa parea, e tal sen già con lento passo. 78 Come il ramarro, sotto la gran fersa de' di canicular cangiando siepe, folgore par, se la via attraversa; 81 i;:;. (ili deretani, — I i)iedl po- 72. In una faccia, ov' eran sleriori. due perduti, — In un aspello 61. S'appiccar. — S'atlacra- erano confusi e smarriti due a- rono. spetti orii^inarit : quello dell'uo- 6.V Papiro. — Carta bamba- mo e quello del serpente. g^ina, a cui siasi appiccalo il fuo- 73. Pèrsi... ecc. — Delle due co, dà fiamma preceduta da ce- braccia dell'uomo e dei' due piedi lor bruno. anteriori del serpente si form.'i- C8. Agnèl. — .Agnolo Brunel- rono le braccia del nuovo esse- leschi, di nobile famiglia fìo.-en- re. tina, il quale distrasse ie rendite del Comuni a proprio vantag- 74- Casso. - - Busto. 76. Casso. - r.-mcplhUo. 70- Fersa. - Sfer^'i. — 144 Inferno - Canto XXV si pareva, venendo verso l'epe degli altri due, un serpentello acoeso, livido e nero come gran di i>epe. 84 E quella parte, onde prima è preso nostro alimento, all'un di lor trafisse; poi cadde giuso innanzi lui disteso. 87 Lo trafitto il mirò, ma nulla disse ; anzi coi pie fermati sbadigliava, pur come sonno o febbre l'assalisse. 90 Egli il serpente, e quei lui riguardava : l'un per la piaga, e l'altro per la bocca fummavan forte, e il fummo si scontrava. 93 Taccia Lucano ornai, là dove tocca del misero Sabello e di Nassidio, ed attenda ad udir quel ch'or si scocca. 90 Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio ; che, se quel'o in serpente e quella in fonte converte poetando, io non lo invidio : 99 che due nature mai a fronte a fronte non trasmutò, si ch'ambedue le forme a cambiar lor materia fosser pronte. 102 Insieme si risposero a tai norme, che il serpente la coda in forca fésse, e il feruto ristrinse insieme l'orme. 105 Le gambe con le cosce seco stesse s'appiccar si che in poco la giuntura non facea segno alcun che si paresse. 108 82. L'epe. — Le pance rò e descrisse un fatto meno 85. E quella parte, ecc. — straordinario del suo. L'ombelico, da cui il feto lice- 102. A cambiar lor materia ve l'alimento materno, ecc. — Il serpente a prendere 94. Là dove ecc. — Nella Far- natura umana, e l'uomo a tra- saglia, dove Lucano narra che sformarsi in serpente, nella Libia due soldati morirono 103. Si risposero. — Cornspo- per il morso di due serpenti. sero l'una all'altra le due nature, 97. Cadmo. — Il fondatore di gj adattarono reciprocamente. Tebe trasformato in serpente. q^^^_ _ p;^^. Aretusa. — Una delle Nereidi, oc?- 1 • seguace di Diana, e da lei con- '«S. Si paresse. - Apparisse, vertita in fontana. 109. Togliea... ecc. — Prende- qg. Non Io invidio. — Che O- va la figura delle gambe e delle vidio nelle «Metamorfosi» nar- cosce, che nell'uomo .sparivano. — I4.T — La Divina Commedia Togliea !a coda tessa la figura, che si perdeva là, e la sua pelle si facea molle, e quella di là dura. Ili Io vidi entrar le braccia per l'ascelle, e i due pie della fiera, ch'erari corti, tanto allungar quanto accorciavan quelle. 114 Poscia li pie di retro, insieme attorti, diventaron lo membro che l'uom cela, e il misero del suo n'avea due pòrti. 117 Mentre che il fummo l'uno e l'altro vela dì color nuovo, e genera il pel suso per l'una parte, e dall'altra il dipela, 120 l'un si levò, e l'altro cadde giuso, non torcendo però le lucerne empie, sotto le quai ciascun cambiava muso. 123 Quel eh' era dritto il trasse vèr le tempie. e di troppa materia, che in là venne, uscir gli orecchi delle gote scempie ; 126 ciò che non corse in dietro e si ritenne di quel soverchio, fé' naso alla faccia, e le labbra ingrossò quanto convenne. 129 Quel che giacea il muso innanzi caccia, e gli orecchi ritira per la testa, come face le corna la lumaccia ; 132 e la lingua, che avea unita e presta prima a parlar, si fende, e la forcuta nell'altro si richiude, e il fummo resta. 135 L'anima, ch'era fiera divenuta, sufolando si fugge per la valle, e l'altro dietro a lui parlando sputa. 138 117. N'avea due pòrti. — Il 123. Muso. — .Xspctut. iiT'inbio virile d'vt^n'ua due pie- 124. Quelch'era dritto ecc. - di, come i due piedi del serpente H serpente divenuto uomo rac- eran divenuti il membro. ^^^.^;^^ ;i ,^^5^ ^ ^.jg^ umano. un. Fel. — t apelli, barba. ,„,, r»..oi t > . r ,,, f ».,n TI * j- 15"- Vuel._- — 1. uomo tra.sfor- 121. L un, — Il serpente dive- nuto uomo. '"^^^" '" stM-pente. L'altro. — L'uomo divenuto L?5- Nell'altro. — Nel serpente serpente. trasformato in '.lomo. 122. Lucerne. — Occhi. Resta. — Cessa — 146 Inferno - Canto XXVI Poscia gli volse le novelle spalle, e disse all'altro: ((l'vo'che Buoso corra, com' ho fatt' io, carpon per questo calle ». 141 Cosi vid' io la settima zavorra mutare e trasmutare; e qui mi scusi la novità, se fior la penna abborra. 144 Ed avvegna che gli occhi miei confusi fossero alquanto e l'animo smagato, non poter quei fuggirsi tanto chiusi 147 ch'io non scorgessi ben Puccio Sciancato; ed era quel che sol, dei tre compagni che venner prima, non 'era mutato : l'altro era quel che tu, Gaville, piagni. 151 140. Buoso. — Degli Abati, dito coi figli e nel 1280 giurò t'hibellino; ali ri dicono Buoso pace coi gueltì. dei Donati. i."?!- L'altro. — Il serpentello 142. La settima zavorra. — La che feri Buoso, e gh rubo la fi- uiste .oenia della .cUima bolgia. .i?ura umana, ossia Francesco de 144. Se flor la penna abborra. tavalcant.. ucc.s.. d.ces:, «, 14^. *■ " *- uomini di GaviUe, piccoli villag- Se malamen'.e ritrae la slrancz- . ,• -.r , .>a..„' gio di Val d Arno. za del caso. ' piagni. — Non per affetto, ma 146. Smagato. — Smarrito. ,,^1- [q uccisioni e i danni che do- 147. Chiusi. — Nascosti. ^,esti subire dalla vendetta che 145. Puccio Sciancato. — D.;' trassero i parenti di Francesco Caligai, ghibellino ; egli fu ban- dei Cavalcanti. CANTO XXVI Godi, Fiorenza, poi che se' si grande che per mare e per terra batti l'ali e per lo inferno tuo nome si spande ! 3 Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini, onde mi vien vergogna, e tu in grande onranz?. non ns sa'i. ti 2-3. Cile per mare ecc. — La si p-r il mondo, ed anche neU'iii- fama di Firenze vola da per tut- ferno. to, essendo i suoi cittadini spar- 4. Trovai. — Nella bolgia set- tima. — 147 — La Divina Commedia Ma se presso al mattiti del ver sì sogna, tu sentirai di qua da picciol tempo di quel che Prato, non eh' altri, t' agogna. 9 E se già fosse, non saria per tempo ; cosi foss'ei da che pure esser dèe! che pili mi graverà, com' più m' attempo. 12 Noi ci partimmo, e su per le scalee, che n'avean fatte i borni a scender pria, rimontò il duca mio, e trasse mée ; 15 e proseguendo la solinga via tra le schegge e tra' rocchi dello scoglio, lo pie senza la man non si spedìa. 18 AUor mi dolsi, ed ora mi ri doglio, quand' io drizzo la mente a ciò eh' io vidi ; e più lo ingegno affreno ch'io non soglio, 21 perché non corra, che virtù no '1 guidi, si che se stella buona o miglior cosa m'ha dato il ben, eh' i' stesso no '1 m' invidi. 24 Quante il villan, ch'ai poggio si riposa, nel tempo che colui che il mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, 27 come la mosca cede alla zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dove vendemmia ed ara ; 30 di tante fiamme tutta risplendea l'ottava bolgia, si com 'io m'accorsi, tosto che fui là 've 11 fondo parca. 33 7. Presso al mattin... ecc. — 15. Mèe. — Me. Gli antichi presero i segni mat- 18. Lo pie ecc._ — Bisognava iiiliin come presagi del vero. aiutarsi colle mani. 8. Tu sentirai... ecc. - l'ro- ig. Ridoglio. — Ricordando, verai fra poco. 22. Che. — Senza la guida del 9. Prato. — Il male che augu- la virtù. rava la città di Prato malcon- 23. Miglior cosa. — (irazia di- tenta del governo fiorentino. vina. 10. Se già fosse... ecc. — So 24. M'invidi. — Me ne [wivi. Firenze fosse già colpita da sven- 25. Quante, — Quando. ture non sarebbe troppo presto. 26. Nel tempo... ecc. — Solsti li. Foss'ei. — G'à fosse avvc- zio d'estate, nuto. 28. Come... ecc. — .Allorché 12. M'attempo. — M'invec- le zanzare succedono alle mo- chio. sche, cioè verso sera. 14. Borni. — I.c sporgenze. 33. Là. — Sull'arco del ponte. — 148 — Inferno - Canto XXVI E qual colui che si vengió con gli orsi vide il carro d'Elia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levórsi, 30 che no '1 potea si con gli occhi seguire ch'ei vedesse altro che la fiamma sola, si come nuvoletta, in su salire ; 39 tal si movea ciascuna per la gola del fosso, che nessuna mostra il furto, ed ogni fiamma un peccatore invola. i2 Io stava sopra il ponte a veder surto, si che, s'io non avessi un rnnchion preso, caduto sarei giù senza esser urto ; 45 e il duca, che mi vide tanto atteso, disse : « Dentro dai fochi son gli spirti ; ciascun sì fascia di quel ch'egli è inceso)). 48 « Maestro mio, rispos' io, per udirti son io più certo; ma già m'era avviso che cosi fosse, e già voleva dirti : 51 ' Chi é in quel foco, che vien si diviso di sopra, che par surger della pira, dov'Eteòcle col fratel fu miso?'». 54 Risposemi : « Là entro si martira Ulisse e Diomede, e cosi insieme alla vendetta vanno cora' all' ira; 57 34, Colui. — Il profeta Eliseo, che maledisse alcuni fanciulli che lo deridevano, i quali furono sbranati da due orsi, apparsi d'improvviso. 40. Tal... — Come Eliseo vide .'olo il carro, cosi... 41. Furto. — Il peccatore che la fiamma sottrae alla vista al- trui. 43. Surto. — In piedi sporgen- do la persona dal ponte. 4v Esser urto. — Essere ur- lato. 46. Atteso. — Intento. 48. Di quel. — Delle fiamme. 49. Per udirti... ecc. — Ucl(n- (lo afffirmar da te... :;4. Fratel. — Polinice ; figli di Edipo e Giocasta. Costretto il padre ad esulare , giuraroino di regnare un anno per ciascuno ; ma da Eteocle non essendo stato mantenuto il patto, vennero in letta, e s'uccisero l'un l'altro. Posti i loro cadaveri sul rogo, ben presto la fiamma si divise in due. 56. Ulisse e Di)mede. — Eroi yreci, astuto il primo, forte il secondo, per cui la forza era uni- la alla frode. Dante. — 149 La Divina Commedia e dentro dalla lor fiamma si geme l 'aguato del cavai, che fé' la porta ond' usci de' romani il gentil seme : 00 piangevisi entro l'arte, per che morta Deidamia ancor si duol d'Achille, e del Palladio pena vi si porta ». 63 «S'ei posson dentro da quelle faville parlar, diss'io, maestro, assai ten prego, e riprego che il prego vaglia mille, 66 che non mi facci dell'attender niego, fin che la fiamma cornuta qua vegna : vedi che del desio vèr lei mi piego ». 69 Ed egli a me : (( La tua preghiera é degna di molta loda, ed io però l'accetto; ma fa che la tua lingua si sostegna. 72 Lascia parlare a me, eh' io ho concetto ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi, perché fùr greci, forse del tuo detto». 75 Poi che la fiamma fu venuta quivi, dove parve al mio duca tempo e loco, in questa forma lui parlare audivi : 78 « O voi, che siete due dentro ad un foco, s'io meritai di voi mentre ch'io vissi, s'io meritai di voi assai o poco, - 81 quando nel mondo gli alti versi scrissi, non vi movete; ma l'un di voi dica dove per lui perduto a morir gissi ». 84 58. Geme. — Piange. a Troia da Ulisse e Diomede. 59-60. L'aguato del cavai. — L'oracolo aveva predetto la ro- Di legno, per mezzo del quale vina della città se si perdeva il i greci entrarono in Troia e la Pallad o. distrussero; ne segui il viaggio 67. Nie^o. — Diniego, rifiuto, di Enea, il gentif seme dei Ro- 72, Si sostegna. — Taccia. mani. 7.^ Concetto. — Compreso. 62. Deidamia. — Figlia di Li- 74-7.S- Schivi... ecc. — Sdegne- comede, re di .Sciro, sposa di A- robbero di rispondere a te, uomo ch'Jlle, da lui abbandonala per di civiltà assai lontana dalla lo- partecipare alla guerra di Troia, ro. dietro consiglio di Ulisse e Dio- Su. S'io meritai di voi. — mede. Scrivendo di \'OÌ nel mio poema. 63. Palladio. — Statua di Pai- 83. L'un. — Ulisse, di cui O- lade Alena, astutamente rapita mero non dice la fine. — 150 — Inferno - Canto XXVI Lo maggior corno della fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando, pur come quella cui vento affatica. 87 Indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori e disse : « Quando 'M mi diparti' da Circe, che sottrasse me più d'un anno là presso a Gaeta, prima che si Enea la nomasse, 'Jò né dolcezza di figlio né la pietà del vecchio padre né il debito amore, lo qual dovea Penelope far lieta, 9tì vincer poterò dentro a me l'ardore eh' l'ebbi a divenir del mondo esperto e degli vizi umani e del valore ; 'JS) ma misi me per l'alto mare ajjerto sol con un legno e con quella compagna picciola, dalla qual non fui diserto. 102 L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l'isola de' sardi, e l'altre che quel mare intorno bagna. lOc Io e i compagni eravam vecchi e tardi, quando venimmo a quella foce stretta, dov 'Ercole segnò li suoi riguardi, 108 acciò che l'uom più oltre non si metta; dalla man destra mi lasciai Sibilia, dall'altra già m'avea lasciata SeUa. Ili 87. Affatica. — Agita. loi. Compagna. — Compa- 91. Circe. — Figlia del Sole gnia. e di Persa, che trattenne Ulisse 102. Diserto. — Abbandonato, al Monte Circello. 104. Morrocco. — Marocco. 92. Gaeta. — Nome della nu- 108. Riguardi. — Segni, o trice di Enea e da lui dato alla colonne d'Ercole, formate dal- città. 94. r::^ii che le grida degli infelici che la via. vi bruciavano dentro, si trasfor- iS. La lingua. — Umana nei massero in muggiti. L'artefice lo pronunciarle, regalò a Falaride, tiranno di A- 21. Issa ten va, più non t'a* ~ ^^3 — La Divina Commedia perch'io sia giunto forse alquanto tardo, non t 'incresca restare a parlar meco : vedi che non incresce a me, ed ardo. 24 Se tu pur mo in questo mondo cieco caduto sei di quella dolce terra latina, ond' io mia colpa tutta reco, 27 dimmi se i romagnoli han pace o guerra ; eh' io fui de' monti là intra Urbino e il giogo di che Tever si disserra ». 30 Io era in giuso ancora attento e chino, quando il mio duca mi tentò di costa, dicendo: ((Parla tu, questi è latino». 33 Ed io ch'avea già pronta la risposta, senza indugio a parlare incominciai : (( O anima, che se' là giù nascosta, 36 Romagna tua non è, e non fu mai, senza guerra ne' cor de' suoi tiranni ; ma palese nessuna or vi lasciai. 39 Ravenna sta, come stata è molti anni : l'aquila da Polenta la si cova, si che Cervia ricopre co' suoi vanni. 42 La terra, che fé' già la lunga prova e di franceschi sanguinoso mucchio, sotto le branche verdi si ritrova. 45 izzo. — Ora va', più non ti sti- Medio Evo per la produzione del molo a parlare. Sono le parole sale. Era anch'essa in dominio di congedo dette da Virgilio a dei Da Polenia. Ulisse. 43. La terra... ecc. — Forlì, 27. Latina. — Italiana. prima città ghibellina di Roma- Tutta reco. — Non essendomi „na, era allora in potere degli giovato il pentimento. ÒrdeJafiri 30. Giogo. — Dell'Appennino, 43.' Prova. — Nel 12S1-1283 donde scaturisce il Tevere. cruidata da Guido di Montefel- 32. Di costa. -^^ M, toccò col -^ sostenne e vinse il lungo as- gomito nel fianco. ,. , ,,, ., f.„„ „ „ ^„_ 3^ Latino. - Italiano. sed.o del esercUo f ance.e man- 40. Ravenna... ecc. - ÌV sem- datovi da papa Ma.tmo 1V._ ore in potere dei Polenta. La 44- Franceschi. - Francese, loro signoria cominciata il 1270 45- Branche verdi. -- Un leo- vi durò fino al 1441. ne dalle branche verdi (parte an- 41. La si cova. - Là domina, teriore) in campo d'om era lo 42. Cervia. Fmportant(> mi sremma degli Ordelrilìì. — i.';4 — Inferno - Canto XXVII Il Mastin vecchio e il nuovo da Verrucchio, che fecer di Montagna il mal governo, !à dove soglion fan de' denti succhio. 48 Le città di Lamone e di Santerno conduce il leoncel dal nido bianco, che muta parte dalla state al verno; 51 e quella, cui il Savio bagna il fianco, cosi com'ella sie' tra il piano e il monte, tra tirannia si vive e stato franco. 54 Ora chi se' ti priego che ne conte : non esser duro più ch'altri sia stato, se il nome tuo nel mondo tegna fronte ». 57 Poscia che il foco alquanto ebbe rugghiato al modo suo, l'aguta punta mosse di qua, di là, e poi die cotal flato : 60 « S'io credessi che mia risposta fosse a persona che mai tornasse al mondo, questa fiamma staria senza più scosse ; 03 ma per ciò che giammai di questo fondo non tornò vivo alcun, s' i' odo il vero, senza tema d'infamia ti rispondo. 66 Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero, credendomi, si cinto, fare ammenda; * e certo il creder mio veniva intero, 69 46. Mastin vecchio. — Mal;i- Pagano cui venga il ma- Colonnesi, che dimoiavano pre-- lanno. so San Giovanni in Laterano. 72. Oliare. — Perchè, per qiial 89. E nessuno ecc. — E nes- motivo. suno era di quei .Saraceni che 77. Menai lor arte. - Ne u- ^^j ^^^^ p^^^^^^ ^^^i_ ^j^j^^ p^,. '^79. Il suono uscìe. - .Si dif- 1"^''° dei Cristiani in Oriente, fuse la fama. Bonifacio VTII avversava dei cri- Si. Calar... ecc. — Preparar- stiani. si a buona morte: come il ma- 9o. Ne mercatante. _ Né giu- rinaio pn\sso all'approdo cala e deo, che esercitasse il commercio racco°^lie le vele. ^^^ Maomettani già proibito dai S^.'^Mi rendei. — Mi conf(s- P-ip'- ^ srii. 02- Guardò in sé. Sen/.i 85. Lo principe ecc. - Bdiii- riguardo nò al suo ulVi/io né ai- fazio Vili. l'abito mio di france.s. Penestrino. — Palestrina, allora l'orloz/a dei Colonnesi. 104. Due. — Una per aprire, l'altra per chiudere, cioè l'asso- luzione e la condanna. 105. Antecessor. — Il i\ip:i Cr- ii-«tino V. 106. Allor mi pinser ecc. — Allora le richieste del Papa m'in- dussero a credere che fosse peg- gio il disobbedire tacendo, che il consigliare il male. 108. Da che. — Polche. Lavi. — Assolvi. no. Lunga... ecc. — Cc\ pro- mettere molto mantenendo poco, trionferai. 112. Francesco. - .*^an Fran- cesco. 113. Per me. — - \ prendermi. Neri cherubini. - Diavoi'i. 117. Gli sono a' crini. — Vi- cino, [jronto ad acriuffailo. I."?? La Divina Commedia eh' assolver non sì può, chi non si pente, né pentére e volere insieme puossi, per la contradizion che no '1 consente '. 120 O me dolente ! come mi riscossi, quando mi prese, dicendomi : ' Forse tu non pensavi eh' io loico fossi '. 123 A Minos mi portò; e quegli attorse otto volte la coda al dosso duro, e, poi che per gran rabbia la si morse, 126 disse : ' Questi è de' rei del foco furo ' : per eh' io là dove vedi son perduto e si vestho andando mi raneuro ». 129 Quand' egli ebbe il suo dir compiuto, la fiamma dolorando si partio, torcendo e dibattendo il corno acuto. 132 Noi passammo oltre, ed io e il duca mio, su per lo scoglio infino in su l'altr'arco che copre il fosso, in che si paga il fio a quei che scommettendo acquistan earco. 136 i2'^. Loico. — Loajico, capa- 129. Rancure. — Lamento, ce di raa;ionar'^ scfttilmente. 132. Corno acuto. — Punta. 127. Foco furo. — Foco ladro, 136. Scommettendo. — Divi- perche nella fiamma nascondagli dendo, seminando di'^cordia. spiriti. CANTO XXVIII Chi porla mai pur con parole sciolte dicer del sangue e delle piaghe appieno, ch'i 'ora vidi, per narrar più volle? 3 Ogni lingua per certo verria meno per Io nostro sermone e per la mente, e' hanno a tanto comprender poco seno. 6 I. Parole sciolte. — In prosa. 5. Sermone. — Insufficiente a 3. Per narrar più volte. — descrivere. Per quanto rinnovasse il rac- Mente. Intelletto incapace conto. di rappresentare. 6. Seno. Capacità. - 158- Inferno - Canto XXVIII S' ei s'adunasse ancor tutta la gente, che già in su la fortunata terra di Puglia fu del suo sangue dolente, per li troiani e per la lunga guerra che dell' anella fé' si alte spoglie, come Livio scrive che non erra, con quella che senti di colpi doglie, per contrastare a Roberto Guiscardo, e r altra, il cui ossame ancor s' accoglie a Ceperan, là dove fu bugiardo ciascun pugliese, e là da Tagliacozzo, dove senz'arme vìnse il vecchio Alardo: e qual forato suo membro, e qual mozzo mostrasse, da equar sarebbe nulla il modo della nona bolgia sozzo. Già veggia, per mezzul perdere o lulla, com'io vidi un, cosi non si pertugia, rotto dal mento ìnfìn dove si trulla : tra le gambe pendevan le minugia ; la corata pareva e il tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia. 12 15 21 24 27 9. Del suo sangue dolente. — Del san^Tfue versato dalle ferite. 10. Troiani. — Venuti ccn E- nea. 11. Cile dell'anella ecc. — Bat- taglia di Canne. 13. Quella... ecc. — I Sarace- ni cacciati dall'Italia meridiona- le da Roberto Guiscardo duca di Pu.eflia. le,. L'altra. — Le vittime del- le guerre angioine (1266-1268). 16. Ceperan. — Ceprano sul Liri, punto strategico importan- te al tempo di Dante. Il peseta allude alla battaglia di Bene- vento, dove, dicesi, i baroni pu- gliesi tradirono Manfredi, con- segnando Ceprano a Carlo l d'Angiò. 17." Tagliacozzo, — Dove Cor- radino fu sconfitto nel 1268. 18. Alardo. — i cui consigli condussero Carlo d'Angiò alla vittoria. 22-23. Già... ecc. — Una bot- te (veggia) a cui si tolga una i>arte del fondo (mezzul = il pez- zo centrale del fondo della botte ; lulla = (.|uelle laterali al mez- zul) perchè perda, non si penii- gia cosi come... 24. Insin dove si trulla. — Fin dove esce l'aria chiusa nel- l'intestino. 25. Minugia. — Budella. 26. Sacco. — Stomaco LS9 La Divina Commedia Mentre che tutto in luì veder m' attacco, guardommi e con le man s' aperse il petto. dicendo : (( Or vedi come io mi dilacco, 30 vedi come storpiato è Maometto ; dinanzi a me sen va piangendo Ali, fesso nel volto dal mento al ciuffetto : 33 e tutti gli altri, che tu vedi qui, seminator di scandalo e di scisma fùr vivi, e però son fessi così. 36 Un diavolo è qua dietro che n'accisma sì crudelmente, al taglio della spada rimettendo ciascun di questa risma, 39 quando avem volta la dolente strada ; però che le ferite son richiuse prima ch'altri dinanzi gli rivada. 42 Ma tu chi se' che in su lo scoglio muse, forse per indugiar d' ire alla pena, eh' è giudicata in su le tue accuse?» 45 « Né morte il giunse ancor, né colpa il mena, rispose i! mio maestro, a tormentarlo ; ma per dar lui esperienza piena, 48 a me, che morto son, convien menarlo per lo inferno qua giù di giro in giro : e questo è ver così com' io ti parlo ». 51 Più fùr dì cento che, quando l'udirò, s' arrestaron nel fosso a riguardarmi. f>er maraviglia obbliando il martìro. 54 " Or dì' a fra Dolcin dunque che s' armi. tu che forse vedrai il sole in breve. s'egli non vuol qui tosto seguitarmi 57 30. Dilacco. — Sono squar- nendo ciascuno di nuovo al ta- rlato, tjlio della spada. 31. Maometto. — Fondatore 40. Volta. — ■ Ciitala a tondo, dell' Islanii-mo, nato a Mecca 43. Muse. — Tieni il muso fsóo) e morto a Medina (63-5). verso la cosa che e:uardi. 3>. Ali. — Ali F.bn Ahi",' pa- 4-. E' giudicata ecc. — K' de- rente e seguace di Maometto, creìata da Minos suUe accuse chf fonde') una nuova scita religios.-i, ti si muovono. dividendo cosi i Maomettani. 55. Fra Dolcin. — Dolcino 37. Accisma. - Acconcia. TÒrnielli, da Romagnano nova- 3(). Hlmettendo. — - Sottopo- rese, discepolo di Gherardo .Sc- — 160 — Inferno - Canto XXVIII si di vivanda che stretta di neve non rechi la vittoria al noarese, eh' altrimenti acquistar non saria lieve d. 13U Poi che r un pie per girsene sospese, Maometto mi disse està parola, indi a partirsi in terra lo distese. 03 Un altro, che forata avea la gola e tronco il naso infin sotto le ciglia, e non avea ma che un'orecchia sola. GO restato a riguardar per maraviglia con gli altri, innanzi agli altri apri la canna, eh' era di fuor d' ogni parte vermiglia ; (59 e disse : « O tu, cui colpa non condanna, e cui io vidi su in terra latina, se troppa simiglianza non m' inganna, 72 rimembriti di Pier da Medicina, se mai torni a veder lo dolce piano, che da Vercelli a Marcabò dichina. 75 E fa saper ai due miglior di Fano, a messer Guido ed anco ad Angiolello, che, se V antiveder qui non è vano, 78 gabelli di Parma , fondatore- (1260) della setta degli Apostoli o Fratelli Apostolici, e arso vivo (120Ó). Si diceva apostolo e pro- feta, e predicava la comunanza dei beni e delle donne. Prese ner comjìao^na Margherita di Trento, nei 1305 o '1306, e con ':;o30 seguaci si ritirò sopra il Monte Zebe'lo nel Biellese, e vi si fortificò di maniera, che la crociata bandita contro di lui da Clemente V sarebbe andata à vuoto, se la fame e la neve non l'avessero costretto ad arrender- si (1309). Fu poi arso vivo a No- vara (1307) ccn Marjjhcrita ed altri compagni. 62. Està. — Questa. 66. Ma the. — All'infuori (nia- gis quain). 68. La canna. — IXlla gola squarciata. 73. Pier da Medicina. — For- se della famg'ia, che col titolo di Cattani ebbe la signorìa di Medicina ; pare ch'egli abbia s?- minato discordie, e fra i suoi concittadini e alle corti roma- gnole. 75. Marcabò. — Castello nel territorio di Ravenna, distrutto dai signori da Polenta nel 1309 77. Guido ecc. — Dal Cas- sero e An.giolello da Carignano, nobili di Fano, fatti annegare a tradimrnto da Malatestino Ma- latesta. 161 La Divina Commedia gittati saran fuor di lor vasello, e mazzerati presso alla Cattolica, per tradimento d' un tiranno fèllo. Tra l'isola di Cipri e di Maiolica non vide mai si gran fallo Nettuno, non da pirati, non da gente argolica. Quel traditor, che vede pur con l'uno e tien la terra, che tal è qui meco, vorrebbe di veder esser digiuno, farà venirli a parlamento seco; poi farà si che al vento di Focara non farà lor mestier vóto né preco ». Ed io a lui : (( Dimostrami e dichiara, se vuoi ch'io porti su di te novella, chi è colui dalla veduta amara ». Allor pose la mano alla mascella d'un suo compagno, e la bocca gli aperse gridando : « Questi è esso, e non favella ; questi, scacciato, il dubitar sommerse in Cesare, affermando che il fornito sempre con danno l'attender sofferse». 81 84 87 96 99 79. Vasello. — Nave. 80. Mazzerati. — Legati en- tro un sacco con una gran pie- tra. Cattolica. — Borgo adriatico, tra Rimini e Pesaro. 82. Tra ecc. — In tutto il Me- diterraneo, tra Cipro e Maiorca, Nettuno non vide mai dolittu piìi efrande. 84. Argolica. — Grecai. 85. Qu&\ traditor, che vede ecc." — • Malatestino era mancan- te di un ccchio. 86 87. Tien la terra ecc. — Si- gnoreggia Rimili!, terra che un mio compagno (Curio), vorrebbe non avere mal veduta, poiché \i ha commesso il delitto per cui è dannato all'inferno. 89 Focara. — Monte altissi- mo presso Cattolica e battuto dai venti. 90. Non farà lor mestier ecc. — Guido e Angiolello non avran bisogno di pregare per aver be- nigno il vento di Focara, perchè saranno uccisi prima di arrivarci. 93. Dalla veduta amara. — Che vorrebbe non aver veduto Rimini. 97. Questi è esso. — Curio o Curione, tributo romano che, se- condo Dante, avrebbe consiglia; to Cesare a passare il Rubicon ■. 98-qq. Affermando... ecc. — Co- lui che è pronto a un'impresa, non dc\e indugiare a porvi ma- no. 162 Inferno - Canto XXVIII O quanto mi pareva sbigottito con la lingua tagliata nella strozza, Curio, eh' a dire fu cosi ardito! Ed un, eh' avea 1' una e 1' altra man mozza, levando i moncherin per 1' aura fosca, sì che il sangue facea la faccia sozza, gridò : (( Ricorderà' ti anche del Mosca, che dissi, lasso! 'Capo ha cosa fatta', che fu il mal seme per la gente tósca » : ed io gli aggiunsi : <( E morte di tua schiatta > per eh' egli, accumulando duol con duolo, sen gio come persona trista e matta Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, e vidi cosa eh' io avrei paura, senza più prova, di contarla solo ; se non che coscienza mi assicura, la buona compagnia che l'uom francheggia sotto l'osbergo del sentirsi pura. lo vidi certo, ed ancor par eh' io '1 veggia, un busto senza capo andar, sì come andavan gli aUri della trista greggia ; e il capo tronco tenea per le chiome, pésol con mano a guisa di lanterna, e quei mirava noi, e dicea : k O me ! )> 102 105 108 114 117 120 123 io6. Mosca. — De' Lamberti, che diede agfli Amidei il consi- glio di uccidere il Buondelmonte, che aveva mancato alla promessa di sposare una Amidei, con la frase : Cosa fatta capo ha. Mo- sca morì podestà a Reggio nel 124.3- io8. Mal seme. — Principio della divisione dei tìc-rentini in Guelfi e Ghibellini. log. Morte di tua schiatta. — Rovina dei Lamberti, che poi fu- ron banditi per sempre da Fi- renze. no. Duol con duolo. — Alla pena si aggiunge il dolore per la rovina della sua stirpe. 114. Senza più prova. — Sen- z'aitra testimonianza delle mie parole. II 5- 117. Coscienza mi assi- cura ecc. — La coscienza di dire la verità mi dà il coraggio di affermarla. 122. Péso]. — Sospeso. 123. O me. — Ohimè! — 163 La Divina Commedia Di sé faceva a sé stesso lucerna, ed eran due in uno, ed uno in due : com' esser può, quei sa che si governa. 12G Quando diritto al pie del ponte fue, levò il braccio alto con tutta la testa per appressarne le parole sue, 129 che furo : <( Or vedi la pena modesta tu che, spirando, vai veggendo i morti ; vedi s' alcuna è grande come questa. 132 E perché tu di me novelle porti, sappi eh' io son Bertram dal Bornio, quelli che diedi al re giovane i ma' conforti. 135 Io feci il padre e il figlio in sé ribelli ; Achitòfel non fé' più d'Absalone e di David co' malvagi pungelli. 138 Perch' io partii cosi giunte persone, partito porto il mio cerebro, lasso ! dal suo principio, eh' è in questo troncone : cosi s'osserva in me lo contrapasso». 142 125. Ed eran due in uno, ecc. — Ed erano due parli di un solo corpo, ed un corpo in due parfi. 126. Qu&i. — Dio. 134. Bertram dal Bornio. - Celebre trovatore provenzale della seconda metà del secolo XXlI. 135. Re giovane. — Sarebbe per alcuni il quartOi;enito di En- rico II d'InghiliciTa ; per altri àn- voce è il primogenito, detto in Francia e in Italia il « Re Gio- vane ». Conforti. — Consigli. 136. In sé. — L'uno roiiitrj l'altro. 137. Achitofei. — Consigliere di Davide re d'Israele, contro cui eccitò il (ìslio Absalone. 138. Pungelii. — Istigazioni. 139. Partii così giunte perso ne. — Divisi persone congiunti: fra loro da parentela. 141. Principio. — Midollo ^]n naie. Troncone. — Busto. 142. Contrapasso. — Accenna alla legge del taglione, domi- nante in tutto rinferno, che vuo- le il reo punito in maniera ct.»r- rispondente a quella da esso te- nuta nella colpa. 164 Interno - Canto XXIX CANTO XXIX La molta gente e le diverse piaghe avean le luci mie si inebriate, che dello stare a piangere eran vaghe ; 3 Ma Virgilio mi disse : « Che pur guate ? perché la vista tua pur si soffolge là giù tra l'ombre .riste smozzicate? 6 Tu non hai fatto sì all'altre bolge; pensa, se tu annoverar le credi, che miglia ventidue la valle volge, 9 e già la luna è sotto i nostri piedi : lo tempo è poco ornai che n'è concesso, ed altro è da veder, che tu non vedi )>. 12 (( Se tu avessi, rispos' io appresso, atteso alla cagion per eh' io guardava, forse m' avresti ancor lo star dimesso ». 15 Parte sen già, ed io retro gli andava, lo duca, già facendo la risposta, e soggiungendo : « Dentro a quella cava, 18 dov' io teneva or gli occhi si a posta, credo che un spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa ». 21 Allor disse il maestro : « Non si franga lo tuo pensier da qui innanzi sopr'ello; attendi ad altro, ed ei là si rimanga : 24 eh' io vidi lui a pie del ponticello mostrarti, e minacciar forte col dito, ed udì' 'I nominar Ceri del Bello. 27 2. Inebriate. — Riempite di i6. Parte. — Intanto, lagrime. i8. Soggiungendo, ecc. — e. Si soffolge. — Si pesa. Dante sogofiunge. 10. La luna ecc. - Cioè: è ^~^-. ^^^^è^- ~ ^on pensare ptassato da un'ora il mezzogiorno ^ "''Geri del Beilo. - Figlio e la luna è per l appunto al ^ J^^ ^j^, ^^^ ^^^^^ ^j ^^^^^^ ^s. ""dir. j.jg (ji Bello di Alaghiero. Gerì 15. Dimesso. — Permesso di fy accusato di falsificare moneta, fermarmi. e fu ucciso da uno dei Sacchetti. - 16S - La Divina Commedia Tu era allor si del tutto impedito sopra colui che già tenne Altaforte, che non guardasti in là, si fu partito ». 30 (( O duca mio, la violenta morte che non gli è vendicata ancor, diss' io, per alcun che dell' onta sia consorte, 33 fece lui disdegnoso ; ond' ei sen gio senza parlarmi, si com' io estimo: ed in ciò m'ha e' fatto a sé più pio». 36 Cosi parlammo infìno al loco primo che dello scoglio 1' altra valle mostra, se pili lume vi fosse, tutto ad imo. 39 Quando noi fummo in su 1' ultima chiostra di Malebolge, si che i suoi conversi potean parere alla veduta nostra, 42 lamenti saettaron me diversi, che di pietà ferrati avean gli strali ; ond' io gli orecchi con le man copersi. 45 Qual dolor fora, se degli spedali di Val di Chiana tra il luglio e il settembre, e di Maremma e di Sardigna i mali 48 fossero in una fossa tutti insembre ; tal era quivi, e tal puzzo n' usciva, qual suol venir delle marcite membre. 51 Noi discendemmo in su 1' ultima riva del lungo scoglio, pur da man sinistra, ed allor fu la mia vista più viva 54 2<). Altaforte. — Bertram Dal 41. Conversi. — Abitanti chiu- lUmio ora sij^nori' di Hautefort si nella chiostra. (1 Allaforlc. 43. Diversi. — Strani. 30. Sì fu. — Sino a che. 44. Di pietà ferrati. — Che 32. Vendicata. — Gerì fu ven- ferivano di profonda pietà, dicato trent'anni dopo, da un ni- 47. Val di Chiana. ^ — Al tempi i)Ote che uccise uno dei Sacchetti j; Dantf> vi sorgevano ospizi per sulla norta di casa sua , ; ^^^^^^. ,„3,arici. -il,. Consorte. — Parente, quin- o e .»• itf„.o«,„.„ a: e^r/ii j. '^ . , u „ II' V„ T ., 48. E di Maremma e di sardi= di consfiunto anche nell onta, l^a '*'■ ,, , . , vendetta privata ai tempi di J?na- — l'aludose, malsane e Dante era diritto e dovere. sjxjpolate nel Medio Evo. .^6. E'. Hgli. 49- Insembre. — Insieme. 37. Al loco primo dello scoglio. ^4. Ed allor ecc. — Vedi più — Donde, se ci fosse piti luce, chiaramente, si vedrebbe l'ultima bolgia. - 166 - Inferno - Canto XXIX giù vèr lo fondo, là 've la ministra dell'alto Sira, infallibil giustizia, punisce i falsator che qui registra. 57 Non credo che a veder maggior tristizia fosse in Egina il popol tutto infermo, quando fu l'aer si pien di malizia . (jO che gli animali infino al picciol vermo cascaron tutti, e poi le genti antiche, secondo che i poeti hanno per fermo, 63 si ristorar di seme di formiche ; ch'era a veder per quella oscura valle languir gli spirti per diverse biche. 66 Qual sopra il ventre, qua! sopra le spalle l'un dell'altro giacca, e qual carpone si trasmutava per lo tristo calle. 69 Passo passo andavam senza sermone, guardando ed ascoltando gli ammalati, che non potean levar le lor persone. 72 Io vidi due sedere a sé poggiati, come a scaldar si poggia tegghia a tegghia, dal capo al pie di schianze maculati 75 e non vidi giammai menare stregghia da ragazzo aspettato dal signorso, né da colui che mal volentier vegghia, 78 57. Registra. — Tunisce nel- 62. Genti antiche. Gli aii- l'inferno.^ lichi abitanti d'Egina. 5g. Egina. — Isoletta presso 63. I poeti. — Ovidio. Atene, abitata dalla ninfa Egi- 64. Si ristorar. — Rinacqueio. na, amata da Giove; Giunone, 66. Per diverse biche. — Jn volendo vendicarsi, vi mandò la diversi modi ammonticchiati, co- peste, che uccise gli animali èj^Ii '"^ ' t'ovoni formanti le biche, uomini. Eaco, figlio d'Egiifa, 69. Trasmutava. — Trascina- unico superstite, pregò Giove di ^^^ Tegghia, ecc. - Teglia. mv.are tanti uoni.m, quante e- ^^ Schianze. - Croste, rano le formiche che stavano ai ^g Stregghia. — Striglia, suoi piedi e fu esaudito ; i nuo- --. Signorso. — Signore suo. vi abitanti ebbero il nome di Mir- 78. Colui ecc. — Quegli che midoni. _ ^ è assonnato e si stropiccia gli 60. Malizia. — Cattivi germi. occhi. 167 La Divina Commedia come ciascun menava spesso il morso dell'unghie sopra sé per la gran rabbia del pizzicor, che non ha più soccorso ; 81 e si traevan giù l'unghie la scabbia, come coltel di scardova le scaglie o d'altro pesce che più larghe l'abbia. 84 <( O tu che con le dita ti dismaglie, cominciò il duca mio a un di loro, e che fai d'esse talvolta tanaglie, 87 dinne s'alcun latino è tra costoro che son quinc' entro, se l'unghia ti basti etemalmente a cotesto lavoro». 90 (( Latin sem noi, che tu vedi si guasti qui ambedue, rispose l'un piangendo; ma tu chi se', che di noi domandasti? » 93 E il duca disse : « Io son un che discendo con questo vivo giù di balzo in balzo, e di mostrar lo inferno a lui intendo ». 96 Allor si ruppe lo comun rincalzo ; e tremando ciascuno a me si volse con altri che l'udiron di rimbalzo. 99 Lo buon maestro a me tutto s'accolse, dicendo : (( Di' a lor ciò che tu vuoli » ; ed io incominciai, poscia ch'ei volse : • 102 (c Se la vostra memoria non s' imboli nel primo mondo dall'umane menti, ma s'ella viva sotto molti soli, 105 ditemi chi voi siete e di che genti ; la vostra sconcia e fastidiosa pena di palesarvi a me non vi spaventi ». 10» Si. Soccorso. — Sollievo. 97. Coniun rincalzo. — Vi- 83. Come coltel, ecc. — Come cendevole sostegnu. ii coltello del cuoco raschia le 99. Di rimbalzo. — Indiretta- scaglie alla scardova, pesce d'ac- mente. qua dolce. 102. Volse. — \'olle. 8.";. Ti disniaglìe. — Ti scrosti. 103. Se la vostra memoria ecc. 88. Latino. — ltalia.no. — Che la memoiia ài voi non 89. Se. — Che. s'involi Ira i vivi. 168 Inferno - Canto XXIX « Io fui d'Arezzo, ed Albero da Siena, rispose l'un, mi fé' mettere al foco; ma quel per ch'io mori' qui non mi mena. Ili Ver è ch'io dissi a luì, parlando a gioco, ' Io mi saprei levar per l'aere a volo'; e quei, che avea vaghezza e senno poco, 114 volle ch'io gli mostrassi l'arte, e solo perch'io no '1 feci Dedalo, mi fece ardere a tal, che l'avea per figliuolo. 117 Ma neir uUima bolgia delle diece me per 1' alchimia, che nel mondo usai, dannò Minos, a cui fallar non lece ». 120 Ed io dissi al poeta : « Or fu giammai gente si vana come la sanese? certo non la francesca si d'assai». 123 Onde l'altro lebbroso che m'intese rispose al detto mio : « Tràmmene Siriaca, che seppe far le temperate spese, 126 e Niccolò, che la costuma ricca del garofano prima discoperse nell'orto, dove tal seme s'appicca; 129 log. Io fui d'Arezzo. — Forse è il maestro Griffolino, alchimi- sta, che dicesi abbia ingannato Albero o Alberto fie:lio o pu- pillo del vescovo di Siena, facen- dogli credere ch'egli sapeva vo- lare. Fu fatto ardere come Pa- tarino dallo stesso vescovo, che volle cosi vendicare l'ingannato figliuolo. III. Ma quel per ch'io ecc. — Ma sono all'Inferno perchè al- chimista, e non perchè ho in- gannato Albero. ii6. No 'i feci. — Non seppi farlo volare. 120. Fallar non lece. — Non può ingannarsi. 123. La francesca. — La fran- cese. i2t;. Tràmmene ecc. — Eccet- to Stricca di Giovanni de' Salun- beni, podestà di Bologna, 127Ó, o Stricca de' Tolomei o dei Mo- rescotti. 126. Temperate spese. — In senso ironico. 127. Niccolò. — De' Salimbeni e fratello di Stricca (o Dure de' Bonsignori) e come quegli facen- te parte della brigata spenderec- cia di Siena. La costuma ricca. — L'uso di mettere chiodi di garofano e al- tre spezie nelle vivande. 129. Nell'orto. — Fra i golosi. — i6g l.A Divina Commf.dta e tranne la brigata, in che disperse Caccia d'Ascian la vigna e la gran fronda, e l'Abbagliato suo senno proferse. 132 Ma perchiè sappi chi si ti seconda con tra i sanesi, aguzza vèr me l'occhio, si che la faccia mìa ben ti risponda ; 135 si vedrai eh' io son 1' ombra di Capocchio, che falsai li metalli con alchìmia, e ti dèi ricordar, se ben t'adocchio, com' io fui di natura buona scimia ». 139 131. Caccia d'Ascian. — Degli kgramente in gioventù, poi ebbe Scialenghi, ijosse^sore di vigneti onorevoli uffici in Siena, e boschi, lutto consumò nel'a 136. Capocchio. — Di Siena o brigata spendereccia. di Firenze, alchimista, arso nel 132. L'Abbagliato. — Barto- 1289. Dicesi fesse compagno di lomeo de' Folcacchieri, visse al- studio di Dante, e contraffai tor e perfetto di uomini e di cose. CANTO XXX Nel tempo che Giimone era crucciata per Semelè contra il sangue tebano, come mostrò una ed altra fiata, 3 Atamante divenne tanto insano che, veggendo la moglie con due figli andar carcata da ciascuna mano, 6 gridò: (( Tendiam le reti, si ch'io pigli la leonessa e ì leoncini al varco », e poi distese i dìspietatì artìgli, 9 prendendo 1' un che avea nome Learco, e rotollo, e percosselo ad un sasso ; e quella s' annegò con l'altro carco. 12 2. Semeiè. — Figlia di Cad- 4. Atamante. — Impazzito per mo re di Tebe, amala da Gio- volere di Giunone, scambiò la ve e madre di Bacco; contro di mDglie Ino e i tìgli per una leo- essa infiori Giunone. nassa con i leoncini e li prese al- 3. Una ed altra fiata. — Più la rete. volte. 12. E quella. — Ino si gettò in mare con il figlio Melicerta. — T70 — Inferno - Canto XXX E quando la fortuna volse in basso l'aliezza de' troian che tutto ardiva, si che insieme ool regno il re fu casso, 15 Ecuba trista, misera e cattiva, poscia che vide Polissena morta, e del suo Polidoro in su la riva 18 del mar si fu la dolorosa accorta, forsennata latrò si come cane, tanto il dolor le fé' la mente torta. 21 Ma né di Tebe furie né troiane si vider mai in alcun tanto crude, non punger bestie, non che membra umane, 24 quant' io vidi due ombre smorte e nude, che mordendo correvan di quel modo che il porco quando del porcil si schiude. 27. L'una giunse a Capocchio, ed in sul nodo del collo l'assannò si che tirando grattar gli fece il ventre al fondo sodo ; 30 e r aretin, che rimase tremando, mi disse : « Quel folletto è Gianni Schicchi, e va rabbioso altrui cosi conciando ». 33 « O, diss'io lui, se l'altro non ti ficchi li denti addosso, non ti sia fatica a dir chi è, pria che di qui si spicchi ». 36 Ed egli a me : <( Queir è 1' anima antica di Mirra scellerata, che divenne al padre, fuor del dritto amore, amica. 39 i^. Il re ecc. — Priamo e il dolo sul terreno ch'era di pietr.T. suo regno rovinarono. 32. Schicchi. — Schicchi fio- 16. Ecnba. — Moglie di Pria- rentino finse d'essere Buoso Do- mo; fatta schiava dai greci, im- nati, e dettò testamento in nome pazzi, dopo aver veduta sua lì- di lui, ma favorendo se stesso, ylia Polissena uccisa sulla toni- 34. L'altro. — L'altra ombra, ba di Achille, e dopo aver tro- 38. Mirra. — Figlia di Ci- vato il cadavere del figlio Poli- nira, re di Cipro, per farsi a- doro sul lido della Tracia. mare dal padre si finse un'aJ- 25. Quant'io vidi ecc. — Le tra donna. Scoperta, per non furie di Troia e di Tebe erano essere uccìsa dal genitore, fug- superate da quelle infernalii. gì in Arabia, ove fu trasformata 30. Grattar ecc. — Trascinan- nella pianta cui diede il nome. — 171 - l.A Divina Comijedia Questa a peccar con esso cosi venne, falsificando sé in altrui forma, come r altro, che là sen va, sostenne, 42 per guadagnar la donna della torma, falsificare in sé Buoso Donati, testando e dando al testamento norma ». 45 E poi che i due rabbiosi fur passati, sopra cui io avea l'occhio tenuto, rivolsilo a guardar gli altri mal nati. 48 Io vidi un, fatto a guisa di leùto, pur eh' egli avesse avuta 1' anguinaia tronca dal lato, che l'uomo ha forcuto. 51 La grave idropisia, che si dispaia le membra con l'umor che mal converte che il viso non risponde alla ventraia, 54 faceva a lui tener le labbra aperte, come l'etico fa, che per la sete l'un verso il mento e l'altro in su rinverie. 57 (( O voi, che senza alcuna pena siete, e non so io perché, nel mondo gramo, diss'egli a noi, guardate ed attendete 60 alla miseria del maestro Adamo : io ebbi, vivo, assai di quel eh' io volli, ed ora, lasso! un gocciol d'acqua bramo. , 63 Li ruscelletti, che de' verdi colli del Casentin discendon giuso in Amo, facendo i lor canali freddi e molli, 06 sempre mi stanno innanzi, e non indarno ; che l'imagine lor vie più m'asciuga che il male, ond' io nel volto mi discarno. 69 42. Come l'altro, ecc. — Lo 53. Mal converie. — Si con- Schicchi fece per avere la mula verte in umori maligni, di Buoso, ch'era la migliore di 57. L'un. — Labbro. Toscana, perciò detta la donna 59. Mondo gramo. — L'in- della torma. forno. 49 Lento. — Liuto. 60. Adamo. — Di Brescia, 50. Pur ecc. — Se fesse stato falsificò il fiorino d'oro di Fi- troncalo all'inguine. renze e fu arso vivo. 52. Di.spaia. — Disforma. 68. Asciuga. — Asseta. — 172 — Inferno - Canto XXX La rigida giustizia, che mi fruga, tragge cagion del loco ov'io peccai a metter più li miei sospiri in fuga. 72 Ivi è Romena, là dov'io falsai la lega suggellata del Batista, per eh' io il corpo su arso lasciai. 75 Ma s' io vedessi qui 1' anima trista di Guido o d'Alessandro o di lor frate, per Fonte Branda non darei la vista. 78 Dentro c'è l'una già, se l'arrabbiate ombre che vanno intorno dicon vero : ma che mi vai, e' ho le membra legate? 81 S' io fossi pur di tanto ancor leggiero ch'io potessi in cent'anni andare un'oncia, io sarei messo già per lo sentiero 84 cercando lui tra questa gente sconcia, con tutto eh' ella volge undici miglia, e men d' un mezzo di traverso non ci ha. 87 Io son per lor tra si fatta famiglia : ei m'indussero a battere i fiorini, che avean ben tre carati di mondiglia ». 90 Ed io a lui : « Chi son li due tapini, che fuman come man bagnate il verno, giacendo stretti a' tuoi destri confini ? » 93 « Qui li trovai, e poi volta non dierno, rispose, quand' io piovvi in questo greppo, e non credo che dieno in sempiterno. 96 70. Fruga. — Punge 83. Un'oncia. — La dodicesi- 71. Tragge cagion dei loco. — ma" parte di un piede. Mi dà motivo, col ricordo del Ca- 3^ Di traverso. — Di lar- sentino irriguo, di sospirare da,l "hezza. desiderio. ' o Carati. — Era la venti- 73; «o™ena._ - Castello dee ..^attresima parte d'un'oncia di conti Guidi di Modigliana, pei *^ quali aveva falsificato il fiorino, »»„„J4,is„ a/t t n ,-i coll'immagine di S. Giovanni Mondiglia. - Metallo vie Battista mescolato alloro. 77. Di lor frate. — Aghinol- 93- A' tuoi ecc. —Vicino a te. fo II. 94- Voita ecc. — Non si mos- 78. Fonte Branda. — Di Ro- ^^'o- mena, ora inaridita. 95- Greppo. — Luogo sco- 79. L'una. — L'anima di sceso. Guido. — 173 — La Divina Commedia L'una è la falsa che accusò Giuseppo, l'altro è il falso Sinon greco da Troia : per febbre acuta gittan tanto leppo ». 99 E l'un di lor, che si recò a noia forse d'esser nomato si oscuro, col pugno gli percosse l'epa croia; 102 quella sonò, come fosse un tamburo : e mastro Adamo gli percosse il volto col braccio suo che non parve men duro, 105 dicendo a lui : « Ancor che mi sia tolto lo muover, per le membra che son gravi, ho io il braccio a tal mestiere sciolto». 108 Ond' ei rispose : <( Quando tu andavi al foco, non l'avéi tu cosi presto; ma si e più l'avéi quando coniavi». Ili E l'idropico: k Tu di' ver di questo; ma tu non fosti si ver testimonio là 've del ver fosti a Troia richesto ». 114 « S' io dissi falso, e tu falsasti il conio, disse Sinone, e son qui per un fallo, e tu per più che alcun altro demonio ». 117 « Ricorditi, spergiuro, del cavallo, rispose quel ch'avea enfiata l'epa; e sieti reo che tutto il mondo sallo)). 120 « A te sia rea la sete onde ti crepa, disse il greco, la lingua, e l'acqua marcia che il ventre innanzi gli occhi si t'assiepa ». 123 Allora il monetier : ndo alla cito. _ ,,. . canna, antica misura nostra Gin- , 124. Tizio. — G.gantc ucc.sj que alle sarebbero poco p\ìi di 'la apollo, per aver tentate La- sotto m"tri tona. v„ii„ I^• \ì ^ A Tifo. — Tifeo, gigante fulmi- ni;. Valle. — ■ Di Bagrada , , ^. i. ,, •^ ^ ,, , o • nato da biove e sepolto sol tu presso Zama, nella quale oci- l'Etna pione vinse Annibale. 12 «5. Di quel ecc. — Fama nel 116. Reda. — Erede di glo- mondo. ria. i2q. Grazia. — Divina. — 180 — Inferno - Canto XXXII Qual pare a riguardar la Carisenda sotto il chinato, quando un nuvol vada sopr'essa si che ella incontro penda; 138 tal parve Anteo a me, che stava a bada di vederlo chinare, e fu tal ora ch'io avrei volut'ir per altra strada: 141 ma lievemente al fondo, che divora Lucifero con Giuda, ci sposò ; né si cliinato li fece dimora, e come albero in nave si levò. 145 ij6. Carisenda. — Una dell- 138. Ella incontro penda. — famoie torri di Bologna, edifi- La torre abbia la sua pendenza cata nel ino dai fratelli Gari- nel senso opposte alla nuvola, •-endi, mozzata verso il 1355 per 139. Stava a bada. — Stava ordine di Giovanni X'isconti da .^^ osservare Oleggio, per cui fu anche detta ' p^ j^, ^^^ _ y. ^^ ^.^y, lorremozza. Ora è alta metri ^ ^ ,. ..7.51, e strapiomba a levante m. '"«mento di paura 2,27, in causa d'un abbassamen- H3- 5*POSo, — Depose. te del terreno. 14S. E come albero ecc. — Si 137. Sotto il chinato. — Sotto levò lento e grave come albero la parte che pende. di nave. CANTO XXXIl S'io avessi le rime aspre e chiocce, come si converrebbe al tristo buco, sopra il qual pontan tutte 1' altre rocce, 3 io premerei di mio concetto il suco più pienamente ; ma perch' io non 1' abbo, non senza tema a dicer mi conduco : 6 1. S'io avessi... ecc. — Paro- 4. Io premerei. — lisprimerei le di suono aspro e rauco. meglio, più efiicacemente il mio 2. Buco. — Il nono cerchio è pensiero. il più ristretto. 5. Abbo. — Ho. 3. Pontan. — S'appoggiano. — 181 — Dante 12 La Divina Commedia che non è impresa da pigliare a gabbo descriver fondo a tutto 1' universo, né da lingua che chiami mamma e babbo. 9 Ma quelle donne aiutino il mio verso, ch'aiutaro Anfìon a chiuder Tebe, si che dal fatto il dir non sia diverso. 12 O sopra tutte mal creata plebe, che stai nel loco, onde parlar è duro, me' foste state qui pecore o zebe ! 15 Come noi fummo giù nel pozzo scuri) sotto i pie del gigante, assai più bassi ; ed io mirava ancora all' alto muro, 18 dicere udimmi : « Guarda come passi ; fa si che tu non calchi con le piante le teste de' fratei miseri lassi » ; 21 per eh' io mi volsi e vidimi davante e sotto i piedi un lago, che per gelo avea di vetro, e non d'acqua, sembiante. 24 Non fece al corso suo si grosso velo di verno la Danoia in Osterlic, né Tanai là sotto il freddo cielo, 27 com' era quivi ; che, se Tambernic vi fosse su caduto o Pietrapana, non avria pur dall'orlo fatto cric. 30 8. Fondo. — II fondo, il centro. to dei pied: del gigante, per 9. Da lingua che chiami ecc. la inclinazione della superficie — In volgare italiano. ghiacciata. 10. Donne. — Muse. 18. Muro. — Dal quale li a- 11. Anfìon. — Figlio di Gio- veva calati Anteo. ve e Antiope, cosi esperto suo- 23. Lago. — Cocito. nature di cetra, che col suo suo- 26. DanOia. — Il Danubio, no fece scendere le pietre dal Osterlic. — Austria (in tede- Citerone, e avvicinarle alla città soo Oesterreich). Hi Tebe, ch'egli voleva cingere 27. Tanaì. — Tanai, o Don, di mura. fiume della Russia. 12. Sì che da! fatto ecc. — 28. Tambernic. — Forse ac- Corrispondano adeguatamente le cenna a una montagna della mie parole. .Schiavonia (Fruska Gora) o for- 15. Me' foste state... ecc. — se della Camicia (Javornik). I dannati avrebbero fatto meglio 29. Pietrapana. — Pietra A- a essere nel mondo pecore e ca- nuana, gruppo di montagne fra pre. il Serchio e la Magra. 17. Assai più bassi. — Più sot- 30. Dall'orlo. — Non avrebbe — 182 — iNi'ERNo - Canto XXXil E come a gracidar si sta la rana col muso fuor dell'acqua, quando sogna dì spigolar sovente la villana ; 33 livide, sin là dove appar vergogna, eran l'ombre dolenti nella ghiaccia, mettendo i denti in nota di cicogna. 3tì Ognuna in giù tenea volta la faccia : da bocca il freddo e dagli occhi il cor triste^ tra lor testimonianza si procaccia. ' 39 Quand' io ebbi d' intorno alquanto visto, volsimi a' piedi, e vidi due si stretti che il pel del capo avieno insieme misto. 42 « Ditemi voi, che si stringete i petti, diss' io, chi siete? » E quei piegare i colli ; e poi eh' ebber li visi a me eretti, 4.S gli occhi lor, eh' eran pria pur dentro molli, gocciar su per le labbra, e il gelo strinse le lagrime tra essi, e riserrolli : 48 con legno legno spranga mai non cinse forte cosi ; ond' ei, come due bécchi, cozzaro insieme, tanta ira li vinse. 51 Ed un, eh' avea perduti ambo gli orecchi per la freddura, pur col viso in giùe disse : (( Perché cotanto in noi ti specchi ? 54 Se vuoi saper chi scn cotesti due, la valle onde Bisenzio si dichina del padre loro Alberto e di 'or fue. 57 screpolato nemmeno l'orlo ove il dei denti e ccl lagrimare degli ghiaccio è più sottile. occhi. 32. Quando sogna ecc. — D'e- 44. Piegaro. — Indietro per state. guardare in su. 34. Là dove appar vergogna. 48. Tra essi, e riserrolli. — — Fino al viso, che arrossisce Tra gli occhi e li richiuse. per vergogna. 49- Con legno... ecc. — Mai 36. Mettendo. — Battendo i spranga di ferro strinse più denti per il freddo, e facendoli fortemente due pezzi di _ legno. e , • "jo. Becclii. — .Viontoni. sonare come fa la cicogna, quan- -^ p^^^ ^^, ^.^^ .^ .^^_ _ do batte insieme le due parti del g^;^^^ ^,^^^ i, ^j^^ becco. ^6. Bisenzio. — Piccolo fiume 38. Da bocca il freddo ecc. — di Toscana. Mostravano il freddo, col batter 57. Alberto. — Degli Alberti, - 183 - La Divina Commedia D'un corpo uscirò; e tutta la Caina potrai cercare e non troverai ombra degna più d'esser fitta in gelatina : 60 non quelli, a cui fu rotto il petto e 1' ombra con esso un colpo per !a man d'Artù ; non Focaccia; non questi, che m'ingombra 63 col capo si eh' io non veggio oltre più, e fu nomato Sassol Mascheroni : se tòsco se', ben sai ornai chi fu. 66 E perché non mi metti in più sermoni, sappi ch'io fui il Camicion de' Pazzi, ed aspetto Carlin che mi scagioni ». 69 Poscia vid' io mille visi, cagnazzi fatti per freddo ; onde mi vien riprezzo, e verrà sempre, de' gelati guazzi. 72 E mentre che andavamo in vèr lo mezzo, al quale ogni gravezza si rauna, ed io tremava nell'eterno rezzo, 75 conte di Alangona, fece testa- mento nel 1250, lasciando al fi- gflio Napoleone solo una decima parte del patrimonio, e ciò fu causa dei litig;i fraterni, nei qua- li Napoleone e Alessandro s'uc- ciscro l'uii l'alli'o. 58. D'un corpo uscirò, — Dal- la stessa madre Gualjrada nac- quero. 60. Gelatina. ■ — Luogo ge- lata. 61. Quelli. — -Mordrèc voleva uccidere il Re Arlù, suo padre o suo zio, per togliergli il re- gno. Artù invece gli trafìsse il petto con la spada, in modo che un raggio di sole passò per la ferita. 6;^. Focaccia. — De' Cancel- lieri, di Pistoia, di parte Bianca ; a tradimento uccise il cugino Detto de' Cancellieri e forse an- che il padre proprio, e lo zio. 6,v Sassol Mascheroni, — De* Toschi di Firenze, uccise a tra- dimento l'unico figlio di suo zio, ])er ereditarne il patrimonio ; scoperto il delitto, fu decapita- to, dopo essere state messo in una botte irta di punte e trasci- nato a lungo. Di lui parlò tutta la Toscana. Ó7. Metti... ecc. — Non mi faccia altre domande. 68. Camicion. — Alberto Ca- micione de' Pazzi di Valdarno, uccise il cugino Ubertino de' Pazzi. 6g. Ed aspetto Carlin ecc. — Carlino de' Pazzi di Valdarno, che, tradendo i Bianchi, commi- àe tale colpa da far parere pic- cola la mia. 70. Cagnazzi. — Lividi. 71. Mi vien riprezzo. — Rab- brividisco d 'ori-ore. 72. Gelati guazzi. — Le ac- que dei fiumi dell'Inferno che ri' stagnano in Cocito congelandosi. 75. Rezzo. — Gelo. — 184 Inferno - Canto XXXII se voler fu o destino o fortuna, non so ; ma passeggiando tra le teste, forte percossi il pie nel viso ad una. 78 Piangendo mi sgridò : « Perché mi peste ? se tu non vieni a crescer la vendetta di Montaperti, perché mi moleste?» 81 Ed io : «Maestro mio, or qui m' aspetta, si eh' io ésca d' un dubbio per costui ; poi mi farai, quantunque vorrai, fretta». 84 Lo duca stette ; ed io dissi a colui, che bestemmiava duramente ancora : (( Qual se' tu, che cosi rampogni altrui?» 87 ((Or tu chi se', che vai per l'Antenora percotendo, rispose, altrui le gote si che, se fossi vivo, troppo fora? » 90 « Vivo son io, e caro esser ti puote, fu mia risposta, se dimandi fama, eh' io metta il nome tuo tra 1' altre note ». 93 Ed egli a me : (( Del contrario ho io brama ; levati quinci, e non mi dar più lagna, che mal sai lusingar per questa lama )>. 9fi AUor lo presi per la cuticagna, e dissi : «E' converrà che tu ti nomi, o che capei qui su non ti rimagna ». 99 Ond'egli a me : «. Perché tu mi dischiomi, né ti dirò eh' io sia, né mostrerolti, se mille fiate in sul capo mi tomi >>. 102 rf). Voler. — Divino. — E' inteso in due modi. .Se m Fortuna. — Caso fortuito. fossi vivo non potresti p^rcuote- S4. Quantunque. — Quando. re cosi forte. Oppure : Se io fos- 88. Antenora, — Secondo gi- si vivo non tollererei che lu così rone dei traditori : da Antenore, mi percuotessi coi piedi. savio principe troiano, che prò- 93. Note. — Della mia com- pose ai suoi concittadini di re- media. stituire Elena ai greci, donde 9^. Lagna. — Ocrasioii'' di la- f'.irse l'altra leggenda, posterio- mcniarmi. re a quella omerica, ch'egli con- (j6. Lama. — Nel ghi.ircio di segnasse il Palladio, e perciò fos- Cocito. se traditore della patria. 102. Mi tomi. - Mi cada ad- Se fossi vivo, troppo fora. dosso. 185 - La Divina Commedia Io avea già i capelli in mano avvolti, e tratti gli n' avea più d' una ciocca, latrando lui con gli occhi in giù raccolti ; quando un altro gridò : (( Che hai tu, Bocca ? Non ti basta sonar con le mascelle, se tu non latri? qual diavol ti tocca?» «Ornai, diss'io, non vo' che tu favelle, malvagio traditor, che alla tua onta io porterò di te vere novel'.e ». « Va via, rispose, e ciò che tu vuoi, conta ; ma non tg.cer, se tu di qua entr'eschi, di quel ch'ebbe or cosi la lingua pronta. Ei piange qui l'argento de' franceschi : ' Io vidi, potrai dir, quel da Duera là dove i peccatori stanno freschi'. Se fossi domandato altri chi v'era, tu hai da lato quel di Beccherìa, di cui segò Fiorenza la gorgiera. Gianni de' Soldanier credo che sia più là con Ganellone e Tebaldello, ch'apri Faenza quando si dormia ». 105 108 ìli IH 17 120 123 io6. Bocca. — Degli Abati ; il tradibore di Mont'Aperti, il quale ferì e tagliò la mano a Jacopo Nacca de' Pazzi, di Firenze, che lì;Miava la bandiera della caval- leria fiorentina, caii'^ando la di- sfatta dei Guelfi. 107. Sonar. — Batter i denti. no. Alla tua onta. — A tuo dispetto e d'sonore. 113. Eschì. — Esca. 115. Franceschi. — France;!. 116. Quel da Duera. — Buoso di Duera o Dovcra, che fu si- ijnore di Cremona col marchesi^ Uberto Pnllav'cini . e tradì a Parma i Ghibellini lombardi, la- sciando passare, per denaro, l'e- sercito francese di Carlo I d'An- ."iò contro re Manfredi. 119. Quei, — Tesauro dei Bec- cheria, pavese, abate di Vallom- brosa e leccato pontificio ; accu- sato di aver trattato per il ri- torno dei Ghibellini in Firenze, fu decapitato dai fiorentini. 120. Gorgiera. — Collo. 121. Gianni. — Di antica e nobile famiglia ghibellina di Fi- renze, considerate da Dante co- me traditore della sua parte. 122. Ganellone. — Traditore dei Franchi a Roncisvalle, che dissuase Carlo Magno dal por- tar soccorso alla retroguardia del suo esercito, comandata da Orlando. Tebaldello. — Dei Zambrasi di Faenza, nel 1281 tradì la sua città, consegnandola una matti- na ai Guelfi Geremei, di Bolo- gna. 186 — Inferno - Canto XXXIII Noi eravam partiti già da elio, ch'io vidi due ghiacciati in una buca si che l'un capo all'altro era cappello; 126 e come il pan per fame si manduca, cosi il sopran li denti all'altro pose là 've il cervel s'aggiugne con la nuca. 129 Non altrimenti Tideo si róse le tempie a Menalippo per disdegno, che quei faceva il teschio e l'altre cose. 132 « O tu che mostri per si bestiai segno odio sopra colui che tu ti mangi, dimmi il perché, diss'io, per tal convegno 13S che, se tu a ragion di lui ti piangi, sappiendo chi voi siete e la sua pecca, ne! mondo suso ancor io te ne cangi, se quella, con ch'io parlo, non si secca ». 139 126. L'un capo ecc. — Il capo il feritore, di cui prima di morire dell'uno stava su quello dell'ai- volle rodare il capo. tro. 1-^2. L'altre cose. — Il cervel- 127. Manduca. — Mangia. lo, ecc. 128. Sopran. — Quello che 1315. Per tal convegno. — Con stava disopra. questo patto. 130. Tideo. — Uno dei sette 138. Te ne cangi. — Te ne re che assediarono Tebe: sebbe- renda il cambio, ne ferito mortalmente dal teba- 139. Quella. — La lingua, no Menalippo, riuscì a uccidere Si secca. — Non muoia. CANTO XXXIII La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola ai capelli del capo, ch'egli avea di retro guasto. 3 Poi cominciò: «Tu vuoi ch'io rinnovelli disperato dolor che il cor mi preme, già pur pensando, pria che io ne favelli. 6 Forbendola. — Pulendola. 6. Pur pensando. — .Solo pen- sando. - 187 - La Divina Commedia Ma se le mie parole esser dèn seme, che frutti infamia al traditor ch'io rodo, parlare e lagrimar vedrai insieme. 9 Io non so chi tu se', né per che modo venuto se' qua giù; ma fiorentino mi sembri veramente, quand'io t'odo. 12 Tu dèi saper ch'io fui conte Ugolino, e questi è l'arcivescovo Ruggieri ; or ti dirò perché i son tal vicino. 15 Che per l'effetto de' suoi ma' pensieri, fidandomi di lui, io fossi preso e poscia morto, dir non è mestieri ; 18 però quel che non puoi avere inteso, ciò è come la morte mia fu cruda, udirai, e saprai se m'ha offeso. 21 Breve pertugio dentro dalla muda, la qual per me ha il titol della fame e in che convien ancor ch'altri si chiuda, 24 m'avea mostrato per lo suo forame più lune già, quand'io feci il mal sonno, che del futuro mi squarciò il velame. 27 Questi pareva a me maestro e donno, cacciando il lupo e i lupicini al monte, per che i pisan veder Lucca non ponno, 30 7-8. Ksser dén seme. — Ti dp- si lens^ono i;)! ucrolll ;i imit.-w Io vono foinirn mnl'-ria d'infamia penne. pel mio niii terre nei piani di Maremma e mesi. di Pisa. Accusato dalParcivesco- 28. Maestro. Dei'a caccia, vo Ruggori, suo amicp, di tra- Donno. - Capo della I>rigaln. dimento, fu gettato nel luglio ^^^ Lupo. — Ugolino. 1288 con due tigli e finn "ip^^H .q. Lupicini. -~\ Hgli e i ni- nella lorre de Gualandi alle Set- j (e Vie, dove lu(tl morirono di fa- ' j,^^ ^^^^ _ ^,^^ ., me. '' ... n- ,, l_ (-;|; monle che s mlerpone Pisa non 22. Muda. - - La torre de' Gua- ^'^tl'- Lucca; ò il monle San Giu- landi. La muda è il luogo dove liano. — 188 — Inferno - Canto XXXI li con cagne magre, studiose e conte : Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi s'avea messi dinanzi dalla fronte. 33 In picciol corso mi pareano stanchi lo padre e i figli, e con l'acute scane mi parca lor veder fender li fianchi. 36 Quando fui desto innanzi la dimane, pianger senti' fra il sonno i miei figliuoli, ch'eran con meco, e domandar del pane. 39 Ben se'crudel, se tu già non ti duoli, pensando ciò ch'ai mio cor s'annunziava ; e se non piangi, di che pianger suoli? 42 Già eran desti, e l'ora s'appressava che il cibo ne soleva essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava ; 45 ed io sentii chiavar l'uscio di sotto all'orribile torre : ond'io guardai nel viso a' miei figliuoi senza far motto. 48 Io non piangeva, si dentro impietrai ; piangevan eMi, ed Anselmuccio mio disse : 'Tu guardi si, padre, che hai? ' 51 Però non lagrimai, né rispos' io tutto quel giorno né la notte appresso, infin che l'altro sol nel mondo uscio. 54 Come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, ed io scòrsi per quattro visi il mio aspetto stesso, 57 31. Cagne. — ■ I Ghibellini se- "enli del r:inc, e precis.aniente i .cenaci dell'arcivescovo. tlenti canini, laterali. Conte. • — Esperte in tali cacce. 38. Figliuoli. — I fii;li Gaiklo 32. Gualandi... ecc. — Tre e Uguccione, e i nipxni lìrii^aia «randi fnmioHo oliibelline d'I Pi- ed An->elmiiccio, figli del suo pri- ^^- „, ... . j „ moerenilo (lin-lf:, li. ;,:, S'avea messi dinanzi dalla ■; chiavar. - Inchiodare. ironie. — L arcivescovo Kuo- ^ t:- /•>*.. -i. ii-ieri li aveva aÌ5:zati contro il .S«- S»'- -<- «si atterrito, conte Ugolino. .'?4- I"fin- — l"i"o -'^H ••'"'•■' <''' 34. In picciol corso. — Dopo giorno seguente, hreve in<*-guiuiento. 57. Per quattro. — D;il vohi 31;. Acute scane. — Denti puii- dei dui- figliuoli e dei due niixiti. 189 La Divina Commedia ambo le mani per dolor mi morsi ; ed ei, pensando ch'io il fessi per voglia di manicar, di subito levòrsi, 60 e disser : ' Padre, assai ci fia men doglia, se tu mangi di noi : tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia '. 63 Queta'mi allor per non farli più tristi ; quel di e l'altro stemmo tutti muti : ahi, dura terra, perché non t'apristi? 66 Poscia che fummo al quarto di venuti, Gaddo mi si gittò disteso a' piedi, dicendo: 'Padre mio, che non m'aiuti?' 69 Quivi mori ; e come tu mi vedi, vid'io cascar li tre ad uno ad uno tra il quinto di e il sesto : ond'io mi diedi 72 già cieco a brancolar sopra ciascuno, e due di li chiamai poi che fùr morti ; poscia, più che il dolor, potè il digiuno ». 75 Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi torti riprese il teschio misero coi denti, che furo all'osso, come d'un can, forti. 78 Ahi Pisa, vituperio delle genti del bel paese là dove il ' si ' suona, poi che i vicini a te punir son lenti, - 81 muovansi la Caprara e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, si ch'egli anneghi in te ogni persona ; 84 .V). Ei. — I fìsliuoli e i nipoti. 8o. Del bel paese. — Dell'IUi- 6o. Manicar. — Mangiare. lia. 7.S. Poscia, più che il dolor ecc. 82. La Caprara e la Gorgona. — Quel che non aveva potuto — Capraia e Goriroma sono duo fare il dolore lo fece il digiuno, isolotti presso la foce dell '.Arno. uccidendomi. 83. Siepe. — Chiudano l'Arno 76. Torti. — Biechi. in modo dio il fiume ritorni su Pisa e l'inondi. — T90 — Inferno - Canto XXXIII che, se il conte Ugolino avea voce d'aver tradita te delle castella, non dovei tu i figliuoi porre a tal croce : 87 innocenti facea l'età novella, novella Tebe, Uguccione e il Brigata, e gli altri due che il canto suso appella. 90 Noi passamm' oltre là 've la gelata ruvidamente un'altra gente fascia, non volta in giù, ma tutta riversata. 93 Lo pianto stesso li pianger non lascia, e il duol, che trova in su gli occhi rintoppo, sì volve in entro a far crescer l'ambascia ; 96 che le lacrime prime fanno groppo, e si come visiere di cristallo riempion sotto il ciglio tutto il coppo. 99 Ed avvegna che, si come d'un callo, per la freddura ciascun sentimento cessato avesse del mio viso stallo, 102 già mi parea sentire alquanto vento ; per ch'io : «Maestro mio, questo chi move? non è qua giù ogni vapore spento? » 105 Ond'eglì a me : <( Avaccio sarai dove di ciò ti farà l'occhio la risposta, veggendo la cagion che il fiato piove». 108 Ss- Voce. — Fama 90. Suso. — Di sopra (versi 86. Castella. — Bientina, RI- i^o-óS). pafratta e Viareggio che cedette gì- Là. — Nella Tolomea. ai FioreriMni ; S. Maria in Mon- 93- I» é'ù. — Come nella te, Fucecchio, S. Croce e Mon- Caina. tecalvoli ai Lucche,i per disfare Riversata. — Supina. la lega dei nemici di Pisa ; ma J-v P"»'- — Lagrime. " ., . , i> • •„ „ Rintoppo. — Impedimento per passato li pencolo, 1 opmione , .^ .^^ ., „„„„t„,.^ ut.1- j 1. •...' t ,. ^ 1- lagrime già congelate, pubblica della citta, fomentata ^^^ coppo. — Cavità dell'oc- da avversari, accusò Ugolino di chio. tradimento. _ jÒq Avvegna che... ecc. — 87. Croce. — Supplizio. j^on ostante il mio viso avesse _ 8S. L'età novella. — Giova- perduta ogni sensibilità, tuttavia nile. mi parve sentire vento. 89. Tebe. — Funestata^ anche 106. Avaccio. — Presto, essa da discordie e stragi citta- 108. Il fiato piove. - Aglfa dine. l'aria. — 191 — La Divina Commedia Ed un de' tristi della fredda crosta gridò a noi : <( O anime crudeli tanto che data v'è l'ultima posta, 111 levatemi dal viso i duri veli, si ch'io sfoghi il dolor che il cor m'impregna, un poco, pria che il pianto si raggeli». 114 Per ch'io a lui : « Se vuoi ch'io ti sovvegna, dimmi chi sei ; e, s'io non ti disbrigo, al fondo della ghiaccia ir mi convegna )>. 117 Rispose adunque : (( Io son frate Alberigo, io son quel delle frutte del mal orto, che qui riprendo dattero per fìgo)). 120 Il O, diss'io lui, or sei tu ancor morto?» Ed egli a me : <( Come il mio corpo stea nel mondo su nulla scienza porto. 123 Cotal vantaggio ha questa Tolomea, che spesse volte l'anima ci cade innanzi ch'Alropòs mossa le dea. 12G E perché tu più volentier mi rade le invetriate lagrime dal volto, sappi che tosto che 1' anima trade, 129 come fec'io, il corpo suo l'è tolto da un demonio, che poscia il governa mentre che il tempo suo tutto sia volto. 132 ITI. Data v'è l'ultima posta. 123. Nulla scienza porto. — — Siete destinati alla Cìiudecca. Non so. 112. Veli. — Lo lagrime ghiac- 124. Tolomea. — Il terzo gi- ciato. ione prende nome da Tolomeo, ]i6. Non ti disbrigo. — Se governatore di Gerico, il quale, non li aiuto. invitato a convito il siiocoro Si- 118. Alberigo. — I-'iglio di U- mone Maccabeo, sommo sacer- jjojino de' Manfredi, frate gau- (k>tc', e i figli Mat.ati.a e Giuda, dc-nte, capo dei guelfi di Faenza ; alla fine del pranzo li fece ucci- offeso dai parenti Manfredo e dere. Ali)crghetto, finse di rappacificar- 126- Innanzi eh' Atropòs, ecc. si con loro e li invitò a pranzo; — Prima clic la Parca Atropo, ma al termine del convito, dato (he recide lo slam ; della vita, ci il segnai'' con le iwirole : (( V^cn- uccida, qui può l'anima venire, gano \f I rulla», li fece uccidere. restando il corpo su nel mondo 120. Riprendo... ecc. — ■ Ho In b.alla dei demoni. quel che merito, ho pan jier fo- 129. Trade. Tradisce. caccia. 132. Mentre ecc. l'ir luftn 121. Ancor. — .AikIio. il t'-mpn che vivf. — 192 — Inferno - Canto XXXI II Ella ruìna in si fatta cisterna ; e forse pare ancor lo corpo suso dell' ombra che di qua dietro mi verna. 135 Tu il dèi saper, se tu vien pur mo giuso : egli è ser Branca d'Oria, e son più anni poscia passati ch'ei fu si racchiuso ». 138 ((Io credo, diss'io lui, che tu m'inganni; che Branca d'Oria non mori unquanche, e mangia e bee e dorme e veste panni ». 141 « Nel fosso su, diss'ei, di Malebranche, là dove bolle la tenace pece, non era giunto ancora Michel Zanche, 144 che questi lasciò il diavolo in sua vece nel corpo suo, e d' un suo prossimano che il tradimento insieme con lui fece. 147 Ma distendi oramai in qua la mano, aprimi gli occhi » ; ed io non gliele apersi, e cortesia fu in lui esser villano. 150 Ahi, genovesi, uomini diversi d' ogni costume, e pien d' ogni magagna, perché non siete voi del mondo spersi? 153 che col peggiore spirto di Romagna trovai di voi un tal, che per sua opra in anima in Cocito già si bagna ed in corpo par vivo ancor di sopra. 157 134. Pare. — Si \ede. 142. Nel fosso. — L'anima di Suso. — Nel mondo. Branca d'Oria e quella del pa- .135. Che di qua. — Che è nel rente che l'aiutò nel delitto, era- fre(ddo infernale. no all'inferno, già prima che vi 137. Branca d'Oria. - Cava- sriungesse quella del suocero. liere genovese, che nel 1275 Ln- ' 146. Prossimano. — Parente. ^ itato a pranzo il su.jcero, Mi- 150. In lui. — Ctmtro di lui. chele Zanche, signore di Logo- 151. Diversi. — .Alieni dai co- derò, per succedergli nella si- stumi onesti. .^noria, lo fece tagliare a pezzi. 154. Spirto. — .Alberii^o di 140. Unquanche. — Non è an- Manfredi. cor morto. 155. Un tal. — Branca d'Oria 1^3 La Divina Commedia CANTO XXXIV « Vexilla regis prodeunt inferni verso di noi ; però dinanzi mira, disse il maestro mio, se tu il discerni ». 3 Come, quando una grossa nebbia spira o quando l'emisperio nostro annotta, par di lungi un molin che il vento gira ; tj veder mi parve un tal dificio allotta : poi per lo vento mi ristrinsi retro al duca mio, che non gli era altra grotta. 9 Già era, e con paura il metto in metro, là dove r ombre eran tutte coperte e trasparean come festuca in vetro : 12 altre sono a giacere, altre stanno erte, quella col capo e quella con le piante ; altra, com'arco, il volto a' piedi inverte. 15 Quando noi fummo fatti tanto avante eh' al mio maestro piacque di mostrarmi la creatura ch'ebbe il bel sembiante, 18 dinanzi mi si tolse, e fé' restarmi, <( Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco, ove convien che di fortezza t'armi)). 21 Com' io divenni allor gelato e fioco, no '1 domandar, lettor, eh' io non lo scrivo, però che ogni parlar sarebbe poco. 24 Io non morii, e non rimasi vivo; pensa omai per te, s' hai fior d' ingegno, qual io divenni, d'uno e d'altro privo. 27 I. Vexilla, ecc. — Escono i ii. Coperte. — Dalla ghiaccia. \ essili! del re dell'inferno. 12. Festuca. — Pagliuzza. 6. Par. — Appare, si mostra. 18. La creatura, ecc. — Lu- 7. Dificio. — Ordigno, mac- ci fero. Dite. china. 25. Non morii, tee. — Conser- 9. Grotta. — Argine, riparo. vai la coscienza, pur sentendomi 10. Metto in metro. — Ne morire di spavento, tratto nel poema. — 194 — iNFEKNO - Canto XXXIV Lo imperador del doloroso regno da mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia ; e pili con un gigante io mi convegno 30 che i giganti non fan con le sue braccia : vedi oggimai quant' esser dèe quel tutto che a cosi fatta parte si confaccia. 33 S'ei fu si bel com'egli è ora brutto e centra il suo fattore alzò le ciglia, ben dèe da lui procedere ogni lutto. 36 O quanto parve a me gran meraviglia, quand'io vidi tre facce a' la sua testa ! r ima dinanzi, e quella era vermiglia ; 39 r altre eran due, che s' aggiugnieno a questa sopr'esso il mezzo di ciascuna spalla, e sé giungieno al loco della cresta : 42 e la destra parea tra bianca e gialla ; la sinistra a vedere era tal, quali vegnon di là onde il Nilo s'avvalla. 45 Sotto ciascuna uscivan due grandi ali, quanto si convenia a tanto uccello; vele di mar non vid' io mai cotali, 48 Non avean penne, ma di vipistrello era lor modo ; e quelle svolazzava, si che tre venti si movean da elio. 51 Quindi Oocito tutto s'aggelava : con sei occhi piangeva, e per tre menti gocciava il pianto e sanguinosa bava. 54 Da ogni bocca dirompea co' denti un peccatore, a guisa di maciulla, si che tre ne facea cosi dolenti. 57 30. E più ecc. — C'è meno 40. S'aggiugnieno, ecc. — Er- spropc'rzione fra me e un gigan- Pevasi ciascuna sopra una delle te, che fra i giganti e le traccia spalle, e s'univa al vertice. di Lucifero. 4;^. Tra bianca e gialla. — Si- 33. Parte. — Braccia. gniiSca l'impotenza. 35. Alzò. — Si ribellò. 44. Tal ecc. — Simbolo dell'i- 36. Ben dèe. — E' giusta). gnoranza. ^ 30. Vermiglia. — Simbolo del- " 45. Di là ecc. — Dall'Etiopia, l'odio. ^0. Svolazzava. — Dibatteva. — 195 — La Divina Commedia A quel dinanzi il mordere era nulla verso il graffiar, che talvolta la schiena rimanea delia pelle tutta brulla. 60 Quell'anima là su che ha maggior pena, disse il maestro, è Giuda Scariotto, che il capo ha dentro, e fuor le gambe mena. 63 Degli altri due e' hanno il capo di sotto, quei che pende dal nero ceffo è Bruto ; vedi come si torce, e non fa motto : 06 e l'altro è Cassio, che par si membruto. Ma la notte risurge ; ed oramai è da partir, che tutto avem veduto ». 69 Com'a lui piacque, il collo gli avvinghiai; ed ei prese di tempo e loco poste, e, quando 1' ali furo aperte assai, 72 appigliò sé alle vellute coste : di vello in vello giù discese poscia tra il folto pelo e le gelate croste. 75 Quando noi fummo là dove la coscia si volge appunto in sul grosso dell' anche, lo duca con fatica e con angoscia 78 volse la testa ov'egli avea le zanche, ed aggrappossi al pel come uom che sale, si che in inferno io credea tornar anche. 81 « Attienti ben, che per cotalì scale, disse il maestro ansando com'uom lasso, conviensì dipartir da tanto male ». 84 5g. Verso. — In confronto de! ha offeso la maestà imperiale, gratìfìar delle mani. che è voluta da Dio, ed è neces- 6o. Brulla. — .Scorticata. saria al bene deiriinianità. 62. Giuda Scariotto. — Tradì- 71. Prese ecc. — Colse il mo- tore di Crist. ^^j,^ j^ ^.^„„ _ ^i 6s. Bruto. — Traditore di Ce- n ■ r sare, ossia della maestà dell'im- ^occo ni Ikkto. .jQi.Q 70. volse ecc. — Si capovolse 67. Cassio. — Longino, altro Zanche. — Gambe, traditore di Ce-are ; tome Brut» Si. Anche. — Di nuovo. 196 INIERNO - C.ANTO XXXIV Poi usci fuor per Io fóro d' un sasso, e pose me in su I' orlo a sedere ; appresso pòrse a me l'accorto passo. 87 Io levai gli occhi, e credetti vedere Lucifero com'io 1' avea lasciato, e vidili le gambe in su tenere ; 90 e s' io divenni allora travagliato, la gente grossa il pensi, che non vede qual è quel punto eh' io avea passato. 93 (t Levati su, disse il maestro, in piede : la via è lunga e il cammino è malvagio, e già il sole a mezza terza riede ». 96 Non era caminata di palagio là 'v'eravam, ma naturai burella, ch'avea mal suolo e di lume disagio. 99 (( Prima eh' io dell' abisso mi divella, maestro mio, diss' io quando fui dritto, a trarmi d'erro un poco mi favella. 102 Ov' è la ghiaccia? e questi com' è fìtto si sottosopra? e come in si pcc' ora da sera a mane ha fatto il sol tragitto?» 105 Ed egli a me : (( Tu imagini ancora d'esser di là dal centro, ov'io m'appresi al pel del vermo reo, che il mondo fora, 108 87. A me, ecc. — Volse verso qq. Mal. — Ineguale. di me il passo avveduto. jo2. Erro. — Errore. gì. Travagliato. — Turbato. jq^. La ghiaccia. — Cocito. 92. Grossa. — Ignorante. Questi. — Lucifero. 93. Punto. — Il centro della j^^ Poc'ora. — Il tempo im- '•®'"''^- ,, . T- piegato a scendere e salire per il 06. Mezza terza. - Terza, se- ^^^^^ ^. ^.^^^ sta, nona, vespro eran !e_ quat- ^^ jj^ ^^^^ ^^^^ _ Abbiamo Irò parti m cui Sfli antichi divi- , .^, .^ ^ „ • „„ d devano il giorno Terza princi- lasciato la notte e troviamo d un piava col sorgere del sole; mezza ^^^^^^ il giorno. terza corrispondeva circa alle ot- io7- Di la. — !\ella regione lo del matt'no. boreale. 07. Caminata di palagio. — 108. Vermo reo ecc. — Lun- Sala spaziosa e bene illuminata. fero, che passa da una parte al- f)8. Naturai burella. — Luogo l'altra del centro della Terra, stretto e oscuro. — 197 — Dante. 13 La Divina Commedia Di là fosti cotanto, quant' io scesi; quand'io mi volsi, tu passasti il punto al qua! si traggon d' ogni parte i pesi : 111 e se' or sotto l'emisperio giunto, eh' è contrapposto a quel che la gran secca coperchia, e sotto il cui colmo consunto 114 fu r uom che nacque e visse senza pecca; tu hai i piedi in su picciola spera, che l'altra faccia fa della Giudecca. 117 Qui è da man, quando di là è sera : e questi, che ne fé' scala col pelo, fìtto è ancora, si come prim' era. 120 Da questa parte cadde giù dal cielo : e la terra, che pria di qua si sporse, per paura di lui fé' del mar velo, 123 e venne all' emisperio nostro; e forse per fuggir lui lasciò qui il loco vóto quella che appar di qua, e su ricorse ». 12G Loco è là giù, da Belzebù rimoto tanto quanto la tomba si distende, che non per vista, ma per suono è noto 129 loi). Di là ecc. — Nella regio- ne boreale' tu fosti sok> quel tem- po che impiegai alia discesa. iio-iii. Il punto. • — Il centro della terra, il quale è pure il cen- tro della iifravità. 112. L'emisperio. — Australe. ìjT,. Contrapposto. — Opposto al boreale, ricoperto dalla terra. 114. Colmo. — Punto culmi- n;iiiti> e cioè Gerusalemme. Consunto. — Cro-cifi.sso. ■ 15. L'uom. — Cristo. Nacque. — Senza il peccato originale. 116. Picciola. • — Perchè in prossimità del centro. 117. Fa. — Corrisponde. iK). Questi. — Lucifero. 120. Sì come prim'era. — Co- me al momento che cadde dal cielo. 122. Pria. — Che Lucifero ca- desse. 124. Nostro, — Boreale. E forse... quella che appar di qua. — Che sporge dal maie e forma la montagna del Purga- torio, lasciò, forse, qui il loco voto, cioè formò questa cavità per fuj^J^ir lui, non volendo ave- re contala) con Lucifero, e ri= corse jn su, si lanciò verso la superficie dell'emisfero australe, lostituendo il monte del Purga- torio. 127- U.S. Là giù. — Nell'inter- no delle terre. Belzebù. Lucifero. Rimoto tanto. — Dal centro dove è Lucifero la cavità sii di- stendo noll'emisfero australe tan- to, quanto la cavità o voragine i.'il'i i-iiale si d'sl"nd;' dal centro — 198 — Inferno - Canto XXXIV d'un ruscelletto, che quivi discende per la buca d'un sasso, ch'egli ha róso, col corso eh' egli avvolge, e poco pende. Lo duca ed io per quel cammino ascoso entrammo, a ritornar nel chiaro mondo ; e senza cura aver d' alcun riposo salimmo su, ei primo ed io secondo, tanto ch'io vidi delle cose belle che porta il ciel, per un pertugio tondo ; e quindi uscimmo a riveder le stelle. 132 135 139 in quello boreale. L'esistenza della cavità è attestata dal ru- more di un ruscelletto, e non dalla vista, perchè è tanto scura che dal fondo non si vede il prin- cipio. i;,o. Ruscelletto. — Il Lete che scende dalla montagna del Purgatorio td alle anime puri- ficate togli? la ricordanza dei peccali, i quali sono travolti nel- r Inferno. 134. Chiaro mondo. — Alla luce e all'aria dell 'emisfero' au- strale. 137. Cose belle. — 11 sole e le stelle. 199 PURGATORIO CANTO I Per correr miglior acqua alza le vele ornai la navicella del mio ingegno, che lascia retro a sé mar si crudele ; e canterò di quel secondo regno, dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno. Ma qui la morta poesi risurga, o sante Muse, poiché vostro sono, e qui Calliope alquanto surga, seguitando il mio canto con quel suono, di cui le Piche misere sentirò lo colpo tal che disperar perdono. Do:ce color d'orientai zaffiro, che s' accoglieva nel sereno aspetto dell' aer, puro infino al primo giro, 12 15 1-3. Introduzione. 4-6. Proposizione della secon da cantica. I. Per correr... ecc. — Per trattare materia meno U'iste. 3. Mar... ecc. — L'inferno. 7. Risurga. — A cantare la irente che preparasi alla grazia divina, dopo aver cantata la gen- te dannata in eterno. Morta — Perchè tratta dei dannati. S. Vostro. — Devolo. 9. Calliope. — ■ Musa della poe- sia epica, elevi il canto. 10. Seguitando. — Accompa- o^nando. 11. Piche. — Le nove figlie di Pierio, re di Tessaglia, sfida- rono al canto le muse e furono vinte e trasformate in piche da Calliope. 13-11;. Dolce ecc. — Il colore La Divina Commedia agli occhi m!ei ricominciò diletto, tosto eh' i' uscii fuor dell' aura morta, che m'avea contristati gli occhi e il petto. 18 Lo bel pianeta che ad amar conforta faceva tutto rider 1' oriente, velando i Pesci ch'erano in sua scorta. 21 Io mi volsi a man destra, e posi mente all' altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor che alla prima gente. 24 Goder pareva il ciel di lor fiammelle : 0 settentrional vedovo sito, poiché privato sei di mirar quelle ! 27 Com' io dal loro sguardo fui partito, un poco me volgendo all'altro polo là onde il Carro già era sparito, 30 vidi presso di me un veglio solo, degno di tanta riverenza in vista, che pili non dèe a padre alcun figliuolo. 33 Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a' suoi capegli simigliante, de' quai cadeva al petto doppia lista. 36 azzurro dello zaffiro orieniale e- ra nell'aspetto sereno dell'aria, fino all'orizzonte. i8. Gli occhi e i! petto. — I sensi e l'anima. iq. Pianeta. — Venere. 21. Ch'erano in sua scorta. — Cioè in congiunzione ron Ve- nere. 23. Polo. — Antartico. Quattro stelle. — Della co- slellazione del Centauro, fornian- 1i la Croce del Sud : simbole^'t^ia- no le quattro virtù cardinali : pru- denza, fortezza, cjiustizia, tempe- ranza. 24. Prima genie. — Adamo ed Eva quand'erano nel paradiso terrestre. 26-27. Vedovo ecc. - — .Sventu- rato, perchè impedito di vedere le quattro stelle. 29. Polo. — Artico. 30. Il Carro ecc. — L' Orsa n-.ag;£jiore rra tramontala. 31. Veglio solo. — \ecchio so- litario. E' Marco Porcio Catone Uticense (q^-4?, av. C), nemico di Siila, di Catilina e di Cesare. Per non «vedere la faccia del ti- r.'inno » si uccise in Utica, dop-> aver affermato, disputando coii .'■ii amici, che libero è soltanto l'uc/mo onesto ; il malvagio è ^chiavo. Virgilio ne fa il simbo- lo ilegli uomini virtuosi, perchè come tale fu stimato dai suoi contemporanei. Dante ebbe per lui riverenza somma, e, per que- sto, non ostante Catone fosse pa- ppano e suicida. Io elesse cuslo- df> dell'ingresso del Purgatorio. 36. Doppia lista. — Due lun- ;;he ciocche. Purgatorio - Canto I Li raggi delle quattro luci sante fregiavan si la sua faccia di lume, eh' io '1 vedea come il sol fosse davante. 39 « Chi siete voi, che contro al cieco fiume fuggito avete la prigione eterna? diss' ei, movendo quell'oneste piume. 42 Chi v' ha guidati? o chi vi fu lucerna, uscendo fuor della profonda notte, che sempre nera fa la valle inferna? 45 Son le leggi d'abisso cosi rotte? o è mutato in ciel nuovo consiglio, che dannati venite alle mie grotte? » 48 Lo duca mio allor mi die di piglio, e con parole e con mano e con cenni, riverenti mi fé' le gambe e il ciglio. 51 Poscia rispose lui : « Da me non venni ; donna scese del ciel, per li cui preghi della mia compagnia costui sovvenni. 54 Ma da eh' è tuo voler che più si spieghi di nostra condizion com'ella è vera, esser non puote il mio che a te si neghi. 57 Questi non vide mai 1' ultima sera, ma per la sua follia !e fu si presso, che molto poco tempo a volger era. 60 Si come io dissi, fui mandato ad esso per lui campare, e non v'era altra via che questa per la quale io mi son messo. 63 Mostrato ho lui tutta la gente ria; ed ora intendo mostrar quelli spirti, che purgan sé sotto la tua balia. 66 37. Luci. — .Stelle ; simbolo 1 eleefano eternamenti' i dannati di virtù. all'inferno. 40. Contro. — Risalendo il 48- Grotte. — Cn-chi o balze ruscelletto. del Purijatorio. 41. Prigione, - Inferno. 58.. L'ul .ma sera, - La mor- 4- 0"^«te piume. - Barba '^X^Poco' tempo ecc. - Sol veneranda. ^.^ìq fosse passato ancora un po' 43. Lucerna. — Lume. di tempo, Dante sarebbe stato 46. Leggi d'abisso. — Che dannato. — 203 — La Divina Commeota Come io l'ho tratto, saria lungo a dirti : dell'alto scende virtù che m'aiuta conducerlo a vederti ed a udirti. 69 Or ti piaccia gradir la sua venuta ; libertà va cercando, che è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta. 72 Tu il sai, che non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta che al gran di sarà si chiara. 75 Non son gli editti eterni per noi guasti ; che questi vive e Minos me non lega, ma son del cerchio ove son gli occhi casti 78 di Marzia tua, che in vista ancor ti prega, o santo petto, che per tua la tegni : per lo suo amore adunque a noi ti piega. 81 Lasciane andar per li tuoi sette regni : grazie riporterò di te a lei, se d' esser mentovato là giù degni ». 84 « Marzia piacque tanto agli occhi miei, mentre eh' io fui di là, diss' egli allora, che quante grazie volle da me, fei. 87 Or che di là dal mal fiume dimora, più mover non mi può per quella legge che fatta fu quando me n'uscii fuora. 90 Ma se donna del ciel ti move e regge, come tu di', non c'è mestier lusinghe; bastiti ben che per lei mi richegge. 93 Va dunque, e fa che tu costui ricinghe d' un giunco schietto, e che gli lavi il viso sì che ogni sucidume quindi stinghe; 9(5 71. Libertà, — Morule. zie, per la legge divina che se- 75. La vesta ecc. — Il corpo para nettamente te anime del che risorger:^! nella gloria eterna Purgatorio dai dannati dell'In- il g'iiorno del giudizio. ferno. 79. Marzia. — V. Lif. e. IV, go." Me n'uscii fuora. — yuan. ', ^'■. . „ , ,. do, alla morte di Cristo, fui In Vista. — ìaA senibianle, , ' , , ,. , con oli atti. irado dal hmbo. Sr,; Di là. — Trn i vivi. '^-- Lusinghe. — Dolci pre 88. Mal fiume. — L'Adioronte. ghiere. 89. Più mover ecc. — Non o.'i- Schietto. — LevÌL;alo, pn- può più indurmi a coincedere gra- lilo ; simbolo di umile f>^tli . — 204 — Purgatorio - Canto 1 che non si converria l'occhio sorpriso d'alcuna nebbia andar davanti al primo ministro, eh' è di quei di paradiso. 99 Questa isoletta intorno ad imo ad imo, là giti, colà dove la batte l'onda, porta de' giunchi sopra il molle limo. 102 Nuli' altra pianta, che facesse fronda o indurasse, vi puote aver vita, però che alle percosse non seconda. 105 Poscia non sia di qua vostra redita ; lo sol vi mostrerà, che surge ornai, prender lo monte a più lieve salita ». 108 Cosi spari ; ed io su mi levai senza parlare, e tutto mi ritrassi al duca mio, e gli occhi a lui drizzai. Ut Ei cominciò : « Figliuol, segui i miei passi ; volgiamci indietro, che di qua dichina questa pianura a' suoi termini bassi». 114 L'alba vinceva l'ora mattutina che f uggia innanzi, si che di lontano conobbi il tremolar della marina. 117 Noi andavam per lo solingo piano, com' uom che torna alla smarrita strada, che infino ad essa gli par ire in vano. 120 Quando noi fummo dove la rugiada pugna col sole, e, per essere in parte ove adorezza, poco si dirada, 123 ambo le mani in su l'erbetta sparte soavemente il mio maestro pose : ond' io che fui accorto di sua arte, 120 97. Sorpriso. — Offuscato. 122. Pugna. — Resiste al so- gg. Ministro. — Angelo _ che ,p_ perchè, essendo in luogo bas- sta alla porta del Pureatono. r ... ,^^ kA j^« i 11 gai-vr V. ^^ sfuggc 3' SUOI raggi. 100. Ad imo. — Nel punto ''i j "^.^ più basso, lungo la spiaggia. . ^^3- Adorezza. — Ove spira 105. Percosse. — Delle onde. '• rezzo. 106. Redita. — Ritorno. 126. Di sua arte. — Del fine 120. Che infino ecc. — Gli pa- che Virgilio .si proponeva. re di canìininare inutilmente. — 205 — La Divina Commedia pòrsi vèr lui le guance lagrimose : quivi mi fece lutto discoperto quel color che l'inferno mi nascose. 129 Venimmo poi in sul lito diserto, che mai non vide navicar sue acque uomo che di tornar sia poscia esperto. 132 Quivi mi cinse si come altrui piacque : o maraviglia ! che qual egli scelse l'umile pianta, cotal si rinacque subitamente là onde la svelse. 136 132. Tornar. — Riiorn.n-p ne'- 133. Altrui. — A Catone^ l'emisfero abhato. 134. Scelse. — Colse. CANTO II Già era il sole all'orizzonte giunto, lo cui meridian cerchio coperchia Gerusalem col suo più alto punto, 3 e la notte che opposita a lui cerchia uscia di Gange fuor con le bilance, che le caggion di man quando soperchia ; 6 si che le bianche e le vermiglie guance, là dove io era, della bella Aurora per troppa etate divenivan rance. 9 I. Già era il soli ecc. — .So- lemme fosse, rispetto alla lon- no' le s.ei antimeridiane. vitudine, eqiiidi'^tante dalla sor- 2-3. Coperchia ecc. — Il Pur- ó-ente delI'Ebro o dalla foce del 5fator!o (\ anlipodo a Gerusa- Gange, determina qui il tempo, lenirne, e però trovasi sullo stes- dicendo die la nolt(^ ajip.aiiva so meridiano di questa città; all'oricnle di (jeiiisalemme, nel cosi che ai levar del sole in segno della Libra, dal quale esce Purgatorio corrispiaide il tramon- allorché essa si fa più lunga Io a Gerusalenmne. (sopercliia) del giorno, cioè dopo 4. Opposita a lui cerchia. — l'equinozio di autunno. La notte gira diametralmente q. Divenivan rance. — Bian- opposta al sole. co, vermiglio e ar.mclo sono i 5. Uscia di Gange ecc. — tre colori del cielo all'alba, ai- Dante, ritenendo che Gerusa- l'aurora ed allo spuntar del sole. — 206 — Pt'roatorio - Canto II Noi eravam lunghesso il mare ancora, come gente che pensa suo cammino, che va col core, e col corpo dimora ; 12 ed ecco, qual sul presso del mattino per li grossi vapor Marte rosseggia giù nel ponente sopra il suol marino, 15 cotal m'apparve, s'io ancor lo veggi a I, un lume per lo mar venir si ratto che i'. mover suo nessun volar pareggia : 18 dal qual com' io un poco ebbi ritratto l'occhio, per domandar lo duca mio, rividil più lucente e maggior fatto. 21 Poi d'ogni lato ad esso m'appario un non sapeva che bianco, e di sotto a poco a poco un altro a lui uscio. 24 Lo mio maestro ancor non fece motto mentre che i primi bianchi apparser ali ; allor che ben conobbe il galeotto, 27 gridò : « Fa, fa che le ginocchia cali ; ecco r angel di Dio, piega !e mani : ornai vedrai di sì fatti ufflciali. 30 Vedi che sdegna gli argomenti umani, sì che remo non vuol né altro velo che l'ale sue tra liti si lontani. 33 Vedi come 1" ha dritte verso il cielo, trattando l'aere con l'eterne penne, che non si mutan come mortai pelo ». 36 II. Come gente ecc. — Non jS. (ìinocthia cali. ^ Per ri- sicura della propria via, sta fer- verenza. ma. 29. Piega. — Giungi l- ma- 13. Qnal. — Cane. ni uer pregare. 16. S'io ancor lo veggia. — . .10. UfiBciali. - Mini>tri di- Cosi possa io vederlo dopo la vini, morte, andando al Purgatorio. 3i- Argomenti. - .Strumenti. 21. Maggior fatto. - PiC V n V Tu "'""n n/w "" e delle vele. Liti. — Dalla loce grande, perche più vicmo. j^j Tevere a l'isola c'el Purga- 26. Mentre. — Fin tanto che tono. non parvero. 35. Trattando. — Agitando 27. Galeotto. — Nocchiero. l'aria con pcnnr non caduche. T.A Divina Commedia Poi come più e più verso noi venne r uccel divino, più cliiaro appariva ; per che l'occhio da presso no '1 sostenne, 39 ma chinai '1 giuso ; e quei sen venne a riva con un vasello snelletto e leggiero, tanto che l'acqua nulla ne inghiottiva. 42 Da poppa stava il celestial nocchiero, tal che farìa beato pur descritto; e più di cento spirti entro sedièro. 45 « In exitii Israel de Egitto )>, cantavan tutti insieme ad una voce, con quanto di quel salmo è poscia scritto. 48 Poi fece il segno lor di santa croce ; ond'ei si gittàr tutti in su la spiaggia, ed ei sen gi, come venne, veloce. 51 La turba che rimase lì selvaggia parca del loco, rimirando intorno come colui che nuove cose assaggia. 54 Da tutte parti saettava il giorno lo sol, eh' avea con le saette conte di mezzo il ciel cacciato il Capricorno, 57 quando la nuova gente alzò la fronte vèr noi, dicendo a noi : « Se voi saprete, mostratene la via di gire al monte ». 60 E Virgilio rispose : « Voi credete forse che siamo esperti d'e-sto loco; ma noi siam peregrin, come voi siete. Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, per altra via, che fu sì aspra e forte che lo salire omai ne parrà gioco ». f^f L'anime, che si fùr di me accorte, per lo spirare, eh' io era ancor vivo, maravigliando diventare smorte ; (ìf 41. Vasello. — Navicella. 52. Selvaggia. — ^'al pratica. 42. Ne inghiottiva. — Perchè "!;6. Saette conte. - Rag^i sfiorava appena l'acqua. fulgidi 44. Parìa btato. — Vedendo- 57. Di mezzo il tiel. — Fatto lo, nnrlie solo descritto. declinare il segno del Capri- 46. In exitu ecc. — Quando corno. Israele usci dall'Egitto: così 63. Peregrin. — Stranieri, principia d salmo C'XlV. 6S. Spirare. — Respirare. — 208 — 63 Purgatorio - Canto II e come a messagger che porti olivo tragge la gente per udir novelle, e di calcar nessun si mostra schivo, 72 così al viso mio s' affissar quelle anime fortunate tutte quante, quasi obbliando d'ire a farsi belle. 75 Io vidi una di lor trarsi davante per abbracciarmi, con sì grande affetto che mosse me a far lo simigliante. 78 O ombre vane, fuor che nell'aspetto! tre volte retro a lei le mani avvinsi, e tante mi tornai con esse al petto. 81 Di maraviglia, credo, mi dipinsi ; per che 1' ombra sorrise e si ritrasse, ed io, seguendo lei, oltre mi pinsi. 8\ Soavemente disse ch'io posasse; allor conobbi chi era e pregai che per parlarmi un poco s'arrestasse. 87 Rìsposemi : ((Così com'io t'amai nel mortai corpo, così t'amo sciolta; però m' arresto : ma tu perchè vai? » 90 (( Casella mio, per tornare altra volta là dove son, fo io questo viaggio, diss'io; ma a te com'è tanta ora tolta? » 93 Ed egli a me : (( Nessxm m'è fatto oltraggio, se quei, che leva e quando e cui gli piace, più volte m'ha negato esto passaggio ; 9(3 che di giusto voler lo suo si face : veramente da tre mesi egli ha tolto chi ha voluto entrar, con tutta pace ; 99 70. Porti. — Pace. qi. Casella. — Amico di Dan- 72. Calcar. — Far ressa. le e musico, morto prima del 75. Farsi belle — Purificarsi. 1300. 70. O ombre vane, — Non 93. Tanta ora tolta. — Arrivi corporee. solo adesso al Purg-atorio. 83. Per che. — Per la qual 94. Oltraggio. — Torto, cosa. 95. Quei. — Il celestial noc- 84. Mi pinsi. — Avanzai ver- chiero. bo di lui. 97. Cile di giusto. — Che dal 85. Posasse. — Mi fermassi. volere divino è fatto il suo. 89. Nel mortai corno. — 98. Da tre mesi ecc. — Dal Quand'ero vivo. Natale 1299, in cui era comin- — 209 — L\ Divina Commkdia ond'io che era ora alla marina volto, dove l'acqua di Tevere s'insala, benignamente fui da lui ricolto. 102 A quella foce ha egli or dritta l'ala; però che sempre quivi si raccoglie qual verso d'Acheronte non si cala ». 105 Ed io : ((Se nuova legge non ti toglie memoria o uso all' amoroso canto, che mi solea quetar tutte mie voglie, 108 di ciò ti piaccia consolare alquanto l'anima mia, che, con la sua persona venendo qui, è affannata tanto». Ili ((Amor che nella mente mi ragiona», cominciò egli allor si dolcemente che la dolcezza ancor dentro mi suona. 114 Lo mio maestro ed io e quella gente eh' eran con lui parevan si contenti, come a nessun toccasse altro la mente. 117 Noi eravam tutti fissi ed attenti alle sue note; ed ecco il veglio onesto, gridando: ((Che è ciò, spiriti lenti? 120 Qual negligenza, quale stare è questo? Correte al monte a spogliarvi lo scoglio, eh' esser non lascia a voi Dio manifesto ». 123 Come quando, cogliendo biada o loglio, li colombi adunati alla pastura, queti senza mostrar l'usato orgoglio, 126 ciato il s^iubilco di Hoiiifazi(5 mincia una ranzon(^ di Dante da Vili, al IO aprile 1300 (tre unsi lui commentata nr] Convito, circii) i'anjjelo non aveva fatto 117. Come ecc. - - ,Sc non a- alcima scelta fra le anime, ac- vessini.o altra cura, cog'liendole tutte per effetto del- iig. Onesto. — Maestoso, le induls:enze. 122. Lo scoglio. — Il peccato. 101. S'insala. — Kntrando nel 124. Come ecc. — I colombi, mare, diviene salata. queti e non impettiti, adunali 104. Quivi ecc. — Le anime .illa ])astura, beccando biada o destinato al Purgfatorio si raccol- loglio, fuggono spaventati, se gono alla foce del Tevere. appare qualche cesa che lor.i 112. ((Amor ecc. — Cosi inco- fiiccia paura. — 210 — Purgatorio - CANf^ro III se cosa appare ond'e'li abbian paura, subitamente lasciano star 1' ésca perché assaliti son da maggior cura ; 129 cosi vid'io quella masnada fresca lasciar lo canto, e gire in vèr la costa, come uom che va, né sa dove riesca : né la nostra partita fu men tosta. 133 I2C). Maggior cura. — Di sai- 131. Costa, — Del monte. varsi. 13^. Tosta. — Sollecita. 130. Masnada, r- Comitiva arrivala di recente. CANTO III Avvegna che la subitana fuga dispergesse color per la campagna, rivolti al monte, ove ragion ne fruga, 3 io mi ristrinsi alla fida compagna; e come sare' io senza lui corso? chi m'.avria tratto su per la montagna? 6 Ei mi parca da sé stesso rimorso : o dignitosa coscienza e netta, come t'è picciol fallo amaro morso! 9 Quando li piedi suoi lasciar la fre'.ta, che r cnestade ad ogni atto dismaga, la mente mia, che prima era ristretta, 12 I. Avvej^na che. — Sebbene. .S. Netta. — Pulita. 3. Ove ragion ne fruga. — io. Quando ecc. — Quando Dove ci sospinge la giustizia di- Virgilio rallentò il passo, la- vina, sciando quella fretta che toglie 4. Compagna. — Compagnia. «onestà» all'aspetto, la mia y. Da sé stesso rimorso. — mente, prima intenta ai rimpro- Virgilio ave\a rimorso dell'in- veri) di Catone, ritornò ad occu- dugio, pur essendo stati i rim- parsi del viaggio, essendo desi- proveri di Catone rivolti alle a- derosa di vedere e imparare cose nime e non a lui. nuove. — 211 — La Divina Commedia lo intento rallargò, sì come vaga ; e diedi il viso mio incontro al poggio, che inverso il ciel più alto si dislaga. 15 Lo sol, che retro fiammeggiava roggio, rotto m'era dinanzi, alla figura ch'aveva in me de' suoi raggi l'appoggio. 18 Io mi volsi da lato con paura d'esser abbandonato, quando io vidi solo dinanzi a me la terra oscura; 21 e il mio conforto : « Perché pur diffidi ? a dir mi cominciò tutto rivolto ; non credi tu me teco, e eh' io ti guidi ? 24 Vespero è già colà, dov'è sepolto lo corpo, dentro al quale io facea ombra : Napoli l'ha, e da Erandizio è tolto. 27 Ora, se innanzi a me nulla s' adombra, non ti maravigliar più che de' cieli, che l'uno all'altro raggio non ingombra. 30 A sofferìr tormenti, caldi e geli simili corpi la virtù dispone, che, come fa, non vuol che a noi si sveli. 33 14. E diedi ecc. — E guardai il monte che s'innalza in mezzo al mare. 17. Rotto ecc. — Era inter- rotto davanti a me. 20. Quando io vidi. - Ouan- do non vidi proiettata sulla terra l'ombra di Virgilio (Dante in quel momento si dimenticava che Virgilio era puro spirito). 2:;. Véspero è già. — II mìo corpo è rimasto là dove ora è vespero (dopo !e tre pomeridia- ne). Se al Purgatorio sono le sei e mezzo antimeridiane a Geru- salemme saranno le sei e mezzo pomeridiane, a Napoli, posta ad occidente di ('■rrusalenimc, saran- no le ore del vespero. 27. Napoli ecc. — Il corpo del poeta morto a Brindisi, fu portato a Napoli, e ivi sepolto per ordine d'Augusto. 28. S'adombra. — S'dscura. 29-30. Non ti maravigliar più che ilei cieli. I quali, essendo irasparenti, lasciano passare i raggi. 32. Simili corpi I.1 vi In ecc. — La bontà divina dà alle ani- me dei morti corpi (( senza gros- sezza di materia, quasi diafani » perchè soffrano caldo e gelo, ma non vuole che gli uom'ni sappia- no in quale mode essa opera. Purgatorio - Canto III Matto è chi spera che nostra ragione possa trascorrer la infinita via, che tiene una sustanzia in tre persone. State contenti, umana gente, al quia. che, se potuto aveste veder tutto, mestier non era partorir Maria ; e disiar vedeste senza frutto tai, che sarebbe lor disio quetato, ch'eternalmente è dato lor per lutto : io dico d'Aristotele e di Plato e di molti altri » : e qui chinò la fronte ; e più non disse, e rimase turbato. Noi divenimmo intanto al pie del monte : quivi trovammo la roccia si erta che indarno vi sarien le gambe pronte. Tra Lerici e Turbia, la più diserta, la più romita via è una scala, verso di quella, agevole ed aperta. <( Or chi sa da qual man la costa cala, disse il maestro mio fermando il passo, si che possa salir chi va senz' ala? » 30 39 42 45 48 51 64 -^6. Che tiene ecc. — Che se- gue nelle sue azioni quel Dio, la cui sostanza è una, mentre in lui vi sono tre persone. 37. Al quia. — Al perchè, e cioè : contentatevi degfli effetti, senza indagare le cause. 3g. Mestier non era partorir Màfia. — Poiché Adamo, cono- scendo le ragioni del comando divino, non avrebbe peccato, e cosi non sarebbe divenuta neces- saria la venuta di Cristo in ter- ra, per redimere l'umanità. 40. E disiar ecc. — Aristotile e Platone, (cfr. Inf. IV, 131-134) che conobbero molto dì più di quello che si credeva potesse sapere intelletto umano, non po- terono aver giuste cognizioni in- tornio alla divinità ; se le aves- sero avute, sarebbe acquetato il loro desiderio, mentre quesio ora è la loro pena (« senza speme vi- vono in disio »). 45. Turbato. - — Essendo an- ch'egU nelle medesime condi- zioni. 46. Divenimmo. — Arrivam- mo. 48. Che indarno ecc. — Da rendere impossibile la scalata. 49. Lerici. ; — Castello sulla costa del golfo di Spezia, pres- so il fiume Magra. Turbia. — Villaggio presso Nizza. Lerici e urbia segnava- no i limiti estremi della Ligu- ria. Le strade della Liguria era- no famose ai tempi di Dante per la loro ripidità. 52. Da qual man. — Da qua! Iato. Dante. — 213 La DiviiVa Commedia E mentre ch'ei teneva il viso basso esaminando del cammin la mente, ed io mirava suso intorno al sasso, 57 da man sinistra m' appari una gente d' anime, che movieno i pie vèr noi, e non parevan sì venivan lente. 60 c( Leva, diss' io, maestro, gli occhi tuoi : ecco di qua chi ne darà consiglio, se tu da te medesmo aver no '1 puoi ». 03 Guardommi allora, e con libero piglio rispose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano; e tu ferma la speme, dolce figlio ». 66 Ancora era quel popol di lontano, dico dopo li nostri mille passi, quanto un buon gittator trarria con mano, 69 quando si strinser tutti ai duri massi dell'alta ripa, e stetter fermi e stretti, come a guardar, chi va dubbiando, slassi. 72 « O ben finiti, o già spiriti eletti, Virgilio incominciò, per quella pace ch'io credo che per voi tutti si aspetti, 75 ditene dove la montagna giace, si che possibil sia l'andare in suso; che perder tempo a chi più sa più spiace ». 78 Come le pecorelle escon del chiuso ad una, a due, a tre, e l'altre stanno timidette atterrando l'occhio e il muso; 81 e ciò che fa la prima, e l'altre fanno, addossandosi a lei s'ella s'arresta, semplici e quete, e lo 'mperché non sanno : 84 56. Esaminando del cammin passi, le anime erano ancora la mente. — Meni re la sua inen- lontane da noi un tiroi di sasso. le esamina la dilìlcoltà del cani- 72. Come ecc. — Come il vian- mino. dante, che, vedendo qualche cosa 58-59. Una gente d'anime. — d'insclito davanti a sé, si ferma Una turba di anime. irresoluto. 66. Ferma ecc. — Puoi averi- 73. Ben finiti. — Moni mila fondata speranza che queste ani- grazia divina. me ci sapranno indicare la 76. Giace. — E' meno ripida, strada. 70- Chiuso. - Ovile 68. Dopo li nostri ecc. — F^o 81. Atterrando. — Abbassan- po che noi avemmo latti mille do a terra. — 214 — Purgatorio - Canio II! si vid'io movere a venir la testa di quella mandria fortunata al!ot;a. pudica in faccia, e nell'andare onesia. 87 Come color dinanzi vider rotta la luce in terra dal mio destro canto, si che l'ombra era da me alla grotta, 90 restaro, e trasser sé indietro alquanto, e tutti gli altri che venieno appresso, non sapendo il perché, ferino altrettanto. 93 c( Senza vostra domanda io vi confesso. che questo è corpo uman che voi vedete, per che il lume del sole in terra è fesso. 96 Non vi maravigliate ; ma credete che, non senza virtù che dal ciel vegna, cerchi di soperchiar questa parete ». 99 Cosi il maestro ; e quella gente degna : «Tornate, disse, intrate innanzi dunque», coi dossi delle man facendo insegna. 102 Ed un di loro incominciò : « Chiunque tu se', cosi andando volgi il viso ; pon mente, se dì là mi vedesti unque ». 105 Io mi volsi vèr lui, e guardai '1 fiso : biondo era e bello e di gentile aspetto ; ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. 108 Quando io mi fui umilmente disdetto d'averlo visto mai, ei disse : « Or vedi », e mostrommi una piaga a sommo il pe'.to. 1 1 1 Poi sorridendo disse : « Io son Manfredi, nipote di Costanza imperadrice ; ond'io ti prego che, quando tu riedi, 11! 85. La testa. — La prima li turale di Federico II di Svevia, nea di quelle anime. nato nel i2-;i ; divenuto re di (jo. Grotta. — Rupe. Napoli, fu nemico acerrimo dei q6. Fesso. — Rotto. r-api, i quali gfli aizzarono con- gg. Soperchiar. — Superare tre Carlo d'Angiò, che lo scon- questo morite. fisse a Benevento, dove Manfredi loi. Intrate. — Andate. lasciò anche la \ha (1266). 102. Facendo insegna. — In- 113. Costanza. — Figlia di dicando la direzione. Ruggeroi I re di Sicilia e di Pu- lo.T. Di là. — Nel mondo. g^lia, sposò Arrigo VI di Svevia log- Mi fui disdetto ecc. — e fu madre d'i Federico II. Dissi che non l'avevo visto. 114. I^iedi. — Ritorni nel mon- 112. Manfredi. — Fìj:1ìo na- do. La Divina Commedia vadi a mia bella figlia, genitrice dell'onor di Cicilia e d'Aragona, e dichi il vero a lei, s'altro si dice. Poscia ch'i' ebbi rotta la persona di due punte mortali, io mi rendei piangendo a quei che volentier perdona. Orribil furon li peccati miei ; ma la bontà infinita ha si gran braccia che prende ciò, che si rivolge a lei. Se il paslor di Cosenza, che alla caccia di me fu messo per Clemente, allora avesse in Dio ben Ietta questa faccia, l'ossa del corpo mio sarieno ancora in co' del ponte presso a Benevento, sotto la guardia della grave mora. Or le bagna la pioggia e move il vento di fuor del regno, quasi lungo il Verds dov'ei le trasmutò a lume spento. 117 120 12,3 12tì 129 132 ii6. Dell'onor ecc. — Dei re- di Sicilia e Aragona. Costanza, fi.a^lia di Manfredi, sposò Pie- tro III d'Aragona, che, cacciati dall'isola i Francesi, fu eletto re di Sicilia. I figli suoi e di Costanza ereditarono cosi, oltre la corona d'Aragona, quella di Sicilia. 117. E dichi il vero ecc. — E dille ch'io sono in luogo di salvazione, pur essendo stato col- pito da scomunica. 118. Rotta. — Ferita. 119. Punte. — Colpi. 120. Quei ecc. — Die. 121. Orribil ecc. — Essendo epicureo, e non dandosi pensiero di Dio, né dei Santi. 124 Se il pastor ecc. — II pa- pa Cleni lite IV mandò, dopo la morte di Manfredi, il vescovo di Cosenza, a disseppellirne il cada- vere, sepolto presso Benevento, e volle clie iasse portato fuori dei confini del regno di Napoli (terra della Chiesa) lungo il fiume Ver- de (Garigliano) dove quel poverj corpo ebbe infine sepuliura. 126. Questa l'accia. — Quella pagina del Vangelo, in cui si legge che la bontà divina lia si gr.'in braccia per chi muore pen- tito. 127. L'ossa ecc. — Manfredi, dopo la battaglia, era stato sep- pellito presso il ponte di Bene- vento : sulla sua iossa i soldati avevano gettato ciascuno un sas- so, inna'zando cosi un enorme mucchio di pietre. 129. Mora. — Mucchio. 132. A lume spento. — Senza candele ; cosi si usava fare per i cadaveri degli scomunicali. 216 Purgatorio - Canto I\' Per lor maledizion si non si perde che non possa tornar l'eterno amore, mentre che la speranza ha fior del verde. 135 Ver è che quale in contumacia muore di santa Chiesa, ancor che al fin si penta, star gli convien da questa ripa in fuore 138 per ogni tempo, ch'egli è stato, trenta, in sua presunzion, se tal decreto più corto per buon preghi non diventa. 141 Vedi oramai se tu mi puoi far lieto, rivelando alla mia buona Costanza come m'hai visto, ed anco esto divieto; che qui per quei di là molto s'avanza». 145 papi dei 133. Lor. — Dei vescovi. 13:;. Mentre che. — l'uomo vive è in tempo vertirsi. 136. In contumacia. bando. 138. Star ecc. — Deve stare ai piedi di questa montagna. 139. Per ogni tempo ecc. — Trenta volte il tempo in cui i Fincliè a con- Al Deccatori hanno perseverato nel- l'arroganza di non voler sotto- mettersi alla Chiesa. 141. Preghi. — Di chi vive. 144. Esto divieto. — Di salire al Purgatorio, affinchè essa pre- ghi spesso per me. i^e,. Che qui ecc. — Che alle anime del Purgatorio sono molto utili le preghiere dei viventi. CANTO IV Quando per dilettanze ovver per doglie, che alcuna virtù nostra comprenda, l'anima bene ad essa si raccoglie, par che a nulla potenza piti intenda ; e questo è contra quello error, che crede che un'anima sopr'altra in noi s'accenda. 2. Che. — Le quali. Virtù. — Le facoltà dell'ani- ma : vegetativa, sensitix a, infel- lettiva. Comprenda. — Riceva in sé tutte le impressioni operanti su (li essa. S-ó. E questo è contra... — L'errore di Platone, che insegna- va avere l'uomo tre anime, e del Manichei che affermavano ne a- vesse due. 217 — I.\ Divina Commedia E però, quando s'ode cosa o vede che tenga forte a sé l'anima volta, vassene il tempo, e l'uom non se n'avvede; 9 ch'altra potenza è quella che l'ascolta, ed altra quella che ha l'anima intera : questa è quasi legata, e quella è sciolta. 12 Di ciò ebb'io esperienza vera, udendo quello spirto ed ammirando ; che ben cinquanta gradi salito era 15 lo sole, ed io non m'era accorto, quando venimmo dove quell'anime ad una gridaro a noi : « Qui è vostro domando )>. 18 Maggiore aperta molte volte impruna, con una forcatella di sue spine, l'uom della villa, quando l'uva imbruna, 21 che non era la calla, onde saline lo duca mio ed io appresso, soli, come da noi la schiera si partine. 24 Vassi in San Leo, e discendesi in Noli ; montasi su Bismantova in cacume con esso i pie : ma qui convien ch'uom vo'i ; 27 10-12. Ch'altra... — La po- tenza sensitiva che vede, ode, a- pcolta, non è quella intellettiva, che avverte il passare del tempo ; l'anima tutta attenta nella cosa veduta e udita lascia Inoperosa la potenza intellettiva, la quale perciò è lessata, cioè impedita a operare, invece l'altra è sciolta, ossia opera. 14. Quello spirto. — Manfre- di. 15. Cinquanta j^radi. — Tre ore e venti minuti dal levar del sole; e cioè le dieci del mattino. 17. Ad una. — Ad una voce. 18. Domando. — 11 luogo ac- cessibile. 19-23. Maggiore ecc. — E' maggiore l'apertura della siepe, che il confidino chiude con spi- ne al maturar deiriiva, del sen- tiero per il quale salimmo. 25. San Leo. — Cittadina su un colle dell'Urbinate, alla de- stra (Iella Marccchia. Noli. — Cittadina della rivie- ra ligure, dopo Savona, alla qua- le si scendeva da scaglioni inta- gliati nei monti. 26. Bismantova. — \'illag.oii> addossato .-illa montagna omo- nima nel Reggiano. 26. Cacume, — \'ertice, som- mità. 27-28. Con esso... — Solo con i piedi; ma qui devesi avere gran desiderio di salire, mercè le .'ili dell.i fedr' e le ])iume della carità. 218 Purgatorio - Canto lY dico con l'ali snelle e con le piume del gran disio, di retro a quel condotto, che speranza mi dava e facea lume. 30 Noi salivam per entro il sasso rotto, e d'ogni lato ne stringea lo stremo, e piedi e man voleva il suo! di sotto. 33 Poi che noi fummo in su l'orlo supremo dell'alta ripa, alla scoperta piaggia : (c Maestro mio, diss'io, che via faremo?» 36 Ed egli a me : e ora il sol'' (specchio) vedresti il rosseggian- te (rubecchio) zodiaco rotare pi'i vicino alle Orse, ossia al jiolo .'\rtico, a cui il segno dei Gemelli s'accc-sta di più dell'Ariele, nel quale ora trovasi il sole. ' 66. Cammin vecchio. — Eolit- lic.i. 6S. Dentro raccolto ecc. — Raccolto in te stesso: pen- sa che Gerusalemme (Sion) è nell'emisfero opposto, ma sullo stesso meridiano in cui trovasi la monitagna del Purgatorio, che perciò è agli antipodi di quella città. Quindi il sole qui si vede a settentrione, invece a Gerusa- lemme, ossia nell'emisfero borea- le, si vede a mezzogiorno (Dante lascia al lettore di pensare alla terza condizione del fenomeno, ossia quella che i due pimti op- posti s'ano fuori dei tropici). 71. La strada. — L'eclittica. 72. Feton. — Fetonte, cioè con '^uo danno (cfr. Inf. IX, v. .q^). PURGATORK) - CaNTO I \' vedrai come a costui convien che vada dall'un, quando a colui dall'altro fianco, se l'intelletto tuo ben chiaro bada». <( Certo, maestro mio, diss'io, unquanco non vidi chiaro si com'io discerno, là dove mio ingegno parea manco, che il mezzo cerchio del moto superno, che si chiama Equatore in alcun 'arte, e che sempre riman tra il sole e il verno, per la ragion che di' quinci si parte verso seitentrion, quanto gli Ebrei vedevan lui verso la calda parte. Ma se a te piace, volentier saprei quanto avemo ad andar, che il poggio sale più che salir non posson gli occhi miei ». Ed egli a me ; « Questa montagna è tale, che sempre al cominciar di sotto è grave, e quanto uom più va su, e men fa male. Però quand'ella ti parrà soave tanto che il su andar ti fia leggiero, come a seconda giuso andar per nave. 75 78 84 9(1 93 73. Costui. — 11 monte del Purgatorio, alla cui sinistra gira il soie. 74. A colili. — Ai monte Sion, ossia a Gerusalemme, alla cui destra volge il sole. 76-77. Unquanco non vidi ecc. — Mai, fine a quel momenlo, cosa difficile alla mia intelligen- za, intesi chiaramente, cosi co- me ora capisco essere l'equatore distante egualmente da Gerusa- lemme e dal Purgatorio. 79. Mezzo cerchio del moto su^ perno. — - L'equatore del cielo cristallino che è il più allo dei cieli mobili. 80. Arts. — ■ Astronomia : la (iua:rta del quadrivio : Aritmetica, musica, geometria, a'^tron'^mia. Hi. ira il so!e e il verno. — Poiché quando il sole è nel tro- pico del Canoro, l'inverno è a sud dell'equatore (emisf. austra- le) ; quando il sole è nel tropico del Capricorno l inverno è a nord dell'equatore (emisf. boreale). 82. Quinci si parte ecc. — Dal monte del Purgatorio, nel- l'emisfero australe, (antipodo a .Sion) l'equatore si scosta verso settentrione di quanto gli Ebrei in Palestina lo vedex'ano lonta- no, verso mezzogiorno. 87. Più. — Di più. gì. Soave. — Facile. 93. Come... — • Andare secon- do la nT-rrenle alla derix'a. La Divina Commedia allor sarai al fin d'esto sentiero : quivi di riposar l'affanno aspetta; più non rispondo, e questo so per vero ». 96 E, com'egli ebbe sua parola detta, una voce di presso sonò : « Forse che di sedere in prima avrai distretta ». 9s^ Al suon di lei ciascun di noi si torse, e vedemmo a mancina un gran petrone, del qual né io né ei prima s'accorse. 102 Là ci traemmo ; ed ivi eran persone che si stavano all'ombra dietro al sasso, com'uom per negligenza a star si pone ; ■ 105 ed un di lor, che mi sembrava lasso, sedeva ed abbracciava le ginocchia, tenendo il viso giù tra esse basso. 108 'c O dolce signor mio, diss'io, adocchia colui che mostra sé più negligente che se pigrizia fosse sua sirocchia ». Ili Allor si volse a noi, e pose mente, movendo il viso pur su per la coscia, e disse : <( Or va su tu, che se' valente ». 114 Conobbi allor chi era, e quell'angoscia, che m'avacciava un poco ancor la lena, non m'impedì l'andare a lui ; e poscia . 117 che a lui fui giunto, alzò la testa appena, dicendo : <( Hai ben veduto come il sole dall'omero sinistro il carro mena?» 120 GH atti suoi pigri e le corte parole mosson le labbra mie un poco a riso ; poi cominciai : « Sciacqua, a me non duo'^ 123 di te ornai; ma dimmi, perché assiso quirìtta se'? attendi tu iscorta, o pur lo modo usato t'hai ripriso?» 126 96. Uispojido. — rcrchò più 116. M'avacciava. — Aoccle- in là ci sarà Reatike. rava il respiro. 99. Distretta. — Bisogno. 123. Retacqua. — Fiorentino, io_v Nej^ligenza. — Pigrizia. .artefice eli liuii e chitarre, noto III. Sirocchia. — .Sorella. pei' la sua pijrrizia. 113. Pur su. — A stento. 124. Ornai. — Che sei in Piu- 115. Quell'angoscia. — I>a gatorio. stanchezza. 12.^. Quiriita. — Appunlo (.pii. Pi'Rr.ATORin - Canto V Ed ei : (( Frate, l'andare in su che porta? che non mi lascerebbe ire ai martiri l'uccel di Dio che siede in su la porta. 129 Prima convien che tanto il ciel m'aggiri di fuor da essa, quanto fece in vita, perch'io indugiai al fine i buon sospiri, 132 se orazion in prima non m'aita, che surga su di cor che in grazia viva : l'altra che vai, che in ciel non è udita? » 135 E già il poeta innanzi mi saliva, e dicea : «Vienne ornai, vedi ch'è tócco m.eridian dal sole, e dalla riva copre la notte già col pie Morrocco ». 139 127. Porta. — Giova. i-j^. Orazion. — Dei viventi. 128. Ai martiri. — Alle pene ,.4. Che... — Sal^a al cielo espiatorie dei van cerciii. dal cuore che 'sia in 'grazia del 129. L uccel. — L'angelo. e- no. M'aggiri. — Resti nel- ^^'"'v , „ i'.Vntipur-jaiorio. '^^- L altra. — Dei peccato... 1.^2. Perch'io... — .Avendo io i39- Morrocco. — Marocco, indugiato a pentirmi fino all'ul- e cioè tutto l'emisfero boreale, è timo. nella notte. CANTO V Io ero già da quell'ombre partito, e seguitava l'orme del mio duca, quando di retro a me drizzando il dito, 3 una gridò : « Ve' che non par che luca lo raggio da sinistra a quel di sotto, e come vivo par che si conduca ». C Gli occhi rivolsi al suon di questo motto, e vidile guardar per maraviglia pur me, pur m.e, e ii lume ch'era rollo. 9 I. Quell'ombre. — I negli- 5. Da sinistra. — Avendo iJ genti. so!e a destra. 4. Ve' ecc. — Guarda, fa om- m. Pur me. — Solo me. bra il corpo di Dante, che se- Rotto. — Dalla mia ombra. . 45 (( O anima, che vai per esser lieta con quelle membra, con le quai nascesti, venian gridando, un poco il passo queta : 48 guarda se alcun di noi unque vedesti, si che di lui di là novelle porti ; deh, perché vai? deh, perché non t'arresti? 53 Noi fummo già tutti per forza morti, e peccatori infìno all'ultim'ora : quivi lume del ciel ne fece accorti 54 si che, pentendo e perdonando, fuora di vita uscimmo a Dio pacificati, che del desio di sé veder n'accora ». 57 Ed io : « Perchè ne' vostri visi guati, non riconosco alcun : ma, se a voi piace cosa ch'io possa, spiriti ben nati, 60 voi dite ; ed io farò per quella pace, che, retro ai piedi di si fatta guida, di m_ondo in m.ondo cercar mi si face )>. 63 37. Vapori accesi. — Le siel- 52. Per forza ecc. — Uccisi le cadenti, o i lampeggiamenti ai violentemente, tramonti di agosto sono meno i;^. Quivi. — Nell'ultima ora veloci ecc. la grazia divina c'indusse a pen- 41. Diér volta. — Si diressero. tirci. 43. Preme a noi. — Che s'af- 57. N'accora. — Ci tormenta fretta verso di noi col desiderio di vederlo. 45. Pur va. - Seguita a cam- p^^^^, _ p mmare. ^ ,. . ' 46. Per esser lieta. — In Fa- guardi con attenzione. radisc. 61. Ed 10 farò ecc. — Ed :o 49. Unque. — Mai. lo farò per la beatitudine del 50. Di là. — Ira i vivi. Paradiso, che vado cercando'. La Divina Commedia Ed uno incominciò : " Ciascun si fida del benefìcio tuo senza giurarlo, pur elle il voler nonpossa non ricida. Ond'io, che solo innanzi agli altri parlo, ti prego, se mai vedi quel paese che siede tra Romagna e quel di Carlo, che lu mi sie de' tuoi preghi cortese in Fano si che ben per me s'adori, perch'io possa purgar le gravi offese. Quindi fu' io; ma li profondi fóri, onde usci il sangue in sul qual io sedea, fatti mi furo in grembo agli antenori, là dov'io più sicuro esser credea : quei da Esti il fé' far, che m'avea in ira assai pili là che dritto non volea. Ma s'io fossi fuggito in vèr la Mira, quando fui sopragiunto ad Oriago, ancor sarei di là dove si spira. Corsi al palude, e le cannucce e il brago m'impigliar si ch'io caddi, e li vid'io delle mie vene farsi in terra lago ». GG (39 72 75 84 b^. Del beneticio ecc. — Dri suffragi che tu potrai procurar- ci, anche senza che tu giuri. 66. Nonpossa non ricida. — Il non potere non renda incilì- cace il tuo buon volere. 68. Quel paese ecc. — Le Mar- che, poste tra la Romagna e il regno di Napoli, governate nel 1300 da Carlo II d'Angiò. Lo spirito che parla è Iacopo del Cassaro, nobile di Fano ; es- sendo egli podestà a Bologna (1296) sparlò d'Azzo Vili d'I'^- ste, marchese di Ferrara, che lo fece pugnalare (1298) nel territo- rio di Padova, ch'egli attraver- sava per recarsi a Mllanjo, ove era stato nominato podestà. 71. Per me s'adori. — .Si pre- libi per me da, anime buone. 7^. Quindi. — Da Fano. Fóri. — Ferite. 74. Io sedea. — Nel eorjx) nel quale io anima avevo sed ■. 75. Antenori. — La tradi/iione \'uoIe che Padova sia stata fon- data da Antenore troiano. 76. Là dov'io ecc. — Avendo evitato a bella p(;'^la di passare sul teirritorìc' di l<'i'rrar-i 78. Dritto. — 11 diritto me- dioevale di rappresaglia. 7(). Mira. — ■ Porgo tra Pado- va ed Oriago. 82. Corsi al palude ecc. — In seguito, sbagliò strada e s'impi- gliò nelle canne e nel limo (bra- tro) delle pa,ludi cireondanli O- riaijo. — 226 Purgatorio - Canto V Poi disse un altro : « Deh, se quel disio si compia che ti tragge all'alto monte, con buona pietate aiuta il mio. 87 Io fui di Montefeltro, io son Buonconte : Giovanna o altri non ha di me cura, per ch'io vo tra costor con bassa fronte ». 90 Ed io a lui : « Qual forza o qual ventura ti traviò si fuor di Campaldino che non si seppe mai tua sepoltura ? » 93 (( Oh, rispos'egli, a pie del Casentino traversa un'acqua che ha nome l'Archiano, che sopra l'Ermo nasce in Apennino. t:6 Dove il vocabol suo diventa vano arriva' io forato nella gola, fuggendo a piede e sanguinando il piano. 99 Quivi perdei la vista, e la parola nel nome di Maria finii ; e quivi caddi, e rimase la mia carne sola, 102 Io dirò il vero, e tu il ridi' tra i vivi; l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno gridava : ' O tu del eie!, perché mi privi? 105 Tu te ne porti di costui l'eterno per una lagrimetta che il mi toglie; ma io farò dell'altro altro governo '. 108 S.v Se quel disio. — Cu.-ì il 91. Campaldino. — Piccola desiderio della beatitudine si coni- pianura tra Poppi e Bibbiena pia. ni Casentino. 88. Io fui ecc. — Buonconte 06. Ermo. — L'eremo di Ca- da Montefeltro, ghibellino, ca- maldoli, fondalo da S. Romual- pitanando s^li Aretini nella gruer- do nell'XI secolo, presso il giogo r_a contro i Fiorentini, fu ucciso del Falterona. a Campaldino (1289) dove com- 97. Dove il vocabolo suo ecc. battè anche Dante. Per quante — Dove il primo nome (fi Ar- ricerche ■ fossero fatte il suo co.- . chiano non ha p:ù raoioae d'. pò non fu ritrovato. essere, entrando le sue acque nel- 89. Giovanna. - Vedova di ,,^^^^^ ^^^ ^; ,;^ ^ ^^^^^^ ^^ Bu'Onconte, si consolo presto del- „ , ,. \ la perdita del marito Campald.no). 90. Con bassa fronte. — Ver- 100. L eterno. - L ancma. sognandomi di non avere nessu- 108. Farò dell'altro ecc. — Del no al mondo che si curi di me. corpo farò strazio. — 227 — La Divina Cominiedia Ben sai come nell'aere si raccoglie quell'umido vapor, che in acqua riede tosto che sale dove il freddo il coglie. Ili Giunse quel mal voler, che pur mal chiede. con l'intelletto, e mosse il fummo e il vento per la virtù, che sua natura diede. 114 Indi la valle, come il di fu spento, da Pratomagno al gran giogo coperse di nebbia, e il ciel di sopra fece intento 117 si che il pregno aere in acqua si converse : la pioggia cadde, ed ai fossati venne di lei ciò che la terra non sofferse ; 120 e come a' rivi grandi si convenne, vèr lo fiume rea! tanto ve'oce si ruinò, che nulla la ritenne. 123 Lo corpo mio gelato in su la foce trovò r Archian rubesto ; e quel sospinse neir Arno, e sciolse al mio petto la croce, 126 eh' io fei di me quando il dolor mi vinse : voltommi per le ripe e per lo fondo, poi di sua preda mi coperse e cinse >k 129 « Deh, quando tu sarai tornato al mondo, e riposato della lunga via, seguitò il terzo spirito al secondo, 132 no. Riede. — Torna a con- vertirsi. 112. Giunse quel mal voler ecc. — Il demonio accc-ppiò la mala volontà che chiede solo il male, con rintelielto. 113. Fummo. — Il "apore ac- queo. 114. Per la virtù ecc. — Per il potere del diavolo « principe della podestà dell'aria». 116. Al gran giogo. — Dai monti di Pratomiigno alla do- gana. 117. Il ciel di sopra ecc. — Offuscò di vapori la regione su- periore dell'aria. 119. Fossati. — Torrentelli. 120. Sofferse. — Assorbì. 122. Fiume real. — L'Arno. 125. Rubesto. — Impetuoso. 127. Ch'io fei di me. — In- crociando le braccia. 129. Preda. — Mota e sassi che il fiume aveva porta. o con sé. 132. Il terzo spirito. — Pia de' Tolomei, senese, andò sposa a Nello de' Pannocchieschi che, dubbioso sulla sua fedeltà, o de- sideroso di sposare la contessa Margherita, vedova di, Guido di Montfort, la fece uccidere, o la uccise, gettandola da una fine- stra del castello del!a Pietra in Maremma (1297). 228 — PuKGAiOKio - Canto VI ricorditi di me, che son la Pia : Siena mi fé', disfecemi Maremma; salsi colui che inanellata pria disposando m'avea con la sua gemma )>. 136 lÌT- Salsi colui ecc. — T,!i ^a ziale, celebrandu poi il niatrimo coliii rhe mi diede l'anello nu- nio, secondo il rito cattoiico. CANTO VI Quando si parte il giuoco della zara, colui che perde si rimati dolente, ripetendo le volte, e tristo impara. 3 Con l'altro se ne va tutta la gente : qual va dinanzi, e qual di retro il prende, e qual da lato gli si reca a mente. (ì Ei non s' arresta, e questo e quello intende ; a cui porge la man piti non fa pressa ; e cosi dalla calca si difende. 9 Tal era io in quella turba spessa : volgendo a loro e qua e là la faccia, e promettendo, mi sciogliea da essa. 12 Quivi era l'aretin, che dalle braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte, e l'altro che annegò correndo in caccia. 15 I. Si_ parte. — Si tìnisce. casa da Lalerina, giudice d'A- li gioco della zara. — Gioco rezzo; nominato vicario di Pap;i coi dadi. Bonifacio Vili, venne uccisa a -5. Ripetendo le volte, e tristo Roma da Ghino di Taceo, men- impara. — Esercitandosi a get- tre amministrava giustizia, tare i dadi, impara a giocare 14. Ghin di Tacco. — Acer- meglio un'altra vcka. rimo nemico di Bonifacio Vili, 4. Con l'altro. — Col vinci- dopo esser stato il terrore della ^*^"^' maremma senese si riconciliò f.. Gli SI reca a mente. - Pe.- ^^^ j^; ^ f„ j,„g^to cavaliere, avere del denaro. \r 8. A cui porge la man più non ^ '^""^ ""^"^^ '^^''''^ passeggia- la pressa. - Colui a cui dà qual- '"^ '"^"''i^ '" "" paesello del che cosa se ne va senza fargli contado senese. i)iù calca intorno. ' i.S- L'altro che annegò cor- 13. L'aretin. — Messer Benin- rendo in caccia. — Guccio dei — 229 — Dante. i = La Divina Commedia Quivi pregava con le mani sporte Federico Novello, e quel da Pisa che fé' parer lo buon Marzucco forte,. 18 Vidi cont' Orso, e 1' anima divisa dal corpo suo per astio e per inveggia, come dicea, non per colpa commisa ; 21 Pier della Broccia dico : e qui provveggia, mentr'è dì qua, la donna di Brabante, si che però non sia di peggior greggia. 24 Come libero fui da tutte quante queir ombre, che pregar pur eh' altri preghi, si che s'avacci il lor divenir sante, 27 io cominciai : are che tu, Virgi- lio, in Qualche tuo scritto, cioè nell'Eneide, neghi che la pre- ■^hiera revochi i decreti del Cic- lo. — 230 Purgatorio - Canto VI Ed egli a me : « La mia scrittura è piana, e la speranza di costor non falla, se ben si guarda con la mente sana ; 36 che cima di giudizio non s'avvalla, perché foco d' amor compia in un punto ciò che dèe satisfar chi qui s' astalla : 39 e là dov' io fermai cotesto punto, non si ammendava, per pregar, difetto, perché il prego da Dio era disgiunto. 42 Veramente a cosi alto sospetto non ti fermar, se quella no '1 ti dice, che lume fia tra il vero e l' intelletto. 45 Non so se intendi ; io dico di Beatrice : tu la vedrai di sopra, in su la vetta di questo monte, ridente e felice ». 48 Ed io : (( Signore, andiamo a maggior fretta ; che già non m'affatico come dianzi, e vedi omai che il poggio 1' ombra getta ». 51 <( Noi anderem con questo giorno innanzi, rispose, quanto più potremo omai : ma il fatto è d'altra forma che non stanzi. 54 Prima che sii là su, tornar vedrai colui che già si copre della costa, si che i suoi raggi tu romper non fai. 57 34. Piana. — Chiara. 43. Alto sospetto, rjuobi-ì 37. Che cima di giudizio non jìiofondo. s'avvalla ecc. — Perchè l'altezza 45. Che lume fia tra il vero del giudizio divino non si pieg^a e V intelletto. — Che sarà il per le preghiere di coloro che mezzo per il quale l'intelletto sono in terra, e r.on può permei- conoscerà il vero. Virgilio non tere che esse tengano luogo ha, ne poteva avere, cognizio- dell 'espiazione da compiersi in ni teologiche. Purgatorio. * .^i. E vedi omai che il pog- 40-41. E là dov'io fermai cote= gio l'ombra getta. — Che il sto punto ecc. — Dove espressi sole è dietro il monte, e getta questo concetto, non f)oteva la ombra sul luogo dove noi siamo, colpa essere espiata con ^pre- C-Sono circa le Ire pomeridiane), o-hiere ^4- ^^^ " fatto è d'altra for= ^42. Disgiunto. — Palinuro, a ^^.^^^ non stanzi - Il fatto cui alluda Vircrilio. era fuori ^ d.fterente da quello che credi, , „ • j. rC- I perche la via è pui lunga di della grazia di Dio, e le sue pre- ^^^^^0 supponi, .■■•hiere non potevano essero esau- ^^5. Colui ecc. — Il .Sole, ch^- "'-''• vedrai sj-trgere ancora. — 231 — La Divina Commedia Ma vedi là un'anima, che, posta sola soletta, verso noi riguarda ; quella ne insederà la via più tosta ». 60 Venimmo a lei. O anima lombarda, come ti stavi altera e disdegnosa, e nel mover degli occhi onesta e tarda ! 63 Ella non ci diceva alcuna cosa ; ma lasciavane gir, solo sguardando a guisa dì leon quando si posa. 66 Pur Virgilio si trasse a lei, pregando che ne mostrasse la miglior salita, e quella non rispose al suo domando ; 69 ma di nostro paese e della vita c'inchiese. E il dolce duca incominciava ; «Mantova...», e l'ombra, tutta in sé romita, 72 surse vèr lui del loco ove pria stava, dicendo : « O mantovano, io son Sordello della tua terra »; e l'un l'altro abbracciava. 75 Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di Provincie, ma bordello ! 78 Queir anima gentil fu cosi presta, sol per lo dolce suon della sua terra, dì fare al cittadin suo quivi festa; 81 ed ora in te non stanno senza guerra li vivi tuoi, e l'un 1' altro si rode di quei che un muro ed una fossa serra. 84 r> ). Testa. — Breve. Ha. Sordello lo sesuì, e dopo va- 6^ Sgtiardando. — .Seguendo rie peripezie morì negl'i Abruzzi, I (ilio s'.'u.irdo. in un castello donalos'li dall'An- C>C). Si posa. — Si riposa. «vioino in compenso dei suoi ser- 72. Romita. — Raccolta. vigi. Fu il mit^liore poeta ila- 74. Sordello. — Nacque a Goi- Haino che scrivesse in lingua pro- to nel territorio di Mantova sul venzale. nrincipio del secolo XTII da no- ^g. Non donna. — Non jiiù Mie famiglia. Innamcfatosi di dominalrice. fXmizza da Romano, moglie del S' Ed Ora in te non stanno conte Riccardo di S Bomfazio. ^.^^^^ ,^,,^.,_ _ j,^, ;,^^.^^.^, ^,.., signore di Verona, la rapì ; al- . cuni anni dopo abbandonò l'Ita- '" ^^ ^^.' . . i^. Ila; in Provenza conobbe Carlo 84- D» «H'ei che ecc. - Di D'Angiò, che lo volle alla sua uuelli che seno di una s'ossa cit- corte ; e quando egli scese in I(n- 'à. ■ — 232 — ■ PuRC.ATORio - Canto \'i Cerca, misera, intorno dalle prode le tue marine, e poi ti guarda in seno, se alcuna parte in te di pace gode. 87 Che vai, perché ti racconciasse il freno Giustiniano, se la sella è vota? senz'esso fora la vergogna meno. 90 Ahi gente, che dovresti esser devota e lasciar seder Cesar nella sella, se bene intendi ciò che Dio li nota, 93 guarda com'esta fiera è fatta fella, per non esser corretta dagli sproni, poi che ponesti mano alla predella. 90 O Alberto tedesco, che abbandoni costei eh' è fatta indomita e selvaggia, e dovresti inforcar li suoi arcioni, 99 giusto giudizio dalle stelle caggia sopra il tuo sangue, e sia nuovo ed aperto, tal che il tuo successor temenza n'aggia; 102 che avete tu e il tuo padre sofferto, per cupidigia di costà distretti, che il giardin dell' imperio sia diserto. 105 86. Marine. — Regioni ma- rittime. E poi ti guarda in seno. — E poi guarda le regioni interne. 88. Racconciasse ii freno. — Compilando le leggi. 89. Giustiniano. — Cfr. Pa- radiso, canto VI, verso io. Se la sella è vota. — Se il seggio imperiale è vuoto. ()o Senz'esso. - — Senza il fre- no della legislazione giustinianea. 01. Ahi gente, elle ecc. — 11 p.'i[)a ed i guelfi. ()3. Se bene intendi ciò che Di» ii nota. — Date a Cesare L|Ui-ll() che è di Cesare — dice CristO' nel Vangelo. 04. Com' està liera ecc. — Co- me rilalia è fa!ta rib'/lle ad ogni autorit.^. 96. Fredelta. — Redini, - Da quando voi credes;e di poterla guidare da soli. 97. O .Alberto tedesco. — Al- berto d'Austria, figlio di Rodolfo d'Asburgo, eletto imperatore nel 1 298 , fu ucciso a tradimento da Giovanni di Svevia nel 1308. Non s'occupò delle cose d'Italia, né poteva avendo anche troppo da fare in Germania contro i suoi molti nemici. Dante immaginan- do di scrivere nel 1300 parla in tono profetico. loi. E sia nuovo ed aperto. — Insolito ed evidente. 104. Per cupidigia di costà di= streiti. — Tratte^ut^ 105. Il giardin dell'imperio. - L'Italia. 233 La Divina Commedia Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, Monaldi e Filippeschi, uom senza cura ; color già tristi, e costor con sospetti. 108 Vien crudel, vieni, e vedi la pressura de' tuoi gentili, e cura lor magagne, e vedrai Santaflor com' è sicura. Ili Vieni a veder la tua Roma che piagne, vedova e sola, e di e notte chiama : «Cesare mio, perché non m' accompagne? » 114 Vieni a veder la gente quanto s' ama; e se nulla di noi pietà ti move, a vergognar ti vien della tua fama. 117 E se licito m'è, o sommo Giove che fosti in terra per noi crocifìsso, son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? 120 0 è preparazion, che nel!' abisso del tuo consiglio fai, per alcim bene in tutto dall'accorger nostro scisso? 123 che le terre d' Italia tutte piene son di tiranni, ed un Marcel diventa ogni villan che parteggiando viene. 126 Fiorenza mia, ben puoi esser contenta di questa digression che non ti tocca, mercé del popol tuo che s'argomenta. 129 io6. Montecchi. — Famiglia .-.i vedere in che dispregio sia ca- .^hibellina di Verona. duta l'autorità imperiale. Cappelletti. — Famiglia guel- ii8 O sommo Giove. — Dio. fa di Cremona. ' 121-122. O è prefarazion che 107. Monaldi. — Famiglia nell'abis.so del tuo consiglio ecc. guelfa di Perugia. — O forse il tuo imperscrutabi- Filippeschi. — Famiglia ghi- le consiglio vuole questi mali bellina d'Orvieto. come necessaria preparazione ad 109. Pressura. — ■ Oppressione. un bene che noi non possiamo no. De' tuoi gentili. — Gen- ancora conoscere? liliiomini ghibellini. 125. Marcel. — C. Claudio 111. Santafior. — La famiglia Marcello, uomo di grande auto- dei conti di Santafiora, che gucr- rità politica, gran nemico di Cr- reggiava allora con poca fortuna sare che fondò l'autorità impe- contro ! senesi. riale. 112. Roma. — Capitale del- 126. Parteggiando viene. — l'imperu mutato ecc. — Infatti in Firenze dal 1213 al 1307 si ebbero diciassette muta- zioni di governo. 147. Membre, — Cittadini cac- ciati e ritornati in patria secon- do !o mutabili sorti della loro fazione. 235 I.A Divina Commedia E se ben ti ricordi e vedi lume, vedrai te simigliante a quella inferma, che non può trovar posa in su le piume, ma con dar volta suo dolore scherma. 151 148. Vedi lume. — Se non hai fI qua e là per LI letto cerca di perso il lume della ragione. scherniirsi (difendersi, render nie- lli. Ma con dar volta suo do= no acuto) dal dolore. lore sche<-raa. — Mi vojcrendo- CANTO VII Poscia che l'accoglienze oneste e liete furo iterate tre e quattro volte, Sordel si trasse e disse : « Voi che siete ?» 3 (( Prima che a questo monte fosser volte l'anime degne di salire a Dio, fùr 1' ossa mie per Ottavian sepolte : G io son Virgilio; e per nuli' altro rio lo ciel perdei, che per non aver fé h. Cosi rispose allora il duca mìo. 9 Qual è colui che cosa innanzi sé sùbita vede, ond'ei si maraviglia, che crede e no dicendo: <( Ell'è, non è»; 12 tal parve quegli, e poi chinò le ciglia, ed umilmente ritornò vèr lui, ed abbracciollo ove il minor s'appiglia. 15 « O gloria de' latin, disse, per cui mostrò ciò che potea la lingua nostra, o pregio eterno del loco ond' io fui, 18 2. Iterate. — Ripetuto. 15. Il minor s'appigUa. - 4. l'rima ecc. — Della morte Alle gambo, a cui i bambini, o di Oisto. crl'inferi'.ri. si stringono. (). Per. — Ordine. 17. La linj^ua. — Latina. 7. Rio. — Colpa. 18. Loco. — Manlova. 8. Per non aver fé. — Per non aver conosciuto la vera fede. — 236 — Purgatorio - Canto \\ì qua! merito o qual grazia mi ti mostra? S'io son d'udir le tue parole degno, dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra ». 21 « Per tutti i cerchi del dolente regno, rispose lui, son io di qua venuto : virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno. 24 Non per far, ma per non far ho perduto di veder P alto sol che tu disiri e che fu tardi da me conosciuto. 27 Loco è là giù non tristo da martiri, ma di tenebre scio, ove i lamenti non suonan come guai, ma son sospiri. 30 Quivi sto io coi parvoli innocenti, dai denti morsi della morte avante che fosser dell'umana colpa esenti. 33 Quivi sto io con quei che le tre sante virtù non si vestirò, e senza vizio conobber l'altre e seguir tutte quante. 36 Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio dà noi, perché venir possiam più tosto là dove purgatorio ha dritto inizio». 39 Rispose : (c Loco certo non e' è posto : licito m' è andar suso ed intorno; per quanto ir posso, a guida mi t'accosto. 42 Ma vedi già come dichina il giorno, ed andar su di notte non si puote ; però è buon pensar di bel soggiorno. 45 Anime sono a destra qua ri mote ; se '1 mi consenti, io ti merrò ad esse, e non senza diletto ti fìen note ». 48 21. Chiostra. — Cerchio. 35. Virtù. — Teolog.-ili ; fede, 25. Per far. — Non per com- .speranza, ciirilà. mettere colpa, ma p?r mancanzri 36. L'altre. — C'i\ili e natu- ili fede. rali. 26. So!. — Dio. ?,<)■ Dritto inizio. — Il vero 28. Loco è là giù. — 11 Lim- Pnncipio. ] 40. Certo. — Fisso. *' ■ e *• T^ -n ■ , Posto. — Assegnato. 33. tsenti. — Purificati, col- _^. gg, soggiorno. — I.iinoo l'acqua del battesimo, dal pecca- dove passare la notte, lo originale. 47. Merrò. — .Menerò. — 237 — La Divina Commedia (( Com' è ciò? fu risposto : chi volesse salir di notte, fora egli impedito d'altrui r o non sarria che non potesse? » 51 E il buon Sordello in terra fregò il dito, dicendo : (( Vedi, sola questa riga non varclieresti dopo il sol partito : 54 non però che altra cosa desse briga, che la notturna tenebra, ad ir suso ; quella col non poter la voglia intriga. 57 Ben si poria con lei tornare in giuso e passeggiar la costa intorno errando, mentre che l'orizzonte il di tien chiuso ». 60 Allora il mio signor, quasi ammirando : (( Menane dunque, disse, là ove dici che aver si può diletto dimorando ». 63 Poco allungati c'eravam di liei, quand' io m' accorsi che il monte era scemo, a guisa che i valloni sceman quici. 66 «Colà, disse quell'ombra, n'anderemo dove la costa face di sé grembo, e quivi il nuovo giorno attenderemo ». 69 Tra erto e piano era un sentiero sghembo, che ne condusse in fianco della lacca, là dove più che a mezzo muore il lembo. 72 Oro ed argento fino e cocco e biacca, indico, legno lucido e sereno, fresco smeraldo in l'ora che si fiacca, 75 dall'erba o dalli fior dentro a quel seno posti, ciascun saria dì color vinto, come dal suo maggiore è vinto il meno. 78 49. Risposto. — D.i Viiroriiio. 70. Sghembo. — Tortuoso. 51. O non ecc. — Non salirei»- 71. Lacca. — V'.alle, cavità, he per mancanza di forza? 72. Là dove. — L'avvaliamen- 55. Desse. — Impedimento. lo è meno profondo. 57. Quella ecc. — L'oscurii;'i 73. Cocco. — Cocciniglia, ijenera l'impotenza, questa arre- 74. Indico lej^no ecc. — Lc- sla la \o'ontà. i^no bruno dcll'Indin, forse l'e- 60. Mentre. — Durante la nut- li.iiio. le. 75. In l'ora ecc. — Quando si 65. Scemo. — Incavalo. «yiacca, ch'è più lucente. 6'(ì. Quici. — Quao^giii. 7-. Ciascun ecc. — L'oro, 238 Purgatorio - Canto \li Non avea pur natura ivi dipinto, ma di soavità di mille odori vi facea un incognito e indistinto. 81 Salve, Regina, in sul verde e in sui fiori quivi seder cantando anime vidi, che per la valle non parean di fuori. 84 (c Prima che il poco sole omai s'annidi, cominciò il mantovan che ci avea vólti, tra color non vogliate ch'io vi guidi. 87 Da questo balzo meglio gli atti e i volti conoscerete voi di tutti quanti, che nella lama giù tra essi accolti. 90 Colui, che più sied' alto e fa sembianti d' aver negletto ciò che far dovea, e che non move bocca agli altrui oanti, 93 Ridolfo imperador fu, che potea sanar le piaghe c'hanno Italia morta, si che tardi per altri si ricrea. 96 L' altro, che nella vista lui conforta, resse la terra dove l'acqua nasce, che Molta in Albia ed Albia in mar ne porta : 99 l'argento ecc. sarebbero superati dalla bellezza di quei fiori, come il minore è superato dal mag- giore. 79. Pur. — Solamente. 81. Un ecc. — Profumo soave, risultante dalla fusione del mille odori. 84. Non parean. — Ni>n si n-!03travano per la concavità del- la valle. 86 Vólti. — Guidati. 90. Nella lama. — Entio I.t xaile, fra gli spiriti. 94. Ridolfo. — Di Asburgo, padre di Alberto crAustria, coro- nato imperatore nel 1273, morto nel 1292 ; fece annunciare la sua fliscesa in Italia ma poi non venne. 96. Si che tardi ecc. — Allu de ai tentativi fatti da .Arrigo VII, per restaurare l'autorità im- periale. 97.^Nella vista. — Mostra ora di confortare Rodolfo, mentre in vita gli fu nemico. 00. Molta. — Il fiume Mol- dava che raccoglie le acque della Boemia e si getta nell'Elba (.Al- bia). 239 La Divina Commedia Otàcchero ebbe nome, e nelle fasce fu meglio assai che Vincislao suo figlio barbuto, cui lussuria ed ozio pasce. E quel nasetto, che stretto a consiglio par con colui e' ha si benigno aspetto, mori fuggendo e disfiorando il giglio : guardate là come si batte il petto ; r altro vedete e' ha fatto alla guancia della sua palma, sospirando, letto. Padre e suocero son del mal di Francia : sanno la vita sua viziata e lorda, e quindi viene il duol che si li lancia. Quel che par si membruto, e che s' accorda cantando con colui dal maschio naso, d'ogni valor portò cinta la corda. E se re dopo lui fosse rimase lo giovinetto che retro a lui siede, bene andava il valor di vaso in vaso ; 102 105 108 111 114 117 100. Otàcchero. — Oitocara II successe nel regno di Boemia al padre suo Venceslao III nel 1253, e morì nel 127S. Protestò contro l'elezione all'impero di Ro- ciolio d'Asburgo. Dicesi abbia consigliato Carlo d'Angiò di uc- cidere Corradino. Nelle fasce. — Dai primi anni. ini. Vincislao. — Venceslao IV fu principe da poco e vi- zioso. 103. Nasetto. — Filli ppc- III r.Wdito re di Francia, figlio di Luigi IX a cui successe nel 1270 e padre di h'ilipix} il Bello. Av<'- va naso piccolissimo. Nel 128.^, per la disfatta della sua flotta ner opera di Ruggero di Lauri/a, fuggiva dai paesi occupati guer- 1 oggiando contro Pietro III d'A- ragona, disonorando così il gi- glio di Francia, e moriva di crc- pacuo-re n P.-rpignano. 104. Colui. — l{nri<-o T, ic d'. Navan-a, suocero di lilppo il Bello, mori nel 1274. 100. Mal di Francia. — Filip pi il Bello. 111. Che sì ecc. — Trafigge il loro cuore come lancia. 112. Quel che tee. — Pietro III ^1236-1285) re d'Aragona (1276) e nel 1282 re di Sicilia, detto il grande. Sposò Costanza, figlia di Manfredi (1262). 113. Colui, ecc. — Carlo I d'Angiò (i 220-1 28.i), figlio di Lui- sA VIII re di Francia. Sposò Bea- trice di Provenza. Chiamato in Italia da Clemente V, ebbe d.i lui la corona del regno di Na- poli. 114. D'ogni valor ecc. — Fu dotato. 116. Giovinetto. .Alfonso III, detto il Magnifico, primogenito di Pietro ITI, succedutogli nr'l regno d'.Xragona (12S5) e morto senza figli (1291). 117. Di vaso in vas:). Di paflre in figlio. 240 — PnRGATORio - Canio VII che non si puote dir dell' altre rede : Giacomo e Federico hanno i reami ; del retaggio miglior nessun possiede. I2(i Rade volte risurge per li rami l'umana probitate : e questo vuole quei che la dà, perché da lui si chiami. 123 Anco al nasuto vanno mie parole, non men ch'ali' altro, Pier che con lui canta, onde Puglia e Provenza già si duole : 126 tant'è del seme suo minor la pianta, quanto, più che Beatrice e Margherita, Costanza di marito ancor si vanta. 129 Vedete il re della semplice vita seder là solo, Arrigo d' Inghilterra : questi ha ne' rami suoi migliore uscita. 132 iiS. Rede. — Eredi. 110- (iiacomo. — Giacomo II d'Aragona, detto il Giusto, se- condogenito di Pietro III, inco- ronato re di Sicilia (1286) e re cilia nel i2qo, morto nel 1337. Federico. — Federico II, ter- zo.a^enito di Pietio III, re di Si- cilia nel i2go, è morto nel 1337. 120, Del retaggio miglior. — Delle virtù paterne. 121. Risurge. — Passa dai ge- nitori ai fìijli. 123. Quei. — Dio, che vuole che rr]ì uomini vantino da lui o- t;ni virtù e non dai natali. i2_|. Nasuto. — Carlo d'An- l;ìò. 1211. Si duole. — Si dolgono ner la degenerazione dei figli di Carlo I. " 127. La pianta. — Carlo II d'Angiò, detto Ciodo o Zoppo, (1243-1309), degenere dal padre. '12S. Beatrice. — Figlia di Raimondo Berlinghieri, conte di Provenza, prima moglie di Car- lo I d'Angiò. Margherita. — Seconda mo- ijlie di Carlo I d'Angiò, figlia di Eude. duca di Borgogna. 129. Costanza. — Moglie di Pietro d'Aragona, può vantarsi di suo marito meglio che Beatrice e Margherita del loro. 131. Arrigo. — Arrigo III re d'Inghilterra, figlio di Giovanin Se-nza Terra (1206-1272), sempli- ce e buono secondo alcuni, pol- trone e S'.'nza carattere secondo altri. 132. Migliore «scita. — Mi- gliore discendenza col figlio E- doardo' (1240-1307), successo a! padre nel 1272. Corresse e ordi- nò le leggi, per cui fu chiamato il Giustiniano ingl-ìse. — 241 La Divina Commedia Quel che più basso tra costor s' atterra, guardando in suso, è Guglielmo marchese, per cui ed Alessandria e la sua guerra fa pianger Monferrato e Canavese ». 136 5 Sì- Pi» basso s'atterra. -^ Siede per terra più basso degli altri, perchè fu meno potente. 134. Guglielmo. — Guglielmo VII di Monferrato, detto Spada- lunga, rapo dei ghibellini. Fu fatto prigione e chiuso in una eabbia di ferro, nella quale mo- ri il I2q2. Il figlio Giovanni per vendicarlo andò contro Alessan- dria, ma, sconfitto, ebbe invaso il Monferrato «lai nemici. CANTO VII! Era già l'ora che volge il disio ai naviganti, e intenerisce il core lo di c'han detto ai dolci amici addio, e che lo novo peregrin d' amore punge, se ode squilla di lontano, che paia il giorno pianger che si more ; quand' io incominciai a render vano l'udire, ed a mirare una dell' alme surta, che I' ascoltar chiedea con mano. Ella gitmse e levò ambo le palme, ficcando gli occhi verso l'oriente, come dicesse a D'-^ : « D' altro non calme » 12 I. L'ora che volge il desio. — r^a sera, che ride=ila il desiderio del luogo natio. 3. Lo di c'han detto ecc. — II giorno della partenza. 4. Lo novo peregrin d' amore. — Il novello pellegrine è punto dall'amore per i cari lontani, ^e in quell'ora ode da lungi suono di campana, che sembra piange- ic il morir del giorno. 7. A render. — A r.on udire ne la voce di Sordello, nò quella delle anime, che avevano termi- nato la «Salve Regina». 9. L'ascoltar. — Faceva cen- no che l'ascoltassero. 10. Giunse. — Congiunse. 12. Calme, — Mi cale, mi cu- ro. — 242 — Purgatorio - Canto Vili Te liicis ante si devotamente le usci di bocca, e con sì dolci note che fece me a me uscir di mente; 15 e l'altre poi dolcemente e devote seguitar lei per tutto l'inno intero, avendo gli occhi alle superne rote. 18 Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero, che il velo è ora ben tanto sottile, certo che il trapassar dentro è leggiero. 21 Io vidi quello esercito gentile tacito poscia riguardare in sue, quasi aspettando pallido ed umile ; 24 e vidi uscir dell' alto e scender giùe due angeli con due spade affocate, tronche e private delle punte sue. 27 Verdi, come fogliette pur mo nate, erano in veste, che da verdi penne percosse traean dietro e ventilate ; 30 l'un poco sopra noi a star si venne e l'altro scese in l'opposita sponda, si che la gente in mezzo si contenne : 33 ben discerneva in lor la testa bionda ; ma nelle facce 1' occhio si smarria, come virtù che al troppo si confonda. 36 « Ambo vegnon del grembo di Maria, disse Sordello, a guardia della valle, per lo serpente che verrà via via » ; 39 tv Te lucis ante. — Te, pri- 27. Tronche ecc. — .A fisrurn- ma che la luce ecc. è il principio re la giustizia divina che difen- dei!'inno attribuito a Sant'Am- de e non offende, fuga ma non brogio, che la Chiesa canta a uccide la tentazione, compieta. 28. Pur mo, — Appena appe- i:;. Che ecc. — Mi trasse fuo- na. ri di me. 33. Si contenne. — Restò in 18. Superne rote. — Sfere ce- mezzo ai due angeli. '*'^*'- ni.' ; , , , „ . "lv L'occhio. — Mio era abba- 20. Che 11 velo. — L allesfona t- ,. in 11 111 j . i f •! , guato dallo splendore del loro essendo trasparente, facile è pe- . netrarJa. '^'^^°- 22. Esercito. — Le anime. 37- Del grembo ecc. — Dal- 26. Due angeli — Forse i che- l'empireo, rubini. — 243 — La Divina Commedia ond' io, che non sapeva per qual calle, mi volsi intorno e stretto m' accostai tutto gelato alle fidate spalle. 42 E Bordello anche : « Ora avvalliamo ornai tra le grandi ombre, e parleremo ad esse : grazioso fia lor vedervi assai ». 45 Solo tre passi credo ch'io scendesse, e fui di sotto, e vidi un che mirava pur me, come conoscer mi volesse. 48 Tempo era già che l'aere s' annerava, ma non si che tra gli occhi suoi e i miei non dichiarisse ciò che pria serrava. 51 Ver me si fece, ed io vèr lui mi fei : giudice Nin gentil, quanto mi piacque, quando ti vidi non esser tra i rei ! 54 Nullo bel salutar tra noi si tacque ; poi domandò : c( Quant'è che tu venisti a pie del monte per le lontane acque?» 57 (( O, diss' io lui, per entro i lochi tristi venni stamane, e sono in prima vita, ancor che 1' altra si andando acquisti ». 60 E come fu la mia risposta udita, Bordello ed egli indietro si raccolse, come gente di subito smarrita. . (33 L'uno a Virgilio e l'altro ad un si volse, che sedea li, gridando : c< Su, Currado, vieni a veder che Dio per grazia volse ». 66 .l^. Avvalliamo, — .Scendiamo l'assedio di Capidiii (1289I o for- i.Klla valle. se in Firenze, dove lu giudiie 51. Non dkhiarisse. — Ncn più volle, mostraiàse ciò che prima non si 57. Le lontane acque. — La vedeva per la lontananza. foce del Tevere. 53. Nin «entil. — Nino o U- 58. Per entro ecc. — Sono p-oìino, pisano, fìo-lio di Giovan- ani giunto stamane attraverso ni Visconti e di una figlia di U- l'Inferno, e sono ancora n?lla vi- yolino della Gherardcsca, giudi/- ta corporea, sebbene con questo ce di Gallura, anima della lega viaggio io corchi di giungere ai- guelfa contro Pisa, mori il 1296. la beatitudine. Forse divenne amico di Dante al- 66. Volse. — \'ollc. — 244 — Purgatorio - Canto Vili Poi volto a me : « Per quel singular grado, che tu dèi a colui, che si nasconde lo suo primo perchè che non gli è guado, 69 quando sarai di là dàlie larghe onde, di' a Giovanna mia, che per me chiami là dove agl'innocenti si risponde. 72 Non credo che la sua madre più m'ami, pyoscia che trasmutò le bianche bende, le quai convien che misera ancor brami. 75 Per lei assai di lieve si comprende, quanto in femmina foco d' amor dura, se r occhio o il tatto spesso non 1' accende. 78 Non le farà si bella sepoltura la vipera che i milanesi accampa, com'avria fatto il gallo di Gallura». 81 Cosi dicea, segnato della stampa nel suo aspetto di quel dritto zelo, che misuratamente in core avvampa. 84 67. Grado. — Gratitudine. 6q. Primo perchi. — Prime raiafioni del suo operare. Non gli è guado. — Non vi è guado : cioè l'intelletto umano non può arrivare a esso. 70. Di là ecc. — Sarai tornato ;ulla tf'rrn. 71. Giovanna. — Figlia di Nino Visconti. Nel 1206 Bonifa- zio Vili la raccomandò ai Vol- terrani quale figlia di guelfo e amico benemerito della Chiesa ; fu privata dai ghibellini di tut- ti i suoi beni : giovinetta sposò Rizzardo da Camino signore di Treviso, assassiinato nel 13 12 ; mori povera in Firenze prima del 1330. Per me cliiami ecc. — In cielo nreghi per ine lei, che ha un'a- -iiima r,'ir;>. 77. Madre. — Beatrice, figli;i dì Obizzo d'Este, vedova di Nino; sposò nel 1300 Gajeazzo Viscon- ti, signore di Milano, ghibellino. Cacciata con lui da Milano, vi rientrò con il figlio .'\zzo, e vi mori nel 1334.. Essa volle sulla sua tomba l'arme del Visconti di Pisa (il gallo) e quella dei Vi- sconti di Milano (la vipera). 74. Bianche bende. — I.e ben de vedovili. 75. Ancor brami. — Quando Dante scrive. Beatrice seguiva la sorte misera dello scomunicato marito Galeazzo, rifugiatosi pres- so Castruccio Castracani, signo- re di Eucr.T e di Pisa. 78. Se l'occhio, ecc. — Se l'uo- mo amato è lontano. 70. Non le farà ecc. — La bi- scia, insegna dei Visconti di Mi- lano, scolpila sulla sua tomba, le fa meno onore del s^al'o di Gallura, insegna del primo ma- rito, se a questi avesse tenuto fede. 80. .\ccanipa. — So'o l'inse- .o-pa della vipera permetteva ai milanesi di metter campo. 84. Misuratamente. — Con temoeranza. Dante. 24.'; La DniNA Commedia Gli occhi miei gliiotti andavan pure al cielo, pur là dove le stelle son più tarde, si come rota più spesso allo stelo. 87 E il duca mio : (( Figliuol, che là su guarde? » ed io a lui : « A quelle tre facelle, di che il polo di qua tutto quanto arde )>. 90 Ed egli a me : « Le quattro chiare stelle, che vedevi staman, son di là basse, e queste son salite ov'eran quelle». 93 Com'ei parlava e Sordello a sé il trasse dicendo : « Vedi là il nostro avversaro » ; e drizzò il dito, perché in là guardasse. 06 Da quella parte, onde non ha riparo la picciola vallea, era una biscia, forse qual diede ad Eva il cibo amaro. 99 Tra l'erba e ì fior venia la mala striscia, volgendo ad or ad or la testa al dosso, leccando come bestia che si lìscia. 102 Io non vidi, e però dicer non posso, come mosser gli astor celestiali, ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso. 105 Sentendo fender l'aere alle verdi ali, fuggi il serpente, e gli angeli diér volta suso alle poste rivolando eguali. ■ 108 S^. Ghiotti. — Avidi di vcd;- fnrs)? suio lo stelle farenti parte re cose nuove, guardavano sn- della cnstellazione dell'Eridano. Uunente il cielo, verso il polo 02. Son ecc. — Di là dal mo- antartiro. dove il moto delle stel- ridiano sotto l'orizzonte, le è più lento, essendo piili vicino ()i;. Il nostro avversaro. — H all'asse. serpente, simboleggiante la ten- 8g. Tre facelle. — Simbole.ij- tazione. triano le tre virtù teolooali : fé- 07. Non ha riparo. — Esscn- de, speranza e carità, della vita do aperta. contemplativa ; e letteralmente, 100 L'erba e i fior. — Rap- fors« sono le stelle facenti parte presentano i piaceri del mondo, della nostellaz'one della Nave. 102. Leccando ecc. — Questi 90. I! polo di qua. — L'antar- .atti fii:;\ir.ino l'.-isluzia. tico. 103. Non vidi. — Intento al c)i. Le quattro ecc. — Simbo- serpente, non vidi come mossero le.Sfgiano ]e quattro virtù cardi- ."li astori ^ani>eli). nali della vita attiva (Purgato- inS. Poste. — Posti assegnati, rio I, verso 23) ; letteralmente, cioè il ciclo. — 246 Purgatorio - Canto VII] L'ombra, che s'era al giudice raccolta quando chiamò, per tutto quel!' assalto punto non fu da me guardare sciolta. Ili « Se la lucerna che ti mena in alto trovi ne! tuo arbitrio tanta cera, quant'è mestiero infino al sommo smalto, 114 cominciò ella, se novella vera- di Val di Magra o di parte vicina sai, dilla a me, che già grande là era. 117 Chiamato fui Currado Malaspina ; non son l'antico, m.a di lui discesi : a' miei portai l'amor che qui raffina)). 120 « O, diss' io lui, per li vostri paesi giamm.ai non fui ; ma dove si dimora per tutta Europa, ch'ei non sien palesi? 123 La fama che la vostra casa onora grida i signori e grida !a contrada, si che ne sa chi non vi fu ancora. 126 Ed io vi giuro, s'io di sopra vada, che vostra gente onrata non si sfregia del pregio della borsa e della spada. 129 Uso e natura si la privilegia che, perché il capo reo lo mondo torca, solava dritta e i! ma! cammin dispregia». 132 ITO. Quando chiamò. — Cor- laspina, figlio di Obizzo II; vis- r;ido (vedi i! verso 65). suto fin verso i! 1253, padre di HI. Non fu. — Non mi levò Federigo I. crii occhi di desse. E' Corrado 120. A' miei ecc. — Ai miei -Malaspina il spiovine, figlio di Fé- congiunti portai l'amore che ci (lerico I, marchese di Villafran- fa bramosi dei beni materiali, e ca, morto verso il 1204. che qui si espia. 112. La lucerna ecc. - — • Cosi 123. Ei. — I vostri non sian la grazia illuminante trovi nella noli, tua volontà tanto alimento. 125. Grida. — Celebra. 114. Sommo smallo. — Para- Contrada. — Lunigiana. diso terrestre, secondo alcuni ; 128. Non si sfregia. — La empireo, secon^lo altri. stirpe vostra ancora è generosa, 116. Val di Magra. — In Lu- liberale e prode, nigiana, nei cui centro sorgeva i^o. Uso e natura. — La na- il castello di Villafranca, dimora turale inclinazione, la tradizione del padre di Corrado. Ivi egli fé- domestica e l'educazione fami- ce testpm^nto nel 120-I. giiare. iiQ. L'antico. — Corrado Ma- 131. Perchè ecc. — Per quan- — 247 — I.A Divina Commedia Ed egli : « Or va, che il sol non si ricorca sette volte nel letto che i! Montone con tutti e quattro i pie copre ed inforca, che cotesta cortese opinione ti fia chiavata in mezzo della testa con maggior chi o vi che d' altrui sermone, se corso di giudizjo non s' arresta ». 135 139 to il mondo s'allontani dalia vir- tù ; oppure il reo capo (forse il Papato) toixa il mcmdo dal retto sentiero. 133. II sol ecc. — Non tornerà sette volte in Ariete, ove trovasi ora, cioè nim trascorreranno set- te anni. 1^7. Chiavata. — Inchiodata, fissata dall'esperienza tua. 139. Se corso &cc. — Se avrà corso il divino decreto, per cui ('. deciso il tuo esilio, e tu dovrai cercar rifugio nelle diverse terre italiane. CANTO IX La concubina di Tifone antico già s'imbiancava al balco d'oriente, fuor delle braccia del suo dolce amico ; di gemme la sua fronte era lucente, poste in figura del freddo animale, che con la coda percote la gente : e la notte de' passi, con che sale, fatti avea due nel loco ov' eravamo e il terzo già chinava in giuso 1' ale ; 9 1. Concubina. — L'Aurora, niui^lic di Titcne, figlio di Lao- niedonte e fratello di Priamo) rapito da essa e da essa spesato in Etiopia. Per lui chiese a Gio- vo l'immortalità e noin la giovi- nezza, e Tifone restò vecchio in eterno. 2. Balco. — Balcone, linea dei!- l'orizzonte. 4. Gemme. — ■ Stelle della co- stellazione dei Pesci, che nell'c- l'uinozio di primavera appare sul nostro orizzonte prima del levar del sole. V Poste in figura ecc. — Di- sposte come il pesce boreale che volge la coda verso l'emisfero superiore boreale abitato. 6. Che con la coda, ecc. ;— 11 pesce si difende dai jjescatori eoa la coda. 7. E la notte... ecc. — In Ita- lia eran circa tre ore di giorno, oioè le nove antimeridiane ; inve- ce nel Purgatorio eran circa tre ore di notte, e cioè le nove po- meridiane. S. Loco. — Nel Purgatorio. 9. E il terzo ecc. — La terza ora già volgeva al termine. — 248 Purgatorio - Canto IX quand'io, che meco avea di quel d'Adamo, vinto dal sonno, in su l'erba inchinai ove già tutti e cinque sedevamo. Nell'ora che comincia i tristi lai la rondinella presso alla mattina, forse a memoria de' suoi primi guai, e che la mente nostra, peregrina più dalla carne e men da' pensier presa, alle sue vision quasi è divina ; in sogno mi parea veder sospesa un'aquila nel ciel con penne d'oro, con l'ali aperte ed a calare intesa : ed esser mi parea là dove fòro abbandonati i suoi da Ganimede, quando fu ratto al sommo consistoro. Fra me pensava : ce Forse questa fìede pur qui per uso, e forse d'altro loco disdegna di portarne suso in piede ». Poi mi parea che, roteata un poco, terribil come folgor discendesse, e me rapisse suso infino al foco. 12 15 18 21 24 27 30 IO. Di quel d'Adamo. ^ Il corpo. 12. Cinque. — E cioè Virgilio, Sordello, Nino, Corrado e Dante. 13. Neil' ora. — Poco prima del sorger del sole. Lai. — Lamenti. 15. Primi guai. — Allude alla favola ovidiana : Tereo, re- di Tracia, marito di Progne e padre di Iti, violentata la cognata Fi- lomela, le tagliò la lingua, per impfjdire che rivelasse il misfat- to. Ma essa fece conioscere mer- cè il ricamo la sua sventura al- la RDrclla, che, presa dall'ira, uccise il figlio, ne fece cuocere le Lami e le diede a mangiare al marito. Questi, accortosene, in- ■^egul le sorelle, ma tutti e tre turonn trasformisti in ucrflli : Filomela in rondine, Progne in usignolo e Tereo in upupa. 16. Peregrina. — Dai sensi, indipendente dal corpo. 17. Presa. — (occupata. i8. Divina. — Divinatrice del futuro. 22. Là. — già. 23. I suoi. Ganimede. Monte Ida in Fri- Compagni. Bellissimo figlio di Troo re di Tracia, fu rapito da Giove, tramutatosi in aquila, e nortato nell'Olimpo a far da cop- piere agli dei. 23. Piede. — Qui solo preda, sdegnando portar prede d'altri luoghi tra gli artigli. 30. InCno al foco. — Su alla sfera del fuoco, che credevasi fos- se fra la sfera dell'aria e il ci*-- lo della luna. 249 La Divina Comm&dia Ivi pareva ch'ella ed io ardesse; e si l'incendio imaginato cosse elle convenne clie il sonno si rompesse. 33 Non altrimenti Acliille si riscosse, gli occhi svegliati rivolgendo in giro e non sapendo là dove si fosse, 3C quando la madre da Chiron a Schiro trafugò lui dormendo in le sue braccia, là onde poi li greci il dipartirò ; 39 che mi scoss' io, si come dalla faccia mi fuggi il sonno, e diventai israorto, come fa l'uom che spaventato agghiaccia. 42 Da lato m' era solo il mio conforto, e il sole er'alto già più che due ore, e il viso m'era alla marina torto. 45 <( Non aver tema, disse il mio signore ; fatti sicur, che noi siamo a buon punto : non stringer, ma rallarga ogni vigore. 48 Tu se' omai al purgatorio giunto : vedi là il balzo che il chiude d' intorno; vedi l'entrata là 've par disgiunto. 51 Dianzi, nell' alba che precede al giorno, quando 1' anima tua dentro dormia sopra li fiori, onde là giù è adorno, . 54 venne una donna, e disse : ' Io son Lucia : lasciatemi pigliar costui che dorme, si l'agevolerò per la sua via '. 57 Sordel rimase, e l'altre gentil forme : ella ti tolse, e come il di fu chiaro, sen venne suso, ed io per le sue orme. 00 31. Ella. — L'aquila. ~ stette vestito da donna, fin tan- 32. Sì l'incendio ecc. — Cosi io che Ulisse e Diomede lo iras- viva era l'impressiono che io e sero alla aucri'^ conlro Troia, l'aquila briiciassinio, che dovetti 43. Conforto. — Virgilio. sves=;liarmi. 44. Due ore. — Eran pirca 34. Achilie. — il qu.'de inen- le otto del mattino dell'n aprile tre si educava sotto la guida 1300. del centauro (Jhirone, fu lapito 4.^. Torto. — Ri\ol(o. dormente dalia madre Teti e 51. 'Ve. — Ove 11 balzo ò in trasportalo nell'isola di Schiro lorrolto dall'apertura. (.Sciro, isola dell'Egeo) dove 5S. Forme. — Anime. — 2.150 Purgatorio - Canto IX Qui ti posò : e pria mi dlmostraro gli occhi suoi belli quell'entrata aperta; poi ella e il sonno ad una se n' andaro ». 63 A guisa d' uom che in dubbio sì raccerta e che muta in conforto sua paura, poi che la verità gli è discoperta, 66 mi cambia' io : e come senza cura videmi il duca mio, su per lo balzo si mosse, ed io di retro in vèr l'altura. 69 Lettor, tu vedi ben com' io innalzo la mia materia, e però con più arte non ti maravigliar s'io !a rincalzo. 72 Noi ci appressammo, ed eravamo in parte, che là dove pareami in prima un rotto, pur come un fesso che muro diparte, 75 vidi una porta, e tre gradi di sotto, per gire ad essa, di color diversi, ed im portier che ancor non iacea motto. 78 E come l'occhio più e più v'apersi, vidil seder sopra il grado soprano, tal nella faccia ch'io non lo soffersi; 81 ed una spada nuda aveva in mano, che rifletteva i raggi si vèr noi eh' io dirizzava spesso il viso in vano. 84 «Dite costinci, che volete voi? cominciò egli a dire : ov'è la scorta? Guardate che il venir su non vi noi ! » 87 « Donna del ciel, di queste cose accorta, rispose il mio maestro a lui, pur dianzi ne disse : ' Andate là, quivi è la porta ' ». 90 « Ed ella i passi vostri in bene avanzi, ricominciò il cortese portinaio : venite dunque a' nostri gradi innanzi». 93 r.;. .^d una. — .\d un tempi. hi. Taì. — Cosi risplendente 71. Con più arie. — Essendj in viso ch'io ne fui abbagliato, più alta la materia, delle anime 86. Ov'è la scorta? — Chi vi che si purgano nell'interno del ha guidati? purgatorii'>. 'A-, Noi. — Nuoccia. 72. Rincalzo. — Sosiegn. 18. Indietro ecc. — .Si reslrin- .f;e, lasciando im ripiano tutto in- lornc, largo Ire volte la lunghez- za del corpo umano. 2.';4 Purgatorio - Canto X io stancato ed ambedue incerti di nostra via, ristemmo su in un piano solingo più ctie strade per diserti. 21 Dalla sua sponda, ove confina il vano, al pie dell'alta ripa, che pur sale, misurrebbe in tre volte un corpo umano : 24 e quanto l'occhio mio potea trar d'ale or dal sinistro ed or dal destro fianco, questa cornice mi parca cotale. 27 Là su non eran mossi i pie nostri anco, quand' io conobbi quella ripa intorno, che dritto di salita aveva manco, 30 esser di marmo candido e adorno d'intagli si che non pur Policreto, ma la natura li avrebbe scorno. 33 L'angel che venne in terra col decreto della molt'anni lagrimata pace, che aperse il ciel dal suo lungo divieto, 3G dinanzi a noi pareva si verace quivi intagliato, in un atto soave, che non sembiava imagine che tace. 39 Giurato si saria eh' ei dicesse : nAve», però che ivi era imaginata quella, che ad aprir 1' alto amor volse la chiave ; 42 ed avea in atto impressa està favella, i( Ecce ancilla Dei», propriamente, come figura in cera si suggella. 45 2:2. Ove confina il vano. — mano. E' ricordato' moltissiinio L'orlo esterno. anche dagli scrittori dell'età di 25. Trar d'ale. — Arrivare con mezzo. la "poienza visiva. 34. L'angel. — Gabriele 2S. Là su ecc. — Giunti al 39. Sembiava. — Sembrava, ripiano. 41. Imaginata quella ecc. — 29. Ripa. — Fra la prima e Maria era effigiata in atteggia- la seconda cornice. men o si v'.vo dì umiltà, da sem- .:;o. Dritto di salita. — Modo, bare che rispondesse al saluto opportunità di salire. dell'anoelo 32. Pdìcreto.— P licleto emù- ; ^^ ^ j^ y^^^^ ^^^^ e^,, lo di Fidia, capo della scuola ar- ... ,, , 1- ,^ i ^ L 1 — Mosse 1 amore divino alla 1 e- ;Mva, autore di molte statue bel- . , ,. rissime, fra cui queKa detta « Ca- denzione degli uomini.^ none » nella quale aveva riunite 44- Ecce ancilla Dei. F.cco tutte le perfezioni del corpo u- l'ancella del .Signore. — 255 — La Divina Commedia « Non tener pure ad un loco la mente », disse il dolce maestro, che m' avea da quella parte onde il core ha la gente ; 48 per eh' io mi mossi col viso, e vedea di retro da Maria, da quella costa onde m'era colui che mi movea, 51 un' altra storia nella roccia imposta : per eh' io varcai Virgilio, e femmi presso, acciò che fosse agli occhi miei disposta. 54 Era intagliato li nel marmo stesso lo carro e i buoi traendo l'arca santa, per che si teme officio non commesso. 57 Dinanzi parca gente ; e tutta quanta partita in sette cori, a due miei sensi faceva dir l'un «(No», l'altro «Si, canta» 60 similemente, al fummo degl'incensi che v'era imaginato, gli occhi e il naso ed al si ed al no discordi fénsi. 63 Li precedeva al benedetto vaso, trescando alzato, 1' umile salmista, e più e men che re era in quel caso : 66 d'incontra effigiata ad una vista d' un gran palazzo Micol ammirava, si come donna dispettosa e trista. 69 46. Un loco. — Al bassorilievo l'Arca per impedire che si rove- ratìigiirante l'Annunciazione. sciasse, e Dio punì colla morte 48. Quella parte ecc. • — I poe- la sua temerità. ti girano a destra e però Virgi- :^q. Due miei sensi. — Udito Ho sta verso l'estremo del balzo, e vista, per proteggere Dante. 63. Discordi fènsi. — Si fece- 4g. Per ch'io ecc. — Girai con ro discordi i sensi della vista e gli occhi. dell'odorato. 50. Da quella costa ecc. — 65. Trescando. — Davide, bai Alla dr^stra. landò il trescone davanti a'.l'Ar- 53. Varcai Virgilio. — Passni ca, teneva alzato il vestito per es- alla destra di ^^irgilio. here libero nei movimenti. 54. Disposta. — Chiara. 66. Più ecc. — Di re per l'a- 55. Era intagliato. — Il tra- bito poniificale, e meno, per la sporto dell'Arca Santa dalla casa danza. di Abinadab, a Gabaa, nel ttm- (17. Vista. — Finestra. pio di Gerusalemme. Lungo il ()S. Mico). — Figlia di Saul tragitto Uzza stese la mano sul- e moglie di Davide. — 256 — Purgatorio - Canto X Io mossi i pie de! loco dov' io stava, per avvisar da presso un'altra storia che di retro a Micol mi biancheggiava. 72 Quivi era storiata l'alta gloria del roraan principato, il cui valore mosse Gregorio alla sua gran vittoria : 75 io dico di Traiano imperadore ; ed una vedovella gli era al freno, di lagrime atteggiata e di dolore. 78 Intorno a lui parea calcato e pieno di cavalieri, e l'aquile nell'oro sopr'esso in vista al vento si movièno. 81 La miserella intra tutti costoro parea dicer : « Signor, fammi vendetta del mio fìgliuol ch'è morto, ond'io m'accoro n ; 84 ed egli a lei rispondere : « Ora aspetta tanto eh' io torni )) ; ed ella : a Signor mio, come persona in cui dolor s' affretta, 87 se tu non torni?» Ed eì : «Chi fìa dov "io la ti farà » ; ed ella : (( L'altrui bene a te che fia, se il tuo metti in obblio? » 90 Ond'eili : a Or ti conforta, che conviene eh' io solva il mio dovere, anzi eh' io mova : giustizia vuole e pietà mi ritiene ». 93 Colui, che mai non vide cosa nuova, produsse esto visibile parlare, novello a noi, perché qui non si trova. 96 7-'. Biancheggiava. — Mostra- S7. In cui ecc. — Che il do- \asi scolpito nel marmo. lore rendf=- impaziente. 74. Principato. — Principe. 88. Chi fla, ecc. — Il mio suc- 75. Gran vittoria. — Alla sua cessone. i^^unzione tra i beati per le pre- 89. L'altrui bene. — Il beiiv ■hlere di Gregorio I. operato dagli altri. 76. Traiano. — Dante ricorda "92. Solva. — Aden- pia. oLii la leggenda medioevale sul-' 93. Ritiene. — Dal partire, l'amore di questo imperatore per 94. Colui. — Dio, a cui nulla la giustizia. e nuovo. 80. L'aquile. — In campj d'o- 96. Novello. — Insolito nel ro sulle bandiere. mondo dei vivi. — 257 — T.A Divina Commedia Mentr' io mi dilettava di guardare le imagini di tante umilitadi, e per lo fabbro loro a veder care ; 99 « Ecco di qua, ma fanno i passi radi, mormorava il poeta, molte genti : questi ne invieranno agli alti gradì ». 102 Gli occhi miei eh' a mirar eran intenti, per veder novitadi onde son vaghi, volgendosi ver lui non furon lenti. 105 Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi di buon proponimento, per udire come Dio vuol che il debito si paghi. 108 Non attender la forma del martire : pensa la succession ; pensa che, al peggio, oltre la gran sentenza non può ire. 1 1 1 Io cominciai : <( Maestro, quel eh' io veggio mover a noi, non mi sembran persone, e non so che, si nel veder vaneggio ». 1 14 Ed egli a me : « La grave condizione di lor tormento a terra li rannicchia, si che i miei occhi pria n'ebber tenzone. 117 Ala guarda fiso là, e disviticchia col viso quel che vien sotto a quei sassi : già scorger puoi come ciascun si picchia)». • 120 O superbi Cristian miseri lassi, che, della vista della mente infermi, fidanza avete ne' ritrosi passi ; 123 f.o. Fabbro, — Dio. Al peggio. — Nel peggiore dri 100. Di qua. — A sinistra. casi. loj. Onesti ecc. — C'indichc- m. Oltre — TI giudizio fina- ranno il cammino alla scala ver- le. .so i cerchi superiori. 117. N'ebber tenzone. — .Slen- 106. Ti smaghi. — Ti disto1g:i tarono a di^cernere. dal proposto dHla penitenza, ve- /I^- Di_sviticchia. - Cerca di dendo tanto penosa l'espiazione. '^/^""'sT'picchia. - 11 petto per log. Non attender. — Non l^a- contrizione. i^^^- 123. Fidanza avete ecc. — Ilo. Succession, — I,a beati- Credete di poter giungere al bo- ludine che succede all'espiazione. ne per la via del male. - ^58 - Purgatorio - Canto M non v'accorgete voi, che noi siam vermi nati a formar 1' angelica farfalla, che vola alla giustizia senza schermi? 126 Di che l'animo vostro in alto galla? poi siete quasi entomata in difetto, si come verme, in cui formazion falla. 129 Come, per sostentar solaio o tetto, per mensola talvolta una figura si vede giunger le ginocchia al petto, 132 la qual fa del non ver vera rancura nascere a chi la vede ; cosi fatti vid' io color, quando posi ben cura. 135 Ver è che più e meno eran contratti, secondo eh' avean piti o meno addosso ; e qual più pazienza avea negli atti, piangendo parea dicer : (c Più non posso >>. 139 ij,v Farfalla. — Simbolo del- ."-reci. Nella scultura, .ssa acLO- l'Luiiina immortale, che vola al sia le ginocchia al petto, oppres- ' ielo spogliata del corpo. sa dal peso. 126. Schermi. — Senza difese, 1;,^. Del non ver. — La fa- nti- attenuare le proprie colpe, tica espressa dall'atteggiamento perchè Dio vede tutto. dello statue fa provai'e pena a chi 127. Galla. — Galleggia, si ^marda leva in superbia. _ , , - Cura. -^ .Mten^ionc. 1.8 Entomata m difetto. -- ^^^^ Contratti. - Curvi, kisetto miperfetto, non giunto all'intero sviluppo. Più 0 meno. — A secon- 131. Figura. — Cariatide, ter- tla del grado di superbia, mine derivato dalle donne di Ca- 13S. Più pazienza. — Più sol ria condotte in ischiavitù dai ferenza. CANTO XI « O padre nostro, che nei cieli stai, non circonscritto, ma per più amore che ai primi effetti di là su tu hai, 3 1. O Padre ecc. — Parafrasi tutto comprende e c'a niente è dell'orazione domenicale ((Pater compreso o limilaLo. noster». 3. Primi effetti. — Prime crea- 2. Non circonscritto. — Di(.' iure, ossia i cieli e gli angeli, — 2S() — La Divina Commedia laudato sìa il tuo nome e il tuo valore da ogni creatura, com' è degno di render grazie al tuo dolce vapore. 6 Vegna vèr noi la pace del tuo regno che noi ad essa non potem da noi, s' ella non vien, con tutto nostro ingegno. 9 Come del suo voler gli angeli tuoi fan sacrifìcio a te, cantando ' Osanna ', cosi facciano gli uomini de' suoi. 12 Dà oggi a noi la cotidiana manna, senza la qual per questo aspro diserto a retro va chi più di gir s'affanna; 15 e come noi lo mal che avem sofferto perdoniamo a ciascuno, e tu perdona benigno, e non guardare al nostro merto. 18 Nostra virtù, che di leggier s' adona, non spermentar con 1' antico avversaro, la libera da lui, che sì la sprona. 21 Quest' ultima preghiera, signor caro, già non si fa per noi, che non bisogna, ma per color, che retro a noi restaro ». 24 Cosi a sé e noi buona ramogna quell'ombre orando, andavan sotto il pondo, simile a quel che talvolta si sogna, • 27 disparm.ente angosciate tutte a tondo, e lasse su per la prima cornice, purgando le caligini del mondo. 30 4. Valore. — Sapienza. 23. .Non bisogna. - Non es- 8. Non potem da noi. — Non sondo ■ più esposti alle tentazioni. Dossiamo raggiungerla con le so- 24. Color. — I nostri parenti le forze nostre. viventi sulla terra. in. Suo. — Loro. 25. Rantoj^na. — Buon cani- li. Osanna. — Salve. mino, buon \iacrrrio. 13. Manna. — Grazia divina. 27. A quel ecc. — AU'cppres- 14. Diserto. — Purgatorio. sio^ne che si prova talvolta so- 18. E non guardar. — La pò- gnando. chezza del nostro inerito'. 28. Disparmente. — In modo 19. S'adona, — S'abbatte, re- n.on uguale, secondo l'c^ntità dei- sta vinta. la pena. 20. Avversaro. — Il diavolo, 11 A tendo. — In giro. male. 30. Caligini. — I fumi della 21. Sprona. — Stimola. superbia- — 260 — Pl^rgatorio - Canto XT Se di là sempre ben per noi si dice, di qua che dire e far per lor si puote da quei e' hanno a! voler buona radice ? 33 Ben si dèe loro aitar lavar le note, che portar quinci, si che mondi e lievi possano uscire alle stellate rote. 36 (( E>eh ! se giustizia e pietà vi disgrevi tosto, SI che possiate mover 1' ala, che secondo il disio vostro vi levi, 39 mostrate da qual mano in vèr la scala si va più corto; e se c'è piti d'un varco, quel ne insegnate che men erto cala ; 42 che questi che vien meco, per l' incarco della carne d'Adamo ond'ei si veste, al montar su, contra sua voglia, è parco ». 45 Le lor parole, che renderò a queste che dette avea colui cu' io seguiva, non fùr da cui venisser manifeste ; 48 ma fu detto : (( A man destra per la riva con noi venite, e troverete il passo possibile a salir persona viva. 51 E s'io non fossi impedito dal sasso, che la cervice mia superba doma, onde portar conviemmi il viso basso, 54 cotesti che ancor vive, e non si noma, guardere' io, per veder s' io '1 conosco, e per farlo pietoso a questa soma. 57 ;(i. Se di là ecc. — Se gli spi- --. Che portar. — Dalla terra, riti del Purgatorio pregano per ^(^ Stellate rote. — I cieli gi- i vivi, che cosa potranno fare ranti questi m compendo? -,7.' Giustizia e nietà. - Giu- -72. Dire. — • Preghiere. .• . . . ,. ,. r-i- Far. — Elemosine. ^^'^'^ ^ miser,rord,a di Dio. ^^. C'hanno al voler. — Di 4o. Q»al mano. — Da destra suffragare i morti buon fonda- o da sinistra. mento, essendo nella grazia de! 41;. E' parco. — E' lento. .Signore. 48. Da cui venisser. - Da 34. Le note. — Del peccato- quale ombra. — 261 — Dante, 17 T.A Divina Commedia Io fui latino, e nato d' un gran tosco : Guglielmo Aldobrandesco fu mio padre ; non so se il nome suo giammai fu vosco. 60 L'antico sangue e l'opere leggiadre de' miei maggior mi fér si arrogante, che, non pensando alla comune madre, 63 ogni uomo ebbi in dispetto tanto avante eh' io ne miorì', come i sanesi sanno, e sallo in Campiagnatico ogni fante. 66 Io sono Omberto : e non pure a me danno superbia fa, che tutti i miei consorti ha ella tratti seco nel malanno. 69 E qui convien eh' io questo peso porti per lei, tanto che a Dio si satisfaccia, poich'io no '1 fei tra' vivi, qui tra' morti ». 72 Ascoltando, chinai in giù la faccia ; ed un di lor, non questi che parlava, si torse sotto il peso che lo impaccia ; 75 e videmi e conobbemi e chiamava, tenendo gli occhi con fatica fisi a me, che tutto chin con loro andava. 78 (( O, dissi lui, non sei tu Oderisi, l'onor d'Agobbio. e l' onor di quell'arte che 'alluminare' è chiamata in Parisi?» ' 81 "Frate, diss'egli, pili ridon le carte, che pennelleggia Franco bolognese : l'onore è tutto or suo, e mio in parte. 84 5S. Io ecc. — Obeito «1 Ojii- 6). Fu vosco. lui ri voi lierto, per mandato del Comune roto. di Siena fu soffocato in letto nel 63. Comune madre. — La t'r- suo rasd'IIo di C'aiiipatjnalico , r;i. nel\a valle dell'Ombrone senese. (,6. Fante. — Fanciulla. =;q. Guj5lielmo. — Fio;Ilo f1'e€rhio, la fua fama sar.^ di poco hattagflia di Mo^ntaperti (1260) do- mai^giore a quella che avresti so ve Firpn7e .'guelfa fu sconfitta, fossi" morto fanciullo. E nell'e- 116. Quei ecc. — Il sole sco- ternitA il millennio è spazio di lora Vo\-h;\ clLf ha fatto sorgere, temno più hr^^'o di un mover di facendola appassire. ciglio, coinfronlato col movimen- ti8. M'incora. — Mi pone nel to del cielo stellato che, scco^ndo cuoro. Tolomeo, compie la sua rivolli- iic). Tiimor. - Della '^iiperbi-i. ^ione in 36000 anni. Quindi mil- 131. Provenzan Salvani. — Sc- ie anni 'oao più brevi dell'attimo nese, capo d?» ghibellini, a Em- 10;. Pappo e dindi. — Voci noli chiese la distruzione di Fi- nuerili che i genitori usano con renze ; nella battap-li.i del Colle, i bambini. fiafig), caduto in man dei fiorcn- TOQ Cohii, che. -- Cammina- (ini, ehhe mozza la (esla. va a passo lentissimo. 12^. Cotal moneta. - Con t.de li:'. Sire. Provenzano Sai- penitenza. 264 — Purgatorio - Canto XII Ed io >è quello spirito the attende, pria wic si penta, l'orlo della vita, là giù dimora e qua su non ascende, se buona orazion lui non aita, prima che passi tempo quanto visse, come fu la venuta a lui largita? » « Quando vivea più glorioso, disse, liberamente nel Campo di Siena, ogni vergogna deposta, s' affisse : e li, per trar 1' amico suo di pena, che sostenea nella prigion di Carlo, si condusse a tremar per ogni vena. Più non dirò, e scuro so che parlo ; ma poco tempo andrà che i tuoi vicini faranno si che tu potrai chiosarlo. Quest' opera gli tolse quei confini ». 129 132 135 138 142 127. Se quello spirito ecc. — Se lo spirito che in vita tarda a pentirsi fino alla morte, resta nel- l'antipur aratorio per un tempo u- i:uale alla sua esistenza, come mai Provenzano Salvani, morto violen- temente, già è nel Purgatorio? 134. Campo. — La piazza mag- gfiore di Siena. 135. S'affisse. — Si pose. 136. Amico. — Vinea, o forse Mino dei Mini, fatto prigioniero da Cario 1 d'Angiò a Tagliacoz- zo, ebbe salva la vita per opera di Salvani, che, elemosinandu e- eli stesso nel campo, raccolse fra i cittadini i diecimila fiorini do- mandati da Carlo d'Angiò per ii riscatto. 139. Scuro. — Parlo a chi noii sa per esperienza quanto al su- perbo costi mendicare. 141. Potrai chiosarlo ecc. — Quando, esiliato dai fiorentini, sarai costretto a mendicare. 142. Quest'opera ecc. — Lo ha esonerato dalla dimora nel- l'antipurgatorio. CANTO Xil Di pari, come buoi che vanno a giogo, m' andava io con quella anima carca, fin che il sofferse il dolce pedagogo. 265 La Divina Comateoia Ma quando disse : « Lascia lui, e varca, che qui è buon con la vela e coi remi, quantunque può ciascun, pinger sua barca » ; 6 dritto, si come andar vuoisi, rifèmi con la persona, avvegna che i pensieri mi rimanessero e chinati e scemi. 9 Io m'era mosso, e seguia volentieri del mio maestro i passi, ed ambedue già mostravam come eravam leggieri, 12 quando mi disse : « Volgi gli occhi in giùe : buon ti sarà, per tranquillar la via, veder lo letto delle piante tue». 15 Come, perché di lor memoria sia, sopra i sepolti le tombe terragne portan segnato quel ch'elli eran pria, 18 onde li moite volte se ne piagne per la puntura della rimembranza, che solo ai pii dà delle calcagne ; 21 si vid'io li, ma di miglior sembianza, secondo l'ariificio, figurato quanto per via di fuor dal monte avanza. 24 Vedea colui, che fu nobil creato più d'altra creatura, giù dal cielo tolgoreggiando scendere da un lato. . 27 Vedea Briareo, fitto dal telo celestial, giacer dall'altra parte, grave alla terra per lo mortai gelo. 30 4. Varca. — Procedi oltre. numbranza sprona, punge solo i e,. Con ecc. — Con ogni ^ior- pietosi. y.o dell'anima e del corpo ciascu- 22. Di miglior sembianza. — no guadagna nell 'espiazione. Rappresent.iti in molo più p-r- 7. Si come ecc. ■ — E" naturale fetto. rhc si cammini. _ "_ Quanto ecc. — Tulio il <). Chinati ecc. — Depressi e . ^ . . • i- ,• primo ripiano, umiliati. ' ^ , ■ , T 15. Lo letto. — Il piano su 25. Colui ecc. — Lucifero, cui cammini. -7- ^^ "" '^to. — Da un Iato 17. Terragne. — Scavate nella del ripiano, terra e chiuse da pietre, con jS. Briareo. -— Il gigante dal- scritle e l'immagine del defunto. le cinqu:ni,i tesi.- e dalle cento 19. Lì. — .Sulle tombe. braccia, fulminato da Giove e se- 21. Che ecc. — La quale ri- nolto sotio il ntcwite Etna. — 266 — Purgatorio - Canto XII Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte, armati ancora intorno al padre loro, mirar le membra de' giganti sparte. 33 Vedea Nembrot a pie del gran lavoro, quasi smarrito, e riguardar le genti che in Sennaar con lui superbi fòro. 36 O Niobé, con che occhi dolenti vedeva io te, segnata in su la strada, tra sette e sette tuoi figliuoli spenti ! 39 O Saul, come in su la propria spada quivi parevi morto in Gelboè, che poi non senti pioggia né rugiada ! 42 O folle Aragne, si vedea io te già mezza aragna, trista in su gli stracci dell'opera che mal per te si fé'. 45 O Roboam, già non par che minacci quivi il tuo segno ; ma pien di spavento ne '1 porta un carro prima che altri il cacci. 48 Mostrava ancor Io duro pavimento come Almeón a sua madre fé' caro parer lo sventurato adornamento. 51 31. Timbreo. — Apollo è cosi i^-li. Davide cantò che sul monte chiamato per il tempio ch'egli a- di Gelbo è, ove Saul morì, non veva nella città di Timbra, nella dovesse cadere più né pioggia nò Troade. rugiada. 32. Padre. — Giove. 43. Aragne. ■ — Tessitrice di . 34. Nembrot. — E' l'ideatore Lidia; sfidata Minerva nell'arte principfUe dt-lla torre di Babele, del tessere, fu dalla dea percossa che doveva toccare il cielo. e trasformata in ragno, dopo a- 3t. Smarrito. — Per la confu- verle stracciata la tela, sione delle lingue. 46. Roboam. — Figlio e suc- 37. Niobé. — Figlia di Tan- cessare di Salomone, a\endo ri- lalo e di Dione, sposò Anfione re sposto superbamente al poix>lo di Tebe, e ne ebbe sette figli e che chiedeva diminuzione di im- selte figlie ; insuperbitasi, voleva noste, dovette fuggire a Gerusa- che i Tebani sacrificassero a l?i lemme. e non a Latona, la quale si ven- 47. Segno. — Immagine, dirò facendo uccidere da Ap.'.lk) -q. Almeón. — Figlio di An- e da Diana tutta la sua prole; fiaj-ao, uccise la madre Erifile, Niobe impietrò dal dolore. , . „„„ ,i',,„ „ ,1 c„. I D j> i^ 1 che aveva, per amor d una coi- 40. Saul. — Re d Israele, . ,' ^ „ , si uccise lasciandosi cadere su di 1^"^' rivelato a Po.mice il luogo una spada, per non essere prigio- ove suo manto arasi nascosto i)er niero dei Filistei e dopo aver visti non andare all'assedio di Tebe. uccisi in battaglia i suoi ire fi- 51. Sventurato. — La col ana La Divina Commedia Mostrava come i figli si gittaro sopra Sennacherib dentro dal tempio, e come, morto lui, quivi il lasciaro. 54 Mostrava la ruina e il crudo scempio che fe'Tamiri, quando disse a Ciro: (i Sangue sitisti, ed io di sangue t'empio ». 57 Mostrava come in rotta si fuggirò gli assiri, poi che fu morio Oloferne, ed anche le reliquie del martiro. tjO Vedeva Troia in cenere e in caverne : 0 Ilion, come te basso e vile mostrava il segno che li si discerne ! U3 Qua! di pennel fu maestro o di stile, che ritraesse l'ombre e i traiti, ch'ivi mirar farieno ogn 'ingegno sottile? (jò Morti li morti, e i vivi parean vivi ; non vide me' di me chi vide il vero, quant'ìo calcai fin che chinato givi. 69 Or superbite, e via col viso aUero figliuoli d'Eva, e non chinate il volto, si che veggiate il vostro mal sentiero. 72 Più era già per noi del monte volto, e del cammin del so!e assai più speso, che non stimava l'animo non sciolto; . 75 di Polinice portava sventura a oli Assiri, ucciso durante l'asse- chi S2 ne ornava. dio di Betulia da Giuditta, la ^T,. Sennacherib. — Re d'Assi- quale ne portò in città la testa. ria, sfidò Ezechia, re di Giuda, 6o. Le reliquie, ecc. — Il cor- t-d ebbe l'esercito sterminato da i>o di Oloferne rimasto privo del- un angelo; tornato, fu ucciso dai la testa, figli nel Tempio. 6i. In cenere, ecc. — Arsa e 54. Il lasciaro. — Fuggendo. diroccata. 55. Ruiiia. — Strage 62. Ilion. — Rocca di Troia. 50. Tamiri. — Regina de; 63. Il segno. — La figura. Massageti, sconfisse Ciro (530 a. 68. Me'. — Meglio. C.), il superbo fondatore deh'im- ^3. pjù era, ecc. — Avevamo poro persiano, che le aveva uc- r,..t •< :„„ -1 e 1- • f 4.^ 1 latto più cammmo e consumato ciso il figlio, poi fece mettere la •> ^ , ,• , . testa dell'imperatore, in un otre l"" *^'"P° ^'\"^ "«" credessi, pieno di sangue umano, dicendo 75- N»" sciolto. — Intento aJ (( Sangue ecc. ». osservare i disegni che raffigura- le). Oloferne. Generale de- vano i superbi. — 268 — Purgatorio - Canio XI i quando colui, che sempre innanzi atteso m'andava, incominciò : (c Drizza la testa ; non è più tempo da gir si sospeso. 78 Vedi colà un angel che s'appresta per venir verso noi ; vedi che torna dal servìgio del di l'ancella sesta. 81 Di riverenza gli atti e il viso adorna, si che i diletti lo inviarci in suso : pensa che questo di mai non raggiorna ». 84 Io era ben del suo ammonir uso, pur di non perder tempo, si che in quella materia non potea parlarmi chiuso. 87 A noi venia la creatura bella bianco vestita, e nella faccia quale par tremolando mattutina stella. 90 Le braccia aperse, ed indi aperse l'aie; disse: ((Venite, qui son presso i gradi, ed agevolemente omai si sale ». 93 A questo invito vengon molto radi : o gente umana per volar su nata, perché a poco vento cosi cadi ? 9ti Alenocci ove la roccia era tagliata : quivi mi battéo l'ale per la fron;e, poi mi promise sicura l'andata. 99 Come a man destra, per salire al monte, dove siede la chiesa che soggioga la ben guidata sopra Rubaconte, 102 76. Atteso. — Allento. 98. Mi battéo ecc. — Mi per- 78. Sospeso. — A guardare lì cosse la fronte, togliendovi il se- figure, gno della superbia, che è la ra- Si. L'aacella sesta. — Ora se dice (Ji oirni neccato. bta, mezzodì. loi. Dove siede. — Sul Monte 83. I diletti. — Gli piaccia. alle Croci, presso Firenze, sorge 84. Raggiorna. — Ritorna. la Chiesa di S. Miniato al Mon- 85. Uso. — Avvezzo te, che domina la parte di Fi- 87. Chiuso. — Oscuramente. renze di là dai ponte Rubaconte, 88. La creatura. — L'angelo. ocrg-i ponte delle Grazie, r^min- scajTflionii. dei oieli ; è la prima delle « bea- 105. Ch'era ecc. — In tempi liiudini). del vangelo di Matteo. ir. cui i rpf^isiri e le mi.^iu'o non jj2. Foci. .\periure. SI falsifK;avano^^ ^^ ^ j,-,. Saranno rasi. — Saranno piua •■ «'•^«^"' 107. Ben ratta. — Mollo ri- '•',, . . . " , ,, , 1 cancellati 1 segni che i angelo 108. Ma quinci e quindi ecc. guardiai-io vi aveva tracciati, cioè — Le pareti iaterrdj stringono il i setto P viandante. 131. Adempie. — Col ratto. — 270 — PaRCATOKIO - r.ANTO XFII e con le dita della destra scempie trovai pur sei le lettere, che incise quel dalle chiavi a me sopra le tempie : a che guardando il mio duca sorrise. 130 i^^. Scempie. — Al'argale. 134 Pur ecc. — Sohanto sei lettere. CANTO XIII Noi eravamo al sommo della scala, ove secondamente si risega lo monte, che salendo altrui dismala : 3 ivi cosi una cornice lega dintorno il poggio, come la primaia, se non che l'arco suo più tosto piega. G . Ombra non gli è né segno che si paia ; par si la ripa e par si la via schietta col livido color della petraia. 9 (( Se qui per domandar genie s'aspetta, ragionava il poeta, io temo forse che troppo avrà d'indugio nostra eletta ». 12 Poi fisamente al sole gli occhi pòrse ; fece del destro lato al mover centro e la sinistra parte di sé torse. 15 « O dolce lume, a cui fidanza l'entro per lo nuovo cammin, tu ne conduci, dicea, come condur si vuol quinc 'entro. 18 2. Secondamente sì risega. - ;. Ombra ecc. — Non ha né Per la seconda volta il monte si immagini né fregi, restringe a formare un altro ri- y_ l>ar j,! la via schietta. — piano di minor diametro del pri- La via appare liscia i- di fii-ira '"'>■ lixida. V Salendo ecc. — Chi lo sale ^^ Eletta.. - I,., src Ita del SI ijur.fica del peccrto. 4. Una cornice. — Un ripiano ''^"i''n'"«- -u-a intorno, a mo' di circonfe- i». Si vuol. - Come è cppir- renza concentrica al primo ri- limo, piano. f.A Divina Commedia Tu scaldi il mondo, tu sopr'esso luci; s'altra ragione in contrario non pronta, esser dén sempre li tuoi raggi duci)). 21 Quanto di qua per un migliaio si conta, tanto di là eravam noi già iti, con poco tempo, per la voglia pronta ; 24 e verso noi volar furon sentiti, non però visti, spiriti, parlando alla mensa d'amor cortesi inviti. 27 La prima voce che passò volando, a Vinum non habent )>, altamente disse, e retro a noi l'andò reiterando; 30 e prima che del tutto non s'udisse per allungarsi, un'altra: «Io sono Oresie )) passò gridando, ed anco non s'affisse. 33 « U, diss'io, padre, che voci son queste? )) e oom'io demandava, ecco la terza dicendo: « Amate da cui male aveste)). 3(3 E '1 buon maestro : « Questo cinghio sferza la colpa dell'invidia, e però sono tratte da amor le corde della ferza. 39 Lo fren vuol esser del contrario suono ; credo che l'udirai, per mio avviso, prima che giunghi al passo del perdono : 42 2o. Non pronta. — Non spln- -^2. Oreste. — Figlio di Aga- ge. nionnone e di Clitennestra, lega- 22. Di qua. - la q^iesto to da grande e generosa ami- mondo, cizia a Pilade, fi.q;Iio di Strofio re Un migliaio. — Un miglio. della Focide, il quale, volendo 26. Spiriti, ■ — Forse angeli morire per salvare l'amico, af- parlavano alle ombre del purga- fernia\a essere lui Oreste, torio incitandole ad esercitare la 33. Non s'affisse. — • Non si carità e l'amore, virtù opposte fermò. .11. invidia. 37. Cinghio. — Balzo, corni- 29. Vinum non liabent. — ce, girone, crrchio. « Non hanno v,no », disse Maria, ^q. Le corde ecc. — Usate p^r la madre di Gesù, al banchetto la conezione. delle nozze di Cana. 40. Lo fren ecc. — Gli esemp. 31. E piinia ecc. ("ii: l.i d'invidia punita non saranno ri- voce si perdesse nella lenta- cordali con amore, ma con mi- iianza. naccia. — 272 — Purga IORIO - Canto XIIT ma fioca gli occhi per l'aer ben fiso, e vedrai gente innanzi a noi sedersi, e ciascun è lungo la grotta assiso ». 45 Allora più che prima gli occhi apersi ; guarda' mi innanzi, e vidi ombre con manti al color della pietra non diversi. 48 E poi che fummo un poco più avanti, udì' gridar : « Maria, óra per noi », gridar Michele e Pietro e tutti i santi. 51 Non credo che per terra vada ancoi uomo si duro, che non fosse punto per compassion dì quel ch'io vidi poi : 54 che, quand'io fui si presso di lor giunto che gli atti loro a me venivan certi. per gli occhi fui di grave dolor munto. 57 Di vìi cilicio mi parean coperti, e l'un sofferìa l'altro con la spalla, e tutti dalla ripa eran sofferti. GO Così li ciechi, a cui la roba falla. stanno ai perdoni a chieder lor bisogna. e l'uno il capo sopra l'altro avvalla, 63 perché in altrui pietà tosto si pogna, non pur per lo sonar delle parole, ma per la vista che non meno agogna : 66 e come agli orbi non approda il sole, cosi all'ombre, là 'v'io parlav' ora, luce del cìel di sé largir non vuole ; 69 che a tutte un fil di ferro il ciglio fora, e cuce si, come a sparvier selvaggio sì fa, però che queto non dimora. 73 45. La grotta. — La rupe. :;o. Ora ecc. - ((Ora prò no- bis » è l'invocazione delle Lita- nie. i,2. Ancoi. — Og-g^i. 57. Per gli occhi.'— II doloro mi fece oiano-erc. ^q. Sofferia. — Sosteneva. '^"'' „ , ,. 61. La roba falla. — Fan di ~^- ^^^^!^ "»" dimora. — .Se fptto i mezzi per vivere. nei accigliato : cosi era chiama- 67. Ai perdoni. — Dav.inti .il- 'i< l'operazione di cucire ijli ov- le chiese nei giorni d'indulgenza. «hi agli sparvieri. — 273 — 63- Avvalla. — Abbassa. 61. Si pogna. — Si pon^ ga. entri. 67. Approda. Giunge ; n Uri intendono : ei'''^'T- 69. Di sé largir . — Esser 1 ar- La Divina Commedia A me pareva andando fare oltraggio, veggendo altrui, non essendo veduto : per ch'io mi volsi al mio consiglio saggio. 75 Ben sapev'ei che volea dir lo mulo; e però non attese mia domanda, ma disse : « Parla, e sii breve ed arguto ». 78 Virgilio mi venia da quella banda della cornice, onde cader si puote, perché da nulla sponda s'inghirlanda : 81 dall'altra parte m'eran le devote ombre, che per l'orribile costura premevan si che bagnavan le gote. 84 Volsimi a loro, ed : » O gente sicura, incominciai, di veder l'alto lume, che il disio vostro solo ha in sua cura ; 87 se tosto grazia risolva le schiume di vostra coscienza, si che chiaro per essa scenda della mente il fiume, 90 ditemi, che mi fia grazioso e caro, s'anima è qui tra voi che sia latina ; e forse a lei sarà buon, s'io l'apparo». 93 (( O frate mio, ciascuna è cittadina d'una vera città; ma tu vuoi dire, che vivesse in Italia peregrina ». - 96 Questo mi parve per risposta udire più innanzi alquanto che là dov'io stava ; ond'io mi feci ancor pili là sentire. 99 7v Cons!j5lio. — Consigliere. .sto la divina grazia vi iiicndi 7(). Lo muto. • — Il mio siien- deiriiimurità la (-n-scieii/'a. zio. f)(>. Della mente il fimme. — Il .Si. Da nulla sponda s'injihir- ror.sr) drlla numeri. i, dali.i t|iial' landa. — Non è circondata da il fiume Lete rimo > e il rieoi-do ajknina sponda. dei ])(>cc;iti. f.\. Costura. — C"uritiua. 92. Latina. — Italiana. 84. Premevan s"; ecc. — -Spin- (j^. L'apparo. — Lo vengo a gevano le lagrime. sapere. 86. Alto lume. — Dio. 05. D'una vera città, — De! S8. Se tosto ecc. — Cosi pre- cielo. -- 274 ■ - PuRGATORto - Canto XIII Tra l'altre vidi un'ombra che aspettava in vista ; e se volesse alcun dir : (( Come? », lo mento, a guisa d'orbo, in su levava. 102 (( Spirto, diss'io, che per salir ti dome, se tu se' quelli che mi rispondesti, fammiti conto o per loco o per nome ». 105 27 E l'ombra, che di ciò domandata era, si sdebitò cosi : <( Non so, ma degno ben è che il nome di tal valle péra : 30 che dal principio suo, dov'è si pregno l'alpestro monte, ond'è tronco Peloro, che in pochi lochi passa oltra quel segno, 33 infin là 've si rende per ristoro di quel che il ciel della marina asciuga, ond 'hanno i fiumi ciò che va con loro, 36 virtù cosi per nimica sì fuga da tutti, come biscia, o per sventura del loco 0 per mal uso che li fruga ; 39 ond 'hanno sì mutata lor natura gli abitator della misera valle, che par che Circe gli avesse in pastura. 42 17. Falterona. — Giogo del- 34. Là 've ecc. — Nel mar l'Appennino toscano dal quale Tiirreno ove l'Arno sbocca per scende l'Arno. compensare il mare dell'evapora- 21. Molto non suona. — Non zione, prodotta dal calore, che è molto conosciuto. a sua volta si converte in acqu.i. 22. Accarno. — Penetro colla 37. Si fuga. — Si scaccia dal- mia mente. [q v:i!le d'Arno. 31. Si pregno. — Cosi gros- .g. Per sventura del loco ecc. so che in poclii luoghi è supera- _• ^,^^ ^.5^^^^ ^,^^, ,^,^,^.^^ ^1^^,^^^ ^°' L'alpestre monte.- L'Ap- "'^'^ '^"O""; o per la oonsuetudi- pennino dal quale ò troncato, "'^ ('f' "i^'l^^ ^'it' stmiola a ccnn- iro), I — 278 prillili l\J VXClt V.J t,4*-> H^ Vw. V. wi i»-« » »' , staccato il Peloro (Cai» Faro), uierlo ip Sicilia. 4^- Circe. — La famosa nia Purgatorio - Canto XIV Tra brutti porci, più degni di galle che d'altro cibo fatto in uman uso, dirizza prima il suo povero calle. 45 Botoli trova poi, venendo giuso, ringhiosi più che non chiede lor possa, e da lor, disdegnosa, torce il muso. 48 Vassi cadendo, e, quanto ella più ingrossa, tanto più trova di can farsi lupi la maledetta e sventurata fossa. 51 Discesa poi per più pelaghi cupi, trova le volpi, si piene di froda che non temono ingegno che le occupi. 54 Né lascerò di dir, perch'altri m'oda; e buon sarà a costui, se ancor s'ammenta di ciò, che vero spirto mi disnoda. 57 Io veggio tuo nipote, che diventa cacciator di quei lupi, in su la riva del fiero fiume, e tutti gli sgomenta. 60 ca dell'Odi'-s'/a, che mutava i;!! iKimlni in bestie. 43. Tra brutti porci ecc. — L'Arno, scorrendo pel Casenti- no, s'allarga fra Porciano e Ro- mena. Dante, forse, allude agli abitanti di quella valle, e spe- cialmente ai conti Guidi di Por- cianc', per la loro vita scostuma- ta, perchè contrari a Firenze e perchè non aiutarono i Bianchi. Galle. — Ghiande. 46. Botoli ecc. — Gli Aretini, i quali ritenevasi avessero^ animo surveriore alla forza, come i pic- coli cani i quali abbaiano quan- do vorrel^bero ooter mordere. 4^. Povero. -^ D'acque. 4,S. Torce il muso. — Perchè l'Arno nel territorio aretino vol- ge il suo corso a occidente. 40. Cadendo. — Scendendo senipre più a valle. 51. Fossa. — La valle deU'.Xr- no. 5;j. Pelaghi cupi. — Burroni scosce--ì nei quali scorre l'.Arno dopo Signa. 53. Le volpi. — I pisani. 54. Occupi. — Prenda. 1515. Altri. — Dante, o, secon- do altri, Rinieri, compagno di Guido del Duca ne! secondo bal- zo' del Pur.o-ato-rio. 56. S'ammenta. — Si ram- menti oiù tardi. Z7. Vero spirfo. — Spirito della verità '' non fallace. c8. Tuo nipote. — Fu'cieri da Calboli o Calvoli, pò lesta di Milano, di Parma, d' Modena, e, nell'anno 1303, di Firenze, do- ve favori i Neri e perseguitò i Bianchi, facendone tormentare e condannare a morte. 279 — La Divina Commedia Vende la carne loro, essendo viva ; poscia gli ancide come antica belva : molti di vita, e sé di pregio priva. ò3 Sanguinoso esce della trista selva ; lasciala tal che di qui a mill'anni nello stato primaio non si rinselva ». 66 Come all'annunzio dei dogliosi danni si turba il viso di colui che ascolta, da qual che parte il periglio lo assanni ; 69 cosi vid'io l'altr'anima, che volta stava ad udir, turbarsi e farsi trista, poi ch'ebbe la parola a sé raccolta. 72 Lo dir dell'una, e dell'altra la vista mi fé' voglioso di saper lor nomi, e domanda ne fei con preghi mista ; 75 per che lo spirto, che di pria parlòmi, ricominciò: ((Tu vuoi ch'io mi deduca nel fare a te ciò, che tu far non vuòmi ; 78 ma da che Dio in te vuol che traluca tanta sua grazia, non ti sarò scarso : però sappi ch'io son Guido del Duca. 81 Fu il sangue m.io d'invidia si riarso che, se veduto avessi uom farsi lieto, visto m'avresti di livore sparso. 84 Di mia sem.ente cotal paglia mieto : o gente umana, perché poni il core là 'v'è mestier di consorto divieto? 87 61. Vende. — ^"eIldè i Bian- Da dunlunquo pariti il pericolo chi ai Neri, i quali in compenso lo addenti. io confermarono nell'ufficio di ~~- Deduca. — Induca. ^odesf,^ ner sei mesi. 7S. Far non vuoili. — Ni perversa che in\ano tenterebbesi di correggere. 97. Lizio. — Curiale, di gran- de cortesia, signore di Valbona. .\ rigo Manardi. — IMainardi, r'ella famiglia dei signori cÀ ticr- tinoro, savio, generoso, cortese ; amico di Guido del Duca, visse fino al 1228. 98. Pier Traversaro. — Pre- se Ravenna nel 1218 e la tenne in signoria fino alla sua mor- te {1225). Guido di Carpigna. — Figlio del conte Ranieri, signore di Carpigna nel Montefellro, ebb-^ animo grande, fu guelfo e po- destà di Ravenna, morì verso il 1289. 100. Fabbro. — Allude a Fab bro dei Lambertazzi, bolognese; fu podestà a Viierbo, Pisa, Mo- dena, Faenza, Brescia, Forlì e morì nel 1259. 101-102. Bernardin di Fosco. — U 'umili natali, lu vi-ulenio di- fensore della città sua contro Federico IL 104. Guido da Prata. — Faen- tino vissuto fin dopo il 1228, a- mico di Ugolin d'AZZO, faentino, console della sua città e rappre- 281 La Divina Commedia Federigo Tignoso e sua brigata, la casa Traversara e gli Anastagi (e runa gente e l'altra è diredata), le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi, che ne invogliava amore e cortesia, là dove i cor son fatti si malvagi. O Brettinoro, che non luggi via, poi che gita se n' è la tua famiglia e molta gente per non esser ria? Ben fa Bagnacaval, che non rifìglia, e mal fa Castrocaro, e peggio Conio, che di figliar lai conti più s' impigUa. Ben faranno i Pagan, da che il demonio lor sen gira ; ma non però che puro giammai rimanga d'essi testimonio. O Ugolin de' Fantolin, sicuro è il nome tuo, da che piti non s' aspetta chi far lo possa tralignando oscuro. 108 111 114 117 120 123 -sentante di essa alla pace di Co stanza (1183). Nosco. — Con iKÙ. 106. Federigo Tignoso. — DI Rimini, \ isse in Bertii.oro, e nel- la sua casa ..ccoglieva lieta com- pagn.a. 107. Casa Traversara ecc. — Questa famiglia e quella degli Anastagi erano fra k- pnncipa.ii famiglie di Ravenna. loii. E V una gente ecc. — Entrambe le lamig'lie non han più eredi nelle virtù avite, oppu- re sono senza discendenti. log-iio. Le donneecc. — Dan- te evoca in questi \ersi tutio cic'> che fu oggetto delle virtù cavalleresche nell'età di mezzo. 111. Là dove. — In Roma- gna. 112. Brettinoro. — Bcrtinoro dovrebbe .'innicntarsi dopo che le famiglie liberali sue sono spente o sbandate. 115. Bagnacaval. — Bagna- cavallo ancora signoicggiata dai Malvicini che non avevano figli maschi. 116. Castrocaro. — Castello nella valle del Montone, appar- teneva ai conti Urdelafìi. Conio. — L astello pure di Ro- magna, presso Imola, era dei cunti di Barbiano. 117. Figliar. — Gli Ordelafli e i Barbiano peggiorano nei lo- ro discendenti. iiS. Pagan. — Famiglia di l'aenza. Demonio. — Maghinardo Pa- gano da Susiinana, capo della fa- miglia dei Pagani, mori nel 1302. 1 suoi discendenti, sebbene me- no cattivi, non lasceranno, di- ce Guido del Duca, buona tama. 121. Ugolin de' Fantolin. — Di Faenza, uomo buono v pru- dente, valoroso, virtuoso e nobi- le, mori nel 1282, combat tenda a l'orli nelle sch ere di Giovanni d'Appia. Con lui si spense la sua casa. 282 Purgatorio - Canio XI \ Ma va via, tòsco, ornai, ch'or mi diletta troppo di pianger più che di parlare, si m'ha nostra ragion la mente stretta ». 126 Noi sapevam che quell'anime care ci sentivano andar ; però tacendo facevan noi del cammin confidare. 129 Poi fummo fatti soli procedendo, folgore parve, quando l'aer fende, voce che giunse d' incontra, dicendo : 132 « Anciderammi qualunque m'apprende»; e fuggi, come tuon che si dilegua, se subilo la nuvola scoscende. 135 Come da lei 1' udir nostro ebbe tregua, ed ecco 1' altra con si gran fracasso che somigliò tuonar che tosto segua : 138 (( Io sono Aglauro che divenni sasso » ; ed allor per ristringermi al poeta, indietro feci e non innanzi il passo. 141 Già era l'aura d'ogni parte queta, ed ei mi disse : « Quel fu il duro camo, che dovria l'uom tener dentro a sua meta. 144 Ma voi prendete 1' ésca si che 1' amo dell'antico avversare a sé vi tira; e però poco vai freno o richiamo. 147 Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira, mostrandovi le sue bellezze eterne, e l'occhio vostro pure a terra mira; onde vi batte chi tutto discerne ». 151 126. Ragion. — Ragionamento. cjope re di Atene, invidiosa dei- Stretta. — Di dolore. la so^rella amata da Mercurio, fu 128-129. Tacendo ecc. — Per- da esso convertita in sasso. che le anime buone ci avrebbero 143. Quel fu il duro camo. — avvertiti, se ci avessero veduti Gli esempi utili dovrebbero esser andar per cammino errato. freno. 1^3. Anciderammi ecc. — Mi 145. Ma voi prendete ecc. — ucciderà chi mi prende. Sono le Voi viventi siete attirati dal dia- parole dette da Caino (Genesi volo, come il pesce dall'esca. IV). 147. Freno, Gli esempi d'in- 135. Scoscende. — Squarcia. vidia puniti. 136. Come ejc. — Quando 150. Pure. — Solo. non s'udì p ù la voce. i^i- Onde vi batte ecc. — On- 139. Aglauro. — Figlia di Ce- de Dio vi punisce. — 283 - La Divina Commedia CANTO XV v^uando tra 1' ultimar dell'ora terza e il principio del di par della spera, che sempre a guisa di fanciullo scherza, 3 tanto pareva già in vèr la sera essere al sol del suo corso rimaso : vespero là, e qui mezza notte era, 6 e i raggi ne ferian per mezzo il naso, perché per noi girato era si il monte che già dritti andavamo in vèr l'occaso, 9 quand' io senti' a me gravar la fronte allo splendore assai più che di prima, e stupor m'eran le cose non conte ; 12 ond' io levai le mani in vèr la cima delle mie ciglia, e fecimi il solecchio, eh' è del soperchio visibile lima. 15 Come quando dall'acqua ó dallo specchio salta lo raggio all' opposita parte, salendo su per lo modo parecchio 18 i. Quando ecc. — La sfera 3. Che ecc. — Come il 4an- del sole (spera) distava dal tra- ciullo per la sua età scherza, os- n.onto (la sera) quanto essa, alL sia è sempre in moto, cosi la .-^puntar del giorno, (principio de". sfera solare, per legge naturale, di) dista dalla fine della terza gira sempre. ora del mattino. Ossia, la Uif- 7. E i raj^gì ecc. — Del sole ferenza che c'è fra il sorger del già basso ci colpivano il viso, sole e la terza ora (circa le no- perchè noi avevamo giralo il ve ant., calcolando i! giorno so- n.onte, appunto verso ponente. lare di 12 orej è la stessa di io 11. Gravar la fiCìite, — quella che c'è fra il vespero e il Abbagliare gli occhi da nuovo tramonto. Quindi, se nel Purga- splendere. torio (là) erano le tre poni, (ve- 12. Non conte. — Non cono- spero) a Gerusatemmo erano le sciute. T, ant. e in Italia (qui) era la H-i."?- Fecimr il solecchio ecc. mezzanotte, calcolando, come gli — Portai le mani agli occhi per antichi geografi, che essa sia a ripararli dall'uccesso di luce. 45° (latitudine occidentale) da j6-2i. Come ecc. — Il raggio Gerusalemme (15 gradi per ora, riflesso dall'acqua (Euclide) e. perciò i5x.^=^45; dallo specchio rimbalza alla par- 284 Purgatorio - Canto XV a quel che scende, e tanto si diparte, dal cader della pietra in egual tratta, si come mostra esperienza ed arte; 21 cosi mi parve da luce rifratta ivi dinanzi a me esser percosso, per che a fuggir la mia vista fu ratta. 24 (( Che è quel, dolce padre, a che non posso schermar lo viso tanto che mi vaglia, diss'io, e pare in vèr noi esser mosso?)) 27 (( Non ti maravigliar, se ancor t' abbaglia la famiglia del cielo, a me rispose : messo è, che viene ad invitar eh' uom saglia. 30 Tosto sarà che a veder queste cose non ti fia grave, ma fieli dilello, quanto natura a sentir ti dispose ». 33 Poi giunti fummo all' angel benedetto, con lieta voce disse : « Entrate quinci ad un scaleo vie men che gli altri eretto ». 3G Noi montavam, già partiti da linci, e « Beati misericordes n fue cantato retro, e « Godi tu che vinci ». 39 le oi)posta, in modo simile a quello con cui discende, cosic- ché l'angolo di riflessione è u- guale a quello d'incidenza, e il rag'gio rifle,--o si sco^ta dalla perpendicolare, quanto se ne sco- sta il raggio incidente. i8. Parecchio. — Pari, simile. 2o. Dal cader delia pietra. — (ili antichi chiamavano la per- pendicolare a un piano : « il ca- der della pietra». Egual tratta. — Egual traltj, spazio eguale. ji. Espsrlenza ed arte. — L'e- '■jierienza e la teoria di Euclide '•sposta nella «Catottrica». 22. Rifratta. — .Riflessa sul tjoeta ; è la luce che l'Angelo ri- ceve da Dio. 26. Schermar ecc. — Ripara re, proteggere gli occhi. 27. In vèr. — Verso noi. 2q. Famiglia del cielo. — (ili angeli. 30. Messo. ■ — Lo splendore è la luce dell'angelo che invita gli uomini a salire. T,{. Tosto sarà ecc. — Quan- do sarai purificata. 36. Scaleo. — Scala. 37. Da linci. — Di li, dal luo- go. 38. Beati ecc. — l>eati i mi- sericordiosi. E" la quinta beati- tudine angelica, cantata dall'an- cpIo. \(}. fltdi tu the vinci. — I-'ii- \ idia. 285 La Divina Commedia Lo mio maestro ed io soli ambedue suso andavamo, ed io pensava, andando, prode acquistar nelle parole sue ; 42 e dirizza' mi a lui si domandando : « Che volle dir lo spirto di Romagna, e ' divieto ' e ' consorto ' menzionando? » 45 Per eh' egli a me : (( Di sua maggior magagna conosce il danno; e però non s'ammiri, se ne riprende perchè men sen piagna. 48 Perché s' appuntan li vostri disiri dove per compagnia parte si scema, invidia move il maniaco ai sospiri : 51 ma se l'amor della spera suprema torcesse in suso il desiderio vostro, non vi sarebbe al petto quella tema ; 54 che per quanti si dice più li nostro, tanto possiede più di ben ciascuno, e più di caritate arde in quel chiostro». 57 ((Io son d'esser contento più digiuno, diss' io, che se mi fossi pria taciuto, e più dì dubbio nella mente aduno. 00 Com' esser puote che un ben distributo i più posseditor faccia più ricchi di sé, che se da pochi è posseduto? » "^3 42. Prode. — Utllp. 54. Quella tema. — Di veder- 44. Lo spirto. — Di Gui(Ja del si diminuiti i beni per l'invidia. Duca. 55. Che ecc. — In ciielo, non 46. Magagna. — Difetto di essendoci invidia, il godimento (ìuido del Duca era l'irvidia. aumenta coli' aumentare' del nu- 47. Non s'ammiri. — Non b p-,ero di coloro che partecipami meraviglia se vuol correggere gli ^j^j]^ stesso bene, uomini, i quali desiderano le co- g j^^ g(,„ ^^^^ _ j^ ^^^^ ^n^^. se terrene, il cui godimento di- ,,•?,,•• • \ mlnuisce per il fatto che esse so^ "^ soddisfatto d. prima, e cio.^ no di tutti gli uomini, invidiosi ^'^''^"^l'> ^''''''^ "'", ! T','? l'un dell'altro. '■• cl^f^n-'nicla. perchè dalla Ina 51. Maniaco. — Mantice. risposta mi ò sorto un allrd diib- ^_>. Ma se l'amor. — Del eie- iiio. lo. — 286 — Purgatorio - Canto XV Ed egli a me : « Però che tu rifìcchi la mente pure alle cose terrene, di vera luce tenebre dispicchi. 66 Quello infinito ed ineffabil bene, che è là su, cosi corre ad amore, come a lucido corpo raggio viene ; 69 tanto si dà, quanto trova d' ardore, si che quantunque carità si estende, cresce sopr'essa l'eterno valore: 72 e quanta gente più là su s' intende, più v' è da bene amare, e più vi s' ama, e come specchio I' uno all' altro rende. 75 E se la mia ragion non ti disfama, vedrai Beatrice, ed ella pienamente ti torrà questa e ciascun' altra brama: 78 procaccia pur che tosto sieno spente, come son già le due, le cinque piaghe, che si richiudon per esser dolente ». 81 Com' io voleva dicer : , vidimi giunto in su l'altro girone, si che tacer mi fèr le luci vaghe. 84 Ivi mi parve in una visione estatica di subito esser tratto; e vedere in un tempio più persone, 87 64. Però ecc. — Poiché torni — E quanti più ne sono in cielo a pensare soltanto alle cose ter- tanto magg^iore è la parte di be- rene. ne di ciascuno, le anim_e_ e>sen- 66. Di vera luce ecc. — Dal- do come specchi riflettentisi scarn- la mia parola di verità raccogli bitvolmente la iuce che ricevo- tenebre. no dal sole. 07. Bene, ecc. — Dio si tra- 76. Disfama. — .Appag^a il tuo sfonde nelle anime che lo amano desiderio. come il ragfgio del sole si diffon- 79. Procaccia ecc. — Cerca di de sui corpi che riflettono la sua compiere la tua purificazione fa- luce, cendoti cancellare dalla fronte i 70. Tanto si dà e;c. — Dio cinque P, ossia 1 sfgni dell'ira, largisce di sé stas*; in propor- accidia, avarizia, gola, lussuria, zione delrardcre dell annua. ., ... -e » 11 71. Si che, ecc. - Perciò la '^0'"<= ^i^ sei stato purificato dL^l- beatitudine dell'anima è propor- la superbia e_ dell niv.dia. zionata al suo fuoco di carità. 84. Le luci vaghe. — Di ve- 73-74. E quanta gente più ecc. der cose nuove 287 ~ La Divina Commedia ed una donna in su 1' entrar con atto dolce di madre dicer : « Figliuol mio, perché hai tu cosi verso noi fatto? 90 Ecco, dolenti, lo tuo padre ed io ti cercavamo » : e come qui si tacque, ciò che pareva prima dispario. 93 Indi m'apparve un'altra con quelle acque, giù per le gote, che il dolor distilla quando per gran dispetto in altrui nacque ; 96 e dir : (( Se tu se' sire della villa, del cui nome ne' dèi fu tanta lite e donde ogni scienza disfavilla, 99 vendica te di quelle braccia ardite che abbracciar nostra figlia, o Pisisiràto » ; e il signor mi parca benigno e mite 102 risponder lei con viso temperato : (( Che farem noi a chi mal ne disira, se quei, che ci ama, è per noi condannato? » 105 Poi vidi genti accese in foco d' ira, con pietre un giovinetto ancider, forte gridando a sé pur : « Martira, martira )) ; 108 e lui vedea chinarsi per la morte, che r aggravava già, in vèr la terra, ma degli occhi facea sempre al ciel porte, 1 1 1 orando all' alto Sire in tanta guerra, che perdonasse a' suoi persecutori, con quell'aspetto che pietà disserra. 114 88. Donua. — Maria. loi. Figlia. — La figlia di 89-92. Figliuol mio ecc. — So- Pisistrato era stata baciata in no le par.>le di Maria a Gesù pubblico da un g;iovajie, inna- (.S. Luca, II). morato di lei. 92. E come ecc. — Appena 107. Giovinetto. — S. Stefano Maria tacque, la visione spari. lapidato dai s^iudei. 94. Un'altra. — E' la meglio 108. A sé pur. — L'un l'al- di Pisistrato. Irò. 97 Sire ecc. — Signore della i„ ^1 ciel porte. — Rivolli '"'I %^"^- .**.-.• al cielo. 98. Ne' dei in tanta Iste. — r»-„«j e- , „ . r XT ... IV*- 112. Orando. — «Signore, La contesa fra Nettuno e Miner- . , & • va (Atena) sul nome da dare- ad "»" imputar loro questa cosa a Atene, vinta dalla .seconda. peccato» disse S. Stefano. (Al- 09. E donde ecc. — D'Atene li, VII, ."^y-.^g). si dilTu^e l.i luce della sci^^nz.■l. Guerra. — Martirio. 288 — Purgatorio - Canto X\' Quando 1' anima mia tornò di fuori alle cose, che son fuor di lei vere, io riconobbi i miei non falsi errori. 117 Lo duca mio, che mi potea vedere far si com'uom che dal sonno si slega, disse : « Che hai, che non ti puoi tenere, 120 ma se' venuto piti che mezza lega, velando gli occhi e con le gambe avvolte, a guisa di cui vino o sonno piega?» 123 <( O dolce padre mio, se tu m' ascolte, io ti dirò, diss' io, ciò che mi apparve quando 'e gambe mi furon si tolte ». 126 Ed ei : « Se tu avessi cento larve sopra la faccia, non mi sarien chiuse le tue cogitazion, quantunque parve. 129 Ciò che vedesti fu, perché non scuse d'aprir lo core all' acque della pace che dall'eterno fonte son diffuse. 132 Non domandai, 'Che hai '. per quel che face chi guarda pur con l'occhio che non vede, quando disanimato il corpo giace; 13S ma domandai per darti forza al piede : cosi frugar conviensi i pigri, lenti ad usar lor vigilia quando riede». 138 11^. Tornò di fuori. — Si ri- 129. Cogifazion ecc. — P^n- svesfliiS. tornando alla percezìo- sieri. ne dplif cose sensibili, o veritA Quantunque parve. — Sebb'^- fibbiotti'-^. ne picrole, lievi. UT. Non falsi error?. — Cioè i^o-i^i. Ciò ecc. — Le visio- \erità subbiettive, che sono vere ni ti si mostrarono perchè tu nei'l'ani'na e non fuori non abbia a cercare scuse per non no- Dal sonno si slega. — E- aprire il tuo cuore alla pace, che ^"■ce da! «onno. procede da Dio. 120. Tenere, — Reggere in i.-?-,-i36. Non domandai ecc. -— pif'di. Perchè non compn ndess' la car- 122. Velando ecc. — Con oli ^^ ^^\ f^^ ^lato, ma ^er inco- occhi socchiusi e le gamte vac.!- , ;a,ti a continuare con pas- lanti come chi s addormenta o è ^ . ubbriaco. -o sicur^r.. _ 1:^6. Tolte. — ImoedU.-. i37- Frugar. — Stimolare. I2T. Larve. — Maschere. i.l^- Ad usar ecc. — Il tem- i-'S. Chiuse. — ■ Nascoste. po del risveglio. — 289 — La Divina Commedia Noi andavam per lo vespero attenti oUre, quanto potean gli occhi allungarsi, contra i raggi serotini e lucenti; 141 ed ecco a poco a poco un fummo farsi verso di noi, come la notte, oscuro, né da quello era loco da cansarsi : questo ne tolse gli occhi e l'aer puro. 145 140. Quanto potean. — Non d'espiazione, poiché l'ira nnneb- 'into, i>"i'chè cammina\amo con- Ma la mente, tro i rnggì solari. 144. Né ecc. — Dal fumo si 142. Fummo. — \el quale so- notewa ripararsi, no avvolti "l'ir.'ico.ndi in ^oijno CANTO XVI Buio d'inferno e di notte privata d'ogni pianeta sotto pover cielo, quant' esser può di nuvol tenebrata, 3 non fece al viso mio si grosso velo, come quel fummo eh' ivi ci coperse, né a sentir di cosi aspro pelo; 6 che l'occhio stare aperto non sofferse; onde la scorta mìa saputa e fida mi s'accostò, e l'omero m'offerse. 9, Si come cieco va retro a sua guida per non smarrirsi, e per non dar di cozzo in cosa che il molesti 0 forse ancida ; 12 m' andava io per l'aere amaro e sozzo, ascoltando il mio duca che diceva : «Pur guarda che da me tu non sie mozzo». 15 Io sentia voci, e ciascuna pareva pregar, per pace e per misericordia, r agnel di Dio, che le peccata !ev.a. 18 2 Pianeta. — I-a luna e 1^ 6. Di così aspro pelo. — Pun- rltrr steHe Cfente, molesto ajjli occhi. Sotto pover ecc. — Dove l'o- 12. Ancida. — Lo uccida, rizzonte è assai limitato e co- iq. Mozzo. — Separato, perlo di nuvole. t8. L'agnel di Dio. — Gesù Cristo. — 20O — Pi^RGATORio - Canto XVI Pure (( Agnus Dei » erari le loro esordia : una parola in tutti era ed un modo, si che parea tra esse ogni concordia. 21 «Quei sono spirti, maestro, ch'i' odo?» diss'io; ed egli a me : ((Tu vero apprendi, e d'iracondia van solvendo il nodo». 24 (( Or tu chi se', che il nostro fummo fendi, e di noi parli pur, come se tue partissi ancor lo tempo per calendi ? » 27 Cosi per una voce detto fue ; onde il maestro mio disse : (( Rispondi, e domanda se quinci si va sue ». 30 Ed io : (( O creatura, che ti mondi per tornar bella a colui che ti fece, maraviglia udirai se mi secondi ». 33 (( lo ti seguiterò quanto mi lece, rispose ; e se veder fummo non lascia, l'udir ci terrà giunti in quella vece». 36 Allora incominciai : (( Con quella fascia che la morte dissolve men vo suso, e venni qui per la infernale ambascia ; 39 e, se Dio m'ha in sua grazia richiuso tanto che vuol eh' io veggia la sua corte per modo tutto fuor del modem' uso, 42 K). Pure ecc. — Le loro pre- 33. Maraviglia. — Che un vi i_;Iii>?re rominciavano con le stes- vo visiti il Pursatoirio. se parole «Agnus Dei», le pri- Mi recontii. — Mi accompagni. me del cantico ang^elico (It^ si 34. Mi lece. — Per quanto mi recita durante la Messa, per im- è lecito. olorare da Dio misericordia per 36. In quella vece. — Invece i nostr' peccati. dei vedere, l'udire ci terrà uniti. 21. Concordia. — Mentre in 37. Fascia. — Corpo. terra hiamavino vendetta. 30. Ambascia. — Attraverso i 23. Apprendi. — Hai colto nel gironi di-H 'Inferno. seojno 40. Richiuso. — Accollo. 24. Nodo. — Peccato. 42. Modern'uso. — Da San 27. Per calendi. — Per mesi : Paolo in poi : quell'apostolo fu nessuna divisione del tempo si l'ultimo che potè ancor vivo co- nuò fare invece nell'eternità. noscere i regfni celesti, — ?qi — La Divina Commedia non mi celar chi fosti anzi la morte, ma dilmi, e dimmi s' io vo bene al varco ; e tue parole fien le nostre scorte ». 45 (( Lombardo fui, e fui chiamato Marco ; del mondo seppi, e quel valore amai al quale ha or ciascun disteso 1' arco : 48 per montar su dirittamente vai ». Cosi rispose ; e soggiunse : (( Io ti prego che per me preghi, quando su sarai». • 51 Ed io a lui : (( Per fede mi ti Lego di far ciò che mi chiedi ; ma io scoppio dentro a un dubbio, s' io non me ne spiego. ' 54 Prima era scempio, ed ora è fatto doppio nella sentenza tua, che mi fa certo, qui ed altrove, quello ov' io l'accoppio. 57 Lo mondo è ben cosi tutto diserto d'ogni virtute, come tu mi suone, e di ma'izia gravi'do e coperto : 6<) ma prego che m'additi la cagione; si oh' io la vegga e eh' io la mostri altrui ; che nel cielo uno, ed un qua giù la pone». W Alto sospir, che duolo strinse in <( hui », mise fuor prima, e poi cominciò : <( Frate, lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. titì 44. Varco. — .Xll'eiitraia del 55. Prima, ecc. — Ascoltandn girone soprastante. 'o parole di Guido del Duca il 4.:^. Le nostre scorte. — La no- dubbio era semplice ; ora è rad- slra ijuida. doppini^! per le tue ])aroi'.e sulla 46. Marco, — • Lon-.bardo, cor- corruzione sfencrale. liu-iano di nobile animo, sul qua- 6^. Che nel cielo ecc. — Aldi- là abbiamo gran numero di no- ni credono che la causa sia nel- velle. Visse nel sec. XIIL l'influenza dei cieli sulle passioni 47. Seppi. — P'ui pratico de- ("astrologia), altri invece che es- gli affari del mondo e praticai =;j, ^j^ nell'abuso del libero arbi- nuelle virtù, che ora nessuno niìi ^^.\fy fa;-fo da-li uomini. segue (allentando \ arco, è .m- ^ ^^^-^^^^ _ Terminò -.n r- pt^ssibiii^ tirar frecrie). , . , , . ' u • 40. Su. - Al quarto cerchio. ^ clamaz.one lamentevole : Hu.. SI. Su. — Davanti a Dio; al- 66. Cieco. - Ignorante, corno tri intendono: tornato tra i vivi. '<> dimostra il dubbio che esprimi 54. Spiedo. — I>iber<). tu, che \ieni d.d mondo. — 392 — Purgatorio - Canto XVI Voi che vivete ogni cagion recate pur suso al cielo, si come se tutto movesse seco di necessitate. 69 Se cosi fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia, per ben, letizia, e per male, aver lutto. 72 Lo cielo i vostri movimenti inizia, non dico tutti ; ma, posto eh' io il dica, lume v' è dato a bene ed a malizia, 75 e libero voler, che, se fatica " nelle prime battaglie col ciel dura, poi vince tutto, se ben si nutrica. 78 A maggior forza ed a miglior natura liberi soggiacete, e quella cria la mente in voi, che il ciel non ha in sua cura. 81 Però, se il mondo presente disvia, in voi è la cagione, in voi si cheggia, ed io te ne sarò or vera spia. 84 Esce di mano a lui, che la vagheggia prima che sia, a guisa di fanciulla che piangendo e ridendo pargoleggia, 87 r anima semplicetta, che sa nulla, salvo che, mossa da lieto fattore, volentier torna a ciò che la trastulla. 90 6S. Come se ecc. — Come se So. Cria ecc. — Crea l'intel- lutto ciò che avviene 'n terra, letlo che non \a soggetto alle fosse determinato dagli innussi influenze dei cieli, celesti. 84. Ed io ecc. — Ed io le ne 71-72. E non ecc. — Sarebbe dirò le ragioni, giusto dare la beatitudine eterna S.^^. Esce ecc. — Iddio, che già ai buoni e le pene dell'inferno al la vede nel suo pensiero, crea malvagi. l'anima umana aperta a tutte 7;;. Movimenti ecc. — SjIo i le passioni, e mutevole come corpcwei (appetiti), ma posto che la fanciulietta che vuole e dis- inizi anche quelli ideali. vuole, piange e ride nello stesso 75. Lume 'ecc. — V'è dato tempo, l'intelletto per discernere il ben-j 88. L'anima ecc. — ■ L'anima, dal male. _ di recente infusa nel corpo, non 77. Col ciel. — Pel bene. ha ancora idee, ma essendo crea- 78. Nutrica. — Nutrisce. ta da Die, letizia perfetta, si ^0- A m^j^^ior forza ed a mi= volge a tutto ciò che le sembra glior uatura. — 1 io. apportatore di gioia. — 293 — La Divina Commedia Di picciol bene in pria sente sapore ; quivi s' inganna, e retro ad esso corre, se guida o fren non torce suo amore. 93 Onde convenne legge per fren porre ; convenne rege aver, che discernesse della vera cittade almen la torre. 96 Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? Nullo, però che il pastor che precede ruminar può, ma non ha 1' unghie fesse ; 99 per che la gente, che sua guida vede pure a quel ben ferire ond'ell'è ghiotta, di quel si pasce, e più oltre non chiede. 102 Ben puoi veder che la mala condotta è la cagion che il mondo ha fatto reo, e non natura che in voi sia corrotta. 105 Soleva Roma, che il buon mondo feo, due soli aver, che Luna e l'altra strada facean vedere, e del mondo e di Deo. 108 L'un l'altro ha spento, ed è giunta la spada col pastorale ; e 1' un con L altro insieme per viva forza mal convien che vada, 1 1 1 gì. Picciol. — Lidiiitato, es- siendoi bene mondano, e perciò fallace. qT,. Non torce suo amore. — Al beiT" perfetto-. ()5. Convenne ecc. — Conven- ne creare l'imperatore, aftinché attendesse all' amministrazione della giustizia, ch'è la rocca e il presidio (torre) della citì;\ bun governata. 97. Ma chi ecc. — Ma chi 1 ■ fa osservai'e ? ()8. Nullo. — Nessuno ; essen- do \'acainte l'impeiro, e il papa, che è il primo in dignità, se è sapiente in teologia, non sa di- .stinguere le cose spirituali dalle temporali, ossia non può attende- re al cielo, e alla terra ; a questa dovrebbe badare l'impeiratore. La Ipo-jtp mosiaica proibiva agli israe- liti di mangiare la carne degli a- nimali che non ruminano e non hanno il piede forcuto loi. Ferire ecc. — Tendere sc- io ai beni mondani dei quali es- sa stes-^a è avida. io6. Che il buon ecc. — Che diiede esempio d'ottimo governo, essere soggetta a due autorità, T'impera tore e il papa; l'uno nensava a reggere gli uomini in terra, l'altro ad additare loro le vie della beatitudine eterna. log. L' un ecc. — L'autorità papale s'è in Roma sostituita a quella imperiale, e la spada con- giunta a viva forza col pastorale ha g.^nerato grandissimo disor- dine, perchè essendo congiunti i due poteri, è venuta meno la soggezione reciproca. 294 Purgatorio - Canto X\'I però che, giunti, l'un l'altro non teme : se non mi credi, pon mente alla spiga, eh' ogni erba si conosce per lo seme. 114 In sul paese ch'Adige e Po riga solea valore e cortesia trovarsi, prima che Federico avesse briga: 11? or può sicuramente indi passarsi per qualunque lasciasse per vergogna di ragionar coi buoni o d' appressarsi. 120 Ben v'én tre vecchi ancora, in cui rampogna l'antica età là nuova, e par lor tardo che Dio a miglior vita li ripogna : 123 Corrado da Palazzo e il buon Gherardo e Guido da Castel, che me' si noma francescamente il semplice lombardo. 126 Di' oggimaì che la Chiesa di Roma, per confondere in sé due reggimenti, cade nel fango e sé brutta e la soma ». 129 (( O Marco mio, diss' io, bene argomenti ; ed or discerno, perché da retaggio li figli di Levi furono esenti : 132 113. Pon mente alla spiga. — Guarda il frutto di questa con- fusione. 114. Seme. — Frutto che l'er- ba produce. II V In sul paese ecc. — In Lombardia. 117. Prima ecc. — Prima che Federico II fosse combattuto dai papi, e s'accendessero cosi le pas- sioni partigiane. 118. Or può. — Ora chi aves- se paura di parlare o d'avvicinar- si ai buoni, può passai'e sicuro per quel paese. 122. E par lor tardo ecc. — E pare loro tardi che Dio li ri- chiami a sé dal mondo corrotto. 124. Corrado. — Corrado III dei conti di Palazzo, bresciano, podestà di Piacenza nel 1288, ebbe ogni virtù cavalleresca. Gherardo. — Da Camino, fu podestà di Treviso, sua città na- tale, nel 1283 ; amico dei Donati, fu conosciutissimo in Toscana. 12:;. Guido da CasteL — Ghi- bellino di Res^ofio, mori nel 1315 : in Francia, dove si recò e fu mol- to onerato, ebbe il soprannome di « semplice lombardo ». 128. Due reggimenti. — Il po- tere temporale e 'o spirituale. 129. La soma. — 11 jotere ci- .vile da essa usurpato. 132. Li figli di Levi ecc. — I discendenti di Levi, o Leviti, a cui presso gli Ebrei, era confe- rita la dignità sacerdotale, era- no cscUisi dal possessc' dei beni — 295 — La Divina Commedia ma qual Gherardo è quel che tu, per saggio, di' ch'è rimaso della gente spenta, in rfmproverio del secol selvaggio?» 135 (( O tuo parlar m'inganna o e' mi tenta, rispose a me, che, parlandomi tòsco, par che del buon Gherardo nulla senta : 138 per altro sopranome io no '1 conosco, s' io no '1 togliessì da sua figlia Gaia ; Dio sia con voi, che più non vegno vosco. 141 Vedi l'albór che per lo fummo raia già biancheggiare, e me convien partirmi, l'angelo è ivi, prima ch'io gli appaiai). Cosi tornò, e piti non volle udirmi. 145 1 Vt- Selvagj^io. — Perverso e per onestà di costumi, e che an- corrotto. dò sposa a Tolberto da Camino, 136. O tuo ecc. — O io ho suo parente, capito male lo tu mi fai questa 142. Vedi l'albór ecc. — La domanda _ per farmi parlare più j^^^ ^y^^^^^^^ dairanoclo della pa- ci lungo mtorno a Gherardo, che ^^^ incomincia a penetrare tu, toscano, hai sentito certa- ' ., , at i^ monte nominare. attraverso .1 fumo. Me ne vado, 340. S'io ecc. — Chiamandolo jyacchè, non essendo ancora pu- il padre di Gaia, donna celebre rificato, non .ajU posso compaiùre per la sua bellezza, e forse anche dinanzi. CANTO XVII Ricorditi, lettor, se mai nell'alpe ti colse nebbia, per la qual vedessi non altrimenti che per pelle talpe ; 3 come, quando i vapori umidi e spessi a diradar cominciansi, la spera del sol debilemente entra per essi ; 6 e fia la tua imagine leggiera in giugnere a veder com'io rividi lo sole in pria, che già nel corcare era. 9 3. Per pelle. — Gli anlicni ere- 7. E fia ecc. — I.a tua imma- devano che l'occhio, della talpa ginazione facilmente intuirà, ecc. fosse coperto da pellicola sottile. g. Nel corcare era. — Prossi- mo a tramciTitare. — 296 — PT'Rr.ATORTO - Canto XX'II Si, pareggiando i miei co' passi fidi del mio maestro, uscii fuor di tal nube, ai raggi, morti già nei bassi lidi. 12 O imaginativa, che ne rube tal volta si di fuor, ch'uom non s'accorge, perché d'intorno suonin mille tube, 15 chi muove te, se il senso non ti porge? Muoveti lume, che nel ciel s' informa per sé o per voler che giù lo scorge. 18 I>eirem.piezza di lei, che mutò forma nell'uccel che a cantar più si diletta, nell'imagine mia apparve l'orma : 21 e qui fu la mia mente si ristretta dentro da sé, che di fuor non venia cosa che fosse allor da lei recetta. 24 Poi piovve dentro all' alta fantasia un crocifisso, dispettoso e fiero nella sua vista, e cotal sì moria : 27 intorno ad esso era il grande Assuero, Ester sua sposa e il giusto Mardocheo, che fu al dire ed al far cosi intero. 30 E come questa imagine rompeo sé per sé stessa, a guisa d'una bulla cui manca l'acqua sotto qual si feo, 33 12. Raj^^ì, morti ecc. — Illa- mangiare il figlio Iti, e fu tra- minavano solo la parte superiore sformata in usignuolo (vedi Pur- del monte. gatorio e. ii, v. 15). i'^. Imaginativa. — Fantasia. 21. Nell'imagine. — Nella im- Rube. — Rubi. maginazione. 15. Perché. — Quantunque. 22. Ristretta. — Intenta a un Tube. — Trombe. solo pensiero. 16. Se il senso. — S<' i sensil 24. Recetta. — Ricevuta. non ti offrono le immagini delle 25. Fantasia. — Lontana dal- cose. le cose terrene. 17. Muoveti lume ecc. — P'or- 26. Un crocifisso. — Haman za procedente dal cielo naturai- volev^a distruggere i giudei, per mente per influsso degli astri o dar sfogo alla sua ira contro oer volontà di Dio. Mardocheo, e Assuero, re di Per- ir). Dell'empiezxa ecc. — Del- sia, lo fece mettere in croce. la crudeltà di Progne, figlia di 20. Ester. — Nipote di Mar- Pandione, re d'Atene, e moglie docheo, moglie di Assuero. di Tereo, re di Tracia, che si 30. Intero. — Coerente, vendicò del marito dandogli da ?,^-?i?i- Rompeo. — Svanà da — 297 — I,.\ Divina Commedia surse in mia visione una fanciulla, piangendo forte, e diceva : « O regina, perché per ira hai voluto esser nulla? 36 Ancisa t'hai per non perder Lavina ; or m'hai perduta; io son essa che lutto, madre, alla tua pria ch'ail'alirui ruina ». 39 Come si frange il sonno, ove di butto nuova luce percote il viso chiuso, che fratto guizza pria che muoia tutto ; 42 cosi l'imaginar mio cadde giuso, tosto ch'un lume il volto mi percosse, maggiore assai che quello eh 'è in nostr'uso. 4,^ Io mi volgea per vedere ov'io fosse, quand'una voce disse: ((Qui si monta», che da ogni altro intento mi rimosse ; 48 e fece la mia voglia tanto pronta di riguardar chi era che parlava, che mai non posa, se non si raffronta. 51 Ma come al sol, che nostra vista grava, e per soperchio sua figura vela, cosi la mia virtti quivi mancava. 54 « Questi è divino spirito, che ne la via d'andar su ne drizza senza prego e col suo lume sé medesmo cela. 57 sé come bolla d'acqua allorché l'aria esterna l'infrange. 34. Fanciulla. — Lavinia, la sposa d'Enea. ?iFi- Regina. — Amata, moglie di Latino e madre di Lavinia, si uccise sopraffatta dall'ira, cre- dendo che Enea da essa odiato, avesse ucciso Turno. 36. Esser nulla. — Ucc'derii. 38. Perduta. — Davvero : Io sono Lavinia che piango I4 tua morte, prima di quella di Turno, il quale fu uccise- dopo la morte di Amata. 40. Ove di bu;to. — Quando d'un tratto. 41. Viso. — Ocelli. 42. Che fratto. — Il sonno interrotto sforzasi di continuare, come il pesce guizza prima di morire. 43. Imaginar. -- La visione cessa. 44. Lume. — Splenj'ore dd- r.-mgelo. 45 Che quello, tee. — La lu- ce (lei scie. 48. Intento. - — Pensiero. .1^1. Che ecc. — La voglia non s'acqueta se non viene a fronto della cosa bramata. 52-54. Ma tee. — Come il so- le abbaglia i nostri occhi i qua- li lo vedono velato, cosi la mia vista non reggeva allo splendore dell'i'ngelo. — 2C)8 — Purgatorio - Canto W'II Si fa con noi, come l'uom si fa sego; che quale aspetta prego, e l'uopo vede, malignamente già si mette al nego. 60 Ora accordiamo a tanto invito il piede : procaociam di salir pria che s'abbui, che poi non si poria, se il di non riede ». 63 Cosi disse il mio duca, ed io con lui volgemmo ì nostri passi ad una scala ; e tosto ch'io al primo grado fui, 66 senti' mi presso quasi un mover d'ala, e ventarmi nel viso, e dir : « Beati pacifici, che son senza ira mala ». 69 Già eran sopra noi tanto levati gli ultimi raggi, che la notte segue, che le stelle apparivan da più lati. 72 « O virtù mia, perché si ti dilegue?» fra me stesso dicea, che mi sentiva la possa delle gambe posta in tregue. 75 Noi eravam dove più non sa'iva la scala su, ed eravamo affìssi, pur come nave ch'alia piaggia arriva; 78 ed io attesi un poco s'io udissi alcuna cosa nel nuovo girone, poi mi volsi al maestro mio e dissi : 81 (( Dolce mio padre, di' quale offensione si purga qui nel giro, dove semo : se i pie si stanno, non stea tuo sermone ». 84 sS. Sego. — Seco. L'angfclo fioliuoli di Dio, dice Matlcc- e- spontancamenle aiuta noi, come vangelista. l'uomo spontaneamente tinta sé 70. Già eran, ecc. — I l'aggi stesso. ultimi, dopo il tramonto, illu- .£;g. Quale. — Colui che, pur minavano solo le sommità del vedendo il bisogno altrui, atten- monte e già spuntavano le pri- de la domanda d'aiuto si pre- me stelle nel crepuscolo, para a rifiutare il soccorso. 75. Posta in tregue. — Sospe- 61. Accordiamo. — Secondia- sa, non per stanchezza, ma per mo. l'avvicinarsi della noi te. 68. E ventarmi nel viso. — 77. Affìssi. — Immobili sul- Per togliere il terzo P, cssia il l'ultimo scalino. segno "dell'ira. 80. Nuovo. — Quarto, o giro- 69. Pacifici. — Beati i pacifi- ne dtU'accidia. ci, perciocché saranno chiamati 84. Si stanno. — Fermi. — 299 — La Divina Commedia Ed egli a me : « L'amor del bene, scemo di suo dover, quiritta si ristora, qui si ribatte il mal tardato remo : 87 ma perché più aperto intendi ancora, volgi la mente a me, e prenderai alcun buon frutto di nostra dimora ». 90 '( Né creator né creatura mai, cominciò ei, figliuol, fu senza amore, o naturale o d'animo; e tu il sai. 93 Lo naturai è sempre senza errore, ma l'altro puote errar per malo obbietto, o per poco o per troppo di vigore. 96 Mentre ch'egli è ne' primi ben diretto e ne' secondi sé stesso misura, esser non può cagion di mal diletto; 90 ma, quando al mal si torce, o con più cura o con men che non dèe corre nel bene, contra il fattore adopra sua fattura. 102 Quinci comprender puoi ch'esser conviene amor sementa in voi d'ogni virtute e d'ogni operazion che merta pene. 105 Or, perché mai non può dalla salute amor del suo suggetto torcer viso, dall'odio proprio son le cose tute : ,108 85. Scemo. — Negligente nel L'amore di elezione non pecca compiere il dovere. (mal diletto") quando è rivolto a 86. QuirUta. — Li questo gi- Dio, alle virtù celesti (primi ben) rene si espia. e sa essere moderalo allorché è 87. Si ribatte, ecc. — Con In rivolto ai beni terreni, .sollecitudine diligente guadagna- 100. Con più cura ecc. — Con si ciò che s'è perduto. Iroppa .sollecitudine pei beni ter- 00. Dimora. — Dell'attesa. reni. O.s- Naturale. — Innato, istin- loi. Con men che non dèe. — tivo. Con poca sollecitudine per i beni D'animo. — D'elezione libera. celesti. 0.^ Malo obb'etto ecc. — Se 102. Contra ecc. — Contro elegge il male (superbi.;, invidia, Dio opera la creatura di Dio ira) ; se ama il bene con poco di medesimo. vigere (accidia); se ama il bene 103-105. Quinci. • — L'amore è con troppo di vigore (avarizia, principio di virtù e di vizio, gola, lussuria). 106. Or, perchè mai ecc. ■ — 97-99. Mentre ch'egli ecc. — .Siccome l'amoire tende al bene di — 300 — PtTROATORTO _ CAXxn X\'IT e perché intender non si può diviso, e per sé stante, alcuno esser dal primo, da quello odiare ogni affetto è deciso. HI Resta, se dividendo bene estimo, che il mal che s'ama è del prossimo, ed esso amor nasce in tre modi in vostro limo. 114 È chi per esser suo vicin soppresso spera eccellenza, e sol per questo brama eh' e' sia di sua grandezza in basso messo; 117 è chi podere, grazia, onore e fama teme di perder perch' altri sormonti, onde s'attrista si che il contrario ama; 120 ed è chi per ingiuria par ch'adonti si che si fa della vendetta ghiotto, e tal oonvien che il male altrui impronti. 123 Questo triforme amor qua giù di sotto si piange; or vo'che tu dell'altro intende, che corre al ben con ordine corrotto. 126 Ciascun confusamente un bene apprende, nel qual sì cheti l'animo, e disira : per che di giugner lui ciascun contende. 129 colui, della persona, dell'essere nel quale risiede, cosi gli esseri sono sicuri (tute) contro il pro- prio odio. Nessu IO odia mai la propria carne. log. E perché intender ecc. - — Non ammettendo che alcun es- sere sia diviso dal pruno, cioè da Dio, e sussista da sé, ne con- segue che nessun essere può o- diare Dio, l'Esser primo, nel qua- le esiste, e dal quale dipende. 112. Se dividendo bene estimo. — Se nell'analisi non ho errato. 114. Limo. — Fango della na- tura umana. 115. E' chi ecc. — il -uperbo. iiS. E' chi ecc. — L'invidio- iK). Sormonti. — Lo sopra- vanzi in ]>otere, grazia, onore, fama. 121. Ed è chi ecc. — L'irato. 123. Impronti. — Affretti col desiderio. 124. Di sotto. — Nei primi tre cerchi de] Purgatorio. 125. Dell'i Uro, — L'amore eh? erra per pò o, o per troppo di vigore. I '6. Con ordine ecc. — Erra- to. 127. Ciascun ecc. — Vagheg- e;ia un bene r.el quale riposa l'a- nimo suo e lo desidera. 129. Ciascun. — L' uomo fa di tutto jjer conseguir jl bene a cui tende. 301 r.A Divina Commf.dia Se lento amore in lui veder vi tira, 0 a lui acquistar, questa cornice, dopo giusto penter, ve ne martira. 132 Altro ben è che non fa l'uom felice; non è felicità, non è la buona essenza, d'ogni ben frutto e radice. 135 L'amor, eh' ad esso troppo s'abbandona, di sopra noi si piange per tre cerchi ; ma come tripartito si ragiona, tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi ». 139 130-132. Se lento amore ecc. 137. Di sopra ecc. — Si espia — Se tiepido ò l'amore che tira nei Ire cerciii superiori: avariz'n, a cjonsegfuire il sommo bene, in ,ro-\a lussuria questo girone, previo pentimento "^ /g j^^ ^^^^^ tripartito si ra^ pnma della morte, s espia l acci- ^j^^^^ ^^^_ _ ^^^ ^^^^ ^^^^.,^ 133. Altro ben è ecc. — Bene i" tre aspetti, lacerò, mondano, dal quale non procede 130- Per te ecc. — Da le lo felicità, perchè non proviene da investighi. Dio (essenza). CANTO XVIII Posto avea fine al suo ragionamento l'aito dottore, ed attento guardava nella mia vista s'io parea contento ; 3 ed io, cui nuova sete ancor frugava, di fuor taceva e dentro dicea : « Forse lo troppo domandar, ch'io fo, gli grava )>. 6 Ma quel padre verace, che s'accorse del timido voler che non s'apriva, parlando di parlare ardir mi porse ; 0 ond' io : « Maestro, il mio veder s' avviva si, nel tuo lume, eh' io discerno chiaro quanto la tua ragion porti o descriva ; 12 3. Vista. — Occhi. IO. Veder. — Intelletto. 4. Jete. — Di sapere. 12. La tua ragion ecc. — Il 6. Gli grava. — Gli dà noia. tuo ragionamento enuncia o d:- 8. S'apriva. — .Si manifestava mostra. — 302 — PTTRr.ATOi^To - Canto XX'IIT però ti prego, dolce padre caro, che mi dimostri amore, a cui riduci ogni buono operare e il suo contraro ». 15 (( Drizza, disse, vèr me 1' acute luci dello intelletto, e fleti manifesto l'error dei ciechi che si fanno duci. 18 L'animo, eh' è creato ad amar presto, ad ogni cosa è mobile che piace, tosto che dal piacere in atto è desto. 21 Vostra apprensiva da esser verace tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, si che r animo ad essa volger face ; 24 e se, rivolto, in ver di lei si piega, quel piegare è amor, quello è natura che per piacer di nuovo in voi si lega. 27 Poi come il foco movesi in altura, per la sua forma eh' è nata a salire là dove più in sua materia dura ; 30 cosi 1' animo preso entra in disire, eh' è moto spirituale, e mai non posa fin che la cosa amata il fa gioire. 33 Or ti puote apparer quant' è nascosa la veritade alla gente, eh' avvera ciascuno amore in sé laudabil cosa ; 36 14. Che mi disrostri ecc. — svolgendola poi In rè la porg:i Che mi dimostri che cosa sia all'animo, che si vo!ge ad essa, l'amore da cui tu fai dipendere 25. E se, rivoito ecc. — E se le opere buone e le cattive. l'animo, rivolto alla intenzione, 18. Ciechi. — Di mente, che a questa si unisce^ ne nasce l'a- insegnano ogni amore essere co- more naturale, che per il piacere --a lodevole. sii lega nel vostro animo all'a- Duci. — Maestri. more sensitivo, di libera elezione. 19. Presto. — Disposto. 28. In altura. — Verso l'alto. 20. Ad ogni cosa ecc. — L'n- 29. Forma. — Natura essrn- nima è creata per l'amore, si ziale. . ., . -o. La. — Nella frra rVI fuo- volge a CIÒ che piace, non appena ■' il piacere suscita amore in essa. ^^'^^ p^^^^ _ ^y^l piacere del- 22. Vostra ecc. — Facoltà in- Pesser reale e le desidera finché tellettiva per mezzo del senso ri- non lo raggiunga. trae l'imagine o l'impressione, 35. Gente ecc. — Epicurea che intenzione dalla realtà esteriore afferma. od obbietio reale (esser verace) ; -^6. Ciascun amore. — E. — ."^o,! — I,.\ Divina Commedia però che forse appar la sua matera sempr' esser buona, ma non ciascun segno è buono, ancor che buona sia la cera ». 39 (( Le tue parole e il mio seguace ingegno, risposi lui, m' hanno amor discoperto, ma ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno; 42 che, s' amore è di fuori a noi offerto e r anima non va con altro piede, se dritta o torta va, non è suo merlo ». 4.S Ed egli a me : « Quanto ragion qui vede dirti poss' io ; da indi in là t'aspetta pure a Beatrice, ch'opera è di fede. 48 Ogni forma sustanzial, che setta è da materia ed è con lei unita, specifica virtude ha in sé colletta, 51 la qual senza operar non è sentita, né si dimostra ma che per effetto, come per verdi fronde in pianta vita. 54 Però là onde vegna lo intelletto delle prime notizie, uom non sape, né de' primi appetibili l'affetto, 57 che sono in voi, si come studio in ape di far lo mèle ; e questa prima voglia merto di lode o di biasmo non cape. 60 37. Matera. — Materia d'amo- L'anima intellettiva, distinta (set- re, l'ideale a cui l'anima si voi- ta) dalla materia (corpo) e ad es- ge. sa unita, ha raccolto (colletta) in 38. Se}?no. — L'amore buono sé virtù e disposizione a conpsce- in potenza può non esser tale in re e ad amare, la quale si rivela atto, come la buoma cera può s/oUanto dagli effetti, come la vi- ricevere cattiva impressione. ta della pianta manifestasi col 40. Seguace ingegno. — At- verdeg-gLar delle fronde, lenziono. ?iE-*^o. Però ecc. — Nessun uc- 42. Pregno. — Pieno. mo conosce donde gli vengano lo 43. E' di fuori. — Proviene prime cognizioni (notizie), come da oggetti esterni. nd esempio i principii della no- 44. E l'anima ecc. — Opera stra ragione), evidenti ed assio- solo con impulso d'amore. matiche ; né le prime inclinazio- 46. Quanto ecc. — Io ti poss > ni (appetiti) come sarebbero l'a- spiegare soltanto quanto la ra- more del bello, l'amore della feli- gione umana vede ; ixmcìò che è cita ; essendo esse inclina-^ioni di là da essa, essendo argomenti naturali, istintive in noi, come di fede, ne ( hiederai a Beatrice. nell'ape l'istinto di far il miele, 4g-.i:;2. Forma sustanzial ecc. — non meritano né lode né biasimo. — 304 — Purgatorio - Canto XVI 11 Or, perché a questa ogni altra si raccoglia, innata v' è la virtù ciie consiglia, che degl'assenso de' tener la soglia. 63 Questo è il principio, là onde si piglia ragion di meritare in voi, secondo che buoni e rei amori accoglie e viglia. 66 Color che ragionando andaro al fondo s' accorser d'està innata libertate, però moralità lasciare al mondo. 69 Onde, pognam che dì necessitate surga ogni amor che dentro a voi s' accende, di ritenerlo è in voi la potestate. 72 La nobile virtù Beatrice intende per lo libero arbitrio, e però guarda che i' abbi a mente, s' a parlar ten prende ». 75 La luna, quasi a mezza notte tarda, facea le stelle a noi parer più rade, fatta com' un secchione che tutto arda ; 78 e correa contra il ciel, per quelle strade che il sole infiamma allor che quel da Roma tra i sardi e i còrsi il vede quando cade : 81 6i. Si raccoglia. — S'accordi. 62-63. La virtù ecc. — La ra- i^ione che governa la volontà. 64-Ó6. Questo è il principio, ecc. — La ragione, regolando gli atti umani, crea la respon- sabilità, secondo che sceglie (vi= glia) amori buoni o cattivi. 67-69. Color ecc. — I filosofi, investigando la natura dell'ani- ma, riconobbero l'esistenza del li- bero arbitrio, e quindi affermi- icno le dottrine morali, seccnd ) le quali l'uomo deve governarsi. 70-72. Onde, pognam, ecc. — E se ogni amore, buono o cat- tivo, nasce nell'animo p r forza esteriore, la ragione può mode- rarlo. 73-75. Nobile virtù. — Cosi Beatrice chiama il libero arbitrio, e di ciò Dante deve ricordarsi se essa gliene paiiasse. 76. La luna. — Fino a mezza notte tcu-dò a sorgere la luna ; essa non lasciava scorgere che le stelle maggiori, offuscando le più piccole. Èra nella fase descre- scente e sembrava una secchia ardente, poiché da una parte sol- tanto era tonda e illuminata. 70-80. E correa ecc. — Da oc- cidente a oriente, nelle regioni del cielo percorse dal sole, quan- do si avvicina al solstizio inver- nale, e da Roma si vede tramon- tare fra la Corsica e la Sarde- srna. 305 — La Divina Commedia e queir ombra gentil, per cui si noma Pietola più che villa mantovana, del mio carcar deposto avea la soma ; 84 per eh' io, che la ragione aperta e piana sopra le mie questioni avea ricolta, stava com' uom che sonnolento vana. 87 Ma questa sonnolenza mi fu tolta subitamente da gente, che dopo le nostre spalle a noi era già volta : 90 e quale Ismeno già vide ed Asopo lungo di sé di notte furia e calca, pur che i teban di Bacco avesser uopo ; 93 cotal per quel giron suo passo falca, per quel eh' io vidi di color, venendo, cui buon volere e giusto amor cavalca. 90 Tosto fiir sopra noi, perché correndo si movea tutta quella turba magna ; e due dinanzi gridavan piangendo : 99 « Maria corse con fretta alla montagna », e : « Cesare, per soggiogare llerda, punse Marsilia e poi corse in Ispagna ». 102 <( Ratto, ratto, che il tempo non sì perda per poco amor, gridavan gli altri appresso ; che studio di ben far grazia rlnverda ». ' 105 82-83. Ombra. — Virgilio, na- te, oan facelle accese, invocando scendo a Pietole, villaogio pres- l'aiuto di Bacoo'. so Mantova, sulla destra de) Min- 94. Cotal ecc. — Turba di ciò, ha rese- quella terra più fa- SJ:ente cammina incurvata per quel mosa di tutto noi Mantovano. eirone, spinta dal buon volere e 84. Del mio carcar. — Mi a- dal giusto amore, veva liberato dai dubbi che mi 97. Sopra. — Ci raggiunsero, opprimevano. 100. Alla moutagna. — Per 86. Avea. — Accolta nella mia visitare Elisabetta. mente. loi. Cesare, per soggiogare, 87. Vana. — Vaneggia. ecc. — Cesare con moto fulmi- 8g-Q0. Dopo ecc. — Già ci neo, lasciato Bruto ad assediare giungeva alln spalle avendo tale Marsiglia, andò in Ispagna ove gente percorso intero il giro del aLerida (llerda) sconfisse Afra monte. Jiio' e Petreio, luogotenenti di T » T^ Pompeo. ()i. Ismeno... Asopo. — Due j^^ Amor. — Del bene, fiumi della Beozia, sulle cui rive iqc;. Grazia rinverda. — Rin- Ic turbe tebane correvano di not- vigorisce in nui la grazia di Dio. — 306 — Purgatorio - Canto XVIII (( O gente, in cui fervore acuto adesso ricompie forse negligenza e indugio, da voi per tepidezza in ben far messo, 108 questi che vive, e certo io non vi bugio, vuole andar su, pur che il sol ne riluca ; però ne dite ov'è presso il pertugio». Ili Parole furon queste del mio duca ; ed un di quelli spirti disse : « Vieni di retro a noi, e troverai la buca. 114 Noi slam di voglia a moverci si pieni che ristar non potem ; però perdona, se villania nostra giustizia tieni. 117 Io fui abate in San Zeno a Verona, sotto Io imperio del buon Barbarossa, di cui dolente ancor Milan ragiona. 120 E tale ha già I' un pie dentro la fossa, che tosto piangerà quel monastero e tristo fìa d' averne avuto possa ; 123 perché suo figlio, mal del corpo intero, e della mente peggio, e che mal nacque, ha posto in loco di suo pastor vero)). 126 Io non so se più disse, o s' ei si tacque, tant' era già di là da noi trascorso ; ma questo intesi, e ritener mi piacque. 129 E quei che m'era ad ogni uopo soccorso disse : <( Volgiti in qua, vedine due venire, dando all'accidia di morso». 132 107. Ricompie. — Compensa. to nel 1,101) ebbe, oltre tre ^fit^ii lOQ. Bugio. — Dico bugie. legittimi, un figlio illegittimo, 110. Pur che. — Appena che. che volle abate del monastero di 111. Dite ecc. — Dove è il San Zeno (i2q2-i3i3); per tale nunto pii!i vicino al passo per sa- azione egli piangerà nell'Inferno lire. l'autorità esercitata sul monaste- 117. Se villania. — Apparente ro. .q-iudichi la nostra fretta, invece 124. Mal ecc. — Il figlio a- è effetto della giustizia divina. dulterino Giuseppe, sciancato ed 118. Abate ecc. — Gherardo imbecille. II, morto nel 1187. 126. In loco ecc. — Dell'a- 120. Ragiona. — Per la di- bate legittimo. struzione di Milano, compiuta dal 130. Quei — Virgilio. Barbarossa nel 1162. 132. Di morso. — Biasiman- 121. Tale ecc. — Alberto della do, cioè, l'accidia con esempi di Scala, signore di Verona, (mor- accidiosi puniti. — 3-^7 — La Divina Commedia Di retro a tutti dicean : « Prima fue morta la gente, a cui il mar s'aperse, che vedesse Giordan le rede sue » ; e : (( Quella, che 1' affanno non sofferse fino alla fine col fìgliuol d'Anchise, sé stessa a vita senza gloria offerse». Poi, quando fùr da noi tanto divise queir ombre che veder più non potérsi, nuovo pensiero dentro a me si mise, del qual più altri nacquero e diversi : e tanto d'uno in altro vaneggiai che gli occhi per vaghezza ricopersi e il pensamento in sogno trasmutai. i;,4. Morta la gente. — Gli E- brei, passato m'racolosamente il Mar Rosso, giunti nel deserto si ribellarono a Mosè, e Dio, ec- cetto Giosuè e Caieb, li fece mo- rire prima clie giungessero alla Terra Promessa. 135 138 141 145 135. Che vedesse, ecc. — Che il Giordano vedesse coloro che Dio aveva fatti eredi di quella terra. 136. Quella. — Gente fiacca che si.in.catasi di seguire Enea si fermò in Sici!'.'. con Aceste. CANTO XIX Neil' ora che non può il caler diurno intiepidar più il freddo della luna, vinto da terra 0 lalor da Saturno ; quando i geomanti lor maggior fortuna veggiono in oriente, innanzi all' alba, surger per via che poco le sta bruna ; 1. Nell'ora ecc. — L'ultima della nette, poco prima dell'alba, tiuando la terra e l'aria non ri- sentono più del calore del sole, disperso nelle ore precedenti. 3. Vinto. — Estinto il calore diurno dalla frigidezza della ter- ra e da Saturno, allorché trova- si sull'orizzonte; questo pianeta era creduto dagli antichi njjpor- tatore di freddo come la luna. 4. Geomanti, -- liu'ovini d.i segni tracciati a caso sulla terra. Maggior fortuna. — Così i geomanti chiamavano una pun- teggiatura fatta a caso e somi- gliante alla disposizione delle ul- time stelle dell'Acquario ed al'e prime dei Pesci. E)' l'ora, dun- que, in cui l'Acquario e parte dei Pesci stanno sull'orizzonte, ed il sole ò pi^r spuntare. 6. Poco le sta bruna. — Non larderà niriho a schiarirsi nel- l'alba. - 308 - Purgatorio - Canto XIX mi venne in sogno una femmina balba, negli occhi guercia e sopra i pie distorta, con le man monche e di colore scialba. 9 Io la mirava ; e, come il sol conforta le fredde membra che la notte aggrava, cosi lo sguardo mio le facea scorta 12 la lingua, e poscia tutta la drizzava in poco d'ora, e lo smarrito volto, come amor vuol, cosi le colorava. 15 Poi ch'eli' avea il parlar cosi disciolto, cominciava a cantar si che con pena da lei avrei mio intento rivolto. 18 (( Io son, cantava, io son dolce sirena, che ì marinari in mezzo mar dismago ; tanto son di piacere a sentir piena. 21 Lo volsi Ulisse del suo cammin vago col canto mio ; e qual meco si ausa rado sen parte, si tutto l'appago ». 24 Ancor non era sua bocca richiusa, quando una donna apparve santa e presta lunghesso me per far colei confusa. 27 « O Virgilio, o Virgilio, chi è questa?» fieramente dicea ; ed ei venia con gli occhi fìtti pure in quella onesta. 30 7. Femmina. — Simboh,. del- 22. Ulisse. — Fu ammaliato l'avarizia, del!a gola e della lus- alalia maga Circe e non dalle Si- su 'la. rene, il cui canto seduttore egli Balba. — Balbuziente vinse. 11. Le fredde membra. — in- 23. Si ausa. — Sì avvezza. ti>rpidite dal freddo notturno. 26. Una donna. — Simboli 12. Scorta. — Spedita, scio!- della ragione naturale die fa com- ta, pronta. prendere all'uomo la f.illacia dei 14 Lo smarrito volto. — Smor- pi^j^eri (ricchezza, gola, lussu- to. La trasformazione della fem- . ^ mina simboleggia l'allettamento ^^^^' 1 ,.„^u a dei piaceri sensuali. -"• lunghesso. — Accanta a 20. In mezzo mar. — Nel Mc- diterraineo. Dismago. — Smago, dissenno, traggo fuor' d' sé. me. 2S. Questa. — Femmina bai ba. 2g, Dicea, - — La donna santa. Datile. — 309 — La Divina Commedia L'altra prendeva, e dinanzi l'apria fendendo i drappi, e mostravami il ventre; quel mi svegliò col puzzo che n'ascia. 33 Io mossi gli occhi, e il buon Virgilio : « Almen ire» voci t' ho messe, dicea : surgi e vieni, troviam l'aperta per la qual tu entre». 36 Su mi levai, e tutti eran già pieni dell'alto di i giron del sacro monte, ed andavam col sol nuovo alle reni. 39 Seguendo lui, portava la mia fronte come colui che l'ha di pensier carca, che fa di sé un mezzo arco di ponte, 42 quand'io udi' : « Venite, qui si varca », parlare in modo soave e benigno, qual non si sente in questa mortai marca. 45 Con l'ali aperte che parean di cigno, volseci in su colui che si parlonne, tra due pareti del duro macigno. 48 Mosse le penne poi e ventilonne, qui lugent affermando esser beati, eh' avran di consolar l'anime donne. 51 <( Che hai, che pure in ver la terra guati? » la guida mia incominciò a dirmi, poco ambedue dall' angel sormontati. 54 Ed io : (( Con tanta suspizion fa irmi novella vision, eh' a sé mi piega si eh' io non posso da! pensar partirmi ». 57 ;]. L'altra. — La donna one- no consolati. E' la seconda bea- sta. tiludine del vano^elo di Matteo; 34. Tre ecc. — • Volte ti ho è cantata dagli accidiosi medi- chiamato, tanti e correnti intorno al monte. 36. L'aperto. — II varco. 51. Ch'avran. — Avranno le 39. Sol nuovo. — Levato. anime signore (donne) di quella 43. Udi' ecc. • — L'angelo. felicità, che viene dall'eterna sa- 4:;. Mortai marca. — Regione Iute, terrena. 5|. Sormontati. — Andati un 47. Volseci. — Ci avviò. no' più oltre d'-l luogo ov'era 49. Ventilonne. — L'angelo l'angelo. ventilò, togliendo dalla fronte di 55. Suspizion. — Sospetto, Dante il quarto P, segno dell'ac- dubbio. cidia. ' 56. A sé mi piega, ecc. — 50. Qui lugent. — Beati co- Assorbe cosi la mia mente che loro che piangono, perchè saran- non cesso dal ricordarla. -- 310 — Purgatorio - Canto XIX « Vedesti, disse, quella antica strega, che sola sopra noi ornai si piagne ; vedesti come l'uom da lei si slega. 60 Bastiti, e batti a terra le calcagne, gli occhi rivolgi al logoro, che gira lo rege eterno con le rote magne ». 63 Quale il falcon che prima ai pie si mira, indi si volge al grido, e si protende per lo disio del pasto che là il tira ; 66 tal mi fec' io, e tal, quanto si fende la roccia per dar via a chi va suso, n' andai infino ove il cerchiar si prende. 69 Com' io nel quinto giro fui dischiuso, vidi gente per esso che piangea, giacendo a terra tutta volta in giuso. 72 « Adhaesìt pavimento anima mea », senti' dir lor con si alti sospiri che la parola appena s' intendea. 75 « O eletti di Dio, li cui soffriri e giustizia e speranza fan men duri, drizzate noi verso gli alti saliri ». 78 « Se voi venite dal giacer sicuri e volete trovar la via più tosto, le vostre destre sien sempre di furi » : 81 cosi pregò il poeta, e si risposto poco dinanzi a noi ne fu ; per eh' io nel parlare avvisai l'altro nascosto, 84 >8. Antica strega. — La fcin- al c|ui.nto cerchLo, si jiuò cammi- inina balba. nare in cerchio. c;(). Sopra noi. — Nei gironi. 70. Dischiuso. — Uscito dal- dell'avarizia, gola e lussuria. l'angusta scala. 60. Si slega. — Se ne libera. 72. !n giuso. — Bocconi. 61. Batti. — ■ Affrettati. 7^. Adfiaesit, ecc. — L'anima 62. Logoro. — Richiamo, in- nùa al suolo è distesa, (salmo vito che il re dell'universo fa CXIXÌ. con il movimento delle sfere ce- 78. Drizzate ecc. — - Insegna- lesti, tpci la scala per salire al sesto 64. Si mira. — ■ Ai piedi le- cerchio, gati. 7<). Se, ecc. — Siete esenti dal- 61;. Grido. — Del falconiere. la p?na di giacere. 67. Quanto. — Per tutto il 81. Di furi. — Di fucri. tratto 8j. L'altro. — La persona chi- 69. Ove, ecc. — Dove, giu'ìti parlava. — 311 — La Divina Commedia e volsi gli occhi allora al signor mio : ond'cgli m'assenti con lieto cenno ciò che chiedea la vista del disio. 87 Poi ch'io potei di me fare a mio senno, trassimi sopra quella creatura, le cui parole pria notar mi fenno, 90 dicendo : « Spirito, in cui pianger matura quel senza il quale a Dio tornar non puoss!, sosta un poco per me tua maggior cura. 93 Chi fosti e perché volti avete i dossi al su mi di', e se vuoi eh' io t' impetri cosa di là ond' io vivendo mossi ». 9tì Ed egli a me : (( Perché i nostri diretri rivolga il cielo a sé, saprai ; ma prima, scias quod ego fui successor Petti. 99 Intra Siestri e Chiaveri si adima una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima. 102 Un mese e poco più prova' io come pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, che piuma sembran tutte 1' altre some. 105 La mia conversione, o me ! fu tarda ; ma, come fatto fui roman pastore, cosi scopersi la vita bugiarda. . 10& Vidi che li non si quetava il core, né più salir poteasi in quella vita ; per che di questa in me s'accese amore. Ili 87. Chiedea. — Il desiderio e- no \' ; mori dopo 3S giorni di spreiso cogU occhi. pontificato. 89. Trassimi. — Mi accost.ù. 100. Siestri. — Sestri Levante. 92. Quel. — Il pentimento, Chiaveri. — Chiavari, purificnzione dell'anima. Sì adima. — S'avvalla. 93. Cura, — Di piangere L> loi. Fiumana. — La Lavagna, tue colpe. 102. Cima. — \'anto. 99. Scias ecc. — S.ippi che fui 104. Manto. — Papato, uno dei successori di S. Pietro. Guarda. — Difende. E' Ottobuono Fieschi dei conti di 109. Li. — Sul soglio ponti- Lavagna, genovese, nipote di ficaie. i'ap i Innocenzo IV fletto pon- ni. Di ques'a. — Vita ete;r- tefice nel 1276 col nonv di Adria- na. — 31J — Purgatorio - Canto XIX Fino a quel punto mìsera e partita da Dio anima fui, del tuito avara : or, come vedi, qui ne son punita. 114 Quel eh' avarizia fa qui si dichiara in purgazion dell' anime converse, e nulla pena il monte ha più amara. 117 Si come l'occhio nostro non s'aderse in alto, fìsso alle cose terrene, cosi giustìzia qui a terra il merse : 120 come avarizia spense a ciascun bene lo nostro amore, onde operar perdési, cosi giustizia qui stretti ne tiene, 123 ne' piedi e nelle man legati e presi ; e quanto fìa piacer del giusto Sire^ tanto staremo immobili e distesi ». 126 Io m'era inginocchiato, e volea dire, ma com' io cominciai, ed ei s'accorse, solo ascoltando, del mio riverire : 129 <( Qual cagion, disse, in giù cosi ti torse? » Ed io a lui : « Per vostra dignitate mia coscienza dritto mi rimorse ». 132 « Drizza le gambe, e levati su, frate, rispose ; non errar, conservo sono loco e con gli altri ad una potestate. 135 Se mai quel santo evangelico suono, che dice ' Ncque nubent ', intendesti, ben puoi veder perch' io cosi ragiono. 138 112-113. Fino. — Alla eleziu- 132. Mi rimorse. — Mi rim- ne al pontificato fui avaro e lon- proverò di star ritto. tano da Dio. i]]. Frate. — Fratello. 115. Quei ecc. — Gli effetti 134. Conservo. ■ — Sono servo dell'avarizia si manifestano Ln dì Dio con te e con gli altri, auesto cerchio nel mcdo dell 'e- 136. Suono. — Parola, pre- spiazione. cetto. 117. Nulla. — Nessuna. 137. Ncque nubent. — Non si 118. S'aderse. — S'innalzò a prendono mogli, non si danno ?' Merco \uu j. nicu-iti, sono le parole di Cristo 120. Merse. — Abbassò. . „ . . „ . . 122. Operar perdési. — Si per- ^' Farisei. E con queste parole de loccasiane di bene operare. Adriano significò a Dante che^in 125. Giusto Sire. — Dio. Purgatorio non è più papa, cioè 131. Digni ate. — Papale. sposo della Chiesa. — 313 — La Divina Commedia Vattene ornai, non vo' che più t'arresti; che la tua stanza mio pianger disagia, col qual maturo ciò che tu dicesti. 141 Nepote ho io di là e' ha nome Alagia, buona da sé, pur che la nostra casa non faccia lei per esemplo malvagia ; e questa sola di là m' è rim.asa ». 145 140-141. Tua stanza. — La tua laspina marchese di Giovagallo, dimora arresta il mio pianto di conosciuta da Dante durante la espiazione. sua dimora in Lunigiana. 142-145. Alagia. — Figlia di 145. Questa soia, ecc. — Che Niccolò di Tedisio di Ugone de' possa pregare per me sula ^er- Fieschi e sposa di Moro■ S approccia. - Sawinna. bene desiderassi parlare ancora. i"- '-«Pa- — Avarizia (Vedi 5. Spediti. — Liberi dalle a- Inferno I, 4()). nime che sono giacenti bocconi 'i- Hai preda. — D'anime, al suolo e non rasentano la roccia. 12. Cupa. .Avida. — 314 — Purgatorio - Canto XX O ciel, nel cui girar par che si creda le condizioni di qua giù trasmutarsi, quando verrà per cui questa disceda? 15 Noi andavam con passi lenti e scarsi, ed io attento all'ombre, ch'io sentia pietosamente piangere e lagnarsi ; 18 e per ventura udì' : (( Dolce Maria », dinanzi a noi chiamar cosi nel pianto, come fa donna che in partorir sia; 21 e seguitar : (( Povera fosti tanto, quanto veder si può per quell'ospizio, ove sponesti il tuo portato santo ». 24 Seguentemente intesi : <( O buon Fabrizio, ~ con povertà volesti anzi virtute che gran ricchezza posseder con vizio ». 27 Queste parole m' eran si piaciute eh' io mi trassi oltre per aver contezza di quello spirto, onde parean venute. 30 Esso parlava ancor della larghezza che fece Niccolao alle pulcelie, per condurre ad onor lor giovinezza. 33 « O anima che tanto ben favelle, dimmi chi fosti, dissi, e perché sola tu queste degne lode rinnovelle? 36 Non fìa senza mercé la tua parola, s' io ritorno a compier lo cammin corto di quella vita che al termine vola ». 39 17,. Nel cui... ecc. — Voli^ersi Censore di Roina (27.:; a. C), credevasi fosse la ragione dei scacciò dal Senato P. Cornelio mutamenti delle cose terrestri. in causa del suo lusso e della I.:;. Quando verrà ecc. — Il sua prodigalità. Fabrizio morì po- veltro che la ricacci nell'inferno y vero. 16. Scarsi. — Brevi. 26. Con povertà.... ecc. — 2.V Ospizio. — I.a stalla di Preferisti esser povero virtuoso, betlenime. ^^^^ ricco disonesto. 2^. Il tuo portato. - Il barn- Niccolao. - Vescovo di 25. Fabrizio. — Caio Fabri- ^u-a nella Licia, protettore di /io Luscinio, console romano, ri- l'ari, scccorse tre giovanette per fiutò i doni dei Sanniti (282 a. salvarle dalla prostituzione. C.) e quelli di Pirro (280 a. C). 37. Senza. — Compenso. — 3^5 — La Divina Commedia Ed egli : « Io '1 ti dirò, non per conforto eh' io attenda di là, ma perché tanta grazia in te luce prima che sii morto. 42 Lo fui radice della mala pianta, che la terra crisliana tutta aduggia si che buon frutto rado se ne schianta. 45 Ma, se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia potesser, tosto ne saria vendetta ; ed io la cheggio a lui che tutto giuggia. 48 Chiamato fui di là Ugo Ciapetta : di me son nati i Filippi e i Luigi, per cui novellamente è Francia retta. 51 Figlio fu' io d' un beccaio di Parigi : quando li regi antichi venner meno tutti, fuor eh' un renduto in panni bigi, 54 trovaimi stretto nelle mani il freno del governo del regno, e tanta possa di nuovo acquisto, e si d' amici pieno, 57 eh' alla corona vedova promossa la testa dì mio figlio fu, dal quale cominciar di costor le sacrate ossa. 60 41-42. Tanta grazia. — Di vi- Filippi avevano già regnato in sitare vivente i tre n^gni dei Francia e cinque Luigi (1060- morti. 1322). 43. Radice. — Capostipite dei 51. Novellamente. — Dopo 1 Capjtingi, che raramente furono Carolingi. buoni. 52. Figlio ecc. — La leggen- 44. Aduggia. — .Adombra ; i da fece discendente ora di Carlo suoi discendenti regnavano in Magno, ora di S. Arnoldo, ora Francia, a Napoli e in Ispagna. di un beccaio o mercante di bc- 46. Doagio... ecc. — Ouattr.) stiame Ugo Capeto. ritta dflla Fiandra : Douai. Lil- 1^4. Un renduto, ecc. — Forse la, Gand, Bruges, con cui Dante Carlo di Lorena che non morì allude alle guerre tra Filippo il monaco (panni bigi) ma prigione Rf'Iln r^ i Fiamminghi. di Ugo Capeto, figlio del primo 47. Vendetta. — Del tradi- Ugo ed elettore di Francia, nel mento fatto al conte di Fiandra 987. Quindi Dante confonde qui '■d ai suoi iìgli da F'ilippo e Car- il padre col figlio. ' Io di V'alols^ 5S. Alla corona vedova. — 45. Lui ecc. — Dio, che tulio Per la morte di Lodovico V. giudica. 59. Figlio. — Roberto L fat- 4q. Crapetta. Chapt^t, oggi to eleggere dal padre nei 988, Capeto. che iniziò la serie dei legittimi 50. I Filippi ecc. Cinque re Capeiingi i quali erano con- — 316 — Purgatorio - Canio XX Menire che la gran dote provenzale al sangue mio non tolse la vergogna, poco valea, ma pur non facea male. 63 Li cominciò con forza e con menzogna la sua rapina; e poscia per ammenda Ponti e Normandia prese e Guascogna. 66 Carlo venne in Italia; e per ammenda vittima fé' di Curradino; e poi riprese al eie! Tommaso, per ammenda. 69 Tempo vegg' io, non molto dopo ancoi, cfie tragge un altro Carlo fuor di Francia, per far conoscer meglio e sé e i suoi. 72 Senz'arme n'esce solo e con la lancia con la qual giostrò Giuda ; e quella ponta si eh' a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 75 Quindi non terra, ma peccato ed onta guadagnerà, per sé tanto più grave, quanto più lieve simil danno conta. 78 ^aerati coli' unzione santa in Reims. 6i. Mt'ntre... ecc. — Fino a quando gli stati e le ricchezze di Raimondo Berlinghieri conte di Provenza non toccarono ai Ca- petingi, col matrimonio di Lui- gi IX con Margherita, e di Car- lo I d'Austria con Beatrice, Lu- na e l'altra figlie di Raimondo, i discendenti non s' illustrarono per opere lodevoli ma neppure ne compirono di triste. 64. Li ecc. — Dalla dote pro- venzale. 65. Per ammenda. — In sen- so ironico a significare che fece- ro di peggio. 66. Ponti. — Contea di Pon- thieu, rapita dal re d'Inghilterra con forza e con menzogna da Fi- lippo il Bello. Normandia. — Già feudo del re d'Inghilterra e conquistata da Filippo Augusto. Guascogna. — Presa con men- zrogna e con forza da Filippo il Bello a Edoardo I re d'Inghil- terra. 68. Curradino. — Di Svezia, sconfitto a Tagliacozzo, tradito da Frangipani, e ucciso a Napoli da Carlo I. 6q. Riprese al ciel ecc. — Tommaso d'Aquino (1224-1274) si disse fosse stato avvelenato per ordine di Carlo I d'Angiò all'ab- bazia di Fossanuova, durante il concilio di Lione. 70. Ancoi. — Oggi- 71. Cario. ^ Conte di Valols e d'Alengoii, fratello di Filippo il Bello, re di Francia (1270-1325). Chiamato in Italia da Bonifacio Vili, tradì l'ufficio di paciere in Firenze, favorendo i Neri e pro- scrivendo i Bianchi. 74. Ponta. — Appunta su Fi- renze, estorcendo denaro, confi- scando, esiliando. 77-7S. Tanto più grave, ecc. — Tanlo più d,''nncso a lui in — 3K I.A Divina Commedia L'altro, che già usci preso di nave, veggio vender sua figlia e patteggiarne, come fanno i corsar dell'altre schiave. 81 O avarizia, che puoi tu più farne, poscia e' hai lo mio sangue a te si tratto che non si cura della propria carne? 84 Perché men paia il mal futuro e il fatto, veggio in Alagna entrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto. 87 Veggiolo un'altra volta esser deriso; veggio rinnovellar l'aceto e il fele, e tra vivi ladroni esser anciso. 90 Veggio il nuovo Pilato si crudele che ciò no '1 sazia, ma, senza decreto, porta nel tempio le cupide vele. 93 O Signor mio, quando sarò io lieto a veder la vendetta, che, nascosa, fa dolce l'ira tua nel tuo segreto? 96 Ciò eh' io dicea di quell'unica sposa dello Spirito Santo, e che ti fece verso me volger per alcuna chiosa, 99 quanto, ritenendo leggiera la col- dopcj tre giorni fu lasciato libero, pa, non penserà a pentirsi e mor- ma pel dolore Bonifacio -mori nel- rà dannato. l'ottobre dello stesso anno. 79. L'altro. — Carlo II d'An- 88. Veggiolo. — Vedo Cristo SÌò, (124-^-1309) fatto prigioniero deriso un'altra volta nella perso- (1284) sulla sua nave da Rugge- na del suo vicario, ro di Lauria, rimase prigioniero gì. NUOVO Pilato, — Filippo il in Sicilia fino al 1288. Bello. S(j. Sua figlia. — Al Marche- 92. Ciò... ecc. — T..i pers^^cu- se d'Este, più vecchio assai del- sione contro il pcniefice, non ba- ia sposa. stando, Filippn il Bello portò la S2-84. O avarizia ecc. — Non sua cupidigia sui Templari e sen- puoi tar cosa p gyiorc della ven- za la prova della loro colpevolez- dita de' figli. za ne fece sopprimere l'ordine da 85. Perchè men paia ecc. — Clemente V (i:,o7). Sembri meno grave i! ma:e pas- ^g pg dolce l'ira tua ecc. — ''■''L''. '^ /."'.i"'^' ^ ■ j Raddolcisce la tua ira, nel pre- 86. Alagna. _ Anagn. dove ^^^^.^^^^^ ,^ ^.^^^^t,^_ Bonifacio Vili fu (1303) aiie- Unirà siiosa TiVer"i .stato (catto) da Guglielmo di No- 97- ^J^'ca sposa. — l.a ver.^i jjaret e Sciarra Colonna, per or- "^ Maria. dine di Filippo il Bello (la cui W- Volger ecc. — Per avern- casa ha per insegna il fiordaliso) ; spiegazione. - .V8 - PuRCxATORio - Canto XX tant'è risposta a tutte nostre prece, quanto il di dura; ma, quand' e' s'annota, contrario suon prendemo in quella vece. 102 Noi ripetiam Pigmalione alloUa, cui traditore e ladro e patricida fece la voglia sua dell'oro ghiotta; 105 e la miseria dell' avaro Mida, che segui alla sua domanda ingorda, per la qual sempre convien che si rida. 108 Del folle Acam ciascun poi si ricorda, come furò le spoglie, si che l' ira di Giosuè qui par eh' ancor lo morda. Ili Indi accusiam col marito Safìra, lodiamo i calci eh' ebbe Eliodoro, ed in infamia tutto il monte gira 114 Polinestor eh' ancise Polidoro ; ultimamente ci si grida : ' Crasso, dicci, che il sai, di che sapore è l'oro?' 117 lon. Tant'è risposta ecc.. — Gli esempi virtuosi sono natu- ra'e risposta alle nostre preghie- re fin quando dura il giorno ; nella notte gridiamo esempi d'a- varizia punita. 103. Pigmalione. — Re di Ti- ro, uccise lo zio e cognato Si- rlieo, marito di Didone, per aver- ne i tesori. 106. Mida. — Re di Frigia, ottenne da Bacco che fos-^e cam- biato in oro tutto ciò che toc- cava ; e così non ebbe di che m.angiare. .Si liberò del dono fu- nesto bagnandosi nel fiume Fat- tolo. lOQ. Acam. — Giudeo, contro l'ordine di Giosuè si appropriò di alcune spoglie preziose rapite nella presa di Gerico, e fu la- pidato con la famiglia. 112. Safìra. — - E il marito A- nania frodarono gli apostoli del denaro, ricavato dalla vendita del- le possessioni, che era tutto do- vuto alla comunità dei fedeli, e caddero morti ai rimproveri di .San Pietro. 113. Eliodoro. — Volendo, die- tro ordine di Seleuco re di Si- ria, derubare il tempio di Geru- salemme, fu percosso dai calci di un cavallo che lo scacciò. 114. In infamia, ecc. — Si parla di lui con infamia attorno a tutto il monte del Purgatorio. ut;. Polinestor. — Genero di Priamo, uccise per cupidigia di ricchezze il cognato Polidoro, on- de la madre di questo, Ecuba, lo fece accecare e uccidere. 116. Crasso. — Marco Licinio Crasso (114-1;^ a. C). Trium- viro famoso per la sua avarizia, fu ucciso dai Parti, e il re Orode avutane la testa gli versò nella bocca oro liquefatto dicendc: ■• Fosti assetato d'oro, bevine dunque. » 310 [.A Divina Commedia Talor parla l'un alto e l'altro basso, secondo l'affezion, ch'a dir ci sprona ora a maggiore ed ora a minor passo; 120 però al ben che il di ci si ragiona, dianzi non er' io sol ; ma qui da presso non alzava la voce altra persona ». 123 Noi eravam partiti già da esso, e brigavam di soperchiar la strada tanto, quanto al poder n'era permesso; 126 quand' io senti', come cosa che cada, tremar lo monte : onde mi prese un gelo, qual prender suol colui che a morte vada. 129 Certo non si scotea si forte Delo, pria che Latona in lei facesse il nido a partorir li due occhi del cielo. 132 Poi cominciò da tutte parti un grido tal che il maestro in vèr di me si feo, dicendo: ((Non dubbiar, mentr' io ti guido». 135 ((Gloria in excelsis, tutti, Deon, dicean, per quel ch'io da' vicin compresi, onde intender lo grido si poteo. 138 Noi ci restammo immobili e sospesi, come i pastor che prima udir quel canto, fin che il tremar cessò, ed ei coinpiési ; 141 poi ripigliammo nostro cammin santo, guardando l'ombre che giacean per terra, tornate già in su l'usato pianto. 144 ii8. Alto. — A voco alta. mare e sempre scossa dai terre- 120. A maggiore, ecc. — Ora moti. Sarebbe divenuta stabile ud aita voce, ed oa^a a lassa. quanto vi si rifugiò Latona, 121. Però, (icc. — Ouindi non perseguitata dalla ge'osia di io solo l(xlavo esempi di povertà Giunone, a partorirvi Diana ed e di liberalità, ma anche gli al- Apollo (Luna e Sole). tri, i quali però Io facevano a 136. (ìloria, ecc. — A Dio nel vece bassa. più alto de' cieli e p.^ce in teriu 12=;. Brigavam. — Ci davamo agli uomini di buona volontà, briga. 140 I pastor. — Di Beilem- 126. Al poder. — Per quanto me che rimasero sorpresi da quel lo consentiva il passo stretto. canto annunziante la nascita di 130. Non si scotea ecc. — De- Cristo. Io, una delle isole Cicladi nel- 141. Comp;csi. Si compi, l'Egeo, era ritenuta vagante nel terminò. — 320 — Purgatorio - Canto XXI Nulla ignoranza mal con tanta guerra mi fé' disideroso di sapere, se la memoria mia in ciò non erra, 147 quanta pare' mi allor pensando avere ; né per la fretta domandarne er' oso, né per me li potea cosa vedere : cosi m'andava timido e pensoso. 151 145. Con tanta guerra. — Con si vivo st'molo. CANTO XXI La sete naturai che mai non sazia, se non con l'acqua onde la femminetta samaritana domandò la grazia, 3 mi travagliava, e pungeami la fretta per la impacciata via retro al mio duca, e condoleami alla giusta vendetta. 6 Ed ecco, sì come ne scrive Luca che Cristo apparve ai due ch'erano in via, già surto fuor della sepulcral buca, U ci apparve un' ombra, e retro a noi venia da pie guardando la turba che giace ; né ci addemmo di lei, si parlò pria, 12 dicendo : et Frati miei, Dio vi dea pace ». Noi ci volgemmo subito-, e Virgilio rendégli il cenno eh' a ciò si conface. 15 i-^. . ,. La sete ecc. — Di sapere maus nel giorno della resurrezic- .si soddisfa conseguendo la veri- ne. là, che è simboleggiata da Dan- n. Guardando eco. — Stu- te nell'acqua chiesta dalla Sa- diandoci di non toccare col no- marltana a Gesù (Vangelo di stro piede la turba che giaceva. Giovaiini). 12. Né ci ecc. — Accorgemmo 5. Impacciata. — Dalle ani- ^j quell'ombra se non quando me giacenti per terra. narlò 6. Condoleami, ecc. — Mi rat- ^ ' r!,„.. ^„„ t:-, ., , . ^ • . Il „• i. a IT,- Frati ecc. — E il saluto tristavo alla giusta pena soffer- . ^ . ,. , ^ < • ta dagli avari. rivolto ai discepoh da Gesù n- 8-9. Ai due ecc. — A Cleopa e sorto. Alme^ne, sulla strada di Em- ly II cenno. — Salutevole. — 321 — La Divina Commedia Poi cominciò : <( Nel beato concilio ti ponga in pace la verace corie, che me rilega nell'eterno esilio ». 18 c(Come? diss'egli, e parte andavam forte, se voi siete ombre che Dio su non degni, chi v' ha per la sua scala tanto scorte? » 21 E il dottor mio : <( Se tu riguardi i segni che questi porta e che 1' angel profila, ben vedrai che coi buon convien ch'ei regni. 24 Ma perché lei che di e notte fila non gli avea tratta ancora la conocchia, che doto impone a ciascuno e compila, 27 r anima sua, eh' è tua e mia sirocchia, venendo su, non potea venir sola ; però eh' al nostro modo non adocchia : 30 ond' io fui tratto fuor dell' ampia gola d' inferno, per mostrargli, e mostreroUi oltre, quanto ili potrà menar mia scuola. 33 Ma dinne, se tu sai, perché tai crolli die dianzi il monte, e perché tutti ad una parver gridare infino ai suoi pie molli ? >> 3t) i6. Poi ecc. — Virgilio disse aH'omhrn : [n Paradiso ecc. 17. Corte. — • Celeste, ig. Parte. — Intanto. 20. Su non degni. — Non re- DLiti degne d'essere ammesse tr.i i beati. 21. La sua scala. — Il Pur- ."•atorio, che mena mediante l'e- spiaziome, al Paradiso. Tanto. — Guidato per si lun- Sfo tratto ? 22. I segni. — 1 tre P che restavano ancora sulla fronte di Dante. 24. Buon. — filetti del Para- diso. 215-27. Lei ecc. — La p.iica Lachesi non aveva ancora fin'- 10 di filale tutto il pennecchio, posto (impone) e composto (com- pila) da Cioto sulla rocca o co- nocchia, e quindi Atropo non ne aveva ancora reciso lo stame , simbolo della vita umana ; que- sto significa che Dante era an- cora vivo. 28. Sirocchia. — So; ella, es- sendo creata anch'essa da Dio. 29. Su. — Questo monte del Purgat"irio. 30. Non ecc. — Vede come le anime libere dal corpo. 31. Tratto. — Dal Limbo. 33. Mia scuola. — Gli am- maestramenti della ragione ama- ra, della filr'>^(ifìn. 35-36. Tutti. — Gli spirili fi- no ai piedi (]i-! monte, ba'ii.-iio dalle acque. - 3'^^ Purgatorio - Canto XXI Si mi die, domajidando, per la cruna del mio disio, che pur con la speranza si fece la mia sete men digiuna. 39 Quei cominciò : « Cosa non è che sanza ordine senta la religione della montagna, o che sia fuor d' usanza. 42 Libero è qui da ogni alterazione ; di quel che il ciel da sé in sé riceve esserci puote, e non d' altro, cagione : 46 per che non pioggia, non grando, non neve, non rugiada, non brina più su cade che la scaletta dei tre gradi breve. 48 Nuvole spesse non paion né rade, né corruscar né figlia di Taumante, che di là cangia sovente contrade. 51 Secco vapor non surge più avante ch'ai sommo dei tre gradi eh' io parlai, ov'ha il vicario di Pietro le piante. 54 Trema forse più giù poco od assai ; ma, per vento che in terra si nasconda, non so come, qua su non tremò mai. 57 37. Si mi die ecc. — Cosi Vir- eilio colse nel vivo del mio de- siderio, che solo la speranza di sapere valse a calmarlo. 40. Non è. — Il terremoto e il canto non sono contrari ai regolamento sacro (religione) che S'overna il monte ; né sono inso- liti. 43-45. Libero, — Questo luo- Qo è indipendente dalle pertur- bazioni degli elementi e ciò che aui accade è dato da ciò che il cielo dà a sé stesso e non da cause esterne. 46. Per che ecc. — Per la qua! cosa. Grande. — (ìrandine. 47. Più su. — Della porta de! Purgato. io- a cui s'accede dal'a scaletta dei tre gradini, non e' sono più alterazioni atnìosferi- che. 50. Corruscar ecc. — Lampeg- giare. Figlia. — Iride, personifica- zione dell'arcobaleno, figlia di Taumante e d'Elettra. 51. Di là ecc. — Nel mondo terrestre, l'arcobaleno è opposto al sole. Quindi cambia di luogo. 52. Secco vapor. — Vento. 54. Vicario ecc. — L'angelo portiere. 55. Trema ecc. — Nell'Anti- purgatorio , dove può piovere , ecc. 56-57. Per vento ecc. — Sot- terraneo, che credevasi generas- se il terremoto, mai tremò il Puri" a Orio. — 3^3 La Divina Commedia Tremaci quando alcuna anima monda si sente, si che surga, o che si mova per salir su, e tal grido seconda. Della mondizia sol voler fa prova, che, tutta libera a mutar convento, r alma sorprende, e di voler le giova. Prima vuol ben ; ma non lascia il talento che divina giustizia contra voglia, come fu al peccar, pone al tormento. Ed io, che son giaciuto a questa doglia cinquecento anni e più, pur mo sentii libera volontà di miglior soglia : però sentisti il tremoto, e li pii spiriti per lo monte render lode a quel Signor, che tosto su gì' invìi ». Cosi ne disse ; e però eh' ei si gode tanto del ber quant'è grande la sete, non saprei dir quant'ei mi fece prode. E il savio duca : « Omai veggio la rete che qui vi piglia, e come si scalappia, per che ci trema e di che congaude'ie. bO 63 m 69 7S 78 58. Tremaci ecc. — Il Purga- torio vero, sopra della porta, al- lorché l'anima risoro:e purificata. 60. Tal ibrido ecc. — II canto (( Gloria in excelsis ecc. » s' ac- compagna al terremoto. 61-62. Della mondizia ecc. — Della purificazione, è prova il vo- lere che sorprende l'anima di as- surgjere a! cielo mutando com- pagfnia, da quella dei penitenti a quella dei beati. 64. Prima. — Che avvenga l.i purificazione intera l'anima vuol salire, ma la volontà, condizio- nata o relativa (talento, appeti- to, passione) d'espiare la colpa non lo permette : essa è opposta alla volontà assoluta di salirò dalla giustizia divina, che in tal modo punisce la volontà relativ.i, per avere essa condot'to l'anim;'. a peccare, opponendosi in vita alla volontà assoluta. 67. Doglia. — Degli avari. 68. Pur mo. — Soltanto ora. 6q. Soglia. — Cielo. 70. Però. — Per questo. 72. Che. — Ai quali auguro d'essere presto assunti anch'essi al cielo. 74. Ber, — D'acquistare il sa- per qua'ito grande era il desi- derio di sapere. 75. Mi. — Soddisfece. 76. Rete. — Volontà relativa e condizionata. 77. Come si scalappia — Co- me vi liberate purificandovi. 78. Trema. — 11 monte. Congaudete. ~ ("lodete ins'e- me. — 324 — Purgatorio - Canio XXI Ora chi fosti piacciati ch'io sappia, e, perché tanti secoli giaciuto qui sei, nelle parole tue mi cappia ». (( Nel tempo che il buon Tito con 1' aiuto del sommo rege vendicò le fora, ond'usci il sangue per Giuda venduto, col nome che più dura e più onora era io di là, rispose quello spirto, famoso assai, ma non con fede ancora. Tanto fu dolce mio vocale spirto, che, tolosano, a sé mi trasse Roma, dove mertai le tempie ornar di mirto. Stazio la gente ancor di là mi noma : cantai di Tebe e poi del grande Achil'e, ma caddi in via con la seconda soma. Al mio ardor fùr sem.e le faville, che mi scaldar, della divina fiamma, onde sono allumati più di mille ; dell' Eneida dico, !a qual mamma fummi, e fummi nutrice poetando : senz'essa non fermai peso di dramma. 81 84 87 90 93 9G 99 Si. Mi cappia. — .Mi faccia comprendere. 82. Tito. — Imperatore, con l'aiuto di Dio disti'usse Gerusa- lemme, vendicando le ferite ffó- ra) di Cristo, dalle quali usci il sangue venduto da Giuda. 85. Nome. — Di poeta. 87. Fede. — Cristiana. 88. Mio vocale spirto. — I! mio canto mi creò tale fama che da Tolosa fui chiamato a Roma. go. Mertai. — D'essere ince- ronato come posta. 01. Stazio. — Publio I^apinio Stazio (45-96), nel Medio Evo fu creduto tolosano ; ma Io confon- devano con Stazio Ursolo, celebre maesti-o della Gallia Narbonese, e i.oi reiore in Roma. I^. P. Stazio scrisse i due poemi epici : « Te- baide » e >. 102 Volser Virgilio a me queste parole con viso che, tacendo, dicea : ((Taci >>, ma non può tutto la virtù che vuole; 105 che riso e pianto son tanto seguaci alla passion, da che ciascun si spicca, che men seguon voler nei più veraci. 108 Io pur sorrisi, come 1' uom eh' ammicca ; per che 1' ombra si tacque, e riguardommi negli occhi, ove il sembiante più si ficca. Ili E (( Se tanto lavoro in bene assommi, disse, perché la faccia tua testeso un lampeggiar di riso dimostrommi? » 114 Or son io d' una parte e d' altra preso ; r una mi fa tacer, 1' altra scongiura ch'io dica, ond'io sospiro, e sono inteso 117 dal mio maestro ; e <( Non aver paura, mi disse, di parlar ; ma parla e digli quel ch'ei domanda con cotanta cura»). 120 Ond' io : (( Forse che tu ti maravigli, antico spirto, del rider ch'io fei ; ma più d' ammìrazion vo' che ti pigli. , 123 Questi, che guida in alto gli occhi miei, è quel Virgilio, dal qual tu togliesti forza a cantar degli uomini e de' dèi. 126 101-102. Assentirei, ecc. — Mi contenterei di stare un altro an- no nel Purgatorio. 103. Volser. — Fecero volgere. 105. Non può tutto ecc. — La volontà non può far tulio quel thfi vuole. 106. Riso e pianto ecc. — Se- .2;uono così prcnitaincnte la gioia e il dolore, che negli uomini sin- ceri non po.ssono essere dominati dalia \o'ontà. 109. Ammicca. — Fa cenno con gli occhi. 111. Ove il sembiante, ecc. — Negli occhi rivelansi più manife- sti i moti dell'animo. 112. Se tanto lavoro ecc. — Cosi felicenieiilo tu compia l'ar- dua impresa del tuo viaggio, ecc. 1 13. Testeso. — Testò. ii.t;. Or son io ecc. — Io sono in forse tra il volere di Virgilio ch'io taccia e la preghiera di Stazio che io gli risponda. — 320 — PuKCAioKio - Canio XXII Se cagione altra al mio rider credesti, lasciala per non vera esser, e credi quelle parole che di lui dicesti». 129 Già si chinava ad abbracciar li piedi al mio dottor; ma egli disse : ((Frate, non far, che tu se' ombra, ed ombra vedi ». 132 Ed ei surgendo : (( Or puoi la quantitate comprender dell' amor eh' a te mi scalda, quando dismento nostra vanitale, trattando l'ombre come cosa salda )>. 136 128-129. E credi ecc. — Cre- i-^:;. Dismento ecc. — Diiucn- d'u. che sola causa del mio sor- fico che siamo ombre. riso sono state le tue parole. CANTO XXII Già era 1' angel retro a noi rimaso, l'angel che n' avea volti al sesto giro avendomi dal viso un colpo raso, e quei e' hanno a giustizia lor disiro detto n'avea beati, e le sue voci, con sitiunt, senz' altro, ciò fornirò; ed io, più lieve che per 1' altre foci, m' andava si che senza alcun labore seguiva in su gli spiriti veloci, 2. N' avea volti. — Indirizza- la quarta beatitudine evang-elica ^'- che dice: «Beati quelli che han- 3. Avendomi dai viso ecc. — no fame e sete (sitiunt) di g-iusti- Avendo con le sue ali tolto il zia, nerchè saranno saziati ». cjuinto dei sette P, che stavano 7. Ed io, più Heve che cer le sulla fronte di Dante. altre foci. — Più leggero che nei _ 4. E quei c'hanno a giusti^ passaggi (foci) dei gironi prece- zia lor disiro. — L'angelo aveva denti, essendo purgato d'un altro detto : c( Beati quelli che deside- peccato. rano giustizia ». Sono parole del- 8. Labore. — Fatica. — 327 — La Divina Commedia quando Virgilio cominciò : « Amore, acceso di virtù, sempre altro accese, pur che la fiamma sua paresse fuore. 12 Onde, dall' ora che tra noi discese nel limbo dello inferno Giovenale, che la tua affezion mi fé' palese, 15 mia benvoglienza inverso te fu quale più strinse mai di non vista persona, sì eh' or mi parran corte queste scale. 18 Ma dimmi, e come amico mi perdona se troppa sicurtà m' allarga il freno, e come amico omai meco ragiona : 21 come potè trovar dentro al tuo seno loco avarizia, tra cotanto senno dì quanto, per tua cura, fosti pieno? » 24 Queste parole Stazio mover fenno un poco a riso pria ; poscia rispose : « Ogni tuo dir d'amor m' è caro cenno. 27 Veramente più volte appaion cose, che danno a dubitar falsa matera, per le vere ragion che sono ascose. 30 La tua domanda tuo creder m' avvera esser eh' io fossi avaro in l'altra vita, forse per quella cerchia dov'io era: . 33 or sappi eh' avarizia fu partita troppo da me, e questa dismisura migliaia di lunari hanno punita. 36 I0I2. Amore, ecc. — Qumii- 20. Sicurtà. — Franchezza, do nasce dalla virtù, appena si 27. Ogni tuo dir d'amor. — nianifesla ne suscita un altro. 0'j;ni tua ]Xu-ola affettuosa ]>■ r 14. Giovenale. — Decimo Giù- me. nio Giovenale, il mai^si^f poeta 31. M'avvera. — Mi prova la satirico latino (47-130 d. C), di ^^,l^ credenza. Aquino, contemporaneo e animi- ,^.,.. Qr sappi ch'avarizJa fu T6:Ven'ogSza. - Mai ci fu r'"'" '^^po da me... - Cosi benevolenza 0 aiTetto ma^^io^e lf"it^i"-i da me, eh 10 qui ho per i)er sona non vista. *" ' espiato 1 eccesso opposto per pui ],S. Corte, ecc. — Per il pia- di cinquecento anni, o di seimila cere di stare con te. mesi (miglia'a di lunari). — 328 — PcRCATORfo - Canto XXII E se non fosse eh' io drizzai mia cura, quand' io intesi là dove tu esclame, crucciato quasi all' umana natura : 39 ' Per che non reggi tu, o sacra fame dell'ero, l'appetito de' mortali?' voltando sentirei le giostre grame. 42 Allor m' accorsi che troppo aprir 1' ali potean le mani a spendere, e pentémi cosi di quel come degli altri mali. 45 Quanti risurgeran coi crini scemi, per ignoranza, che di questa pecca toglie il penter vivendo e negli estremi ! 48 E sappi che la colpa, che rimbecca per dritta opposizione alcun peccato, con esso insieme qui suo verde secca. 51 Però, s' io son tra quella gente stato che piange l'avarizia, per purgarnfi, per lo contrario suo m' è incontrato ». 54 « Or quando tu cantasti le crude armi della doppia tristizia di Giocasta, disse il cantor de' bucolici carmi, 57 per quello che Clio teco li tasta, non par che ti facesse ancor fedele la fé, senza la qual ben far non basta. 60 37-39. Drizzai, ecc. — Se non la prodigalità come peccato, nel- mi fossi corretto leg-gendo ciò la vita o sul punto di morire, che tu, crucciato per la corruzic- 49. Rimbecca. - — SI e?pla, io- ne dell'umanità, hai scritto nel- sieme con qualcuno dei sette pec- r «Erneide» ^iii, ,6 e seg.). cati capitali, 11 vizio opposto. 40-41. Per che, ecc. — La fa- 51. Qui. — E' espiata con la ne dell'oro, il desiderio di rie- [enitenza. chezza dovrebbe frenare la prò- .:;4. Incontrato. — Accaduto, digalità, non con l'avarizia, ma ■:,^. Cantasti. — Nella Tebaide con la liberalità. la lotta fratricida. 42. Voltando, ecc. — Pesi «per 56. Doppia tristizia. — I due forza di poppa» sarei all'inferno. fratelli Eteocle e Polinice, nati 43. Allor m'accorsi. — Che 1^ dall'unione di Giocasta col figlio mani potean troppo sp ndere, e Edipo, di cui essa ignorava d'es- me ne nentii. sere !a madre. 46. RisnrgeraoQo. — Il di del 57. Il Cantor, ecc. — Virgilio, giudizio coi crini mozzi, e cioè autore della Bucolica, dannati all'inferno. (Inferno VII, .^8. Tasta. — Tratta. 56 seg.) per non aver considerato s^-.^o- P^-*" quello, ecc. — Per — 329 — I.A Divina Commedia Se cosi è, qua! sole o quai candele ti stenebraron si che tu drizzasti poscia di retro al pescator le vele ? » Ed egli a lui: ((Tu prima m'inviasti verso Parnaso a ber nelle sue grotte, e poi appresso Dio m' alluminasti. Facesti come quei che va di notte, che porta il lume retro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte, quando dicesti : ' Secol si rinnova ; torna giustizia e primo tempo umano, e progenie discende dal ciel nuova '. Per te poeta fui, per te cristiano; ma perché veggi me' ciò ch'io disegno, a colorare stenderò la mano. Già era il mondo tuito quanto pregno della vera credenza, seminata per li messaggi dell'eterno regno; e la parola tua sopra toccata si consonava ai nuovi predicanti, ond'io a visitarli presi usata. 63 66 69 75 78 81 quanlo mostri nella Tebaide, in cui invochi Clio, musa delia sto- ria qua!e narratrice, tu non eri ancor cristiano. 6i. Qual sole, ecc. — Qual £;razia di\'ina o quali ammaestra- iTìenti umani (candele). bT,. Pescator. — San_ Pietro. 6:;. Parnaso. — Monte deliri l'ocide, sacro alle Muse e ad A- pollo. 65. Grotte. — Dalle quali sca- turisce il fonte Pegaseo, che da- va ai poeti l'ispirazione. 66. Appresso Dio ecc. — Cau- sa di tutte le cause, tu, Virgilio, m'apristi l'animo alla vera fede. 67. Facesti, ecc. — Ispirasti agli altri la fedo, ma tu sei ri- masto pagano ; Iiai fatto come il servo che, tenendo la lanterna dietro di sé, rischiara la via agii altri, ma e.i^li cammina nell'oscu- rità. 70-73. Secol si rinnova, ecc. — ii' la traduzione dei versi 5-7 c'ell'ecloga quarta, scritta secan- do alcuni per la nascita del figlio dt! suo amico Asinio Pollioine, Salonino ; per quello di Livia Drusilla moglie d\ Augusto, se- condo altri. In tali versi il Me- dio Evo e Dante videro una pro- fezia della nascita del Redentore. 71. Primo tempo. — Età del- l'oro, il regno di Saturno. 74. Disegno. — Accenno. 75. A colorare. — A diffcn^ dermi piìi ampiamente. 78. Messaggi. — Apostoli. 80. Si consonava. — Era con- forme. 81. Presi usata. — Presi u- ?,^o PijRr.ATORio - Canto XXII Vennermi poi parendo tanto santi che, quando Domizian li perseguette, senza mio lagrimar non fùr lor pianti ; 84 e mentre che di là per me si stette, io gli sovvenni, e lor dritti costumi fér dispregiare a me tutte altre sètte : 87 e, pria eh' io conducessi i greci ai fiumi di Tebe poetando, ebb' io battesmo, ma per paura chiuso Cristian fumi 90 lungamente mostrando paganesmo ; e questa tepidezza il quarto cerchio cerchiar mi fé' più eh' al quarto centesmo. 93 Tu dunque, che levato hai il coperchio che m'ascondeva quanto bene io dico, mentre che del salire avem soperchio 96 dimmi dov'è Terenzio nostro antico; Cecilio, Plauto e Varrò, se lo sai, dimmi se son dannati, ed in qual vico ». 99 « Costoro e Persio ed io e altri assai, rispose il duca mio, Siam con quel greco che le muse lattar più ch'altro mai, 102 84. Far lor pianti. — Accom- pagnati dal mio duolo. 85. Mentre. — Fin ch'io vissi. 87. Sètte. — Credenze. 88. E pria, ecc. — E prima che io ultimassi la Tebaide, de- ve parlo dei Greci che, venuti in aiuto di Polinice, giunseroi ai fiumi Isrneno ed Asopo. go. Per paur.i. — Per paura di persecuzioni non mi rivelai cri- stiano. 92. E questa tepidezza, ecc. — Mi tenne tra gli accidiosi, che sono dannati a correre attorno al monte per più di quattrocen- to a;nni. 94. H coperchio. — Il velo che nascondevami la fede cri- stiana. 96. Mentre che, ecc. — Ab- biam tempo d'avanzo. 07. Terenzio. — Publio Teren- zio Afro, poeta comico latino, di Cartagine (192-1.1^9 a. C), del quale rimangono sei commedie. 98. Cecilio. — Cecilio Stazio, mllane-e, poeta drammatico; mori nel 16S a. C. ; nessuna del- le sue trenta commedie ci è ri- masta. Plauto. — Di M. Accio Plau- to (2.c;4-i84 a. C), dell'Umbria; ci restano venti commedie. Varrò. — Forse Marco Teren- zio Varrone di Rieti (116-27 a. C.) dagli antichi giudicato il più dotto tra i Romani. 99. Vico. — Cerchio. 100. Persio. — Aulo Persi 1 Placco di \^oIterra, poeta satiri- co latino (-^4-62 d. C.) del quale abbiamo sei satire. loi. Greco. — Omero. 3?,^ — I-A Divina Commedia nel primo cinghio del carcere cieco : spesse fiate ragioniam del monte, che sempre ha le nutrici nostre seco. Euripide v'è nosco ed Antifonte, Simonide, Agatone ed altri piue greci, che già di lauro ornar la fronte. Quivi si veggion delle genti tue Antigone, Deifìle ed Argia, ed Ismene si trista come fue. Vedesi quella che mostrò Langia : èvvi la figlia di Tiresia e Teti, e con le suore sue Deidamia ». Tacevansi ambedue già li poeti, di nuovo attenti a riguardare incorno, liberi dal salire e dai pareti ; 105 108 11 114 117 104. Monte. — Parnaso. 105. Nutrici. — Muse. 106. Euripide. — Poeta tragi- co greco di Salamina (480-406 a. C.) del quale abbiamo dician- nove tragedie. Antifonte. — Poeta tragico a- teniese, ucciso da Dionisio il ti- rrmnc'. 107. Simonide. — Poeta lirico greco, di Ceo, (556-469 a. C.) vissuto poi a Siracusa alla corte (li Cerone. 107. Agatone. — Poeta tragi- co di Atene (448-401 a. C.) ; nien- te di lui ci è pervenuto. 109. Quivi si \eggion ecc. — Ned primo cerchio dell'itiferno vi sono personaggi cantati nelle tue opere. Ilo. Antigone. — Figlia di Edipo e di Giocasla, fatta ucci- dere da Creonte per aver ella da- to senoliura al frateno Polinice. Deifile. — Figlia di Adrasto, re degli Argivi, moglie di Tideo e madre di Diom<'de. Argia. — Soro-lla di D-ifde e moglie di Polinice. 111. Ismene. — Figlia di Edi- DO e Ciocasta, sorella di Anti- gone. Trista. — Sventurata, vide mo- rire i congiunti e il fidanzato Cirrco, e fu condannata con An- tigone da Creonte. 112. Quella, ecc. — Isifiie che mostrò il fonte Langia presso Ne- mea ai sette eroi guerreggiami contro Tebe. 113. La figlia di Tiresia, — Manto, l'indovina; da Dante è messa nella IV bolgia e non nel limbo (Inferno XX, 55 e segg.). Teti. — Dea marina, moglie di Pelco e madre di Achille. 114. Deidamia. — Figlia di Licomede ro di Sciro, ama: a da Achille. 117. Dai pareti. — Dalle spon- de del macigno in cui era inca- vata la ?cala. — .^.-^s — pTTRcATORio - Canto XXII e già le quattro ancelle eran del giorno rimase a retro, e la quinta era al temo, drizzando pure in su 1' ardente corno ; 120 quando il mio duca : (( Io credo eh' allo estremo le destre spalle volger ci convegna, girando il monte come far solemo ». 123 Cosi l'usanza fu li nostra insegna, e prendemmo la via con men sospetto per r assentir di queir anima degna. 126 E'.li givan dinanzi, ed io soletto di retro, ed ascoltava ì lor sermoni eh' a poetar mi davano intelletto. 129 Ma tosto ruppe le dolci ragioni un arbor che trovammo in mezza strada, con pomi ad odorar soavi e buoni ; 132 e come abete in alto si digrada di ramo in ramo, cosi quello in giuso cred' io perché persona su non vada. 135 Dal lato, onde il cammin nostro era chiuso. cadea dall'alta roccia un liquor chiaro e si spandeva per le foglie suso. 138 Li due poeti a'I' arbor s'appressare; ed una voce per entro le fronde gridò : « Di questo cibo avrete caro ». 141 iiS. Ancelle. — le Ore che a des'.ra ci o-uidù anch'- questa Guidano i cavalli del sole. Sia- volta. Ilio alla quinta ora del giorno, 126. Quell' aràma d.gna. — cioè verso le undici. Stazio. iig. Temo. — Timone. 120- Intelletto. — Ammaestra- 120. Drizzando ecc. — Per sa. mento. lire al meridiano, la punta estre- i33-i3S- ^ come ecc. — L'a- ma del timone ch'era «ardente» bete assottiglia i rami verso |a essendo prossimr> il mezzogiorno. cima, cosi questo H assottiglia 121. Ch'alio estremo ecc. — dalla cima al troncc-, per hnpe- Che ci convenga andare a destra, dire che qualcuno salga a co- volgendo la spalla destra all'orlo slierne i frutti. esterno del cerchio. ' 136. Lato. — Del monte, a 123. Solemo. — Sogliamo. sinistra. 124. L'usanza. — Hi volgere 141. Caro. — Penuria. — .rvi — La Divina Commedia Poi disse : « Più pensava Maria, onde fosser le nozze orrevoli ed intere, eh' alla sua bocca, eh' or per voi risponde ; 144 e !e romane antiche, per lor bere, contente luron d'acqua, e Daniello dispregiò cAg. moristi (i2o6), provo minor do- 67. N'accende cura. — Ne ac- lore di quello che soffro ora ve- cende desiderio, dendjjlo rosi contraffatto. 68. Sprazzo. — L'acqua che 58. Che si vi sfoglia. — Che cade dal monte, cosa così vi dimagra. 72. Dovrei dir sollazzo. — Le 60. Mal può dir ecc. - — Male pene del Puro;atorio sono invo- nuò dire chi ha desiderio di sa- cate dalle anime, per giunjjerc pere. più presto, purificate, alla bea- 61-63. Dell' eterno consiglio, titudino eterna. ecc. — La volontà divina fa de- 74- E'ì- — Cristo morente e- rivare dall'acqua che cade dal- sclamò: Eli, Eli, lamma sabac- l'alto e dalla pianta che abbia- tani? cioè.- Dio mio, Dio mio, „,,-,,•, . •perche mi hai lasciato.-' mo lasciata d.e ro a noi, una - _ ^^ ,jj,^^- ^^^ ^^ ^^^ ^^^^ virtù che mi fa dimagrare. _ e; redense col suo sangue. 6.:;-66. Per seguitar la gola ecc. -7 Aiutasti mondo ecc. — — Perchè si !a;ciava trasporta- Passasti all'altra vita morendo. La Divina Commedia Se prima fu la possa in te finita di peccar più, che sorvenisse l'ora del buon dolor eh 'a Dio ne rimarita, ' 81 come se' tu qua su venuto? Ancora io ti credea trovar là giù di sotto, dove tempo per tempo si ristora ». 84 Ed egli a me : <( Si tosto m'ha condotto a ber lo dolce assenzio de' martiri la Nella mia col suo pianger dirotto. 87 Con suoi preghi devoti e con sospiri tratto m'ha della costa ove s'aspetta, e liberato m'ha degli altri giri. 90 Tant'è a Dio più cara e più diletta la vedovella mia, che molto amai, quanto in bene operare è più soletta ; 93 che la Barbagia di Sardigna assai nelle femmine sue è più pudica che la Barbagia dov'ìo la lasciai. 06 O dolce frate, che vuoi tu ch'io dica? Tempo futuro m'è già nel cospetto, cui non sarà quest'ora molto antica, 99 nel qual sarà in pergamo interdetto alle sfacciate donne fiorentine l'andar mostrando con le poppe il petto. 102 70-82. Se prima fu la possa purgatorio e dai gironi sotio- ecc. — .Se l'ora del pentimento, stanti del Purgatorio, che ricongiunge a Dio, venne g^. E' più soletta. — In Fi- solo quando tu moristi, come mai renze, nella pratica del bene. sei già nel Purgatorio, anziché ()4- Che la Barbagia di Sar- nell'antipurgatorio tra i negli- dijJna ecc. — Regione montuosa oenti? della Sardegna, la cui popola- "" 84. Dove tempo per tempo si z'one tardi si converti al cristia- ristora. - Dove si soffre la pe- '"ffmp, e ntenevasi barbara, per- che viveva più miseramente delle na tanto tempo quanto si visse. . '^ S6. Lo dolce assenzio de' mar= ^'^ '^; Barbagia. — Per Firenze. tiri. — La pena desiderata d^'llc jj^ ^,^5 ^^,^^6 vestivano succin- mie colpo. .tamente, ma non per miseria. S9-00. Della «osta ove s'aspet= | 98-99. Tempo futuro ecc. — ta, ecc. — Dalla costa dell'Anti- 'Vedo già un tempo non lontano. .\-^8 - Pi'RGA IORIO - Canio XX! II Quai barbare fùr mai, quai saracine, cui bisognasse, per farle ir coperte, 0 spiritali 0 altre discipline? 105 Ma se le svergognate fosser certe di quel che il ciel veloce loro ammanna, già per urlare avrian le bocche aperte ; 108 che, se l'antiveder qui non m'inganna prima fien triste che le guance impeli colui che mo sì consola con nanna. 1 1 1 Deh, frate, or fa che piti non mi ti celi ; vedi che non pur io, ma questa gente tutta rimira là dove il sol veli)). 114 Per ch'io a lui : <( Se ti riduci a mente quai fosti meco e quale io teco fui, ancor fia grave il memorar presente. 117 Di quella vita mi volse costui che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda vi si mostrò la suora di colui 120 (e il sol mostrai) ; costui per la profonda notte menato m'ha da' veri morti, con questa vera carne che il seconda. 123 Indi m'han tratto su li suoi conforti, salendo e rigirando la montagna, che drizM voi che il mondo fece torti. 126 3 0.^. O spiritali o altre disci- vita licenziosa che menammo, ci pline. — Pene ecclesiastiche o ci- sarà grave ricordar qui. vili. ii8. Mi volse. — Mi distolse. 107. Veloce loro ammanna. — iiq-120. Quando tonda vi si Prepara tra breve. mostrò ecc. — Quando fu luna iio-iii. Prima fien triste ecc. piena, l'S aprile 1300, inizio del — Esse saranno dolenti prima viaggio per i regni d "oltre tom- che entrino nella pubertà coloro ba. che ora s'addormentano con la 122. Veri morti. — I dannati ninna nanna. • dell'inferno. 112. Fa che più non mi ti ce i^.l- Con questa vera carne, li. — Svelami l'esser tuo. e". — Con questo corpo, che lo Ri.,,5..-. li An^,,a ;i „«i „oi- segue nel mondo delle anmie. . mura la dove U sol veli. -^^ j^,^^^ ^^^^^^ ^^ ^^^. _ — Guarda dove il tuo corpo pro- ^j; ^^^ cruidato al Purgatorio, letla l'ombra. .26. Che drizza voi ecc. — Che 1 16-117. Oliai Josti meco ecc. purifica le vostre anime contor- — L'amicizia eh; ci strinse e la te dai vizi del mondo. — 37,9 — Tanto dice di farmi sua compagna eh' io sarò là dove iìa Beatrice ; quivi convien che senza lui rimagna. 129 Virgilio è questi che cosi mi dice (e addita' lo), e quest'altro è quell'ombra per cui scosse dianzi ogni pendice Io vostro regno che da sé lo sgombra ». 133 127. Farmi sua compagna, — pendice ecc. — Il Purgatorio Ccncedermi la sua compagnia. stosse le sue pendici per Sta- 132-17,;!. Scosse dianzi ogni zio che assurgeva al cielo. CANTO XXIV Né il dir l'andar, né l'andar lui piti lento facea, ma ragionando andavam forte, si come nave pinta da buon vento. 3 E l'ombre, che parean cose rimorte, per le fosse degli occhi ammirazione traean dì me, di mio vivere accorte. 6 Ed io, continuando il mio sermone, dissi : « Ella sen va su forse più tarda che non farebbe, per l'altrui cagione. 9 Ma dimmi, se tu '1 sai, ov'è Riccarda; dimmi s'io veggio da notar persona tra questa gente che si mi riguarda». 12 « La mia sorella, che tra bella e buona non so qual fosse più, trionfa lieta nell'alto Olimpo già di sua corona ». 15 I. Né il dir l'andar ecc. — Xò le al cielo più lcnlanicn;e per il dire rallentava l'andare, nò indugiarsi ii'ila compagnia di l'andare rallentava il discorrere. N'irgilio. 4. Rimorte. — Morte la se- io. Piccarda. — Sorella di Fe- conda volta, tanto eran paJlide rese Donati, e consunte. 11. Da notar persona. — De- 6. Traean di me ecc. — Ac- gna di nota, rorgendosi di me, eran prese da i4-i.s- Trionfa lieta nell'alto stupore. Olimpo ecc. — E' trionfante nel S 9 Sen va su forse ecc. — Sa- Paradiso. — 340 — Purgatorio - Canto XXIV Si disse prima, e poi ; <( Qui non si vieta di nominar ciascun, da eh 'è si munta nostra sembianza via per la dieta. 18 Questi (e mostrò col dito) è Bonagiunta, Bonagiunta da Lucca ; e quella faccia di là da lui, più che l'altre trapunta, 21 ebbe la santa Chiesa in le sue braccia : dal Torso fu, e purga per digiuno l'anguille di Bolsena e la vernaccia». 24 Molti altri mi nomò ad uno ad uno ; e del nomar parean tutti contenti, si ch'io però non vidi un atto bruno. 27 Vidi per fame a vóto usar li denti Ubaldin dalla Pila, e Bonifazio che pasturò col ròcco molte genti. 30 i6-iS. Qui non si vieta di no= minar ecc. — Qui è opportuno nonilnare fjli spiriti, poiché son;) irriconoscibili dal digiuno. 20. Bonagiunta da Lucca. — Bonagiunta Orbicciani degli O- verardi, lucchese, vissuto nella seconda metà del sec. XIII, fu mediocre limatore, imitatore dei lirici provenzali. 21. Trapunta. — Consunta. 22. Ebbe la santa Chiesa ecc. - — Resse il pontificato. 23-24. Dal Torso fu ecc. — Martino IV eletto al soglio pon- tificia il 1287, mori il 1285. Era nativo di Montpincé nella Brie. e fu tesoriere della Cattedrale di Tours (Torso). Peccò per vi- zio di gola, e soleva mangiare anguille del lago di Bolsena, che faceva annegare nella vernaccia. 27. Si ch'io però non vidi ecc. — Perciò non vidi alcun atto di rincrescimento in quelli che mi erano nominati. j8. X vóto usar li denti. — I- nutilmf-nte movevano i denti. 20. Ubaldin dalla Pila, — U- baldino degli Ubaldini, della fa- miglia che prendeva nome dal castello della Pila nel Mugello. \''isse nella seconda metà del se- colo XIII. Nel 1291 fu liberato dalla prigione in Lucca, essendo stato preso davanti il castello di Buti. Era fratello del cardinale Ottaviano e di Ugolino d'Azzo, p padre di Ruggieri, arcivescovo di Pisa (Inf. XXXIII). Bonifazio. — Arcivescovo di Ravenna, di casa Fieschi, geno- vese, ebbe dallo zio, papa Inno- cenzo IV, molte cariche pubbli- che e molti onori. ;^o. Pasturò col ròcco ecc. — Ebbe autorità vescovile sul terri- toirio ravegnate, molt/^ esteso. Il pastorale del vescovo di Ravenna non finiva ricurvo, ma era sor- niontato' da una piccola terre, co- me il rocco degli scacchi. Dante — .-^41 — La Divina Commedia Vidi messer Marchese, ch'ebbe spazio già di bere a Porli, con men secchezza, e si fu tal che non si senti sazio. 33 Ma, come fa chi guarda e poi fa prezza pili d'un che d'altro, fé' io a quel da Lucca, che pili parca di me aver contezza. 36 Ei mormorava ; e non so che a Gentucca » sentiva io là, ov'ei sentia la piaga della giustizia che si li pilucca. 39 « O anima, diss'io, che par si vaga di parlar meco, fa si ch'io t'intenda, e te e me col tuo parlare appaga ». 42 « Femmina è nata, e non porta ancor benda, cominciò ei, che ti farà piacere la mia città, come ch'uom la riprenda. 45 Tu te n'andrai con questo antivedere ; se nel mio mormorar prendesti errore, dichiariranti ancor le cose vere. 48 Ma di' s'io veggio qui colui che fuore trasse le nuove rime, cominciando : 'Donne, ch'avete intelletto d'Amore 'j). 51 31-33. Vidi messer Marchese una Gentucca Moria, moglie di ecc. — Marchese degli Argoglio- Buonaccorso Fonderà, la quale si, cavaliere forlivese, podestà di aveva onesti costumi. Faenza nel 1206. Chiese che co^a Pilucca. — Consunna. si dicesse di lui al suo canovaio, 43. Non porta ancor benda. — e questi gli rispose: «(Signore, La benda dello donne maritate; si dice di voi che non fate altro è quindi ancor giovinetta. che bere». «E perchè, 'soggiun- 4;. Come ch'uom la riprenda. ss ridendo il marchese, non si di- — Per quanto di essa si dica ce che ho sempre sete?» male. 32. Con men secchezza. — Che 46. Tu te n'andrai ecc. — Te nel Purgatorio, ove goffrè la n'andrai crn ancata profivia, elio sete. ima giovine ti farà piacere la 34. Fa prezza. — Fa stima. mia Lucca. 35. Fé' io a quel da Lucca ecc. 48. Dichiariranti ancor ecc. — — Feci più stima di Bonagiunta I fatti ti renderanno chiare le Orbicciani, che pareva mi cono- mie parole se hai mal compreso scesse me.oflio di quegli altri. il niio mormorare. 37-39. Ei mormorava; ecc. — 40-.S0. Fuore trasse le nuove Parlava sommessamente, e dalla rime. — Iniziò la scuola poetica sua bocca non coglievo altro no- del dolco stil nuovo. me che quello di «Gentucca». ^1. « Donne, ch'avete ecc, » — Nella sua dimora in Lucca pare IV la prima canzone della «Vita che Dante si sia innamorato di nuova». — 342 — PtT?GATORio - Canto XX 1\' Ed io a lui : « Io mi son un che, quando amor mi spira, noto, ed a quel modo che ditta dentro, vo significando ». « O frate, issa veggio, disse, il nodo che il Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil nuovo ch'i' odo. Io veggio ben come le vostre penne di retro al dittator sen vanno strette, che delle nostre certo non avvenne ; e qua! più a guardar oltre si mette, non vede più dall' uno all' altro stilo » ; é quasi contentato si tacette. Come gli augei che vernan lungo il Nilo alcuna volta in aer fanno schiera, poi volan più in fretta e vanno in filo ; cosi tutta la gente che li era, volgendo il viso, raffrettò suo passo, e per magrezza e per voler leggiera. E come l'uom che di trottare è lasso lascia andar li compagni, e si passeggia fin che si sfoghi l'affollar del casso; 54 57 60 63 btì (SU 5j-.t4. Io mi son ecc.. — Io sono uno che quando sono ispi- rato dall'amore osservò l'indole (lei sentimenti suscitati in me, ed in conformità di essi mi esprimo con le parole. E' il principio eter- no della poesia. 5;.^. Issa. — Adesso. li nodo. — L'ostacolo. 5Ó. Il Notaro e (iuittone. — li notaio Giacomo da Lentini, r;ip0' della scuola siciliana di poe- sia, che seguiva dappresso la li- rica erotica provenzale. Guittone d'.Arezzo, capo della scuola poe- tica dottrinale, insieme con Gui- do Guinizelli ; tale scuola intro- dusse nella lirica disquisizioni fi- losofiche sull'onore, ed argomen- ti filosofici e politici. Con Dante, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, Gianni Alfani, successe a queste due scuole quel- la del «dolce stil nii(i\o <>. 59. Di retro al dittator. — L'amore che detta dentro-. 61-62. E qiial più a guardar ecc. — ■ E cliiunque vuole appro- fondire le differenze fra la scuo- la mia e la tua, non vede che quella notata. 64-66. Come gli augei che vernan ecc. — Come le gru che svernano in riva al Nilo, le qua- li volano in schiera compatta, oppure, più velocemente, in fila. 68. Volgendo il viso. — A de- stra. 71-72. Sì passeggia fin che si sfoghi ecc. — E si mette al pas- .50 finché cessi il respiro ansante del petto. 343 — La Divina Commedia si lasciò trapassar la santa greggia Forese, e retro meco sen veniva, dicendo: ((Quando fia ch'io ti riveggia? )> 75 (( Non so, rispos'io lui, quant'io mi viva ; ma già non fìa il tornar mio tanto tosto ch'io non sia col voler prima alla riva : 78 però che il loco, u'fui a viver posto, di giorno in giorno più di ben si spolpa, ed a trista ruina par disposto ». 81 (( Or va, diss'ei, che quei che più n'ha colpa vegg'io a coda d'una bestia tratto in vèr la valle, ove mai non si scolpa. " 84 La bestia ad ogni passo va più ratto, crescendo sem.pre, fin ch'ella il percuote, e lascia il corpo vilmente disfatto. 87 Non hanno molto a volger quelle rote (e drizzò gli occhi al elei) che ti fia chiaro ciò che il mio dir più dichiarar non puote. 90 Tu ti rimani omai, che il tempo è caro in questo regno si ch'io perdo troppo, venendo teco si a paro a paro )>. 93 Qual esce alcuna volta di galoppo lo cavalier di schiera che cavalchi e va per farsi onor del primo intoppo, 96 77-8 i. Ma già non fia di tor^ N'alois. S'inimicò con i suoi e nar ecc. — Ala non morirò mai congiurò per farsi tiranno tli l"i ■ tanto presto, come vorrei, per renze, ma gli avversari lo ro- non vedere la rovina di Firenze. strinsero alla fuga e l'uccisero 82-84. Or va, diss'ei. che quei, a San Salvi il 6 ottobre 1308. ecc. — Ora puoi an(Jar conso- 86. Crescendo sempre. — Ac- lato, poiché vedo Corso Donati, celerando sempre la corsa, che delle discordie in Firenze è il 87. Lascia il corpo ecc. — I! più colpevole, tratto a coda di ca- corpo di Corso restò abbandona vallo nel baratro dell' Inferno. j^^ sulla slrad.i. Corso Donati, fratello di Forese gg ^on hanno molto a vo! e di Piccarda, fu podestà in varie ^„. ^„ -kt ., ,.,.^ .,„ • .. . „ t, n< r^ II- ^er ecc. — Non passeranno an- elila e comballe a Campaldmo a *^ . ^ capo de' pistoiesi. Fu del parli- cora molti anni. to dei Neri ed esiliato nel 1300, 96- Primo intoppo. — rrim.) tornò in F'irenze con Carlo di scontro col nemico. — .M4 — PiTRf.ATORio - Canto XXIV tal si parti da noi con maggior valchi ; ed io rimasi in via con esso i due, che fùr del mondo si gran maliscalchi. 99 E quando innanzi a noi entrato fue, che gli occhi miei si fero a lui seguaci, come la mente alle parole sue, 102 parvermi i rami gravidi e vivaci d'un altro pomo, e non molto lontani, per esser pure allora volto in làci. 1()5 Vidi gente sott'esso alzar le mani e gridar non so che verso le fronde, quasi bramosi fantolini e vani, 108 che pregano, e il pregato non risponde, ma per fare esser ben la voglia acuta, tien alto lor disio e no '1 nasconde. Ili Poi si parti si come ricreduta ; e noi venimmo al grande arbore adesso, che tanti preghi e lagrime rifiuta. 114 « Trapassate oltre senza farvi presso ; legno è pili su che fu morso da Eva, e questa pianta si levò da esso»: 117 si tra le frasche non so chi diceva ; per che Virgilio e Stazio ed io, ristretti, oltre andavam dal lato che si leva. 120 sùbita voce disse; ond'io mi scossi, come fan bestie spaventate e poltre. 135 Drizzai la testa per veder chi fossi ; e giammai non si videro in fornace vetri 0 metalli si lucenti e rossi, 138 com' io vidi un che dicea : <( S'a voi piace montare in su, qui si convien dar volta ; quinci si va, chi vuole andar per pace». 141 L'aspetto suo m'avea la vista tolta : per ch'io mi volsi retro a' miei dottori, com'uom che va secondo ch'egli ascolta. 144 da Issione e da Nefele (cioè la Nuvola) cui Giove aveva dato for- ma di Giunone. Essi partecipan- do alle nozze di Piritoo e Ippo- damia si ubbriacarono e tentaro- no di violentare le donne ; ma Teseo li vinsia. 124-126. De^ii ebrei, ch'ai ber ecc. — Gedeone, in guerra con i Madianiti, rimandò f^ìì Ebrei che alla fonte di Arad si curva- rono sull'acqua a bere, e solo ri- tenne con sé quelli che attinsero l'acqua per dissetarsi col cavo del- la mano. 127. All'un dei due vivagni. — Stringendoci alla costa de' monte. 12S. Udendo colpe della gola. — Esempi di golosi pimiti. 129. Seguite già ecc. — Alle Quali ticn dietro la dovuta espia- zione. i;5o. Rallarj^ati per la strada sola. — Passato l'albero, dal quale ci tenevamo lontano, ra- sente alla costa, ci riallarghia- mo nella strada libera. 135. Poltre. — Pigre, asson- nate. i^q. Un che dicea. — L'an- gelo della temperanza. 141. Chi vuole andar per pa- ce. — Chi vuole salire alia bea- titudine. 144. Com'uom che va secondo ecc. — Come uomo che si lascia guidare dal suono de'Ie parole. — .■^4<^ — PuRCxATORIO - C/VNXn XXV E quale, annunziatrice degli albori, l'aura di maggio movesi ed olezza, tutta impregnata dall'erba e da' fiori ; tal mi sentii un vento dar per mezza la fronte, e ben senti' mover la piuma, che fé' sentir d'ambrosia l'orezza. E senti' dir: «Beati cui alluma tanto di grazia che l'amor del gusto nel petto lor troppo disir non fuma, esuriendo sempre quanto è giusto ». 147 150 154 148-149. Un vento dar per mezza la fronte. — E' l'ala de'.- l'anj^elo che cancella dalla fron- te di Dante un altro dei sette P, il peccato della gola. li^o. Che fé' sentir ecc. — Che fece sentire fragranza di ambro- sia. 151-154. Beati cui alluma ecc. — Beati coloro nel cui iJctto la rrazia divina non arrend;- pas- sione smodata della g;ola, ma li asseta solo di quanto è giusto. CANTO XXV Ora era onde il salir non volea storpio, che il sole avea lo cerchio di merigge lasciato ai Tauro e la notte allo Scorpio : per che, come fa l'uom che non s'affìgge, ma vassi alla via sua che che gli appaia, se di bisogno stimolo il trafìgge ; cosi entrammo noi per la callaia, uno innanzi allro, prendendo la scala che per artezza i salitor dispaia. 1-;;. Ora era onde il salir ei;c. — Eran circa le due pomeridia- ne, e bisognava affrettarsi, senza badare ad ostacoli, poiché il sole aveva superato l'arco meridiano (cicè il mezzogiorno) lasiciandolo presso la cositellazione del Toro ; agli antipodi la notte moveva verso la costellazione dell'Ariete, lasciando quella dello Scorpione presso l'arco meridiano (mezza- r.C'lte). 4. Non s'affigge. — Non si ferma. 6. Se di bisogno ecc. — Se ne- cessità lo stringe ad affrettarsi. 7. Callaia. • — ■ Sentiero stretto. 9. Che per artezza ecc. — Che costringe per la strettezza del passaggio ad andar l'uno dietro l'altro. — .347 I.A Divina Commedia E quale 11 cicognin, che leva l'ala per voglia di volare, e non s'attenta d'abbandonar lo nido, e giù la cala ; 12 tal era io con voglia accesa e spenta di domandar, venendo infine all'atto che fa colui ch'a dicer s'argomenta. 15 Non lasciò, per l'andar che fosse ratto, lo dolce padre mio, ma disse : « Scocca l'arco del dir che insino al ferro hai tratto )>. 18 AUor sicuramente aprii la bocca, e cominciai : (( Come si può far magro là dove l'uopo di nutrir non tocca?» 21 (( Se t'ammentassi come Meleagro si consumò al consumar d'un stizzo, non fora, disse, questo a te si agro ; 24 e se pensassi come al vostro guizzo guizza dentro allo specchio vostra image, ciò che par duro ti parrebbe vizzo : 27 14-iv Venendo infino all'atto ecc. — Al movimento delle lab- bra. i:^. Accesa e spenta. — Acce- sa da curiosiità, spenta dal timo- re di essere indiscreto. 16. Non lasciò, per l'andar, ecc. — Non lasciò di parlare, per ciuanlo si andasse rapidamente. 17-18. Scocca l'arco del dir, ecc. — Manifeslanii pure la tua curiosità, che tu hai pronta co- me freccia, la cui punta tocca il .sommo dell'arco teso, nell'atte che si scaglia. 21. Là dove l'uopo ecc. — Là dove non si sente necessità del cibo. 22-27. Se t'ammentassi come Meleagro ecc. — Se nel pensare fpssi rapido come è rapido un tizzo nel consumarci o lo spec- chio quando riflette rimiiias'ine, ti sarubbi- facile quel che era ti pare difficile. Meleaj^ro. — Figlio di Oeneo, re di Calidone, e di Altea, ebbe in destino che dovesse vivere quanto durava un tizzo che ar- desse al momento della sua na- scita. Sua madre lo spense e lo serbò ; ma quando Meleagro uc- cise Plesippo e Tosseo, fratelli di Altea, Cjuesta gittò il tizzo nel fuoco e al consumarsi di questo Meleagro mori. 2.=;. Al vostro guizzo guizza ecc. — Al vostro movimento rapido risponde la rapidità del movimen- to dell'immagine nello specchio. Con Meleagro Dante dimo.stra come si può giungere rapida- mente a.lla consunzione, e con lo specchio, che le ombre, specchi dell'animo, rivelano le sofferenze del corpo. MS- ruRG.ViORio - Canto XW ma perché dentro a tuo voler t'adage, ecco qui Stazio, ed io lui chiamo e prego che sia or sanator delle tue piage ». 30 « Se la veduta eterna gli dislego, rispose Stazio, là dove tu sie, discolpi me non potert' io far nego». 33 Poi cominciò : ^C — I'Okc.atorio - Canio XX\' E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sol che si fa vino, giunto all'umor che dalla vite cola. E quando Lachesis non ha più lino, solvesi dalla carne, ed in virtute seco ne porta e l'umano e il divino : l'altre potenze, tutte quante mute ; memoria, intelligenza e volontade, in atto molto più che prima acute. Senz'arrestarsi, per sé stessa cade mirabilmente all'una delle rive ; quivi conosce prima le sue strade. Tosto che loco li la circonscrive, la virtù formativa raggia intomo, cosi e quanto nelle membra vive ; e come l'aer, quand'è ben piorno, per l'altrui raggio che in sé si riflette di diversi color diventa adorno, cosi l'aer vicin quivi si mette in quella forma, che in lui suggella virtualmente l'alma che ristette; 84 87 90 93 96 nascituro, opera ammirevole del- la natura e vi infonde l'anima razionale piena di virtù che si immedesima all'anima vegetati- va ed alla sensitiva, formando una sola anima che vive, sente ed ha, coscienza di sé. 76-78. E perchè meno ammiri ecc. — E perchè meno ti mera- vio^lino le mie parole, pensa che il calore del sole, congiunto al succo della vi*-e, si fa vino. 7Q-8i. E quandi) Lachesis ecc. — E quando la Parca tronca Io stame della vita, l'anima intel- lettiva sii libera dal corpo por- tando con sé le potenze corporee e le spirituali. 82-S4. L'altre potenze ecc. — Le facoltà dei sensi, distrutti gli organi, si annientano, a differen- za delle intellettive che, liberate dal corpo, sono più acute di prima. ~ 8t;-87. Senz' arrestarsi ecc. — Appena muore il corpo, l'anima, per sé stessa, si volge alla riva di Acheronte, se dannata all'In- ferno, o a quella del Tevere, se destinata alia salvazione. S8-go. Tosto che loco ecc. — Quando l'anima è giunta in riva all'Acheronte o al Tevere, la vir- tù formativa raggia nell'aria co- me già in vita s'irradiava nelle membra. 0i-q6. e come l'aer, ecc. — E come l'aria piena di nuvoli ac- quosi, riflettendo i raggi solari, si adorna dell'arccba'eno, così Paria assume la forma che l'ani- ma, por la potenza informai i\ a che con-crva, le imprime. 3.^1 [.A Divina Comimedia e simiglianle poi alla fiammella, che segue il fuoco là 'vunque si muta, segue allo spirto sua forma novella. 99 Però che quindi ha poscia sua paruta, è chiamat 'ombra ; e quindi organa poi ciascun sentire infìno alla veduta. 102 Quindi parliamo, e quindi ridiam noi, quindi facciam le lagrime e i sospiri che per lo monte aver sentiti puoi. 105 Secondo che ci affliggono i desiri e gli altri affetti, l'ombra si figura, e questa è la cagion di che tu ammiri ». 108 E già venuto all'ultima tortura s'era per noi, e volto alla man destra, ed eravamo attenti ad altra cura. 1 1 1 Quivi la ripa fiamma in fuor balestra, e la cornice spira flato in suso, che la riflette, e via da lei sequestra; 114 onde ir ne convenia dal lato schiuso ad uno ad uno, ed io temeva il foco quinci, e quindi temea cadere in giuso. 1 17 Lo duca mio dicea : « Per questo loco si vuol tenere agli occhi stretto il freno, però ch'errar potrebbesi per poco ». • 120 07-00. H siniigliante poi alla 109. AiruKima tortura. — Al- fìamniella, ecc. • — E come la l'ultinio ripiano, fiamma segue il fuoco, cO'SÌ il 112-117. Q"ivi la ripa ecc. — iiU(Ovo corpo aereo segue Io spi- La costa del nionie lancia delle rito. liamme e l'orlo del girone soiTia 100-102. Però che quindi ha un vento che le respinge indie- poscia ecc. — Pel fatto che l'a- tro, si che sul margine del ri- nima acquista forma visibile di- piano resta uno streUo spazio li- (fsi ombra, nella quale genera bere, lungo il quale stanno i tre tutti i sensi, fino al ])iù comples- poeti, cioè tra le fiamme e lo sco- .so della vista. scendimento del monte. 107. L'ombra si Ggura. — 1 10-120. Si \uol tenere agli L'nmbr;i prende aspetto. occhi ecc. — ■ Bisogna che gli oc- inS. Di l'he tu ammiri. ■ — Di chi \-igilino ])er non (Mirre i)ii de che tu ti meravigli. in fal'o. — .i.=;2 — Purgatorio • Canto XXV « Summae Deus clemcntiae » nel seno del grande ardore allora udii cantando, che di volger mi fé' caler non meno : 123 e vidi spirti per la fiamma andando ; per ch'io guardava loro ed a' miei passi, compartendo la vista a quando a quando. 126 Appresso il fine eh 'a quell'inno fassi, gridavano aho : <( Virum non cognosco » ; indi riccminciavan l'inno bassi. 129 Finitolo anco, gridavano : <( Al bosco si tenne Diana, ed Elice caccionne che di Venere avea sentito il tòsco». 132 Indi al cantar tornavano ; indi donne gridavano e mariti, che fùr casti, come virtute e m_atrimonio impónne. 135 E questo modo credo che lor basti per tutto il tempo che il foco gli abbrucia ; con tal cura convien, con ootai pasti che la piaga da sezzo si ricucia. 139 121. Summae Deus clementiae. — • «Dio d'i somma clemenza)). E' l'inno della Chiesa che si canta nel mattutino di sabato, e che comincia con le parole : Sum- mae parens clementiae. 123. Mi fé' caler. — ■ Mi fece desideroso. 126. Compartendo la vista. — Volgendo gli occhi ora alle ani- me dei lussuriosi ed ora al sen- tiero. 127-128. Appresso il fine ecc. — Finito l'inno, i penitenti gri- davano le parole clie Maria ri- spose £dl 'angelo Gabriele : Come potrò partorire se io non conosco uomo ? 130-132. Al bosco si tenne ecc. — Altro esempio di castità : Eli- ce, ninfa compagna di Diana, fu scacciata dal bosco, perchè sedotta da Giove. 135. Impónne. — Impone. 136. Basti. — Duri. 138-130. Con lai cura convien, ecc. • — Col cantare gli inni e gridare es^empi di castità bisogna che alla fine si espii il peccato della lussuria. 3.S.^ì La Divina Commsdia CANTO XXVI Mentre che si per l'orlo, uno innanzi altro, ce n'andavamo, e spesso il buon maestro diceva : « Guarda, giovi ch'io ti scaltro », 3 feriamì il sole in su romero destro, che già, raggiando, tutto l'occidente mutava in bianco aspetto di cilestro : ' 6 ed io facea con l'ombra più rovente parer la fiamma ; e pure a tanto indizio vid'io molt 'ombre, andando, poner mente. D Questa fu la cagion che diede inizio loro a parlar di me ; e cominciarsi a dir : « Colui non par corpo fittizio ». 12 Poi verso me, quanto potevan farsi, certi si feron, sempre con riguardo di non uscir dove non fossero arsi. ■ 15 « O tu che vai, non per esser più tardo, ma forse reverente, agli altri dopo, rispondi a me che in sete ed in foco ardo : 18 né solo a me la tua risposta è uopo ; che tutti questi n'hanno maggior sete che d'acqua fredda indo o etiòpo. 21 • Dinne com'è che fai di te parete al sol, come se tu non fossi ancora di mone entrato dentro dalla rete ». 24 3. Giovi ch'io ti scaltro. — Ti scir ecc. — Avendo cura di non sarà utile l'avvertimento datoli uscire dalle fiamme, desiderosi, di badare al cammino. cc^me tutti gli spiriti del Purga- (). Mutava in bianco aspetto di torio, di non sottrarsi alla pena. cilestro. — Mutava in bianco 20-21. N'hanno magj^ior sete, l'azzurro del cielo; erano circa — Gli spiriti desiderano la tua le quattro pomeridiane. risposta più ardentemente che 8. E pure a tanto indizio. — o l'indiani o gli Etiopi desideri- E nondimeno a così piccolo in- qo l'acqua, dizio. 22. Parete. — Int>rc(Mli i r.ic;- 14-15. Con riguardo di no.j u pi solari. - 354 — Plrgatokio - Canto XX\'I Si mi parlava un d'essi, ed io mi fora già manifesto, s'io non fossi atteso ad altra novità ch'apparve allora; 27 che per Io mezzo del cammino acceso venia gente col viso incontro a questa, la qual mi fece a rimirar sospeso. 30 Li veggio d'ogni parte farsi presta ciascun 'ombra, e baciarsi una con una, senza restar, contente a breve festa : 33 cosi per entro loro schiera bruna s'ammusa l'una con l'altra formica, forse a espiar lor via e lor fortuna. 36 Tosto che parton l'accoglienza amica, prima che il primo passo li trascorra, sopragridar ciascima s'affatica ; 39 la nuova gente : <( Sodoma e Gomorra )>, e r altra : <( Nella vacca entra Pasife, perché li torello a sua lussuria corra ». 42 Poi come gru, ch'alle montagne Rife volasser parte e parte in vèr l'arene, queste del gel, quelle del sole schife ; 45 l'una genie sen va, l'altra sen viene, e tornan lagrimando ai primi canti, ed al gridar che più lor si conviene. 48 25-27. Sì mi parlava ecc. — I sopravvenuti, che peccarono Cosi mi parlava Guido Guinizel- contro natura, gridano l'eseni- li, ed io' gli avrei già rivelato pio di .Sodoma e Gomorra, città l'essere mio se la mia attenzio- incenerite dal fuoco divino* per- ne non fosse stata attratta da al- o^ij amori mostruosi che vi si tra novità. godevano. (Gen. XVIII; XIX). 34--/). Così per entro ecc. — L'altra schiera. — Dei lus- Così le formiche, in bruna fila, suriosi, gridava l'esempio di Fa- si scontrano muso a muso, forse sifae, figlia di Apollo' e di Persei- per chiedersi conto della strada de e moglie di Minos, la quale e della fortuna nel cercarvi il innamoratasi del toro di Posei- cibo. done (Nettuno), entrò in unavac- "-,7-T,q. Tosto che parton ecc. — ca di Legno ed acci oppiandosi al Prima che le due schiere muo- t»™ generò il mostruoso Mino- vano dal punto ove si son fatta '^'J^^Montagne Rife. - I mon- annchevole accoglienza, fanno a ^./j^jf^j ^ Tp,,-barei furono onsfi gara nel gridar più forte esem- ^i.,gii antichi nel nord-est d'Eu- pio di lussuria puniti. ropa, e forse corrispondono ai 40-42. La nuova sdente ecc. — monti Urali. I.A Divina Commedia E raccostarsi a me, come davanti, essi medesmi che m' avean pregato, attenti ad ascoltar nei lor sembianti. 51 Io, che due volte avea visto lor grato, incominciai : « O anime sicure d' aver quando che sia di pace stato, 54 non son rimase acerbe né mature le membra mie di là, ma son qui meco col sangue suo e con le sue giunture. 57 Quinci su vo per non esser pili cieco : donna è di sopra che n'acquista grazia, per che il mortai pel vostro mondo reco. 60 Ma se la vostra maggior voglia sazia testo divegna, si che il ciel v' alberghi, eh' è pien d'amore e più ampio si spazia, 03 di.emi, acciò che ancor carte ne verghi, chi siete voi, e chi è quella turba che se ne va di retro ai vostri terghi )>. 66 Non altrimenti stupido si turba lo montanaro e rimirando ammuta, quando rozzo e salvatico s' inurba, 69 che ciascun' ombra fece in sua paruta ; ma poi che furon di stupore scarche, lo qual negli alti cor tosto s' attuta, 72 (( Beato te, che delle nostre marche, ricominciò colei che pria m' inchiese, per viver meglio esperienza imbarche 1 75 49. Come davanti. — Come trice) che mi otiiene da Dio la prima, .=.enza uscire dalle fiamme. rrazia di portare per il vostro 50. M'avean pregato. — Di regno il mio corico mortale, parlare. 6i-6;i. Ma se la vostra mag= 52. Lor grato. — Quel che es- gior CiCC. • — • Cosi il vostro mag- si desideravano : la mia parola. n^ior desiderio di salire all'Em- .=i.S-.^7- Non son rimase acerbe pirco sia soddisfatto, ecc! ^- Non ho lasciato il mio ' 67-70. Non altrimenti stupido corpo, né s'io^-ine né vecchio eoe. — Le ombre anmiutolirono nel mondo, ma l'ho qui con me, stupite come il rozzo montanaro perchè son vivo. che entra in una città. sS. Per non esser più cieco. — 72. S'attuta. — S'affievolisce, Della mente, nel peccato. si spegne. :^<)-6o. Donna è di sopra ecc. 73-75- Beato te ecc. — Beato — E' di sopra una donna (Bc;i- te, ricominciò il Guinizelli, che - 356 - Purgatorio - Canto XXVI La gente, che non vien con noi, offese di ciò per che già Cesar, trionfando, ' Regina ' oontra sé chiamar s' intese ; però si parton ' Sodoma ' gridando, rimproverando a sé, com' hai udito, ed aiutan 1' arsura vergognando. Nostro peccato fu ermafrodito ; ma perché non servammo umana legge, seguendo come bestie 1' appetito, in obbrobrio di noi, per noi si legge, quando partiamci, il nome di colei che s' imbestiò nell" imbestiate schegge. Or sai nostri atti, e di che fummo rei : se forse a nome vuoi saper chi semo, tempo non è da dire, e non saprei. Faretti ben di me volere scemo : son Guido Guinizelli, e già mi purgo per ben dolermi prima eh' all' estremo ». 78 81 84 87 9U 93 per vivore nella gloria del Signo- re puoi raccoolii;re esperienza nelle nostre contrade (marche). 76-78. La ;^ente, che non vien ecc. — La gente che si muove in direzione opposta alla nostra è la schiera dei Sodomiti, che peccarono come Cesare con Ni- comede re di Bitinia. Ce'^are si guadagnò, per i suoi dissoluti co- stumi, il nome di regina da Ot- tavio, e di regina di Bitinia da M. Bibulo. 81. Aiutan l'arsura vergognane do. — Citano a prepria vergogna gli esempi di Sodoma, aiutando cosi l'opera purificatrice delle fiamme. 82. Nostro peccato fu ermafro- dito. — Bisessuale. 85-87. Per noi si legge ecc. — Da noi si sente gridare a nostra vergogna il nome di Pasifac, quando ci separiamo dall'altra schiera. Imbestiate schegge. — La fal- sa vacca. 91. Farotti ben di me ecc. — Appagherò il tuo desiderio di co- noscer chi io sia. q2. Guido Guinizelli. — Bolo- gnese, vissuto tra il 1230 e il 1276. Parteggiò con i ghibellini, fu podestà in varie città, e fu esiliato dalla sua città il 1274. E' il poeta migliore della scuola dottrinale ; egli prendendo le mos- se dalla poesia provenzale, vi ag- giunse contenuto filosofico e for- ma elegante. 92-9-5. Già mi purgo ecc. — Sonoi in Purgatorio perchè prima di morire mi sono pentito dei miei falli. Duule. — .-^57 — l.\ Divina Commedia Quali nella tristizia di Licurgo si fèr due figli a riveder la madre, tal mi fec' io, ma non a tanto insurgo, 96 quand'i' odo nomar sé stesso il padre mio e degli altri miei miglior, che mai rime d' amore usar dolci e leggiadre : 99 e senza udire e dir pensoso andai lunga fiata rimirando lui, né per lo foco in là più m' appressai. 102 Poi che di riguardar pasciuto fui, tutto m'offersi pronto al suo servigio, con r affermar che fa credere altrui. 105 Ed egli a me : (( Tu lasci tal vestigio, par quel eh' i'odo, in me e tanto chiaro, che Lete no '1 può tòr, né farlo bigio. 108 Ma, se le tue parole or ver giurare, dimmi che è cagion, per che dimostri nel dire e nel guardare avermi caro». Ili Ed io a lui : (( Li dolci detti vostri che, quanto durerà 1' uso moderno, faranno cari ancora i loro inchiostri)). 114 (< O frate, diss-e, questi eh' io ti scerno col dito (ed additò un spirto innanzi) fu miglior fabbro del parlar materno. 117 04-').v Oliali libila tristizia ecc. ecc. — Tu lasci in me. tale r\- — Licui'oo, re di Nemea, aveva cordo che il I^ete, fiume dell'o- condannato a morte la schiava blio, non potrà cancellarlo né of- Isifile, perchè aveva abbandonato fuscario. il fiiafliuolo del re Ofelte, ma es- 112-114. Detti. — Poesie in sa fu salvata dai figli. volofare. q6-qq. Tal mi féc' io ecc. — 115. Questi ch'io ti scerno. — Lo stesso amore io sentii quan- 'J"i indico, il addito. E' il rinia- do intesi il nome di Guinizelli, tcre provenzale Arnaldo Daniello ma per paura delle fiamme mi del quale restano diciotto compo- astenni dall 'abbracciare il mae- nimenti in versi. Dante lo stima- stro mio e dei poeti migliori di va assai come inventore della se- me, stina. Viss^ verso il 1200. 103. Pasciuto, — Sazio. 117. Fu rnij^Iior fabbro ecc. — 105. Con l'affermar ecc. — Fu poeta migliore di me nel can- Giurando. tare nella sua lingua materna, 106-108. Tu lasci tal vestigio ossia la provenzale. - .-^.ss - Purgatorio - Canto XXVI Versi d' amore e prose di romanzi soperchiò tutti, e lascia dir gli stolti che quel di Lemosi credon eh' avanzi. 120 A voce più eh' al ver drizzan li volti, e cosi ferman sua opinione prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti. 123 Cosi fér molti antichi di Guittone, di grido in grido pur lui dando pregio, fin che l'ha vinto il ver con più persone. 126 Or, se tu hai si ampio privilegio, che licito ti sia 1' andare al chiostro, nel quale è Cristo abate del collegio, 129 fagli per me un dir di paternostro, quanto bisogna a noi di questo mondo, dove poter peccar non è più nostro». 132 Poi, forse per dar loco altrui, secondo che presso avea, disparve per lo foco, come per l'acqua pesce andando al fondo. 135 Io mi feci al mostrato innanzi un poco, e dissi eh' al suo nome il mio disire apparecchiava grazioso loco. 138 118-120. Versi d'amore ecc. — Superò tutti i versi d'amore e tutti i T'Omanzi in prosa fran- cese, e lascia che gli sciocchi gli antepongano Giraldo di Bor- nelh, nato nel Limosino e vis- suto tra il 1175 e il 1220. Trattò liriche d' Indole varia in forma popolare e dai supi contempora- nei fu chiamato : maestro dei trovatori. i2i-i2;:5. A voce più ch'ai ver ecc. — Credono più alla voce d:;l volgo che alla verità e si forma- no un'opinione senza badare al- la ragione o all'arte. 124-126. Così fèr molti ecc. — Cosi dapprima per voce comune sii onorava Guittone del Viva, na- to il 1220 e morto il 1295, dei frati gaudenti, rimatore fecon- dissimo, capo della scuola dottri- nale ; finché per epura di molti r.on è prevalso il vero con ap- prezzamenti più giusto sul poe- ta. 127-132. Or, se tu hai ecc. — Ora se a te è dato poter salire in Paradiso, (chiositro) ove Cri- stro primeggi^^ tra i beati, re- citagli per me un paternoster, ma senza l'ultime versetto dell'ora- zione domenicale, che non riguar- da le anime éeì Purgatorio, le Quali non possano pii!i peccare. 133-134. Secondo che presso avea. . — Secondo che gli v(ni\a appresso. 136-138. Io mi feci al mostra- to ecc. — MI posi avanti a Da- niello mostratomi dal Guinizelli e gli dissi che l'animo mio era desideroso ecc. 3.S9 La Divina Commedia Ei cominciò liberamente a dire : (c Tan m' abellis vostre cortes derìian, qu' ieu no me puesc ni-m voill a vos cobrire. 141 leu sui Arnaut, que piar e vau cantari : consiros vai la passada folor, e vei iauzcn lo jorn, qu' esper, denan. 144 Ara US prec, per aquella valor que vos guida al som d' està esc alina, sovcnha vos a temps de ma dolor », Poi s' ascose nel foco che gli affina. 148 140-147. Tan m'abellis ecc. — La vostra domanda cortese mi è così gradita, che io non posso né voglio nascondermi a voi. So- no Arnaldo che piango e vo can- tando ; pensoso vedo la follìa passata, e lieto vedo innanzi il gioirne che spero. Ora vi prego, per questa virtù che vi guida al sommo di questa scala : vi sov- venga a tempo del mio dolore. 148. Gli affina. — Li purifica. CANTO XXVII Si come quando i primi raggi vibra là dove il suo fattore il sangue sparse, cadendo Ibero sotto 1' alta Libra e r onde in Gange da nona riarse, si stava il sole, onde il giorno sen giva, quando 1' angel di Dio lieto ci apparse. 1-5. Sì come quando i primi ecc. — 11 sole «si stava» nella stessa posizione che ha quando manda i primi raggi su Geru- salemme, ove Cristoi (suo Fattore) sparse il sangue ; cioè il sole in Purgatorio tramontava, invece a Gerusalemme, che è agli anti- Dodi, levavasi ; alle sorgenti del- l'Ebro (fiume- spagnuolo ritenuto da Dante a 90° da Gerusalem- me) era mezzanotte (l'ora in cui la Libra è sul meridiano con la notte), e sul Gan^e, a qo gradi ad oriente di Gerusalemme, era mezzogiorno, e le sue acque era- no riarse dal sole. 4. Nona. — La quinta delle sette parti in cui si divide l'uf- fizio divino ed è recitata a mez- zodì. 360 Pttroatorio - Canto XX\"fI Fuor della fiamma stava in su la riva e cantava : «Beati mando corde», in voce assai più che la nostra viva. 9 Poscia : « Più non si va, se pria non morde, anime sante, il foco ; entrate in esso, ed al cantar di là non siate sorde » ; 12 ci disse come noi gli fummo presso : per eh' io divenni tal, quando lo intesi, quale è colui che nella fossa è messo. 15 In su le man commesse mi protesi, guardando il foco e imaginando forte umani corpi già veduti accesi. 18 Volse rsi verso me le buone scorte, e Virgilio mi disse : u Figliuol mio, qui può esser tormento, ma non morte. 21 Ricordati, ricordati... e, se io sopr'esso Gerion ti guidai salvo, che farò ora presso più a Dio? 24 Credi per certo che, se dentro all' alvo di questa fiamma stessi ben mill' anni, non ti potrebbe far d'un capei calvo; 27 e se tu credi forse ch'io t'inganni, fatti vèr lei e fatti far credenza con le tue mani al lembo de' tuoi panni. 30 S. i( Beati munJo corde». — 17. Forte. — Vivamente. L'anefelo della castità, custode io- I-e buone scorte. — ■ \'irg:- del settimo cerchio, canta la se- lio e Stazio. s.ta beatitudine evangelica, a Bea- 22. Ricordati, ricordati... ecc. ti i puri di cuore, poiché vedran- — Reticenza per dire : ricoida le, no Iddio, n (ante volte che ti ho tratto in 10-12. Più nou si va ecc. — ■^alvo. dal pericolo ; e se finanche Non si va oltre se non passando su! dorso di Gerione ti ho posto attraverso le fiamme e date a- al sicuro, quanto mi sarà più fa- scolto alla voce deil'anj^elo che cile ora che siamo vicini a Dio? suona di là da esse. 2:^-26. Dentro all'alvo di que= 14-15. Per ch'io divenni tal sta fiamma. — Nel seno di que- ecc. — - Per cui mi atterrii come sta fiamma. chi è condannato alla propafifgi- 2o-.'^o. Fatti far credenza ecc. nazione, cioè ad esser confitto — Fanne la prova, mettendo nel- vivo nel'a fossa. le fiamme un lembo dei tuoi 16. Commesse. — Ck>ngiunte. oanni. — 361 — La Divina Commedia Poh giù ornai, pon giù ogni temenza ; volgiti in qua, e vieni oltre sicuro». Ed io pur fermo e contro a coscienza ! Quando mi vide star pur fermo e duro, turbato un poco disse : ce Or vedi, figlio, tra Beatrice e te è questo muro ». Come al nome dì Tisbe aperse il ciglio Piramo, in su la morte, e riguardolla, allor che il gelso diventò vermiglio ; cosi, la mia durezza fatta solla, mi volsi al savio duca, udendo il nome che nella mente sempre mi rampolla. Ond' ei crollò la testa e disse : « Come? volemci star di qua ? » indi sorrise, come al fanciul si fa eh' è vinto al pome. Poi dentro al foco innanzi mi si mise, pregando Stazio che venisse retro, che pria per lunga strada ci divise. 33 36 39 42 45 48 33. Ed io pur fermo ecc. — Ed io rimanevo ancora fermo, ad onta che la coscienza mi am- monisse di dare ascolto alle e- sortazioni di Virgilio^ 36. Questo muro. — La pare- te di fiamme. y,7-T,q. Come al nome di Tisbe — Piramo, giovinetto di Ba- bilonia, amava Tisbe ; datisi convegno presso un gelso, vici- no alla tomba di Nino, Tisbe che vi giunse prima, dovè fug- gire per il sopraggiungere di un leone, abbandonando il suo velo. T-a ri(>ra lo slraccTò con i denti insanguinandolo, e Piramo quan- do lo vide, immaginando la Mia Tisbe sbranata dalle belve, si fe- ri a morte. Tornata Tisbe, ve- dendo Piramo agli estremi, in nianto l'esortava a guardarla ; Piramo potè aprire gli occhi, già gravati dalla morte, e, riguar- data l'amante, spirò. Anche Ti- sbe s'uccise e d'allora il ge'so dette frutti vermigli. 40. Cesi la mia durezza fatta solla. — Cosi la mia ostinazione fatta arrendevole. 41-42. Udendo il nome e«c. — udendo il nome di Beatrice che sempre nella mente mi risorge. 44. Volemci star di qua? — Ld ora che sai che Beatrice è di là dalle fiamme, resteremo ancora di qua? 45. Come al fanciul si fa ecc. — Come si sorride al fanciullo per indurlo a fare cosa che pri- ma rifiutava, col dono d'un po- mo 47-4S. Pregando Stazio, cu. — Pregando Stazio di seguir me, mentre prima mi av va pri"- ceduto, dividendomi cosi da Vir- gilio, sullo stretto sentiero. — 362 — PiTRGATORio - Canto XXVII Come fui dentro, in un bogliente vetro gittate mi sarei per rinfrescarmi, tant' era ivi lo incendio senza metro. 51 Lo dolce padre mio, per confortarmi, pur di Beatrice ragionando andava, dicendo : « Gli occhi suoi già veder parmi ». 54 Guidavaci una voce che cantava di là ; e noi, attenti pure a lei, venimmo fuor là dove si montava. 57 « Venite benedicti patris mei », sonò dentro ad un lume che li era, tal che mi vinse e guardar no '1 potei. 60 « Lo sol sen va, soggiunse, e vien la sera : non v'arrestate, ma studiate il passo, mentre che 1' occidente non s' annera ». 63 Dritta salia la via per entro il sasso, verso tal parte eh' io toglieva i raggi dinanzi a me del sol eh' era già basso ; 66 e di pochi scaglion levammo i saggi, che il sol corcar, per 1' ombra che si spense, sentimmo retro ed io e li miei saggi. 69 E pria che in tutte le sue parti immense fosse orizzonte fatto d' un aspetto e notte avesse tutte sue dispense, 72 ciascun di noi d' un grado fece letto ; che la natura del monte ci affranse la possa del salir più che il diletto. 75 51. Senza metro. — Senza mi- 64-66. Dritta salìa la via ecc. sura, indicibile. — La scala s'apriva nel sasso, 53. Fur. — .'■c'o, erme al ver- salendo da ovest ad est, ed io so 56. avevo alle spalle il sole, giù pres- 58. Venite beuedicti patris mei. . so al tramonto. — Sono le parole che Cristo dirà 67-69. E di pochi scaglion nsfli eletti nel giorno del giudi- ecc. — Esperimontammo, salen- zio : «Venite, o benedetti dal deli, pochi scalini, quando io ed i Padre mio, ereditate il regno due poeti ci accorgemmo che il che vi è stato preparato dalla sole era tramo^ntato dall'ombra fondazione del mondo ». che era scomparsa. ^q. Un lume. — Una figura 70-7^. E pria che in tutte ecc. radiosa. — E prima che tutto l'immenso 60. Mi vinse. — Mi abbagliò. orizzonte fosse coverto di tene- 63. Mentre. — Prima che. hre, e la notte (del 12 aprile) a- — .363 — La Divina Commedia Quali si fanno ruminando manse le capre, state rapide e proterve sopra le cime, avanti che sien pranse, tacite all' ombra, mentre che il sol ferve, guardate dal pastor, che in su la verga poggiato s' è, e lor di posa serve ; e quale il mandrian, che fuori alberga, lungo il peculio suo queto pernotta, guardando perché fiera non lo sperga ; tali eravamo tutti e tre allotta, io come capra ed ei come pastori, fasciati quinci e quindi d' alta grotta. Poco potea parer li del di fuori ; ma per quel poco vedev' io le stelle, di lor solere e più chiare e maggiori. Si ruminando a si mirando in quelle, mi prese il sonno ; il sonno che sovente, anzi che il fatto sia, sa le novelle. Nell'ora, credo, che dell'oriente prima raggiò nel monte Citerea, che di foco d' amor par sempre ardente. 78 81 84 87 90 93 96 vcsse diffuso le sue ombre, cja- scuno di noà scelse un gradino oer dormirvi, poiché l'erta mon- tana ci tolse lena e diletto a sa- lire. 70-S7. Quali si fanno runii= nando ecc. — Co.i.e le capre, che, prima di mangiare balzano ardite sulle cime, e poi, pasciute (pranse), si sdraiano quiete al- l'ombra nelle ore canicolari a ru- minare, (manse : mansuete), il che loro serve anche di riposo, guardate dal pastore, appoggiato alla verga ; o come il mandriano pernotta all'aperto accanto al suo eregge (peculio), per difenderlo dalle fiere, cosi eravamo noi tre, tra le alte pareti della scala. Io era la capra ; Virgilio e Stazio erano i past'>ri. 88-00. Poco potea parer ecc. — Incassati tra la roccia, poco ci si mostrava dell'es:erno, ma in al- to le stelle apparivano più chia- re e grandi che non sogliano. Qi. Ruminando. - Ripensan- do alle cose vedute. 93 Anzi che il tatto ecc. — Il soinno, mediante i r.f>gni delle ore precedenti il mattino, spesso annunzia avvenimenti prossimi ad accadere. 94-o.v Nell'ora, credo, ecc. - NtMl'ora che precede l'alba, quan- do il pianeta Venere comincia ad illuminare il monte del Pur- gatorio da oriente. 95. Citerea. — Venere così chiamala dall' isola di ('itera, oggi Ccrigo, dove essa nacque dalle spume del mare. - .164 Pttrgatorio - Caxto XW'Il giovane e bella in sogno mi parea donna vedere andar per una landa cogliendo fiori ; e cantando dicea : 99 « Sappia, qualunque il mio nome domanda, ch'io mi son Lia, e vo movendo intorno, le belle mani a farmi una ghirlanda. 102 Per piacermi allo specchio qui m'adorno; ma mia suora Rachel mai non si smaga dal suo miraglio, e siede tutto giorno. 105 EU' è de' suoi begli occhi veder vaga, com'io dell'adornarmi con le mani; lei lo vedere, e me l'oprare appaga». 108 E già, per gli splendori antelucani, che tanto ai peregrin surgon più grati quanto tornando albergan men lontani, 111 le tenebre fuggian da tutti i lati, e il sonno mio con esse; ond'io levami veggendo i gran maestri già levati. 114 (( Quel dolce pome, che per tanti rami cercando va la cura de' mortali, oggi porrà in pace le tue fami». 117 Virgilio inverso me queste cotali parole usò, e mai non furo strenne che fosser di piacere, a queste eguali. 120 101. Io mi son Lia, ecc. — log. Antelucani. — Precedenti Lia, figlia di Labini prima la luce; è l'alba del tredici a- mcjo'lie del patriarca (jiacobbe. prile. Simbolegf.s^ia la vita attiva. no. Più grati. — Perchè an- I03-I0.T. Per piacermi allo nunziano l'avvicinarsi del mo- specchio ec.. — Per compiacer- mento di rivedere la patria, mi di me quando mi specchierò iio-iii. Che tanto ai peregrin in Dio, mi adorno di questi fic- ecc. ■ — Che seno tanto più grati ri (opere virtuose). Invece mia ai pellegrini, perchè, ponendosi .sorella Rachele (seconda moglie ancora in viaggio, si avvicinano di Giacobbe), simliolo della vita alla mèta. contemplativa, non si distoglie uó. La cura. — Dei mortali mai dal suo specchio (miraglio) cerca il bene (pome), che è Dio. 11^-117. Quel dolce pome, ecc. 106-107. Ell'è de' suoi begli ._ jj sommo bene, che gli uomi- occhi ecc. — Ella è beato nella ni cercano affannosamente per contemplazione divina ; io mi beo tante vie, oggi appagherà la tua nell'operare secondo i divini pre- brama, cctti. iiq. Strenne. — Doni, rodali. - :M - r.A Divina Commedia Tanto voler sopra voler mi venne dell'esser su, eh' ad ogni passo poi al volo mi sentia crescer le penne. 123 Come la scala tutta sotto noi fu corsa, e fummo in sul grado superno, in me ficcò Virgilio gli occhi sud, 126 e disse : (( Il temporal foco e 1' eterno veduto hai, figlio, e sei venuto in parte ov' io per me più olire non discerno. 12fi Tratto t'ho qui con ingegno e con arie; lo tuo piacere ornai prendi per duce : fuor sei dell'erte vie, fuor sei dell'arte. 132 Vedi là il sol che in fronte ti riluce ; vedi l'erbetta, i fiori e gli arbuscelli, che qui la terra sol da sé produce. 135 Mentre che vegnan lieti gli occhi belli, che lagrimando a te venir mi fenno, seder ti puoi e puoi andar tra elli. 138 Non aspettar mio dir più né mio cenno : libero, dritto e sano è tuo arbitrio, e fallo fora non fare a suo senno : perch' io te sopra te corono e mitrio ». 142 12 I-I 23. Tanto voler sopra vo luce. — La grazia divina, per- ier ecc. — Moltiplicavasi il desi- che dalla fronte di Dante sono derio di salire al sommo del col- stati cancellati i sette P del pec- le, per cui ad ogni passo acqui- cato. stavo lena maggiore. 1716-138. Mentre che rej^nan 125. Grado superno. — L'ulti- lieti ecc. — Finché non li mo gradino. appariranno, lieti della tua sal- i27-i2q. I! tempora! foco ecc. vazionc, gli occhi di Beatrice, che — Sei passato per l'Inferno, ove col pianto mi fecero venire a te, le pene sono eterne, e per il puoi sedere o andare tra l'er- Purgatorio , ove le pene sono betta, i fiori e gli arboscelli : temporanee, ed ora sei giunto puoi scegliere tra la vita Don- nei Paradiso terrestre, ove la ra- templativa e la vita attiva, gicne umana, senza la luce delia 141. E fallo ecc. — Sarebbe rivelazione e la fede, non basta errore non agire secondo l'arbi- alla comprensione delle cose. trio tuo che ora è libero, dirit- 131. Lo tuo piacere ornai ecc. to, sano. — Ormai segui la tua naturai 142. Perch'io te sopra te ecc. disposizione a salire verso il — Per cui li proclamo assoluto sommo bene. signore di le stesso, e cioè pa- 132. Arte. — Strette. drone delle tue azioni e dei tuoi 133. Il sol che in fronte ti ri- pensieri. — 366 — PuRCxATORìo - Canto XXVIII CANTO XXVIII Vago già di cercar dentro e dintorno la divina foresta spessa e viva, eh' agli occhi temperava il nuovo giorno, 3 senza più aspettar lasciai la riva, prendendo la campagna lento lento su per lo suol che d'ogni parte oliva. 6 Un' aura dolce, senza mutamento avere in sé, mi feria per la fronte non dì più colpo che soave vento, 9 per cui le fronde, tremolando pronte, tutte quante piegavano alla parte u' la prìm' ombra gitta il santo monte ; 12 non però dal lor esser dritto sparte tanto che gli augelletti per le cime lasciasser d' operare ogni lor arte : \^ ma con piena letizia 1' óre prime, cantando, ricevieno intra le foglie, che tenevan bordone alle sue rime; 18 tal qual di ramo in ramo si raccoglie per la pineta in sul lito di Chiassi, quand' Eolo Scirocco fuor discioglie. 2l 2. La divina foiesta. — Il pa- ne obbedienti al vento, non si radiso terrestre. DÌe.c:avano oosl da impedire agli 4. La riva. — L'estremità del uccelletti di cantare e saltellare ripiano, la sog^Iia del Paradiso da un ramo all'altro, terrestre. 16-18. L'ère prime, cantando, 6. Oliva. — Olezzava. ecc. — Respiravano le prime 7-8. Senza mutamento avere aure tra le foglie che, stormendo, in sé. — D'intensità costante accompagnavano il loro canto, e senza perturbazioni. iq-21. Tal qual di ramo ecc. 11-12. Piegavano alla parte, — Come si ode stormire la pi- ece. — Piegavano ad occidente. neta di Ravenna presso Classe, 13-15. Non però dal lor esser allorquando Eolo, Di.> dei venti, dritto ecc. — Le fronde, sebbe- )fa soflfiare scirocco. - .167 - La Divina Commedia Già m' avean trasportato i lenti passi dentro alla selva antica tanto eh' io non potea rivedere ond' io m'entrassi: ed ecco più andar mi tolse un rio, che in vèr sinistra con sue picciole onde piegava 1' erba che in sua riva uscio. Tutte l'acque che son di qua più monde parrieno avere in sé mistura alcuna, verso di quella che nulla nasconde ; avvegna che si mova bruna bruna sotto l'ombra perpetua, che mai raggiar non lascia sole ivi né luna Coi pie ristetti e con gli occhi passai di là dal fiumicello, per mirare la gran variazion dei freschi mai ; e là m'apparve, si com'egli appare subitamente cosa che disvia per maraviglia tutt' altro pensare, una donna soletta, che si già cantando ed iscegliendo fior da fiore, ond' era pinta tutta la sua via. 24 27 30 33 36 39 42 2v Più andar mi tolse un rio. • — Di andar oltre m'impedì il fiumicello Lete, che nasce dal- lo stesso fonte ma corre in dire- zione opposta all'altro fiume del Paradiso terrestre, l'Eunoè. Il Lete dà l'oblio dei peccati espia- ti, l'Eunoè il ricordo delle opere virtuoso compiute. 28-3-,. Tutte l'acque che son di qua ecc. — Tutti i corsi d'ac- qua della terra, anche i piìi puri, apparirebbero torbidi in confron- to del Lete, non ostante esso scorra sotto ombre eterne. -^6. La gran variazion dei' freschi mai. — La ricca varietà (Ielle piante in fiore, il maro è Il ramo fiorito che alla mattina di calendimag^S'io si poneva alla finestra o davanti all'uscio. 3S-39. Cosa che disvia ecc. — Cosa che distrae per stupcre da og^ni altro pensierc^ 40. Una donna soletta. — Ma- telda, guida Dante nel Paradi- so terrestre dopo la sparizione di Virgilio. Alcuni vosj^liono che ella sia la contessa Matilde di Toscana, che propus^nù g^l'inte- ressi del papato contro l'imp<^- ro nella lotta delle investiture. Altri ritengono che ella sia una delle donne menzionate nella « Yila nuova». Oscuro anche, e variamente inteso, è il siimbolo in lei adombrato. Per i più ella starebbe a significare la vita at- tiva, rome TJa. j|2. Pinta. — Sii;allal:i. 368 — Purgatorio - Canto XXVIII «Deh, bella donna, ch'ai raggi d'amore ti scaldi, s'io vo' credere ai sembianti che soglion esser testimon del core, 45 vegnati voglia di trarreti avanti diss' io a lei, verso questa riviera, tanto eh' io possa intender che tu canti. 48 Tu mi fai rimembrar, dove e qual era Proserpina nel tempo che perdette la madre lei, ed ella primavera». 51 Come si volge, con le piante strette a terra ed Intra sé, donna che balli, e piede innanzi piede a pena mette, 54 volsesi in sui vermigli ed in sui gialli fioretti verso me, non altrimenti che vergine che gli occhi onesti avvalli ; 57 e fece ì preghi miei esser contenti, si appressando sé che il dolce suono veniva a me co' suoi intendimenti. 60 Tosto che fu là dove l'erbe sono bagnate già dall'onde del bel fiume, di levar gli occhi suoi mi fece dono : 63 non credo che splendesse tanto lume sotto le ciglia a Venere trafitta dal figlio, fuor di tutto suo costume. 66 Ella ridea da'l' altra riva dritta, traendo più color con le sue mani, che l'alta terra senza seme gitta. C'j 46. Vegnati. — Compiacili — Esaudì la mia piei,'li;era av- d'accostarti al fiume. vi,cinandosi, cosi cht; io sentivo 49-51. Dove e qual era ecc. — l'atmonia del canto e il suo si- Mi fai ricordare di Proserpina, unificato. che fu rapita da Plutone quan- 65-66. Venere trafìtta dal ti- d'ella stava cogliendo fiori nel glio ecc. — Cui)ido, che non fe- bosco di Enna. E cosi la madre risce mai a caso, per errore feri Cerere perdette lei, ed ella i fiori ja madre Venere, che s'innamoirò raccolti. . . ,. di Adone. 52. Piante. - De. piedi. g Dritta. - Destra. 55.. Verm.gh. - Il co ore ver- ^^^^^^^ ^^,^^ ^^^_ rma^lio è simbolo di canta, quel- ^ ,. , - . ,. . , lo giallo della purezza. — Cogliendo fion di vario colo- 57. Avvalli. — Abbassi. re, prodotti dal vertice de! Pa- 58-60. Fece i preghi mi^i ecc. radiso terrestre. — .-^69 — l.A Divina Commedia Tre passi ci facea il fiume lontani ; ma Ellesponto, dove passò Xerse, ancora freno a tutti orgogli umani, 72 più odio da Leandro non sofferse, per mareggiare intra Sesto ed Abido, che quel da me, perché allor non s' aperse. 75 (( Voi siete nuovi, e forse perch' io rido, cominciò ella, in questo loco eletto all'umana natura per suo nido, 78 maravigliando tienvi alcun sospetto •. ma luce rende il salmo Delectasti, che puote disnebbiar vostro intelletto. 81 E tu, che sei dinanzi e mi pregasti, di' s'altro vuoi udir, ch'io venni presta ad ogni tua question, tanto che basti ». 84 (( L'acqua, diss' io, e il suon della foresta, impugnan dentro a me novella fede di cosa, ch'io udi' contraria a questa». 87 Ond'ella : « Io dicerò come procede per sua cagion ciò eh' ammirar ti face, e purgherò la nebbia che ti fiede. 90 Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace, fece r uom buono e a bene, e questo loco diede per arra a lui d'eterna pace. 93 70. Tre passi ci facea ecc. — luog^o, che fu creato per l'uomo, Il fiume ci divideva di tre passi. vi meravigliate del mio riso. Ma 7I-7.T. Ma Ellesponto, dove il Salmo 92 può illuminarvi con passò ecc. — Leandro, innamo- le sue parole « Poiché, o Signore, rato di Ero, per vederla di notte tu mi hai rallegralo coai le cose traversava l'Ellesponto da Abido fatte da te, io esulterò alle ope- a Sesto, finché non vi annegò. re fatte dalle tue mani». Leandro non odiava l'Ellesponto, 86. Impujlnan. — Combattono che lo divideva da Ero, come la recente credenza che qui non Dante odiò Lete, che lo separa- vi sian agenti atmosferici, va da Matelda. qo. Ti fìede. — Ti offusca l'in- 71. Xerse. — Figlio di Da- telletto. rio, re di Persia, passò, nel 4S0, ^^j.^, l^ sommo Ben, che so= lo stretto dei Dardanelli su due ,„ ^^^^ _ ^. ^^^ ,^,^ ^; ^^ ponti di navi, per far guerra ai . . , ,, „ , „„^ ^j U . T (-«^ _„ fx „ si piace, creò uomo buono ed Greci. La sua sconfitta restò e- ' ' ., , ,. sempio d'orgoglio punito. ^"o ^ f'»'e 'l bene, e gli asse- 76-81. Voi siete nuovi ecc. — ^nò il Paradiso terrestre qua! pe- Pcrchò siete ignari di questo gno di bcatitud'ne celeste. — 370 — Purgatorio - Canto XXVIII Per sua diffalta qui dimorò poco ; per sua diffalta in pianto ed in affanno cambiò onesto riso e dolce gioco. 96 Perché il turbar, che sotto da sé fanno l'esalazion dell'acqua e della terra, che, quanto posson, retro al calor vanno, 99 all'uom non facesse alcuna guerra, questo monte salio verso '1 elei tanto ; e libero n' è d'indi, ove si serra. 1(»2 Or, perché in circuito tutto quanto r aer sì volge con la prima volta, se non gli è rotto il cerchio d'alcun canto; 105 in questa altezza, che in tutto è disciolta neir aer vivo, tal moto percote, e fa suonar la selva perch' è foha ; 108 e la percossa pianta tanto puote, che della sua virtute l'aura impregna, e quella poi girando intorno scote ; 111 e l'altra terra, secondo eh' è degna per sé e per suo ciel, concepe e figlia di diverse virtù diverse legna. 114 Non parrebbe di là poi maraviglia, udito questo, quando alcuna pianta senza seme palese vi s' appiglia. 117 E saper dèi che la campagna santa, ove tu sei, d'ogni semenza è piena, e frutto ha in sé che di là non si schianta. 120 94- Diffalta. — Pel suo fallo, li sottostanti, ruota da est ad per il peccato originale. c-vest attorno ad essa, a meno 07-102. Perchè il turbar, che .che il moto di rotazione non sia sotto ecc. — Affinchè le esala- interrotto in qualche parte. Tale zioni che si levano dall'acqua e moto percote i! Paradiso terre- dalia terra, generate dal calore, stre, che si leva nell'aria purissi- non avessero turbato il primo uo- ma, e fa risonare la selva perchè mo, questo monte si levò verso è folta. E gli alberi affidano i il cielo tanto, che_, dalla porta del semi all'aria mossa, che li porta Purgatorio in su, esso fosse sot- in giro sulla Terra, e a seconda tratto alle variazioni atmosferi- de! suolo e del clima, genera le che. \arie piante. 103-114. Or, perchè in circui- n-. Di !à. — Sulla terra. ti) ecc. — La terra è ferma ed 120. E frutto ha in sé ecc. — il Primo Mobile, con tutti i ci-- Ed ha frutti che n^l mondo non — 37i — La Divina Commedia L' acqua che vedi non surge di vena, che ristori vapor che gel converta, come fiume eh' acquista e perde lena, 123 ma esce di fontana salda e certa, che tanto dal voler di Dio riprende, quant'ella versa da due parti aperta. 126 Da questa parte con virtù discende che toglie altrui memoria del peccato ; dall'altra, d'ogni ben fatto la rende. 129 Quinci Lete, cosi dall' altro lato Eunoè sì chiama, e non adopra, se quinci e quindi pria non è gustato. 132 A tutt' altri sapori esto è di sopra : ed avvegna eh' assai possa esser sazia la sete tua, perch' io più non ti scopra, 135 darotti un corollario ancor per grazia ; né credo che il mio dir ti sia men caro, se oltre promission teco si spazia. 138 Quelli, che anticamente poetare l'età dell'oro e suo stato felice, forse in Parnaso esto loco sognaro. 141 Qui fu innocente l'umana radice; qui primavera è sempre, ed ogni frutto ; nettare è questo di che ciascuri dice». 144 si cols'ono : sono quelli dell'albe- l'altra, formando l'Eunoè, rida ro della vila, o'^sia dol bene e iiuella del bene opprnto. del inale. 131-132. E non adopra, ecc. — 121-126. L'acqua che vedi non e ,io,n "opera il suo eftetio se pri- Slirge ecc. — L'acqua del Lete nia non se ne beve. non è sorgenle che si alimenti 13^. La sete tua. — Il tuo d'- eoi vapore trasformato in piog- siderio di sapere, eia dall'aria fredda, come ogiii 136. Corollario. — X'eriià de- fiume che ha volume di acque rivata, conclusione accessoria, variabile ; ma sorge da fonte CC'- Qui vale asi^iunla al ragioina- slante, che ha tant'acqua, se- mento. comdo il volere divino, quanta 13S. Se rltre promission teco ne versa nei due fiumi Lete ed si spazia. — Se sarà più lungo Eunoè. di quanto ti ho promesso. 127-129. Da questa parte ecc. 141. Forse in Parnaso ecc. — — La sorgente, da questa parte, l'u una finzione poetica, formando il Lete, toglie la me- 142-144. Qui fu innocente ecc. moria del peccato espiato, dal- — Qui fu po.slo innocente il pri- — .-^72 — Purgatorio - Canto XXIX Io mi volsi di retro allora tutto a' miei poeti, e vidi che con riso udito avean l'ultimo costrutto: poi alla bella donna tornai il viso. 148 mo uomo, qui è primavera eter- na, .s;li alberi danno sempre frui- ti e l'acqua dei fiumi è nettare, di cui parlano i poeti. 147. L' ultimo costrutto. — L'accenno all'età dell'ore. 148. Tornai. — Rivolsi. CANTO XXIX Cantando come donna innamorata, continuò col fin di sue parole : a Beati, quorum teda sunt peccata». E come ninfe che si givan sole per le salvatiche ombre, disiando qual dì veder, qual di fuggir lo sole, allor si mosse contra il fiume, andando su per la riva, ed io pari di lei, picciol passo con picciol seguitando. Non eran cento tra i suo' passi e i miei, quando le ripe igualmente dièr volta, per modo eh' a levante mi rendei ; né ancor fu cosi nostra via molta, quando la donna tutta a me si torse, dicendo : « Frate mio, guarda ed ascolta ». 12 16 T,. Beati quorum tecta sunt peccata. — E' nel salmo XXXII : « Beato colui, la cui trasgressio- ne è rimessa, e i cui peccati so- ni coperti ! » 5;. Salvatiche. — Della selva. 7-9. Allor sì mosse contra il fiume, ecc. — Percorreva la ri- va, a ritroso del fiume, ed m dall'altra riva, a piccoli passi, le stavo al pari. 10-12. Non eran cent 9 tra i suo' passi ecc. — Avevamo per- corso una cinquantina di passi per ciascuno, quando le rive del Lete volsero a sinistra, si che il mio volto guardaya l'oriente. 13. Né ancor fu così ecc. — Nò andammo molto in questa di- rezione. Dante. — ?>1^ - La Divina Commedia Ed ecco un lustro sùbito trascorse da tutte parti per la gran foresta, tal che di balenar mi mise in forse ; 18 ma perché il balenar, come vien, resta, e quel durando più e più splendeva, nel mio pensar dicea : ((Che cosa è questa? >) 21 Ed una melodia dolce correva per l'aer luminoso; onde buon zelo mi fé' riprender l'ardimento d'Eva, 24 che, là dove ubbidia la terra e il cielo, femmina sola, e pur testé formata, non sofferse di star sotto alcun velo ; 27 sotto il qual, se devota fosse stata, avrei quelle ineffabili delizie sentite prima, e più lunga fiata. 30 Mentr' io m' andava tra tante primizie dell'eterno piacer, tutto sospeso, e disioso ancora a più letizie, 33 dinanzi a noi tal, quale un foco acceso, ci si fé' r aer sotto i verdi rami, e il dolce suon per canto era già inteso. 36 O sacrosante vergini, se fami, freddi o vigilie mai per voi soffersi, cagion mi sprona, eh' io mercé ne chiami. 39 i6 iS. Ed ecco un lustro ecc. 30. Sentiti; prima. Dallu n.i- — Etl ecco un bagliore improv- scita. viso trascc-rre per la foresta, e 31-32. Primizie dell'eterno pia= mi fa dubitare che sia un ba- cer. — Primi s;iggi della beali- leno. Indine eterna. 19. Come vien, resta. — Co- 34-36. Dinanzi a noi tal, ecc. me viene, cessa. — L'aria sotto i rami rossejafsjiò 23-27. Onde buon zelo ecc. — ed il suono, che pareva indistin- Onde giusto sdegno mi fece rim- to, si mutò in canto, proverare Eva che, appena crea- 37. O sacrosante vergini. — ta, e quindi inesperta, nel Para- O Muse, diso terrestre dove ubbidivano a 38. Vigilie, • — Veglie. Dio e terra e cielo, non volle 39. Cagion mi sprona ecc. — sottostare al divieto divino, circa \''è motivo ch'io invochi Li vo- il pomo dell'albero della scienza. stra ispirazione. — ^7-1 -' Purgatorio - Canto XXIX Or convien eh' Elicona per me versi, ed Urania m'aiuti col suo coro, forti cose a pensar mettere in versi. 42 Poco più oltre sette arbori d' oro falsava nel parere il lungo tratto del mezzo, ch'era ancor tra noi e loro; 45 ma quando fui sì presso di lor fatto, che r obbietto comun, che il senso inganna, non perdea per distanza alcun suo atto, 48 la virtù, eh' a ragion discorso ammanna, si com'elli eran candelabri apprese, e nelle voci del cantare, « Osanna ». 51 Di sopra fiammeggiava il bello arnese più chiaro assai che luna per sereno di mezza notte nel suo mezzo mese. 54 Io mi rivolsi d' ammirazion pieno al buon Virgilio, ed esso mi rispose con vista carca di stupor non meno. 57 Indi rendei l'aspetto all'alte cose, che si moveano incontro a noi si tardi che fòran vinte da novelle spose. 60 40 4J. Or convien ch'Elicona ecc. — Ora mi è d'uopo che il monte Elicona, sede delle Muse, versi l'acqua dei suoi fonti di Ajs^anippe e d'Ippocrene e che Urania, la Musa delle cose cele- sli, mi aiuti con le sue compagne a porre in versi cose ardue al pensiero. 4-^-4:5. P. — Matelda mi rimproverò : perchè guardi sol- tanto i candelabri, e non poni attenzione a ciò che è dietro di essi ? 66. Non fùci. — Non ci fu. 6S. Rendea ecc. — Rifletteva il mio fianco sinistro. 70-71. Quand'io dalla mia riva ecc. — Quando sulla riva sini- stra del fiume occupai tal punto che solo T'acqua mi divideva. 71;. Di tratti pennelli avean sembiante. — Le fiammelle si la- sciavan dietro strisce colorate, simili a pennellate. Altri intendo- no pennelli per gonfaloni, sten- dardi. 76. Sì che lì sopra ecc. — Si che l'aria restava distinta in stet- te strisce, dei colori che il sole fa nell'arcobaleno o la Luna (Diana o Delia perchè nata nel- l'isola di Delo) fa nell'alone. 70-81. Questi ostendali retro e= ran ecc. — Queste strisce, o sten- dardi, si allungavano all'indie- tro fin dove la mia vista non qiungeva. Allegoricamente signi- fica che l'effetto dei sette doni dello Spirito Santo sono infiniti. I due candelabri estremi dista- \'an dieci passi. Siccome il dieci è numero perfetto, cosi i dieci passi allegoricamente possono si- gnificare che i doni dello Spirito Santo illuminano la Chiesa in modo compiuto e perfetto ; oppu- re simboleggiano i dicci coman- damenti. 376 - Purgatorio - Canto XXTX Sotto cosi bel ciel, oom'io diviso, ventiquattro seniori, a due a due, coronati venian di fiordaliso. 84 Tutti cantavan : <( Benedetta tue nelle figlie d'Adamo, e benedette sieno in eterno le bellezze tue ! » 87 Poscia che i fiori e 1' altre fresche erbette, a rimpetto di me dall' altra sponda, libere fùr da quelle genti elette, 90 si come luce luce in ciel seconda, vennero appresso lor quattro animali, coronato ciascun di verde fronda. 93 Ognuno era pennuto di sei ali, le penne piene d' occhi ; e gli occhi d' Argo, se fosser vivi, sarebber cotali. 96 A descriver lor forme più non spargo rime, lettor ; eh' altra spesa mi strigne tanto che a questa non posso esser largo : 99 ma leggi Ezechiel, che li dipigne come li vide dalla fredda parte venir con vento, con nube e con igne ; 102 82. Diviso, — Racconto. 8.1. Seniori. — Vecchi dall'a- spetto venerando. Assomigliano ai 24 vecchi dell'Apocalisse : i dodici patriarchi e i dodici apo- stoli- Qui rappresenterebbero i 24 libri de! Vecchio Testamento. 85 S6 Benedetta tue nelle fi- glie d'Adamo. — Che tu sii be- nedetta tra le figlie di Adamo. Alcuni riferiscono queste parole a Maria Vergine, altri a Bea- trice. Ad ogni modo sono le pa- role di saluto dette da Elisabet- ta a Maria. gì. Sì come Ilice luce in ciel seconda. — Come nrl cielo stel- la succede a stella nell'istesso pun!o. 92. Quattro animali. — Perso- nificano i quattro vangeli. g^. Verde fronda. — Il van- gelo è sempre vivo. q4. Ali. — Nella visione di E- zechiele e dell'Apocalisse rappre- sentano la provvidenza divina, o- perante contemporaneamente in tutte le parti. 95. Argo. — Il custode di Io, dotato di occhi numerosi ; fu trat- to in inganno ed ucciso da Mer- curio. 97-98. Non spargo rime. — Non mi diffondo in altri versi. g8. Altra spesa. — Necessita di dover spendere altre rime. io:. Dalla fredda parte. — Dalle regioni settentrionali. 102. Igne. — Fuoco. — 377 — La Divina Commedia e quali i troverai nelle sue carte, tali eran quivi, salvo eh' alle penne Giovanni è meco, e da lui si diparte. 105 Lo spazio dentro a lor quattro contenne un carro, in su due rote, trionfale, eh' al collo d' un grifon tirato venne. 108 Esso tendea in su 1' una e 1' altr' ale tra la mezzana e !e tre e tre liste, si eh' a nulla fendendo facea male. Ili Tanto salivan che non eran viste ; le membra d' oro avea, quanto era uccello, e bianche l'altre di vermiglio miste. 114 Non che Roma di carro cosi bello rallegrasse Affricano o vero Augusto, ma quel del sol saria pover con elio; 117 quel del sol, che sviando fu combusto, per l'orazion della Terra devota, quando fu Giove arcanamente giusto. 120 Tre donne in giro, dalla destra rota, venian danzando : 1' una tanto rossa eh' a pena fora dentro al foco nota, 123 lo^. I. — Li. Via, ecc. — Testa e ali eran d'o- 104-105. Salvo ch'alte penne ro, e simboleggfiano la natura ecc. — Gli animali descritti da divina ; il resto del corpo era Ezechiele sono uguali a quelli bianco, simboleggila la natura u- veduti eccetto le ali, che secondo mana. Ezechiele eran quattro per ogni 115-120. Non che Roma di animale ed invece per Giovanni carro ecc. — In confronto, ò eran sei. meno bello ncn solo il carro 106-107. Lo spazio dentro a lor trionfale decretato da Roma a ecc. — Lo spazio tra i quattro Scipione Affricano o ad Augusto, animali contiene un carro trion- ma quello stesso del Sole,^ che fale a due ruote, rappresentante bruciò precipitando quando Gio- ia Chiesa. ve, per preqhi'^ra della Terra, lOQ-iii. Esso tendea in su ecc. volle colpire nell'auriga Fetonte — Il grifone tendeva in su le la colpa del f)adre. ali tra le strisce in modo da non 121. Tre donne. — Le virti'i nasconderle, ma facendole pas- teologali : fede, speranza e ca- .sare in mezzo. Il Grifone è ani- ^.-^^ j.^ ^.^^^^ ^^^^..^ simboleggirt male fantasitico dalla testa e If ... , , ,. ali d'aquila, e il corpo di leone. '^ ^''^^ contomplativa. Qui è sìmbolo di Cristo, Uomo- 12:,. A pena fora ecc. — Ap- D\o. pena .si sarebbe scorta ira le iiri-114. Le membra d'oro a- iìammo. - .-^78 - Purgatorio - Canto XXIX l'altr'era come se ie carni e l'ossa fossero state di smeraldo fatte, la terza parea neve testé mossa ; ed or parevan dalla bianca tratte, or dalla rossa, e dal canto di questa l'altre togliean l'andare e tarde e ratte. Dalla sinistra quattro facean festa, in porpora vestite, retro al modo d' una di lor, eh' avea tre occhi in testa. Appresso tutto il pertrattato nodo, vidi due vecchi in abito dispari, ma pari in atto, ed onesto e sodo : r un si mostrava alcun de' famigliari di quel sommo Ippocràte, che natura agli animali fé' eh' eli' ha più cari; mostrava l'altro la contraria cura, con una spada lucida ed acuta, tal che di qua dal rio mi fé' paura. Poi vidi quattro in umile paruta, e di retro da tutti un veglio solo venir, dormendo, con la faccia arguta. 126 129 132 135 138 141 144 127-129. Ed or parevan ecc. — Ed ora eran o^uidate dalla bian- ca (la fede), ed ora dalla carità (la nossa) ; e le altre regolavano il ritmo della danza sul canto della carità. 130-132. Dalla sinistra quattro ecc. — A sinistra del carro dan- zavano le quattro virtù cardina- li, (i^iustizia, fortezza, temperan- za e prudenza), vestite di porpo- ra, guidate da una di loro, la prudenza, che ha tre occhi, per ricordare il passato, ordinare il presente e prevedere l'avvenire. 133. Il pertrattato nodo. — Il gruppo descritio. 135. Sodo. — Dioiiitoso. 136 138. L'un si mostrava ecc. — L'uno, Luca, vestiva da ni<^- dico, discepolo di Ippocràte di Coo (460-356 a C), padre della scienza medica, creato dalla na- tura per giovare agli uomini, animali a lei più cari. 139. Mostrava l'altro la con= trarla cura. — Paolo invece mo- strava la cura contraria al gua- rire ; feriva con la parola di Dio (spada). 142. Quattro in umile paruta. — Gli autori delle quattro epi- stole canoniche : Giacomo, Pie- tro, Giovanni e Giuda. 143-144. Un veglio solo ecc. — Giovanni, che dorme assorto nel- le visioni dell'Apocalisse, unico libro profetico del Nuovc' Testa- mento. 379 I.A Divina Commedia E questi sette col primaìo stuolo erano abituati; ma di gigli dintorno al capo non facevan brolo, 147 anzi di rose e d' altri fior vermigli : giurato avria poco lontano aspetto che tutti ardesser di sopra dai cigli. 150 E quando il carro a me fu a rimpetto, un tuon s' udì ; e quelle genti degne parvero aver l'andar pili interdetto, fermandos' ivi con le prime insegne. 154 145-14S. Col priniaio stuolo e= 149. Giurato avria ecc. — U- rano abituati. — Vestivano di na vista corta avrebbe giurato... bianco come i seniori, ma non .si 153. L'andar più. - L'andar coronavano di gigli (brolo, prò- oltre proibito, priamente, vivaio), ma di rose e 154. Le prime insegne. — I di fiori vermigli, a denotare candelabri, l'ardore di carità che li infiam- mava. CANTO XXX Quando il settentrion del primo cielo, che né occaso mai seppe né orto, né d'altra nebbia che di colpa velo, 3 e che faceva li ciascuno accorto di suo dover, come il più basso face qual timon gira per venire a porto, G fermo si affìsse, la gente verace, venuta prima ira il grifone ed esso, al carro volse sé, come a sua pace : 9 1-6. Quando il settentrion ecc. sione, c^sl come la stella Polare, — I sette candelabri (settenlrio- ultima dell'Orsa Minore, guida il ne), venuti dall'empireo (primo nocchiero, che gira il timone per cielo), che ardono con fiamma pc- toccare il porto, renne, non conoscendo tramonto 7-8. La gente verace, venuta né sorgere (orto), e sull'orizzonte prima ecc. — I ventiquattro se- non si vedono dallo spirito urna- niori. no solo per il velo dilla colpa, 9. Come a sua pace. — Come guidavano i membri della proci-s- alla mèta dei suoi desiderio 380 Purgatorio - Canto XX\ ed un di loro, quasi da del messo, « Veni, sponsa, de Libano » cantando, gridò tre volte, e tutti gli altri appresso. 12 Quali i beati al novissimo bando surgeran presti ognun di sua caverna, la rivestita voce alleluiando, 15 cotali, in su la divina basterna, sì levar cento, ad voceni tanti senis, ministri e messaggier di vita etema. 18 Tutti dicean : « Benedictus, qui venis » ; e fior gittando di sopra e dintorno : c( Manibus o date lilla plenis )>. 21 Io vidi già nel cominciar del giorno la parte orientai tutta rosata e r altro elei di bel sereno adorno, 24 e la faccia del sol nascere ombrata, si che per temperanza di vapori l'occhio la sostenea lunga fiata ; 27 cosi dentro ima nuvola di fiori, che dalle mani angeliche saliva e ricadeva in giù dentro e di fuori, 30 sopra candido vel cinta d' oliva donna m' apparve, sotto verde manto, vestita di color di fiamma viva. 33 lo-ii. Ed un di loro ecc. — fu accolto in Gerusalemme Gesù. Ed uno dei seniori, quasi per in- come ora Beatrice, carico del cielo, cominciò i ver- 21. Manibus 0 date lilia plenis. sì del Caniico dei Cantici: «Vie- — Spar.^ete gfisli a piene mani. ni meco dal Libano, o sposa ». Son parole di Virgilio nell' « E- 13-15. Qnali i beati ecc. — E i-,pide». come i beati il giorno del giudi- 26. Per temperanza di vapori. zio balzeranno dalla tomba can- — I vapori mitigavano il fulgo- tando (( Alleluia » con voce cor- re del sole. porca. 30. Dentro e di fuori, — Den- 16. Basterna. — Carro adorno ,^^ ^ attorno al carro mistico, di panni preziosi. S candido vel ecc. 17. Ad vocem tanti senis. — •''•'• ■ , • , • . Alla voce di tanto vecchio. " beatrice è vestita dei tre cc- if). Benedictu?, qui venis. — lori della fede, della speranza e -Sii bened'^tto, tu che vieni. Cosi d^lla carit.^. - 381 - La Divina Commedia E lo spirito mio, che già cotanto tempo era stato clie alla sua presenza non era di stupor, tremando, affranto, senza degli occhi aver piii conoscenza, per occulta virtù che da lei mosse, d' antico amor sentì la gran potenza. Tosto che nella vista mi percosse l'alta virtù, che già m'avea trafìtto prima eh' io fuor di puerizia fosse, volsimi alla sinistra col rispitto col quale il fantolin corre alla mamma, quando ha paura o quando egli è afflitlo, per dicere a Virgilio : « Men che dramma di sangue m'è rimaso, che non tremi; conosco i segni dell'antica fiamma». Ma Virgilio n'avea lasciati scemi di sé, Virgilio dolcissimo padre, Virgilio a cui per mia salute dièmi : né quantunque perde l'antica madre valse alle guance nette di rugiada, che lagriinando non tornassero adre. 36 39 42 45 48 51 54 -^4v;9. E lo spirito mio, ecc. — E il mio spirito, che d.a un decen- nio (Beatrice mori nel giugno I2Q0 e la visione dantesca è nel- l'aprile 1300) noxi era più stato tremante e stupefatto per la pre- senza di Beatrice, (Vedi « Vita Nuova»), ora, senza neppur ve- derla, perchè il velo la copriva, per virtù occulta sentì la potenza dell'antico amore. 40-42. Tosto che nella vista ecc. • — Tosto che i miei occhi furono colpiti dalla visione mira- bile di Beatrice, che già m'ave- va colpito nell'adolescenza, cici^ a novo anni, nel 1274. 43. Rispitto. — l'iHuiin, 46-4S. Men che dramma. — Neppure una goccia di sangue ini è rimasta che non tremi. Ri- conosco in me i segni della pas- sione antica. 40-:;4. Ma Virgilio n'avea la= sciati ecc. — Ma Virgilio, al quale m'ero affidato per la mia salvezza, era scomparso. Con la sparizione di Virgilio cessa l'o- pera della ragione e comincia, con Beatrice, quella della fede. ^2-54. Né quantunque perde ecc. — Né tutte le delizie del Paradiso terrestre, che la nostra progenitrice Eva perdette, valse- ro a impedire che si rioffuscassc- ro le mie guance, purificate con le rugiade del Purgatorio, della caligine dell'Inferno. .182 - Purgatorio - Canto XXX « Dante, perché Virgilio se ne vada, non pianger anco, non pianger ancora ; che pianger ti convien per altra spada ». 57 Quasi ammiraglio, che in poppa ed in prora viene a veder la gente che ministra per gli altri legni, ed a ben far la incuora, 60 in su la sponda del carro sinistra quando mi volsi al suon del nome mio, che di necessità qui si registra, 63 vidi la donna, che pria m' appario velata sotto l'angelica festa, drizzar gli occhi vèr me di qua dal rio. 66 Tutto che il vel che le scendea di testa, cerchiato dalla fronde di Minerva, non la lasciasse parer manifesta ; 69 regalmente nell' atto ancor proterva continuò, come colui che dice e il più caldo parlar di retro serva : 72 « Guardami ben : ben son, ben son Beatrice ! Come degnasti d'accedere al monte? non sa pei tu che qui è 1' uom felice? » 75 Gli occhi mi cadder giù nel chiaro fonte ; ma, veggendomi in esso, 1 trassi all'erba, tanta vergogna mi gravò la fronte. 78 Cosi la madre a! figlio par superba, com'ella parve a me; per che d'amaro senti' il sapor dalla pietade acerba. SI 57. Per altra spada. — Con Benché il velo che le avvolgea altro dolore, pei' il rimprovoro la testa, coronata di olivo, che Beatrice gli muoverà. 70-72. Regalmente nell'atto 5Q-6o. La gente che ministra ecc. — Reofalmente grave, cc- per gli altri legni. — I marinai me chi serba a dir per ultime le che operano sulle altre navi. cose più importanti. 6^. Che dì necessità ecc. — 74-7.'^ Come degnasti ecc. — Dante rih^neva sconveniente fare Come ti rendesti degno di salire il proprio nome, ma qui vi è quassij ? Non sapevi tu che que- costretto per riferire integra'.men- sto è il soggiorno dei beati ? le le parole di Beatrice. 77-78- I trassi all'erba ecc. — 6^. Sotto l'angelica festa, — Li ritrassi dall'acqua, dove nel- Entro la nuvola dei fiori cosparsi l'immagine scorgevo- la mia con- dagli angeli. fi;sione, e li volsi sull'erba 67-68. Tutto che il vel ecc. — 70-Si. Così la madre al figlio La Divina Commedia Ella si tacque, e gli angeli cantaro di subito: « /n te, Domine, speravi ì), ma oltre pedes nieos non passaro. 84 Si come neve tra le vive travi per lo dosso d'Italia si congela, soffiata e stretta dalli venti schiavi, 87 poi liquefatta in sé stessa trapela, pur che la terra, che perde ombra, spiri, si che par foco fonder la candela ; 90 cosi fui senza lagrime e sospiri anzi ii cantar di quei, che notan sempre retro alle note degli eterni giri. 93 Ma poi che intesi nelle dolci tempre lor compatire a me, piti che se detto avesser : (( Donna, perché si lo stempre? » 96 lo gel, che m'era intorno al cor ristretto, spirito ed acqua féssi, e con angoscia per la bocca e per gli occhi usci del petto. • 99 Ella, pur ferma in su la detta coscia del carro stando, alle sustanzie pie volse le sue parole cosi poscia : 102 « Voi vigilate nell' eterno die, si che notte né sonno a voi non fura passo, che faccia il secol per sue vie ; 105 ecc. — Cosi pare severa al figlio si che pare fuoco che fonda la la madre quando essa rimpro- candela. vera, e la pietà rigida di Bea- 92-93. Anzi il cantar di quei, trlce mi fu amara. ecc. — Prima che cantassero gli 83-84. — In te, Domine, spera= angeli i quali accordano il pro- vi. — In te ho posta, o Signore, orlo canto alle note armoniose la mia speranza. Sono parole del delle celesti sfere, salmo XXXI, ma il canto si ar- 94. Dolci tempre. — Dolci restò alle parole : i miei piedi. concenti. 8.i;-9o. — Si come neve ecc. — 96. Lo stempre. — Lo avvili- Come nell'Appennino la neve si sci. congela sulle piante, battuta e 98. Spìrito ed acqua féssi. — rappresa dai venti boreali (che Si converti in sospiri e lagrime, soflìarvo dalla parte di Schiavo- 100. In su !a detta coscia. — nia) e poi, liquefacendosi al sof- Sulla sponda sinistra del carro, fiare dei venti d'Affrica (ove il loi. Alle sustanzie pie. — Agli sole batte in alcune ore perpen- angeli pietosi, dicolarmente), gocciola dallo stra- 103-105. Voi vij^ilate nell'eter- If) superiore in quelle inferiore, no die ecc. — - \'oi vegliate nella - .S84 - Purgatorio •■ Canto XXX onde la mia risposta è con più cura che m'intenda colui che di là piagne, perché sia colpa e duol d' una misura. 108 Non pur per opra delle rote magne, che drizzan ciascun seme ad alcun fine, secondo che le stelle son compagne ; 111 ma per larghezza di grazie divine, che si alti vapori hanno a lor piova che nostre viste là non van vicine, 114 questi fu tal nella sua vita nuova virtualmente eh' ogni abito destro fatto averebbe in lui mirabil prova. 117 Ma tanto più maligno e più Silvestro si fa il terren col mal seme e non cólto, quant'egli ha più del buon vigor terrestro. 120 Alcun tempo il sostenni col mio volto ; mostrando gli occhi giovinetti a lui, meco il menava in dritta parte volto. 123 Si tosto come in su la soglia fui di mia seconda etade e mutai vita, questi si tolse a me, e diessi altrui. 126 luce eterna, ove né tenebre né sonno vi nascorTdono le opere compiute clagli uomini. io6. Onde la mia risposta ecc. — Onde la mia risposta non tende ad istruir voi, ma è piut- tcrsto diretta a colui che pian,a;e sull'altra riva del Lete, affinché il suo dolore sia pari alla sua oolpa. iot)-iii. Non pur per opra ecc. — Non solo per influsso degli astri, i quali secondo la loro virtù gfuidano gli uomini ad un fine determinato ; ma altresì per l'abbondanza delle grazie divine, che traggono erigine da cause cosi recondite, che la nostra men- te non può scorgerle, questi (Dante) fu tale in gioventù, che ogni sua buona disposizione a- vrebbe potuto far prova mirabile. 118-120. Ma tanto più mali- gno ecc. — Ma il terreno incolto, più é vigoroso e più maligno e selvatico diventa col seme cattivo. 121-123. Alcun tempo il so= stenni ecc. — Dacché lo conobbi C1274) fino alla mia morte (1.290) lo guidai alla virtù col mio sguardo. 124-126. Si tosto come in su la soglia ecc. — • Giunta sul limitare della mia giovinezza, passai all'al- tra vita, fc questi si tolse alla mia influenza benefica e si dette ad altra donna. Questa donna sa- rebbe Gemma Donati, che Dante poi sposò. Allegoricamente Dan- te avrebbe lasciata la scienza di- vina per la umana. - .385 - I.A Divina Commedia Quando di carne a spirto era salita e bellezza e virtù cresciuta m' era, fu' io a lui men cara e men gradita ; 129 e volse i passi suoi per via non vera, imagini di ben seguendo false, che nulla promission rendono intera. 132 Né impetrare spirazion mi valse, con le quali ed in sogno ed altrimenti lo rivocai ; si poco a lui ne calse. 13ò Tanto giù cadde che tutti argomenti alla salute sua eran già corti, fuorché mostrargli le perdute genti 138 Per questo visitai l'uscio dei morti, ed a colui che 1' ha qua su condotto li preghi miei, piangendo, furon porti. 141 Alto fato di Dio sarebbe rotto, se Lete si passasse, e tal vivanda fosse gustata senza alcuno scotto di pentimento che lagrime spanda ». 145 127. (,Juando di carne a spirto ed in altro modo, tanto poco egli ecc. — Ouando passai alla vita bu ne curò. celeste, divenuta spirito incoi- 136-138. Tanto giù cadde ecc. poreo, a lui piacqui meno ed egli ^- Cadde tanto giù che a salvar- camminò per la via dell'errore, Io non restava che mostrargli le dietro false immagini , che non pene dei dannati nell'Inferno, mantengono mai pienamente le 140. Colui. — Virgilio, loro promesse. 142-145- ^'to fato di Dio ecc. ir,-il5- Né impetrare spira= - Ai destini supremi segnatoi da „.„ „ -KT! • 1 • l'io SI contravverrebbe, se Dante zion ecc. -Né mi valse niipe- ,^^^,^^^^ -j ^ete, cioè dimenticas- trargli da Dio buone ispirazioni, gg y^ g^^ ^^jpg g^^za pagare in oon le quali cercai di^ ritrarlo lagrime il compenso del penti- dal vizio, apparendogli in sogno mento. CANTO XXXI (( O tu, che sei di là dal fiume sacro ». volgendo suo parlare a me per punta che pur per taglio m'era paruto acro, 3 1-3. O lu, clie sei ecc. — Qui Iato agli angeli ferendolo (])er ta- lieatrice si rivolge a Dante di- glio) con parole indirette, rettamente, d'jjo che a\cva par- Purgatorio - Canto XXXI ricominciò ; seguendo senza canta : <( Di', di', se questo è vero; a tanta accusa tua confession conviene esser congiunta ». (3 Era la mia virtù tanto confusa che la voce si mosse e pria si spense, elle dagli organi suoi fosse dischiusa. 9 Poco sofferse, poi disse : « Che pense ? Rispondi a me ; che le memorie triste in te non sono ancor dall'acqua offense >). 12 Confusione e paura insieme miste mi pinsero un tal « si » fuor della bocca, al quale intender fùr mestier le viste. 15 Come balestro frange, quando scocca da troppa tesa, la sua corda e l'arco, e con men foga l'asta il segno tocca; 18 si scoppia' io sott'esso grave carco, fuori sgorgando lagrime e sospiri, e la voce allentò per lo suo varco. 21 Ond'ella a me : « Per entro i miei disiri, che ti menavano ad amar lo bene di là dal qual non è a che s'aspiri, 2! quai fossi attraversati o quai catene trovasti, per che del passare innanzi dovessiti cosi spogliar la spene? 27 4. Senza ciinta. — Senza in- dugio. S-c). La voce si mosse e pria ecc. — Si accinse a parlare ma la voce si spense prima che gli uscisse dal labbro. IO. Poco sofferse. — Aspetù PC'CO. II-I2. Le meniorJe triste ecc. — Il ricordo delie colpo n,)n è ancora cancellato dalle acque di Lele. 14. Mi pinsero. _ Mi strappa- rono. i.t;. AI quale intender fùr nie= s(ier ecc. — Fu necessario Guar- dargli il movimento delle labbra, per intendere il; «si». ]6-2i. Come balestro frange ecc. — Come i! balestro, per l'ec- cessiva tensione della corda, roin- pe corda ed arco e locca il se- S'no con minore impeto, cosi io ruppi in pianto dirotto ed in so- sipiri, e la voce mi si spense nel- la ofoia. 22-27. Per entro i miei disiri ecc. — Fra i buoni desiderii da me destatiti nell'animo per gui- darti a Dio, oltre il quale nulla si può bramare, quali difficoltà o (-luali ostacoli li tolsero la spe- ranza di j^fiungere alla mèta? .-^87 La Divina Commedia E quali agevolezze o quali avanzi nella fronte degli altri si mostrare, per che dovessi lor passeggiare anzi ? » 30 Dopo la tratta d' un sospiro amaro, a pena ebbi la voce che rispose, e le labbra a fatica la formaro. 33 Piangendo dissi : « Le presenti cose col falso lor piacer volser miei passi, tosto che il vostro viso sì nascose ». 36 Ed ella : « Se tacessi, o se negassi ciò che confessi, non fora men nota la colpa tua; da tal giudice sassi. 39 Ma quando scoppia dalla propria gota r accusa del peccato, in nostra corte rivolge sé contra il taglio la rota. 42 Tuttavia, perché mo vergogna porte del tuo errore, e perché altra volta udendo le sirene sie più forte, 45 pon giù il seme del piangere, ed ascolta ; si udirai come in contraria parte mover doveati mia carne sepolta. 48 Mai non t' appresentò natura o arte piacer, quanto le belle membra in eh' iu rinchiusa fui, e sono in terra sparte ; 51 2S-3.). E quali agevolezze ecc. ponesse contro il taglio della la- — E quali attrattive o quali van- ma, per smussarla e renderne più taggì trovasti nell'aspetto dei be- lievi le ferite. ni mondani, per vagheggiarli? 4:;. Le sirene. • — I falsi pia- 31. La tratta. — L'emissione. ceri 35. Col falso lor piacer ecc. 46 48. Pon giù il seme ecc. — — Mi trassero dalla retta via. Deponi la confusione e la pauia qualche tempo dopo la vostra che ti muovono al pianto, ed u- niorte, col loro piacere falso. drai come la mia morte ti do- T,q. Da tal giudice sassi. — y^^,^ distogliere dalle vie del pec- La tua colpa è nota a Dio. ^,^^^ 40^3. Ma quando scoppia ecc. ' ; _ L^^pe^adi Dio. — - Ma quando il peccatole accu- ^' *; sa sé stesse, nella corte celeste Arte. — Opera dell uomo. D:o mitiga il proprio rigare, co- 51- Sono in terra sparte. — mi- se la ruota p''r affilare si Sono ridty.lc in polvere. - 3^8 - Purgatorio - Canto XXXI e se il sommo piacer sì ti fallio per la mia morte, qual cosa mortale dovea poi trarre te nel suo disio? 54 Ben ti dovevi, per lo primo strale delle cose fallaci, levar suso di retro a me che non era più tale. 57 Non ti dovean gravar le penne in giuso, ad aspettar più colpi, o pargoletta o altra vanità con si breve uso. 60 Nuovo augelletto due o tre aspetta ; ma dinanzi dagli occhi dei pennuti rete si spiega indarno o si saetta ». 63 Quali i fanciulli, vergognando muti, con gli occhi a terra, stannosi ascoltando, e sé riconoscendo, e ripentuti, 66 tal mi stav' io; ed ella disse : (( Quando per udir sei dolente, alza la barba, e prenderai più doglia riguardando'). 69 Con men di resistenza si dibarba robusto Cerro, o vero al nostral vento, 0 vero a quel della terra di larba, 72 ch'io non levai al suo comando il mento; e quando per la barba il viso chiese, ben conobbi il velen dell' argomento. 75 5.'-54. E .se il sommo piacer che due o ire volle la rete del ecc. — E se il piacere maggiore cacciatore, ma ben sa evitarla che tu avevi era nell 'ammirarmi, l'uccello che ha messo le penne, quale altra cosa mortale doveva il quale ?fugge anche al dardo, traj-ti nel suo desiderio dop^ la 66. E sé riconoscendo. — E ri- mia morte? conoscendos". colpevole. 55-57. Ben ti dovevi, ecc. — 68. Alza la barba. — Alza il Alla mia morte, ossia alla scom- viso, eh 'è oramai di uomo, e parsa del mio corpo (cose falla- perciò tu non meriti scusa. ci) ben dovevi elevarti a me, di- 70-73. Con men di resistenza venuta spirito eterno. ecc. — Con minore sforzc la bo- 58-60. Non ti dovean gravar a-ca o il vento d'Africa (larba ecc. — Non dovevan legarti alla fu re di Libia) svelle un cerro terra, aspettando nuovi strali, l'a- l'obusto, che io non alzassi il mor di donna giovane e altre viso. vanità caduche. 74-75- J^ quando per la barba 61-6;^,. Nuovo augeiletto ecc. — ecc. -^ E quando Beatrice mi L'augelletlo implume non evita disse di alzare la barba anziché - .S89 - La Divina Commedia E come la mia faccia si distese, posarsi quelle prime creature da loro aspersion l'occhio comprese; 78 e le mie luci, ancor poco sicure, vider Beatrice volta in su la fiera, eh' è sola una persona in due nature. 81 Sotto suo velo ed ohre la riviera vincer pareami più sé stessa antica, che vincer l'altre qui quand'ella c'era. 84 Di pentèr si mi punse ivi l'ortica che, di tutt' altre cose, qual mi torse più nel suo amor, più mi si fé' nimica. 87 Tanta riconoscenza il cor mi morse eh' io caddi vinto, e quale allora femmi, salsi colei che la cagion mi porse. 90 Poi, quando il cor di fuor virtù rendemmi, la donna, eh' io avea trovata sola, sopra me vidi, e dicea : «Tiemmi, tiemmi «. 93 Tratto m' avea nel fiume infino a gola, e, tirandosi me retro, sen giva sopr'esso 1' acqua, lieve come spola. 90 Quando fui presso alla beata riva, <( Asperges me » si dolcemente udissi eh' io no '1 so rimem.brar, non eh' io lo scriva! 99 il viso, ben conobbi l'acuto e 8.^87. Di pentèr si mi punse pungente argomenio, che indù- ecc. — Fui così punto dal pen- deva rimprovero alla mia età timento, che odiai ancor di più adulta, e perciò non scusabile dei le cose, che, col loro falso amore, suoi trascorsi. mi avevano distolto da Beatrice. 76-81. E come la mia faccia 89-90. Quale allora femmi , ecc. — E cerne la mia faccia si ecc. — E quale mi fossi allora, fu levala a riguardare, vide chf lo sa Beatrice che in tale sialo p;ii angeli non gittavano piij fio- mi aveva ridotto, ri, ed i miei occhi, ancora ver- 91-93- Poi» quando il cor ecc. gogncsi, scorsero Beatrice rivo!- — Poi quando il cuore ridiede la ta al grifome che ha corpo d'uc- vita sensitiva alle membra smor- cello e di leone. te, vidi Matelda, a fior d'acqua, S2-S4. Sotto suo velo ecc. — che mi diceva : «Attaccati a me», Ad onta del velo e del fiume in- nel mentre mi traeva immerso fì- terposlo, io vedeva Beatrice più no alla gola nelle acque del f>ete, bella di quando era in vita e su- a detergermi del ricordo dei pec- uerava in bellezza le altre don- catd. 98. Asperf5es me. - E' .390 Purgatorio - Canto XXXI La bella donna nelle braccia aprissi, abbracciommi la testa, e mi sommerse ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi. 102 Indi mi tolse, e bagnato m' offerse dentro alla danza delle quattro belle, e ciascuna del braccio mi coperse. 105 (i Noi slam qui ninfe, e nel ciel siamo stelle ; pria che Beatrice discendesse al mondo, fummo ordinate a lei per sue ancelle. 108 Menrenti agli occhi suoi ; ma nel giocondo lume eh' è dentro aguzzeranno i tuoi le tre di là, che miran più profondo)). Ili Cosi cantando cominciare ; e poi al petto del grifon seco menarmi, ove Beatrice volta stava a noi. 114 Disser : « Fa che le viste non risparmi ; posto t' avem dinanzi agli smeraldi, ond'Amor già ti trasse le sue armi)». 117 Mille disiri più che fiamma caldi strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti, che pur sopra il grifone stavan saldi. 120 Come in lo specchio il sol, non altrimenti la doppia fiera dentro vi raggiava, or con uni, or con altri reggimenti. 123 salmo LI : Aspcr<^imi con isopo, Stelle. — Le virtù che p-rfe- Cpianta aromatica) e sarò mondo; zionano l'uomo coi doni dell) lavami e sarò più bianco che Spirito Santo, neve. log. Menrenti. — Ti ii.encro- 104-105. Dentro alla danza, mo. ecc. — Fra le quattro virtù car- iii. Le tre dì là. -- Le ire dinati, che mi ricoprirono eia- virtù teolop-a'i. scuna col loro braccio, poiché 115-117. Fa che le viste ecc. — l'uomo puro è da loro difeso Non saziarti di riguardare, ora contro il peccato. clie ti abbiamo condotto davanti 106. Noi Siam qui ninfe, ecc. us:li occhi di Beatrice che in vita — • Qui nel Paradiso terrestre ti ferirono. siamo ninfe e nel cielo siamo 120. Che pur sopra il grifone stelle (e Dante, entrando in Pur- ecc. — • Che stavano fissi soltan- eatorio, le ha vedute splendere to sul q;rifone. in viso a Catone). Esse sono sim- 121-12-;. Come in lo specchio boli di virtù morali che possono i! sol, ecc. — Come il soie è ri- essere acquistate anche dai non flesso dallo specchio, cosi negli cristiani. occhi di Beatrice lai^'^giava il — 39T — La Divina Commedia Pensa, lettor, s'io mi maravigliava quando vedea la cosa in sé siar queta, e neir idolo suo sì trasmutava. Mentre che, piena di stupore e lieta, l'anima mia gustava di quel cibo, che, saziando di sé, di sé asseta ; sé dimostrando di più alto tribo negli atti, l'altre tre si fero avanti, danzando al loro angelico caribo. a Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi, era la lor canzone, al tuo fedele che, per vederti, ha mossi passi tanti. Per grazia fa noi grazia che disvele a lui la bocca tua, si che discerna la seconda bellezza che tu cele ». O isplendor di viva' luce eterna ! chi pallido si fece sotto l'ombra si di Parnaso, o bevve in sua cisterna, che non paresse aver la mente ingombra, tentando a render te qual tu paresti là dove armonizzando il ciel t'adombra, quando nell'aere aperto ti solvesti? 126 \2d 135 138 141 145 yrifune, ora con alti di uccello, (divini) ed' ora con alti di leone (umani). 125-126. Quando vedea la cosa ecc. — Quand:> vedevo stac fer- mo il grifone e tra.smutarsi muc<- \endosi negli occhi di Beatrice, ora come aqui!a ed ora come leone. I2Q. Saziando di se, di sé as= seta. — Viù se no gode e più se ne brama. iT,o. Tribo. — (Irado, giTar- chia. iT,2. Caribo. — ÌV \ariamen- lo inteso: ballo tondo; garbo, modo ; ballata, o canzone che si canta ballando. 1.^6. Fa noi j^razia. — Fa a noi la ijrazia. 1 ;S. La seconda bellezza che tu cele. — La bellezza della boc- ca. Alla prima, ossia a quella deoli occhi, Dante è slato con- dotto dalle quattro virtù cardi- nali. Le tre teoloi^ali, di più no- bile condizione, lo C(3- mandi. loS. Diedi. — Rivolsi. — .-^97 — I.A Divina Commedia Non scese mai con si veloce moto foco di spessa nube, quando piove da quel confine che più va remoto, 1 1 1 com'io vidi calar l'uccel di Giove per r arbor giù, rompendo della scorza, non che dei fiori e delle foglie nuove; 114 e feri il carro di tutta sua forza, ond'ei piegò come nave in fortuna, vinta dall'onde, or da poggia or da orza. 117 Poscia vidi avventarsi nella cuna del trionfai veiculo una volpe, che d'ogni pasto buon parea digiuna. 120 Ma, riprendendo lei di laide colpe, la donna mia la volse in tanta futa, quanto sofferson l'ossa senza polpe. 123 Poscia, per indi ond'era pria venuta, l'aquila vidi scender giù nell' arca del carro, e lasciar lei di sé pennuta. 12() E qual esce di cor che si rammarca, tal voce usci del cielo, e cotal disse : (( O navicella mia, com" mal sei carca ! » 129 no. Spessa. — Densa, fosca. 121-123. Ma, riprendendo lei 111. Da quel confina che più ecc. — Ma Beatrice, rimprove- va remoto. — Dalle regioni più randole le colpe vergognose, la alte dell'aria. xolse in fuga. 112. L'uccel di Giove. — L'a- 124-126. Poscia, per indi on= quila, la quale qui simboleggia d'era ecc. — Poi l'aquila ridi- le persecuzioni degl'imperatori scende lungo il tronco dell'albe- iromani contro la Chiesa nascen- ro nel carro ove lascia delle sue le. penne. Ciò sta a significare la 116-117. Ond'ei piegò come donazione _ di Ccstàntino alla nave ecc. — Cime nave battuta Chiesa. iù impal- lidì Maria, davanti al lìgli. 78 Ed io : c( Si come cera da suggello, che la figura impressa non trasmuta, segnato è or da voi lo mio cerve' lo. 81 Ma perché tanto sopra mia veduta vostra parola disiata vola, che più la perde quanto più s'aiuta?)) 84 (( Perché conoschi, disse, quella scuola e' hai seguitata, e veggi sua dottrina come può seguitar la mia parola ; 87 e veggi vostra via dalla divina distar cotanto, quanto si discorda da terra il ciel che più alto festina ». 00 Ond'io risposi lei : <( Non mi ricorda eh' io straniassi me giammai da voi né honne coscienza che rimorda )>. -93 (iella o-iuslizia divina, nel proi- ecc. — Ma perchè la Uia debide- bire di mangiare i frutti dell'ai- rala parola tanto vola sopra det- tero della scienza. la mia mente che quanto più 74. Ed, impietrato, tinto. — essa si adopera a comprenderla Non solo indurite come pietra, meno vi riesce? ma ajnche offuscato nel suo ori- S^-qo. Perchè conoschi, ecc. iTinario candore. — Perchè tu conosca come mala- 76-78. Se non scritto, almen mente la tua scuola e la tua dot- dipinto, ecc. — Voglio che porti trina possano seguire le mie tr;i i vivi il mio detto, se non narole, e perchè tu vegga che chiaramente scritto', almeno a- la via del tuo sapere dì tante (l:>mbrato, a guisa del pellegrino dista da quella del sapere divi- che ritorna di Terra santa con ,-,0, quanto la terra è lontana dal il bordone cinto di palma. p,.i^j^Q Mobile, il cielo che gira 70-Si. Sì come etra aa sug= .,, rapidamente d'ogni altro, e gello ecc. — Come la cera ser- , , ., ., ,, ba l'impro^nta inalterata, co«a il che è il più alto, mio corvello serba indelebile l'im- 92; Straniassi. — Mi allonla- pronta delle tue parole. nassi. 82-84. Ma perchè tanfo sopra 93. Honne. — Ne ho. — 404 — ruRGAToRio - Canio XXXIII « E se tu ricordar non te ne puoi, sorridendo rispose, or ti rammenta come bevesti di Lete anooi ; 96 e se dal fummo foco s' argomenta, cotesta oblivion chiaro conciiiude colpa nella tua voglia altrove attenta. 99 Veramente oramai saranno nude le mie parole, quanto converrassi quelle scoprire alla tua vista rude)). 102 E piti corrusco, e con più lenti passi, teneva il sole il cerchio di merigge, che qua e là, come gli aspetti, fassi, 105 quando s'afflsser, si come s'affìgge ■chi va dinanzi a gente per iscorta, se trova novitate o sue vestigge, 108 le sette donne al fin d'un' ombra smorta, qual sotto foglie verdi e rami nigri sopra suoi freddi rivi l'Alpe porta. • 111 Dinanzi ad essa Eufrates e Tigri veder mi parve uscir d' una fontana, e quasi amici dipartirsi pigri. 11-^ >( O luce, o gloria della gente umana, che acqua è questa che qui si dispiega da un principio, e sé da sé lontana?)) 117 o6. Ancoi. — Quest'oggi. __ Quando le sette viriù ccn i 97-99. E se dal t'ummo ecc. c.iette cancli.-Iabri, come chi pie- — E se dal fumo si desume la cede per guida e trova sul suo presenza del fuoco, cosi l'aver di- cammino novità o indizio di no- menticato nel fiume Lete prova vita, si soffermarono alla fine che la tua volontà ora distratta d'un'ombra scura, simile a quel- dalia colpa. la che le Alpi spiegano sui fred- 100-102. Veramente oramai sa- di loro corsi d'acqua, sotto foglie ranno ecc. — Ma d'ora in poi verdi e rami bruni, le mie parolte sananno chiare, 112-114. Dinanzi ad essa ecc. tiuanto converrà perchè siano — ■ Davanti alla sette virtù mi comprese dal tuo intelletto non narve quasi di vedere l'Eufrate acuto. e i! Tigri che, sorgendo^ da un'u- 103-10^. E più corrusco, ecc. nica fonte, muovono in direzione ■ — II sole, giunto al meriggio, opposta, pigri come amici che si era più fulgido e più lento nel lascino. .suo movimento; il meriggio va- 117. Da un principio, ecc. — ria per tempo secondo le rclazio- Da un'unica fonte e si allontana ni di posizione. da sé stessa con i due rivi, che 106-111. Quando s'alfisser, ecc. vanno in senso contrario? — 405 — Dante, 26 La Divina Comjiedia Per cotal prego detto mi fu : <( Prega Matelda che il ti dica » ; e qui rispose, come fa chi da colpa si dislega, 120 la bella donna : « Questo, ed altre cose dette gli son per me ; e son sicura che l'acqua di Lete non gliel nascose)). 123 E Beatrice : « Forse maggior cura, che spesse volte la memoria priva, fatto ha la mente sua negli occhi oscura. 126 Ma vedi Eunoè che là deriva : menalo ad esso, e, come tu sei usa, la tramortita sua virtù ravviva ». 129 Com' anima gentil che non fa scusa, ma fa sua voglia della voglia altrui, tosto eh' eli' è per segno fuor dischiusa; 132 cosi, poi che da essa preso fui, la bella donna mossesi, ed a Stazio donnescamente disse: (cVien con lui». 135 S'io avessi, lettor, più lungo spazio da scrivere, io pur canterei in parte lo dolce ber che mai non m' avria sazio ; .138 ma perchè piene son tutte le carte ordite a questa cantica seconda. non mi lascia più ir Io fren dell'arte. - 141 Io ritornai dalla santissim' onda rifatto si, come piante novelle rinncvellate di novella fronda, puro e disposto a salire alle stelle. 145 120. Come fa chi da colpa so tDl,s;on o^^ni ricordo, g;li hanino ecc. — Con la sollecitudine ron oscurato sjli occhi della mente, cui chi è innocente si discolpa 127. Là deriva. — - Volge il dalle accuse. suo ccrso verso quella parte. 121-12;^. Questo, ed altre cose, 130-1^2. Com'anima gentil ecc. ecc. — Gli ho detto d-./i fiumi — Come l'anima gentile non ten- de! Paradiso terrestre e di altre fa sottrarsi al desiderio altrui, cose, e sono sicura che l'immer- ma uniforma il volere proprio a sione nel Lete non gliene ha tol- quello d'altri, appena sia mani- to la memoria. festo con qualche se£:;no. 1J4-126. Forse maggior cura, 13 -. DonnescamenTe. — Con ecc. — Forse la contemplazione grazia muliebre, di Beatrice e lo stupore per i 138. — Lo dolce ber. — L'im- nieravigliosi spettacoli che spcs- mcrsione nell'Eunoè. — 406 — PARADISO CANTO I La gloria di colui, che tutto move, per l'universo penetra, e risplende in una parte più, e meno altrove. Nel ciel che più de'.la sua luce prende fu' io; e vidi cose che ridire né sa né può qual di là su discende ; perché, appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto che retro la memoria non può ire. 1-12. Proposizione. — 13-36- In- vocazione. — 13-36. Trattazione. 4. Nel ciel ecc. — Il cielo che orende più della luce divina è l'empireo, seda dei beati. Secon- do il sistema tolemaico, il poeta suppone la terra immobile nel centro del mondo, e i pianeti ag- o[irantisi attorno ad essa in orbi- te circolari, di mano in mano più ampie, nell'ordine seguente : Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Oltre questi sette cieli mobili, egli po- ne il cielo stellato, dette/ delle stelle fìsse ; e quindi il cielo cri- stallino, chiamata anche pi'imo mobile. Og^ni cielo è nel suo mo- to diretto da un angelo, che il Poeta chiama ((intelligenza», che è d'ordine gerarchico mag^glore se più alto è il cielo da esso po- sto in moto. Il firmamento o em- pireo sta sopra di tutti, ed è im- mobile : e perciò è anche designa- to col nome di (( cielo quieto». 7. Disire. — Dio. q. Che retro, ecc. — La me- moria, fa(X>ltà umana e perciò li- mitata, non può tener dietrc al- l'intelletto, né può, quindi, rife- rire tutto quanto è stato perce- pito dall'intelligenza. — 407 La Divina Commedia Veramente quant' io del regno santo nella mia mente potei far tesoro, sarà ora matera del mio canto. 12 O buono Apollo, all'ultimo lavoro fammi del tuo valor si fatto vaso, come domandi a dar 1' amato alloro. 15 Inflno a qui 1' un giogo di Parnaso assai mi fu, ma or con ambedue m'è uopo entrar nell'aringo rimasi). 18 Entra nel petto mio, e spira tue si come quando Marsia traesti della vagina delle membra sue. 21 O divina virtù, se mi ti presti tanto che l'ombra del beato regno segnata nel mio capo io manifesti, 24 venir vedrà' mi al tuo diletto legno e coronarmi allor di quelle foglie, che la matera e tu mi farai degno. 27 Si rade volte, padre, se ne coglie per trionfare o Cesare o poeta, colpa e vergogna dell'umane voglie, oO che partorir letizia in su la lieta delfica deità dovria la fronda peneia, quando alcun di sé asseta. 33 Poca favilla gran fiamma seconda : forse retro da me con miglior voci si pregherà perché Cirra risponda. 30 IO. Veramente. — Nondimeno. 2-^. L'ombra. — Il lieve licor- T4. Fammi ecc. — Infondimi do. (!cl valor tuo quanto ne pretendi 27. Che. — Delie quali, per concedere l'alloro. sS-f,-^. Si rade volte ecc. • — O 1:^. Amato, — Da le, perchè padre Apollo, si coglie di quella in lauro trasformasti Dafne. pianta per incoro'narne impera- 16-18. Iniìno. — Mi bastò l'a- lore e poeta, che l'alloro (in cui inlo delle muse abitatrici del gio- fu convertita Dafne, figliuola di r^o del Parnaso : Elicona ; ora mi Penco), dovrebbe crescer letizia ^ necessario quello di Apollo, di- ^^ j>^ y^^^^ Apollo, quando in morante sul giopo ( ura. , „ n. j„ -j ;„ r 1 T,.„ T- alcuno mette desiderio di se. IO. Tue. lu. ^ r r-. 1- 20. Marsia. — Satiro frigio, 35-36. Forse ecc. — Dopo di vinto da Apoll-, in una tjara di "le qualche altro poeta cantera musica e da lui scuoiato vivo. più degnamente il paradiso, e 22. Divina virtù. — D'Apollo. sarà favorito da Apollo. — 40S — Paradiso - Canto I Surge ai mortali per diverse foci la lucerna del mondo ; ma da quella, che quattro cerchi giunge eon tre croci, con miglior corso e con migliore stella esce congiunta, e la mondana cera più a suo modo tempera e suggella. Fatto avea di là mane e di qua sera tal foce quasi, e tutto era là bianco quello emisperio, e 1' altra parte nera, quando Beatrice in sul sinistro fianco vidi rivoha, e riguardar nel sole : aquila si non gli s'affìsse unquanco. E si come secondo raggio suole uscir del primo, e risalire in suso pur come peregrin che tornar vuo'e ; cosi dell'atto suo, per gli occhi infuso nell'imagine mia, il mio si fece, e fissi gli occhi al sole oltre a nostr' uso. Molto è licito là, che qui non lece alle nostre virtù, mercé del loco fatto per proprio dell' umana spece. Io no 'l soffersi molto né si poco eh' io no '1 vedessi sfavillar d' intorno, qual ferro che bogliente esce del foco ; 39 42 45 48 SI 54 57 37-42. Surge. — Il sole (la- cerna del mondo) sor^e da di- versi punti (foci) dell'orizzonte, secondo le stag;ioni, ma da quel punto (eh 'è il punto cardinale di levante), ove lo zodiaco, l'e- quatore e il coluro equinoziale, intersecandosi coli 'orizzonte me- desimo formanoi tre croci, sorge recando gfiorni più lieti, in com- pag^nia della maggiore stella (l'Ariete) ; l'efficacia dei suoi raggi sulla materia (mondana cera) è maggiore, perchè più di- sposta a darle l'imipronta. 4:^. Di là. — Neiremisfero del Purgatorio. Di qua. — Nel nostro. 48. Unqnanco. — Giammai. 49. E si come ecc. — Come il raggio riflesso si genera dal raggio diretto, e risale verso l'alto in contraria direzione, a guisa di pellegrino che torna in patria. c;2-5;.'^. Cosi ecc. — Dal suo atto fui tratto a guardare anch'io il sole. 5_^. Là. — Nel paradiso terre- stre, dove anche la parte corpn- rea è più forte. Qui. — In quesfo inondo. — 409 La Divina Cdmmedia e di subito parve giorno a giorno essere aggiunto, come quei che puote avesse il del d' un altro sole adorno. 63 Beatrice tutta nell'eterne rote fissa con gli occhi stava : ed io in lei le luci fissi, di là su remote. 60 Nel suo aspetto tal dentro mi fei, qua] si fé' Glauco nel gustar dell'erba, che il fé' consorto in mar degli altri dei. 69 Trasumanar significar per verba non si poria ; però l'esemplo basti a cui esperienza grazia serba. V 72 S'io era sol di me quel che creasti novellamente, Amor che il elei governi, tu il sai, che col tuo lume mi levasti. 75 Quando la rota, che tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso con r armonia che temperi e discerni, 78 parvemi tanto allor del cielo, acceso dalla fiamma del so!, che pioggia o fiume lago non fece mai tanto disteso. 81 La novità del suono e il grande lume di lor cagion m'accesero un disio mai non sentito di cotanto acume. 84 Ond'ella, che vedea me, si com'io, a quietarmi 1' animo commosso, pria eh' io a domandar, la bocca aprio ; 87 ()2. Quei che puote. — Dio. 7,^-7.=;- S':o era sol, ecc. — S, 68. Glauco. — Pescatore della io ero solamente anima, o se sa- Beozia il quale, vedendo che i liva verso ii cielo col mio corpo, pesci da lui presi rivivevano e lo sai tu. o Signore, che con la saltavano in mare mangiando tua grazi.i mi sollevasti, certe erbe, ne assaggiò egli pu- 76. Quando la rota ecc. — Ai- re, e divenne Dio marino. lorquando il rotare dei cieli, e- 70. Trasumanar ecc. — Il pas- terno per il desiderio che essi sare dallo stato umano al divino hanno di te, richiamò la mia at- non si può esprimere con parole. tenzione con l'armonia, che tu 71. L'esemplo. — Di Glauco. moderi e distingui. 72. A cui esperienza, ecc. — 79-80. Del cielo, acceso ecc. — A cui Dio serba di provare in sé Della sfera del fuoco. l'j. trasformazione. 8.=;. Ella. — Beatrice. — 410 — fARADisn - ('an in T e cominciò : <( Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar, si che non vedi ciò che vedresti, se 1' avessi scosso. 90 Tu non se' in terra, si come tu credi; ma folgore, fuggendo il proprio sito, non corse, come tu eh' ad esso riedi )>. 93 S' io fui del primo dubbio disvestito per le sorrise parolette brevi, dentro ad un novo più fui irretito ; 96 e dissi : « Già contento requievi di grande ammirazion ; ma ora ammiro com' io trascenda questi corpi lievi h. 99 Ond'ella, appresso d'un pio sospiro, gli occhi drizzò vèr me con quel sembiante che madre fa sopra figliuol deliro; 102 e cominciò : « Le cose tutte quante hann 'ordine tra loro; e questo è forma che l'universo a Dio fa simigliante. 105 Qui veggion l'alte creature l'orma dell'eterno valore, il quale è fine, al quale è fatta la toccata norma. 108 Nell'ordine ch'io dico sono accline tutte nature, per diverse sorti, più al principio loro e men vicine; 111 onde si movono a diversi porli per lo gran mar dell'essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti. 114 SS. Grosso. — Ignorante. io6. L' aite creature. — di 0^ Ad esso. — Al cielo. anofeli, e, secondo altri commen- f)6. Dentro ecc. — Ebbi un tatori, anche sjli uomini. nuovo dubbio. T07. Eterno. — Dio è il fine g7. Kequievi. — Riposai (mi ultimo cui è subordinate l'ordi- fu tC'Ua una ragione di grande ne sopraccennato. meraviglia). log. Accline. — Inclinate, pro- qq. Trascenda. — Attraversi pense. s^''lerido. „o. Sorti. — Modi. qq. Corpi lievi. — Aria, fuoco. ^^^ pj^j e^.^.^ _ Secondo il 102. Deliro. — Delirante. , ,• , r • ,04. Hann'ordine ecc. - L'or- S'-.^^o d. loro perfez.c™ o som,- dine delle cose fra loro è il ffl'anza a Dio. principio che dà unità, renden- 112. Si movono^ ecc. — Ten- dole simili a Dio. dono a diversi fini. — 411 — La Divina Commedia Questi ne porta il foco in ver la luna, questi nei cor mortali è permotore, questi la terra in sé stringe ed aduna, 117 Né pur le creature, che son fuore d'intelligenza, quest'arco saetta, ma quelle c'hanno intelletto ed amore. 120 La provvidenza, che cotanto assetta, del suo lume fa il ciel sempre quieto, nel qual si volge quel c'ha maggior fretta. 123 Ed ora li, com'a sito decreto, cen porta la virtù di quella corda, che ciò che scocca drizza in segno lieto. 126 Ver è che come forma non s'accorda molte fiate alla intenzion dell'arte, perché a risponder la matera è sorda; 129 cosi da questo corso si diparte talor la creatura, c'ha potere di piegar, cosi pinta, in altra parte 132 (e si come veder si può cadere foco di nube), se l'impeto primo a terra è torto da falso piacere. 135 Non dèi più ammirar, se bene estimo lo tuo salir, se non come d'un rivo se d'alto monte scende gì uso ad imo. . 138 ii6. Questi. — Questo istinto che, provenendo da Dio, sempre porta il fuoco verso la iuna, guida a fine buono, fa agire gli animali, ed è la 127-129. Ver è ecc. — Non forza di coesione che tiene unite sempre l'opera dell'artista ri- le parti della terra. sponde al concetto artistico del- 118. Né pur. - — Non solo i la sua mente, bruti ma anche gli uomini e gli 132. Così pinta. — Sebbene angeli sono dominati da questo cosi indirizzata, istinto. iT,T,. E sì come ecc. — E co- 12 1. Assetta. — Ordina, pre- me cade il fuoco, che per sua dispone. natura, dovrebbe andare in su, e 122. Lume. — Fa del suo non in giù. splendore sempre contento e im- 134. L' impeto primo. — La mobile l'Empireo, nel quale si prima tendenza, volge il Primo Mobile, il più ve- 135. Torto. — Volto, loce di tutti i cieli. 137. Se non come d'un rivo. 124. Ed ora ecc. ■ — All'empi- — Come non ti meraviglieresti reo ci condusse l'istinto naturale, d'un ruscello ecc. — 412 — Paradiso - Canto !1 Maraviglia sarebbe in te, se privo d'impedimento giù ti fossi assiso, come a terra quiete in foco vivo». Quinci rivolse in ver lo cielo il viso. 142 i;^g-i4i. Maraviglia ecc. — i terra senza tendere al cielo, ro- Gli altri si meravigflierebbero di me al vedere il fuoco non vol- te che, pur essendo libero da gersi all'alto, impedimenti, ti fossi assiso in CANTO II O voi, che siete in piccioletta barca, desiderosi d'ascoltar, seguiti retro al mio legno che cantando varca, 3 tornate a riveder li vostri liti : non vi mettete in pelago; che forse, perdendo me, rimarreste smarriti. fi L'acqua ch'io prendo giammai non si corse : Minerva spira, e conducemi Apollo, e nove Muse mi dimostran l'Orse. 9 Voi altri pochi, che drizzaste il collo per tempo al pan degli angeli, del quale vivesi qui, ma non sen vien satollo, 12 metter potete ben per l'alto sale vostro navìgio, servando mio solco dinanzi all'acqua che ritorna equale. 15 I. Voi ecc. — Che avete pie- trattato mai di questa materia, roto corredo di ognizioni filoso- q. Mi dimostran l'Orse. — Mi fiche e teoloGfiche. segnano il cammino sulla scorta T,. Retro al mio legno ecc. — delle due Orse: l'ultima stella Dietro al poema che si leva sem- dell'Orsa minore è la stella po- -pre più in alto. lare. 4. Tornate. — Contentatevi io. Drizzaste. — Alzaste la della primr due cantiche. mente alla scienza del'e cose di- f,. Non ecc. — Rinunciate alla vine. lettura di questa cantica. i.-^. Alto saie. — L'alto mare. 6. Perdendo me ecc. — Non 14. Servando. ■ — .Seguendo la ootendo seguire il mio cantc. scia della mia nave, prima che 7. L'acqna ecc. — Nessuno ha sparisca. - - 4l^ — La Divina Commedia Quei gloriosi che passare a Coleo non s'ammiraron, come voi farete, quando Giason vider fatto bifolco. 18 La concreata e perpetua sete del deiforme regno cen portava veloci, quasi come il ciel vedete. 21 Beatrice in suso, ed io in lei guardava ; e forse in tanto, in quanto un quadrel pusa e vola e dalla noce si dischiava, 24 giunto mi vidi ove mirabii cosa mi torse il viso a sé ; e però quella, cui non potea mia opra essere ascosa, 27 volta vèr me si lieta come bella : (( Drizza la mente in Dio grata, mi disse, che n'ha congiunti con la prima stella». 30 Pareva a me che nube ne coprisse lucida, spessa, solida e polita, quasi adamante che lo sol ferisse. 33 Per entro sé l'eterna margarita ne recepette, com 'acqua recepe raggio di luce, permanendo unita. 36 S'io era corpo, e qui non sì concepe com 'una dimensìon altra patio, ch'esser convien se corpo in corpo reps, 39 16-18. Quei gloriosi. — Gli noce, ossia dall'osso della bale- Arofonauti, che andarono nella stra, e volaire e toccare la mèta Cokhlde a rapirvi il vello d'oro, e fermarsi, non si meravigliarono tanto nel 27. Opra. — Pensiero, vedere il loro duce Giasone ara- .•^o. N'iia coni^ilinti ecc. — Ci re con due tori soffianti fiamme ha fatti salire al cielo della luna, dalle narici. •^2. Polita. — Cosi si a'edeva if). Concreata. — Creata col- al tempo di: Dante; oggi inve- i'Liomo. ce è noto che la luna contiene 20. Deiforme regno. — Il eie- catene di monti. lo. 21. Quasi come ecc. — Quasi 21. Quasi come ecc. — Quasi un diamante esposto ai raggi del rolla stessa velocità con la quale sole. vedete muovorsi il cielo stellato 34. L'eterna margarita. — E' (84.000 miglia al minuto secon- la mirabii cosa, l'adamante in- do), corruttibile, ossia la luna, che ta- 23-24. E forse in tanto, ecc. — le .^i credeva. In tanto tempo quanto ne impie- 35. Recepette. — Ricevette, ga uno strale a liberarsi dalla .C-4-- S'io era corpo, ecc. — — 414 — Paraoiso - Cantci li accender ne dovria più il disio di veder quella essenza, in che si vede come nostra natura e Dio s'unìo. 42 Li si vedrà ciò che tenem per fede, non dimostrato, ma fia per sé noto, a guisa del ver primo che l'uom crede. 45 Io risposi : « Madonna, si devoto, quant'esser posso più, ringrazio lui lo qual dal mortai mondo m'ha remoto. 48 Ma ditemi, che son li segni bui di questo corpo, che là giuso in terra fan di Gain favoleggiare altrui? » 51 Ella sorrise alquanto, e poi : (( S'egli erra l'opinion, mi disse, dei mortali, dove chiave di senso non disserra, 54 certo non ti dovrien punger gli strali d'ammirazion ornai ; poi retro ai sensi vedi che la ragione ha corte l'ali. 57 Ma dimmi quel che tu da te ne pensi )). Ed io : (( Ciò che n'appar qua su diverso, credo che il fanno i corpi rari e densi ». GO Ed ella : « Certo assai vedrai sommerso nel falso il creder tuo, se bene ascolli l'argomentar ch'io gli farò avverso. (53 La spera ottava vi dimostra molti lumi, li quali nel quale e nel quanto notar si posson di diversi volti. fìC Non si concepisce come due di- 48. Remoto. — Allontanato, mensioni potessero compenetrarsi 49-53- Li segni bui ecc. — I..e in una, il che deve necessaria- macchie lunari, che danno ceca- mente accadere, se un corpo pe- sione al volgo di favolego^iare netra in un altro : questo fatto (he rappresentino Caino con un dovrebbe ancora di più accende- fascio di spine, re ii desiderio di vedere l'essenza 54- l>ove ecc. — In ciuelle co- di Cristo, nel quale si fusero la se a penetrare le quali non basta natura umana e divina. il senso. 43. Lì ecc. — Nel cielo vedre- 57- La ragione ha corte l'ali. mo ciò che in tenra crediamo. — Non raggiunge la verità. 44. Non dimostrato ecc. — Non .'9 60. Ciò che n'appar ecc. — per dimostrazione, ma per sua Le macchie le credo dovute alla propria evidenza. densità varia degli elementi. 4^. Ver primo. — Dio, fonda- 64. La spera ottava ecc. — mento di ogni verità. L'ottavo ci'^fo, delle stelle fìsse, vi — 415 — La Divina Commedia Se raro e denso ciò facesser tanto, una sola virtù sarebbe in tutti, più e men dìstributa, ed altrettanlo. 69 Virtù diverse esser convengon frutti di principi formali, e quei, fuor cli'uno, seguiterieno a tua ragion distrutti. 72 Ancor, se raro fosse di quel bruno cagion che tu domandi, od oltre in parte fora di sua materia si digiuno 75 esio pianeta, o, si come comparte lo grasso e il magro un corpo, cosi questo nel suo volume cangerebbe carte. 78 Se il primo fosse, fora manifesto nell'eclissi del sol, per trasparere lo lume, come in altro raro ingesto. 81 Questo non è ; però è da vedere dell'altro, e, s'egli avvien ch'io l'altro cassi, falsificato fìa lo tuo parere. 84 S'egli è che questo raro non trapassi, esser conviene un termine, da onde lo suo contrario più passar non lassi ; 87 ed indi l'altrui raggio si rifonde cosi, come color torna per vetro lo qual di retro a sé piombo nasconde. , 90 presenla astri con luce varia [)cr punti, la Luna sarebbe foirata da qualità e quantità. parte a parte per mancanza di 67-60. Se raro e denso, ecc. — materia, C2;\ì strati sarebbero di- Se questi astri differissero solo stribuiti differentemente, come il per causa della diversa densità, crasso e il magro nel corpo, a- essi avrebbero tutti, in varia mi- vendo cosi varia densità, sura, la stessa virtij. 7Q-8i. Se il primo fosse ecc. 70-72. Virtù diverse, ecc. — — Ne! caso che la Luna fosse Le virtù diverse deile stelle dipen- forata da parte a parte, neli'e- donc- da varii principii formali, dissi del Sole i raggi di questo invece tu li distruggi tutti, me- dovrebbero attraversare i fori no quello della densità. La filoso- della Luna, come passano attra- ila scolastica distingueva nei cor- verso i corpi rari. i)i due principii ; maleriale (mate- 81. Ini^esto. — LTtrodollo. ria prima uguale in tutti i cor- 8t,. Cassi. — Confuti, pi) ; formale (forma sostanziale 84. Falsificato fia. . — Dimo- rostituente la specie e la \irlù dei strato falso, singoli corpi). S.qoo. S'ej^li è che questo ecc. 73. Ancor, se raro fosse, ecc. — Se il raggio non passa la ■ — Se le macchie fossero dovuto minore densità, vuol dire che v'è alla densità minore in alcuni m limito oltre il quale vi i'' --- 4ì6 ~ Pakadiso - Canto li Or dirai tu ch'ei si dimostra tetro quivi lo raggio più che in altre parti, per esser li rifratto più a retro. 93 Da questa instanzia può diliberarti esperienza, se giammai la provi, ch'esser suol fonte ai rivi di vosir'arti. 96 Tre specchi prenderai ; e due rimovi da te d'un modo, e l'altro più rimosso tr'ambo li primi gli occhi tuoi ritrovi. 99 Rivolto ad essi fa che dopo il dosso ti stea un lume, che i tre specchi accenda e torni a te da tutti ripercosso. 102 Benché, nel quanto, tanto non si stenda la vista più lontana, li vedrai come convien ch'egualmente risplenda. 105 Or, come ai colpi delli caldi rai della neve riman nudo il suggetto e dal colore e dal freddo primai ; 108 cosi rimaso te nello intelletto voglio informar di luce si vivace, che ti tremolerà nel suo aspetto. 1 1 1 Dentro dal ciel della divina pace si gira un corpo, nella cui virtute l'esser di tutto suo contento giace. 114 (Itnsdtà mae; gioire, e su di essa too. Dopo ii dosso. - Dictixi il raggio luminoso (lo suo con- le spalle. li-ario) si riflette come il colore loi. Accenda. — Illumini, sullo specchio. 102. Ripercosso. — Riflesso. 91-93. Or dirai tu ecc. — Tu J03-105. Benché ecc. — Ben- DOtresti obiettare che in quel che nello specchio più lontano il punto di separazione il raggio lume sia più piccolo, esso però è appare meno intenso, perchè ri- luminoso come negli altri due. flesso non alia superficie lunare, 104. La vista. — La visione ma più in dentro. dell'immagine. 94. Instanzia. — Obiezione, 107. Della neve ecc. — Gli dubbio. oggetti sottostanti alla neve si 95. Esperienza. — Esperimen- liberano del bianco ammanto e jQ del freddo primiero. 96. Ch'esser ecc. - Suole es- ,. ^09-" i, Così rimaso te ecc - ' , , ,, ,. Cosi voglio I intelletto tuo, libe- ser fondamento alle art. umane. ^^^^ dall'errore, illuminare di lu- 97. Rimovi. — Mettili a egual ^^^ ^ ^^rità chiara per sé stessa, distanza. 112-114. Dentro dal ciel ecc. qS. Rimosso. — Più distante. — Nell'Empireo si volge il pri- — 417 — La DiVjNA Commedia Lo ciel seguente, c'ha tante vedute, quell'esser parte per diverse essenze da lui distinte e da lui contenute. Gli altri giron per varie differenze le distinzion, che dentro da sé hanno, dispongono a lor fini e lor semenze. Questi organi del mondo cosi vanno, come tu vedi ornai, di grado in grado, che di su prendono, e di sotto fanno. Riguarda bene ornai si com'io vado per questo loco al ver che tu disiri, si che poi sappi sol tener lo guado. Lo moto e la virtù dei santi giri, come dal fabbro l'arte del martello, dai beati motor convien che spiri ; e il ciel, cui tanti lumi fanno bello, dalla mente profonda che luì voi ve prende l'iraage, e fassene suggello. E come l'alma dentro a vostra polve per differenti membra e conformate a diverse potenze si risolve ; 117 120 123 126 129 132 135 mo mobilo, dal quale proviene la virtù a tutto quanto contengono il cielo e la terra. ii.!^-ii7. Lo ciel sej^uente, ecc. -- II cielc ottavo delle stelle fìsse, distribuisce la virtù diffusa dal nono cielo fra le diverse stelle che sono in esso. 118-120. Gli altri giron ecc. Tili altri -^ette cieli hanno virtù Droprie, e le distribuiscono dTf- f( rentemente, seconde i loro effet- ti e secondo le loro cause. 121-12;^. Questi organi. — I nove cieli, che sono le membra deir universo, si dispongjono in modo che ricevono la virtù del • ielo superiore e la comunicano al cielo inferiore. i2v Per questo loco. — Attra- verso questo ragionamento. 126. Sì che poi sappi sol ecc. — Sicché tu poi sappia da sola seofuire il cammino che mena al vero. i27-i2g. Lo moto e la virtù, ecc. — Come l'arte del martel- lo non opera per sé, ma per virtù del fabbro, così sono impressi ai cieli il moto e l'influenza da.s;li an.g'eli. i~i0-i.32. E il ciel, cui tanti !u = mi ecc. — E il cielo delle stelle fisse prende l'impronta dall'intel- ligenza angelica che gli dà mo- to, e la imprime nelle stelle. i.S.S-i.^8. E come l'alma ecc. — E come l'anima, pur essendo u- na sola, si rivela nelle varie membra che han varia funzione, così l'Intelligenza delle stelle fìs- se esplica nelle stelle la sua mol- teplice virtù, pur mantenendosi una. 418 Paradiso - Canio 1 1 1 cosi l'intelligenza sua bontate multiplicata per le stelle spiega, girando sé sopra sua unitate. 138 Virtù diversa fa diversa lega col prezioso corpo eh 'eli 'avviva, nel qual, si come vita in voi, si lega. 141 Per la natura lieta onde deriva la virtù mista per lo corpo luce, come letizia per pupilla viva. 144 Da essa vien ciò che da luce a luce par differente, non da denso e raro : essa è formai principio che produce, conforme a sua bontà, lo turbo e il chiaro». 148 139-141. Virtù diversa ecc. — — Dalla virtù diversamente di- La virtù dell'Intelligenza motri- stribuita dell'Intelligenza deriva la ce variamente opera nell'astro, luce differente de.2:li astri, e non così come il principio vitale fa dalla loro densità maijgiore o mi- nel corpo umano. „ore. Essa è il principio informa- 142-144. Per la natura lieta, . , j i .• -i „„„^ 1- t T t 11- tore che produce u chiaro e il ecc. — E questa Intelligenza . o- 1 , 1 , ■ , ■ poiché deriva dalla natura lieta ^^^co. Sicché le macchie lunari di Dio, riluce nell'astro come la sono prodotte dall'influenza in va- gioia nell'accesa pupilla. rio modo data dall'Intelligenza 145-148. Da essa vien ciò ecc. motrice dell'astro. CANTO 111 Quel sol, che pria d'amor mi scaldò il petto, di bella verità m'avea scoperto, provando e riprovando, il dolce aspetto ; 3 ed io, per confessar corretto e certo me stesso, tanto quanto si convenne levai lo capo a proferer più erto. 6 1. Quel sol. — Beatrice. e riprovando o dinioslrando fal- 2. Bella verità. — Circa le sa quella di Dante. macchie lunari. 4. Certo. — Convinto della ve- 3. Provando e riprovando. — rità d mostratami. Provando vera l'opinione di lei, — 419 — La Divina Coìnimedia Ma visione apparve, che ritenne a sé me tanto stretto, per vedersi, elle di mia confession non mi sovvenne. 9 Quali per vetri trasparenti e tersi 0 ver per acque nitide e tranquille, non si profonde che i fondi sien persi, 12 toman dei nostri visi le postille debili si che perla in bianca fronte non vien men tosto alle nostre pupille ; 15 tali vid'io più facce a parlar pronte, per ch'io dentro all'error contrario corsi a quel ch'accese amor tra l'uomo e il fonte. 18 Subito, si com'io di lor m'accorsi, quelle stimando specchiati sembianti, per veder di cui fosser gli occhi tòrsi ; 21 e nulla vidi, e ritorsili avanti dritti nel lume della dolce guida, che sorridendo ardea negli occhi santi. 24 « Non ti maravigliar perch'io sorrida, mi disse, appresso il tuo pueril coto, poi sopra il vero ancor lo pie non fida, 27 ma ti rivolve, come suole, a voto : vere sustanzie son ciò che tu vedi, qui rilegate per manco di vóto; 3(J però parla con esse, ed odi e credi, che la verace luce che le appaga da sé non lascia lor torcer li piedi ». 33 ,S, Tanto stretto. — Molto at- Immagini riflesse di visi che stes- tcnlo. sere dietro. Per vedersi, — Per farsi ve- 26. Coto. — Pensiero, dcre. 27. Poi. — Poiché. ij. Persi. — Oscuri, neri. Lo pie non fida. — Il tuo pie- 13. Postille. — LLneamenti. eli; non ptiSi^ia. 17-18. Per ch'io. — Caddi nil- 2S. Rivolve a vóto. — Ricade l'errore contrario a quello di nell'errore. Narciso, il quale, vedendo nel- 29- Vere sustanzie. — Spiriti i 'acqua l'innnas^ine del suo viso, reali. _, - „«i«e che ,o,.o <,.e,.a d'allri o S3,«f W»' ^,^"^1^,,^. se ne innamorò ; io, invece, ere- nienfo detti che fossero immag^ini le .^2. Verace luce. Dio. sembianze, che erano veri volti. ^ì,. Da sé ecc. — Non perniet- 20. Specchiati sembianti. — te che si allontanino da lei. — 420 — Paradiso - Canto III Ed io all'ombra, che parca più vaga di ragionar, drizza' mi, e cominciai, quasi com'uom cui troppa voglia smaga: 36 a O ben creato spirito, che ai rai di vita etema la dolcezza senti, che non gustata non s'intende mai, 39 grazioso mi fia, se mi contenti del nome tuo e della vostra sorte ». Ond'ella pronta e con occhi ridenti : 42 della penitenza, sullo la direzio- della rostra beatitudine. ne di S. Francesco, fondò nel 86. Quel mare. — Quel fine. 1212 un'ordine monastico che eb- luo^o del cielo. be rapida diffusione. 88. Ogni dove. — In ogni qo- Veste e Vila. — Si prm- 8q. E si. — Anche se. de l'abito ed il velo monacale. 92. Gola. — Desiderio. 100. Vegghi. — Vegli. q!;-q6. Qual fu la tela, ecc. — 101. Sposo. — Cristo. Qual fu il tenore della vita mo- lo.v E promisi. — Promisi di nastica da lei non terminata. seguire. q6. Co'. — Capo. Setta. — Regola. qy. Inciela. — Collocano in 108. Fusi. — .Si fu, fu. cielo. log. Quest'altro ecc. — Que- 98. Donna. — Santa Chiara st' altra anima che rifulge alla d'Assisi, (i 194-1253), al secolo mia destra e s'accende di tutto Clara Sciffì. Amante del ritiro e il lume della sfera lunare inten- — 423 — La Divina Commedia ciò ch'io dico di me di sé intende : sorella fu, e cosi le fu tolta di capo l'ombra delle sacre bende. 114 Ma poi che pur al mondo fu rivolta centra suo grado e contra buona usanza, non fu dal vel del cor giammai disciolta. 117 Quest'è la luce della gran Costanza, che del secondo vento di Suave generò il terzo, e 1' ultima possanza ». 120 Cosi parlommi, e poi cominciò : (( Ave, Maria », cantando ; e cantando vanio come per acqua cupa cosa grave. 123 La vista mia, che tanto la seguio quanto possibii fu, poi che la perse volsesi al segno di maggior disio, 126 ed a Beatrice tutta si converse ; ma quella folgorò nello mio sguardo si che da prima il viso non sofferse, e ciò mi fece a domandar più tardo. 130 de come detto di sé quello ch'io ho detto di me. 113. Sorella. — .Suora. 117. Non fu dal vel ecc. — Rimase sempre monaca nel cuo- re. 118. Costanza. — Figlia po- stuma di Ruggero I, ultima ere- de dei Normanni, e regina delle due Sicilie, moglie di Arrigo VI imperatore, e madre di Federi- co II, nata nel 11.^4, sposata nel 1185, morta nel iigS. Dante se- true un' antica favola , creduta fallo storico, ritenendo Costan- za monaca, tolta dal chiostro c'airarcivescova di Palermo : Gual- tieri Offamilio. iiq. Suave. — Svevia. Vento. -- Imperatore. Arrigo VI fu il secondo imperatore romane/ di ca- sa sveva, e Federico ne fu l'ul- timo. 122. Vanio. — Disparve. 123. Come. — Come cosa gra- ve che discenda entro acqua pro- fonda. 128. Folgorò. — Accenna al grande divario ira lo splendore di quelle anime e lo .splendori di Beatrice. i2r). Viso. — Forza visiva. 424 — Paradiso - Canto IV CANTO IV Intra due cibi, distanti e moventi, d' un modo, prima si morria di fame, che liber uomo 1 ' un recasse ai denti : si si starebbe un agno intra due brame di fieri lupi, egualmente temendo ; si si starebbe un cane intra due dame. Per che, s'io mi tacea, me non riprendo, dalli miei dubbi d'un modo sospinto, poich'era necessario, né commendo. Io mi tacea ; ma il mio disir dipinto m'era nel viso, e il domandar con elio, più caldo assai che per parlar distinto. Fé' si Beatrice, qual fé' Daniello Nabuccodonosor levando d'ira, che r avea fatto ingiustamente fèllo; e disse : « Io veggio ben come ti tira uno ed altro disio, si che tua cura sé stessa lega si che fuor non spira. 12 15 18 1. Moventi. — .Stimolanti p- ^uainienlo l'appetito. 2. Prima ecc. — L'uomo mor- n-blìf di fame indeciso nella scel- ta. 4. Intra ecc. — Cosi immobi- le fra due lupi famelici. 6. Dame. — Daini. 7-10. Per che ecc. — Io non merito né biasimo né lode per aver taciut >, poiché essendo e- gualmente mosso da due dubbi, non j)otevo parlare. i2. Più caldo ec:. — In mo- do più evidente che se avessi parlato apertamente. 13. Fé' sì... qual. — Fece co- me il profeta D.aniele, che indo- vinò il sogfno del quale Nabucco- donosor, re di Babilonia, s'era dimenticato, impedendo così al r.T di uccidere tutti i suoi indo- vini, che non avevano saputo rammentarlo. 1^. Fèllo. — Iniquo. 17. Th."i cura ecc. — In modo che il tuo pensiero iniipedisc»- a se stesso di manifestarsi. — 4^.^ [.A Divina Commedia Tu argomenti : ' Se il buon voler dura, la violenza altrui per qual ragione di meritar mi scema la misura? ' Ancor di dubitar ti dà cagione, parer tornarsi l'anime alle stelle, secondo la sentenza di Platone. Queste son le question, che nel tuo ve'le pontano egualemente ; e però pria tratterò quella che più ha di felle. Dei serafin colui che più s' india, Moisè, Samuel, e quel Giovanni, qual prender vuoli, io dico, non Maria, non hanno in altro cielo i loro scanni che quegli spirti che mo t' apparirò, né hanno all' esser !or più o meno anni. Ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita, per sentir più e men l'eterno spiro. Qui si mostraron, non perché sortita sia questa spera lor ; ma per far segno della celestial e' ha men salita. 21 24 27 30 33 36 39 iq. Se il buon voler, ecc. — Se la volontà d'adempiere i voti dura. 21. Di meritar ecc. — Dimi- nuisce il mio merito. 22. Ancor ecc. — Dante, se- condo quanto aveva scritto Pla- tone, inclinava a credere che le anime uscite dai corpi tornasse- ro alle stelle. 2^. Nel tuo velie ecc. — Sul- la tua volontà insistono con e- gual forza. 27. Felle. — Fiele ; che è più contraria alla fede cristiana. 28. S'india. — Che è più orossimo a Dio. 2f)-.so. Moisè. — Il più gran- de dei profeti. Samuel. — Profeta, ed ultimo dei criuclici che ressero gli Ebrei, creatore della monarchia per vo- lere di Dio. E quel Giovanni. — E quello che tu vuoi dei due Giovanni : Battista o Evangelista. Non Maria. — Nonché Maria. 33. Né hanno ecc. — E la lo- ro beatitudine è egualmente e- terna per tutti. 34. Primo j^iro. — Empireo. -^6. Per sentir ecc. — Senten- do più o meno la beatitudine e- pianata da Dio. 37. Non iierchè sortita. — Non perchè abbiano avuto in sorte. 35. Ma per far sej^no. — Ma per significare il minor grado della loro beatitudine celestiale. — 426 -- Paradiso - Canto I\' Cosi parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende ciò che fa poscia d'intelletto degno. 42 Per questo la Scrittura condiscende a vostra facultate, e piedi e mano attribuisce a Dio, ed altro intende ; 45 e santa Chiesa con aspetto umano Gabriel e Michel vi rappresenta e r altro che Tobia rifece sano. 48 Quel che Timeo dell' anime argomenta non è simile a ciò che qui si vede, però che, come dice, par che senta. 51 Dice che l'alma alla sua stella riede, credendo quella quindi esser decisa, quando natura per forma la diede. 54 E forse sua sentenza è d'altra guisa che la voce non suona ; ed esser puote con intenzion da non esser derisa. 57 S' egl' intende tornare a queste rote l'onor dell'influenza e il biasmo, forse in alcun vero suo arco percote. 60 Questo principio male inteso tòrse già tutto il mondo quasi, si che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse. 63 41-42. Però che ecc. — L'in- che egli creda a ciò che dice in- gegno solo da oggetti sensibili torno alla distribuzione delle ani- (da sensato) apprende ciò che nie de' diversi cieli, noscia diventa materia intelligi- ?,3,-?,4. Credendo ecc. — L'ani- bile, ma sarebbe stata tolta dalla sua 43. Condiscende a vostra fa= snella, allorché la natura la dette cullate. — S'adatta alla vostra a un corpo come forma di esso. capacità. ^^. E forse ecc. — Ma forse 4.i^. Ed altro intende. — Ed in- Platone volle pur dare un signi- tende invece gli attributi spili- ficato profoindo alle sue parole, tuali. non meritevole di derisione. 47. Gabriel. — I tre arcan- 58. Tornare. — Riferire, attri- geli Gabriele, Michele e Raffae- buire. le. il quale rese la vista al vec- 59. L'onor ecc. — I buoni e chic Tobia. i cattivi influssi. 49-1^1. Quel che Timeo ecc. — 60. In alcun ecc. — In qual- Ciò che Platone afferma nel che parte s'appone al vero, dialogo intitolato ((Timeo», non 61. Tòrse. — Traviò. è simile a quello che si vede in 62. Sì che Giove ecc. — Det- questo cielo lunare, poiché pare tero ai pianeti i nomi di Giove, — 427 — La Divina Commedia L' altra dubitazion che ti commove ha men veien, però che sua malizia non ti poria menar da me altrove. Parere ingiusta la nostra giustizia negli occhi dei mortali, è argomento di fede, e non d'eretica nequizia. Ma, perché puote vostro accorgimento ben penetrare a questa veritate, come disiri, ti farò contento. Se violenza è quando quel che paté, niente conferisce a quel che isforza, non fùr quest' alme per essa scusate ; che volontà, se non vuol, non s' ammorza, ma fa come natura face in foco, se mille volte violenza il torza : per che, s'ella si piega assai o poco, segue la forza ; e cosi queste fero, possendo ritornare al santo loco. Se fosse stato lor volere intero, come tenne Lorenzo in su la grada e fece Muzio alla sua man severo. 66 69 72 75 78 81 84 Saturno, Venere, credendo che ciascuno di essi esercitasse l'in- fluenza propria di quegli Dei. 65. Però che. — Non ti po- trebbe allontanare dalla sana dottrina leologica, per farti ca- dere in eresia. Malìzia. — Perversità. 67. Parere ingiusta ecc. — Se la divina giustizia pare ingiusta agii occhi dei mortali, tale ap- parenza dovrebbe guidarli alla fe- de, e non all'incredulità, sapen- do che i giudizi di Dio sono in- comprensibili. 7.S. Se violenza è quando ecc. — Chi la soffre non concorre minimamente a ciò che fa il vio- lento, queste anime non possono avere scusa d' essere state co- strette a rompere i voti, poiché piir potendo, non tornarono al chiostro. 77. Ma fa ecc. — Resiste cioè a tutte le violenze,' come il fuoco manifesta sempre la sua, naturale tendi-nza all' insù, an- che se infinite volte è piegato violentemente ali 'ingiù. 79. S'ella. — La volontà. 80. Queste. — Costanza e Pie- carda. 81. Santo loco. — Monastero. 8::(. Lorenzo. — Romano, dia- cono e tesoriere della Chiesa neJ. secolo III, sofifrl il martirio, (258) per l'editto di Valeriano. Dopo essere stato frustato, fu posto a bruciare sopra una gra- ticola senza che egli desse segni di dolore. 84. Muzio. — Cordo Scevola, giovine romano, che tentò di li- berare Roma uccidendo Porscn- na, re ctruscT, che assediava la città; fallitogli il lolpo, jier pu- — 428 Paraoiso . Canto ]\' così le avria ripinte per la strada ond' eran tratte, come furo sciolte ; ma cosi salda voglia è troppo rada. 87 E per queste parole, se ricolte l'hai come devi, è l'argomento casso, che t 'avria fatto noia ancor più volte. 90 Ma or ti s' attraversa un altro passo dinanzi agli occhi, tal che per te stesso non usciresti, pria saresti lasso. 93 Io t' ho per certo nella mente messo eh' alma beata non poria mentire, però che sempre al primo vero è presso : 96 e poi potesti da Riccarda udire che l'affezion del vel Costanza tenne, si eh' ella par qui meco coniradire. 99 Molte fiate già, frate, addivenne che, per fuggir periglio, contro a grato si fé' di quel che far non sì convenne; 102 come Almeone, che, dì ciò pregato dal padre suo, la propria madre spense, per non perder pietà si fé' spietato. 105 A questo pimto voglio che tu pense che la forza al voler si mischia, e fanno si che scusar non si posson l'offense. 108 nire la mano destra del suo er- gg. Si ch'ella ecc. — Piccarda rore, la pose su un braciere, che sembra contraddica quello che ardeva innanzi al re. ho detto io, cioè che queste ani- 85. Ripinte. — Risospinte. me in parte si conformarono al- 86. Come furo sciolte. -- Ja violenza fatta loro. Quando furono libere di tornare mi. Contro a grato. — Cen- ai monastero. Questo rimprove- (io voijlia. ro poteva farsi solo a Costanza, 10-^. Almeone. — Per preghie- poichè Piccarda era premorta al ra del padre Amfìarao, uccise la marito. madre Erifile. 105;. Per non perder pietà. — Per non mancar di rispetto al padre. 107 108. Che la forza ec:. -- f.a violenza s'unisce alla volontà, o cosi unite fanne si che le of- fese fatte a Dio (anche contro voglia) non possano scusarsi. — 429 - 8g. Casso. — Cancell atcs di- strutto. 90. Fatto noia. — Fa itto du- b ita re. gv Pria saresti lasso. - - St an- candoti prima d i SClOg liere il tuo dubbio. 96. Primo vero. — Dio. f.\ Divina Commedia Voglia assoluta non consente al danno, ma consentevi in tanto in quanto teme, se si ritrae, cadere in più affanno. 1 1 1 Però, quando Piccarda quello espreme, della voglia assoluta intende, ed io dell'altra; si che ver diciamo insieme». 114 Cotal fu l'ondeggiar del santo rio, ch'usci del fonte ond' ogni ver deriva; tal pose in pace uno ed altro disio. 117 « O amanza del primo amante, o diva, diss'io appresso, il cui parlar m'inonda, e scalda si che piti e più m' avviva, 120 non è l'affezion mia tanto profonda che basti a render voi grazia per grazia ; ma quei che vede e puote a ciò risponda. 123 Io veggio ben che giammai non si sazia nostro intelletto, se il ver non lo illustra, di fuor dal qual nessun vero si spazia. 126 Posasi in esso, come fera in lustra, tosto che giunto l'ha: e giugner puollo ; se non, ciascun disio sarebbe frustra. 129 Nasce per quello, a guisa di rampollo, a pie del vero il dubbio : ed è natura, che al sommo pinge noi di collo in collo. 132 log-iii. Voglia assoluta ecc. ii8. O amanza ecc. — O don- La volontà non consente al ma- na amata da Dio. le in modo assoluto, ma solo 123. Ma quei. — Dio. in modo relativo, in quanto te- 125. Ss il ver. — La verità di- me, ritraendosene, di cadere in vina non illumina l'intelletto u male peggiore. mano. 112-114. Espreme. — Perciò 126. Di fuor ecc. — Non v'è ciiiando Piccarda dice che « Taf- nessun \ero di là di esso, fezione del vel Costanza tenne» 127. Come fera in lustra. — intende parlare della volontà as- Come l'animale feroce nel suo soluta (astratta) ; invece io giù- covo. dico della volontà, che si piega 128. E giugner puollo. — E per evitare male più grave, ossia si deve credere che possa rag- delia maniera con la quale Co- giungerlo, altrimenti ogni desi- stanza cercò di far trionfare que- derio sarebbe vano (frustra), sto suo desiderio. i.-^o. Nasce per quello. — Per 115-116. Cotal fu ecc. — Que- il desiderio di conpscere la veri- ste furono le sante verità cho tà, accanto al vero nasce il dub- mi espose Beatrice per la cui bio a guisa di rampollo ai piedi bocca Dio stesso parlava. degli alberi. 117. Tal. — Tal che. 1.^2. Pinj'e. — Spinge dalla — 4.10 — Paradiso - (1\nto \' Questo m' invita, questo m' assicura, con riverenza, donna, a domandarvi d'un' altra verità che m'è oscura. Io vo' saper se l'uom può satisfarvi ai vóti manchi si con altri beni, eh' alla vostra staterà non sien parvi : Beatrice mi guardò con gli occhi pieni di faville d' amor cosi divini, che, vinta, mia virtù diede !e reni, e quasi mi perdei con gli occhi chini. 135 138 142 cima d'una verità alla cima di un'altra. i-^ió-i^iS. L'uom ecc. — L'uo- mo non potrebbe compensare i voti non adempiuti con altre ope- re meritorie che alla vostra gfiu- slizia non sembrino insufficienti al compenso. Parvi. Piccoli. 141. Virtù. — Virtù visiva. Diede le reni. — Si volse a fuggire. 142. E quasi mi perdei. — E fui quasi smarrito. CANTO V (( S' io ti fiammeggio nel caldo d' amore di là dal modo che in terra si vede si che degli occhi tuoi vinco il valore, non ti maravigliar ; che ciò procede da perfetto veder, che come apprende, cosi nel bene appreso move il piede. Io veggio ben si come già risplende nello intelletto tuo l'eterna luce, che, vista so!a, sempre amore accende ; e s' altra cosa vostro amor seduce, non è se non di quella alcun vestigio mal conosciuto, che quivi traluce. 12 1-2. S'io ecc. — Se io mi mo- stro a te più risplendente di quel- lo che ero in terra, per i raggi dell'amor divino. =;. Da perfetto veder. — Dal- la perfezione della mia vista, che quanto più percepisce della di- vina luce, tanto più ne diviene sfolgorante. 9. Vista sola. — Solamente a vederla. Amore. — Amore di lei. 11. Alcun. — Un. 12. Quivi. — Nei beni ter- restri. — «I — F.A Divina Commedia Tu vuoi saper, se con altro servigio, per manco vóto, si può render tanto che l'anima sicuri di litigio». 15 Si cominciò Beatrice questo canto ; e si com' uom che suo parlar non spezza, continuò cosi il processo santo : 18 « Lo maggior don. che Dio per sua larghezza fésse creando, ed alla sua bontate più conformato, e quel eh' ei più apprezza, 21 fu della volontà la libertate, di che le creature intelligenti, e tutte e sole furo e son dotate. 24 Or ti parrà, se tu quinci argomenti, l'alto valor del vóto, s'è si fatto che Dio consenta quando tu consenti ; 27 che, nel fermar tra Dio e 1' uomo il patto, vittima fassi di questo tesoro, tal qua! io dico, e fassi col suo atto. 30 Dunque che render puossi per ristoro? Se credi bene usar quel e' hai offerto, di maltolletto vuoi far buon lavoro. 33 Tu se' ornai del maggior punto certo ; ma, perché santa Chiesa in ciò dispensa, che par contra lo ver eh' io t' ho scoperto. 36 i;^. Tu ecc. — Vuoi sapere se iq. Vittima ecc. — Quando l'uomo può compensare con altra l'uomo promette d'osservare un offerta il veto inadempiuto, di voto, sacrifica a Dio il tesoro dei- modo che l'anima ne sia assolta. la sua libera volonià ; e tale sa- 17. Non spezza. — Non in- crificio compiesi con atto della terrompe. stes-.a libera volontà. iS. Continuò ecc. - — Senz'altro -^i. Ristoro. — Compenso, il suo santo ragionamento. 32-33. Se credi, ecc. — Usare IQ. Larghezza. — Liberalità. ;,, aura opti a buona la libera Fésse. — Facesse. volontà offerta a Dio, tu vuoi ^^22. Fu, ecc. — Il libero arbi- ^^^^ ^uon lavoro con cosa 2^. Le creature intelligenti. — ^^^^' „ . f.lian-eli e gli uomini. 34- Del maggior punto. - 2.:;. Quinci. Da quando l'ho Cioè che il voto per se stesso non (l^f^Q ammette compensazione. 26-27. Si fatto, ecc. — Tale, 3.=i In ciò disp.nsa. — La di- che alla promessa dell'uomo non- " spensa concessa dalla Chiesa dai ceda il suo consenso Iddio. \ot' fatti. " 432 - Paradiso - Canto V convienti ancor sedere un poco a mensa, però che il cibo rigido e' hai preso richiede ancora aiuto a tua dispensa. Apri la mente a quel ch'io ti paleso, e fermalvi entro ; che non fa scienza, senza lo ritenere, avere inteso. Due cose si convengono all'essenza di questo sacrificio : 1' una è quella di che si fa, 1' altra è la convenenza. Quest' ultima giammai non si cancella, se non servata, ed intorno di lei si preciso di sopra si favella ; però necessità fu agli ebrei pur l'offerère, ancor che alcuna offerta si permutasse, come saper dèi. L'altra, che per materia t' è aperta, puote bene esser tal che non si falla, se con altra materia si converta. Ma non trasmuti carco alla sua spalla per suo arbitrio alcun, senza la volta e della chiave bianca e della gialla ; 39 42 45 48 51 54 57 -^7. Sedere ecc. — Udirmi. 38. Rigido. — Difficile a dige- rirsi. • 3g. Dispensa. — Digesti&ne, che dispensa i cibi per vari ca- nali ; ossia è necessario essere aiutato per intendermi. 41. Che non fa scienza, ecc. — Per sapere non basta intendere il vero, occorre altresì la memo- ria che lo» ritenga. 44. Sacrificio. — • Del libero ar- bitrio. 45. Di che si fa. — La mate- ria del voto, il suo oggetto (ca- siità, digiuno, ecc.). La convenenza. — La conven- zione che si fa con Dio. 47. Se non servata. — Se non quando è stata osservata. 48. Di sopra. Nt I versi 31- .33- 4g. Però, ecc. — Perciò agli Ebrei fu prescritto che le offerte al Signore non dovessero cessa- re, sebbene fosse ammessa in al- cuni casi la permutazione delle cose e delle perSone consacrate a Dio. s2. T'è aperta ecc. — L'altra, che t'ho dichiarato esser l'ogget- to del voto, può es'jere mutata con altro, senza che si cada in peccato. ;:;;;. Ma non trasmuti, e::, — La permutazione non può mai essere arbitraria. 56. Senza la volta, ecc. — Sen- za l'autorizzazione pontificia. — 4?>?> — La Divina Commedia ed ogni permutanza creda stolta, se la cosa dimessa in la sorpresa, come il quattro nel sei, non è raccolta. Però qualunque cosa tanto pesa, per suo valor, che tragga ogni bilancia, satisfar non si può con altra spesa. Non prendan li mortali il vóto a ciancia : siate fedeli, ed a ciò far non bieci ; come leptè alla sua prima mancia, cui più si convenìa dicer : ' Mal feci ', che, servando, far peggio; e cosi stolto ritrovar puoi lo gran duca dei greci, onde pianse Ifigenia il suo bel volto, e fé' pianger di sé li folli e i savi, eh' udir parlar di cosi fatto cólto. Siate, cristiani, a movervi più gravi, non siate come penna ad ogni vento, e non crediate ch'ogni acqua vi lavi. Avete il vecchio e il nuovo testamento, e il pastor della Chiesa che vi guida : questo vi basti a vostro salvamento. G3 66 69 72 75 78 58. Stolta. — Vana. 5;q. Se la cosa, ecc. — Che si abbandona non è contenuta in tlLiella presa In appresso come il s nel 6 : cioè se la nuova offer- ta non supera notevolmente la prima. 61. Qualunque cosa, ecc. — Se il soggetto del voto pesa da far calare la bilancia, non può essere permutato. 65. Bieci. — Facendo incon- sideratamente un voto ; cioè non riflettendo bene. 66. leptè. — Giudice d'Israe- le, fece voto che se fosse ritor- nate vincitore dcgfli Ammoniti, avrebbe sacrificato al Signore ciò che prima usciiebbe dall'uscio di casa sua. Prima ad uscirne fu l'unica sua figlia, ed egli l'uc- cise. 68. Servando. — Osservando il voto. 6q. Duca dei j^reci. — Aga- mennone, che sacrificò sua fi- glia Ifigenia, perchè gli Dei des- sero vento favorevole alia flotta che salpava per l'assedio di Troia. 72. .Cólto. — Culto, rito. 73. Più gravi. — Più lenti a far i voti. 75. Non crediate, ecc. — li ncn crediate che per qualunque motivo possa esser tolta l'obbli- gazione contralta per voto. 434 Paradiso - Canto V Se mala cupidìgia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, si che il giudeo di voi fra voi non rida. 81 Non fate come agnel che lascia il latte della sua madre, e semplice e lascivo seco medesmo a suo piacer combatte ». 84 Cosi Beatrice a me, com' io scrivo; poi si rivolse tutta disiante a quella parte ove il mondo è più vivo. 8? Lo suo tacere e il trasmutar sembiante poser silenzio al mio cupido ingegno, che già nuove questioni avea davante. 90 E si come saetta, che nel segno percote pria che sia la corda queta, cosi corremmo nel secondo regno. 93 Quivi la donna mia vid' io si lieta, come nel lume di quel ciel sì mise, che più lucente se ne fé' il pianeta; 96 e se la stella si cambiò e rise, qual mi fec' lo, che pur di mia natura trasmutabile son per tutte guise ! 99 Come in peschiera, eh' è tranquilla e pura, traggonsi i pesci a ciò che vien di fuori, per modo che lo stimin lor pastura; 102 si vld' io ben più di mille splendori trarsi vèr noi, ed in ciascun s' udia : (( Ecco chi crescerà li nostri amori ». 105 7g. Se mala cupidigia ecc. — q2. La corda, ecc. — Che la Se l'avidità del clero vi spinge corda cessi di vibrare. a contrarre voti ed a fare of- 93. Secondo regno. — Cielo ferte. di Mercurio. 81. Si che. — Di modo che i qq. Trasmutabile, ecc. — Sii- giudei non ridano^ di voi. bisco tutte le varie impressioni. 83. Lascivo. — Petulante. 100. Come, ecc. — Nell'acqua 84. Seco medesmo, ecc. — Fa limpida e quieta d'una peschie- da solo salti e capriole, (com- ^a i pesci accorrono a ciò che batte) come p1i frulla m capo. • 1 -i 1 -u j 87. Quella parte, ecc. - L'è- ^^'' ^''^^«"'^ ^' "^^^ "^^^ c*^^*- quatore su cui era allora il sole, ^''^" che Beatrice guardava. 103. Splendori. — Anime ce- 88. Il trasmutar. — Si faceva lesti. più bella e lucente. 105;. Ecco chi, ecc. — Ecco — «5 — La Divina Commedia E si come ciascuno a noi venia, vedeasi l'ombra piena di letizia nel fulgor chiaro che da lei uscia. 108 Pensa, lettor, se quel che qui s' inizia non procedesse, come tu avresti di più sapere angosciosa carizia ; 111 e per te vederai, come da questi m'era in disio d'udir lor condizioni, si come agli occhi mi fiìr manifesti. 114 c( O bene nato, a cui veder li troni del trionfo eternai concede grazia, prima che la milizia s'abbandoni, 117 del lume che per tutto il ciel si spazia noi semo accesi : e però, se disii di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». 120 Cosi da un di quelli spirti pii detto mi fu ; e da Beatrice : « Di', di', sicuramente, e credi come a dii ». 123 (c Io veggio ben si come tu t' annidi nel proprio lume, e che dagli occhi il traggi, perch'ei corruscan si come tu ridi; 12G ma non so chi tu sei, né perché aggi, anima degna, il grado della spera, che si vela ai mortai con altrui raggi». 129 Questo diss' io diritto alla lumiera che pria m' avea parlato, ond'ella fèssi lucente più assai di quel eh' eli' era. \C.2 Hratrice che ruinionlerà in noi la 123. Dii. — Dei. xirtìi (Iella rarità. 124. Io vej^jsio, eci. - Xido 106. Sì come. — A inaino a come tu ti avvoltai nel tuo pro- mano che... prio splendore, che emani daj^li 107. Ombra. — Anima. occhi, poiché essi scintillano _ III. Carizia. -- Carestia; qui ciuando tu ridi. siii'nifica desiderio. j^^ Aggi Mai' 112 Per te vederai. — K da le 12S-129. Il grado, ecc. - Se- uitcnderai. , „, . . ,• t,, • 1 v 116. Concede grazia. - A cui '^^' ".«^ cielo di Mercuno che ò. la jjrazia divina concede. ^'^ ' P'-ine^'. ■! P>" velato dai 117. Prima che ecc. — Prima '■'S-.^' del sole. che esca del a vita t9rrena. i3f>- Lumiera. — Luce, am- iiS. Del lume, ecc. — La cari- ma. tà divina. — 4.^6 Paradiso - Canto VI Si come il sol, che si cela egli stessi per troppa luce, come il caldo ha róse le temperanze dei vapori spessi; 135 per più letìzia si mi si nascose dentro al suo raggio la figura santa, e cosi chiusa chiusa mi rispose nel modo che il seguente canto canta. 139 133. Stessi. — Slesso. ri, che attenuavano lo splendorr 134-135. Come... — Quando il del sole agli occhi nostri. caldo ha consumato i fitti vapo- 138. Chiusa chiusa. — Intera- mente velata. CANTO VI «Poscia che Costantin l'aquila volse contra il corso del ciel, che la seguìo dietro all'antico, che Lavinia tolse, cento e cent' anni e pili l'uccel di Dio neir estremo d' Europa si ritenne, vicino ai monti de' quai prima uscio; e sotto r ombra delle sacre penne governò il mondo lì di mano in mano, e sì cangiando in su la mia pervenne. 1. Costantin. — Costantino I, Latino, re del Lazio, vissuto detto il grande (274-337), trasferì 1200 anni prima di Cristo. nel 333 la sede imperiale da Ro- 4. Cento e tento anni, ecc. — nia a Bisanzio. Nel 33:? Costantino aveva tra- L'aquila. — L'insegna del- sferito la capitale e nel 539 Giu- l'impero romano. stiniano era salito al trono, 206 2. Contra ecc. — Da occiden- anni dopo. te ad oriente. .5. Nell'estremo. — Nell'estre- Che la seguio. — Il corso del "^^t^ d'Europa, Bisanzio, oggi cielo aveva seguito Enea da Costantinopoli ™ ..,,,. "^ , , , 6. Vicino ai monti. — Presso Iroia in Italia, venendo da est -.. • verso ovest. g 'òi mano ecc. — Successi- 3. L'antico. — Enea prese in vamente dall'uno airaliro impe- moglie Lavinia, unica figlia di ratore. — 437 — Dante. 28 La Divina Commedia Cesare fui, e son Giustiniano, che, per voler del primo amor eh' io sento, d'entro le leggi trassi il troppo e il vano. 12 E prima ch'io all'opra fossi attento, una natura in Cristo esser, non piùe, credeva, e di tal fede era contento ; 15 ma il benedetto Agapito, che fue sommo pastore, alla fede sincera mi dirizzò con le parole sue : 18 io gli credetti, e ciò che in sua fede era veggio ora chiaro, si come tu vedi ogni contradizion e falsa e vera. 21 Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, a Dio per grazia piacque di spirarmi l'alto lavoro, e tutto a lui mi diedi ; 24 ed al mio Bellisar commendai 1' armi, cui la destra del ciel fu si congiimta che segno fu eh' io dovessi posarmi. 27 Or qui alla question prima s' appunta la mia risposta ; ma sua condizione mi stringe a seguitare alcuna giunta, 30 10. Cesare. — Imperatore 11. Per voler ecc. — Per ispi- razione dello Spirito Santo. 12. D'entro. — L'ai corpo del- le leggi tolsi la parte superflua e inutile. i;^. All'opra, — Di riordinare le leggi. 15. Credeva. — Nella dottri- na di Eutiche che affermava in Cri.sto la sola natura divina. i6. Agapito. — Romano, pa- pa dal 535 al 536, morì a Co- stantinopoli, dove era andato per trattar la pace tra Giusti- niano e Teodato, re degli Ostro- goti. iq. Ciò che in sua fede era. — Ciò- che Agapito credeva. 20-21. Si come ecc. — Con la stessa evidenza con luì di due termini contraddi tiorii lu vedi l'uno vero e l'altro falso. 22. Chiesa. — Romana. 25. Bellisar. — Belisario, il più grande dei capitani di Giu- stiniano, celebre specialmente per aver tolto l'Italia ai Goti. 2.j;. Commendai. — Affidai il comando delle armi. 26-27. Cui ecc. — Nella fortu- na delle mie armi io vidi divino ammonimento di lasciarle usa- je ai miei generali, riserbando a me solo le arti della pace. 28-20. Or qui. • — Ha termine la risposta alla tua prima doman- da, ma l'essere stato io impera- tore mi obbliga ad aggiungere alcune cose intorno all'impèro. - 438 Paradiso - Canto VI perché tu veggi con quanta ragione si move contra il sacrosanto segno e chi '1 s'appropria e chi a lui s'oppone. 33 Vedi quanta virtù l'ha fatto degno di reverenza!» E cominciò d'allora che Fallante mori per dargli regno. 36 <( Tu sai che fece in Alba sua dimora per trecent'anni ed oltre, infìno al fine che i tre ai tre pugnar per lui ancora ; 39 e sai ch'ei fé' dal mal delle Sabine al dolor di Lucrezia in sette regi, vincendo intorno le genti vicine. 42 Sai quel eh' ei fé', portato dagli egregi romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, e contra gli altri principi e collegi : 45 31. Con quanta ragione. Con quanto poca ragione (par- ia ironicamente). 32. Sacrosanto segno. — L'a- ■quila imperiale. 33. E chi 'I s'appropria. — I Ghibellini. E chi a lui s'oppone. — I Guelfi. 34. Quanta virtù. — Quante opere degli eroi remani. 3.i;-36. Fallante. — Figliuolo di Evandro, re del Lazio, man- dalo in soccorso ad Enea, mori combattendo contro Turno, re di Rutuli. 37. Tu sai ecc. — Tu sai da Livio che l'autorità sovrana ri- siedette in Alba per trecent'anni C313) dalla caduta di Troia, come asserisce Brunetto Latini, contro la tradizione che fa sorgere Ro- 4.t- Collegi. ma 431 anni dopo la distruzione nere. di Troia. 30. Che i tre ecc. — Fino a quando i tre Curiazi combatte- rono coi tre Orazi romani, e per la vittoria di questi il dominio passò a Roma. 40. Ch'ei fé'. — Quello che l'uccello fece. 40. Mal. — Ratto. 41. Sette regi. — .Sotto i set- te re di Roma, dal tempo di Romolo sino alla morte di Lu- crezia, !a virtuosa moglie di Col- latino, violata da Sesto Tarqui- nio, per cui la famiglia di que- st'ultimo fu scacciata da Roma. 44. Brenno. — Guidò i Galli contro Roma. Pirro. — Re d'Epiro, soccorse i Tarentini in guerra coi Roma- Stati d'ogni 439 — La Divina Commedia onde Torquato e Quinzio, che dal cirro negletto fu nomato, i Deci e' Fabi ebber la fama che volontier mirro. Esso atterrò l'orgoglio degli Arabi, che di retro ad Annibale passàro l'alpestre rocce, di che, Po, tu labi. Sott' esso giovinetti trionfaro Scipione e Pompeo, ed a quel colle, sotto il qual tu nascesti, parve amaro. Poi, presso al tempo che tutto il ciel volle ridur lo mondo a suo modo sereno. Cesare, per voler di Roma, il lolle : e quel che fé' da Varo infino al Reno, Isara vide ed Era e vide Senna ed ogni valle onde Rodano è pieno. Quel che fé', poi ch'egli usci di Ravenna e saltò Rubicon, fu di tal volo che no '1 seguiteria lingua né penna. 48 51 54 57 60 63 46. Torquato. — Tito Manlio Torquato vincitore dei Galli e dei Latini. Quinzio. — II celebre ditta- tore, detto Cincinnato, perchè a- veva sempre i capelli arruffati. Cirro. — Ciuffo. 47. I Deci e' Fabi. — Due tra ie più illustri famiglie romane. 48 Mirro. — Miro. Alcuni in- tendono : conservare attraverso i secoli, quasi come se l'asperges- se di mirra, che conserva I ca- daveri. Altri intendono : onoro, incensando con mirra. 4g. Esso. — L'aquila imperia- le. Arabi. — Cartaginesi, che di- scesero dalle Alpi. ,i;i. Labi. — Discendi. .^3. Scipione. — P. Cornelio Scipione Africano conquistò la Spagna a 20 anni, a 3-^ sconfisse Annibale a Zama. Pompeo Ma^no. — Combattè con .Siila contro Mario, e fu poi Pavversario accanito di Cesare; ottenne gli onori del trionfo a 2.^ anni. Quel colle. — Fiesole, sotto il quale è posta Firenze. 154. Parve amaro. — Il sacro- santo segno delTaquila.; si rife- risce al racconto leggendario del preteso assedio e distruzione dt Fiesole da parte dei Romani. 5/^. Presso, ecc. — Vic-na a quel tempo in cui il cielo volle che tutto il mondo fosse ordina- to a suo modo, cioè poco prima della venula di Cristo, Cesare impugnò il sacrosanto segno con- tro la Calila. ì;S-6o. e quel che fé', ecc. — E Cesare, che conquistò la Gallia tiansalpina dal Varo al Reno, vi- de i fiumi Isère, la Saóne (Era, Arar), la Senna e gli affluenti del Rodano. 61. Quel che fé, ecc. — Ce- sare, si fermò col suo esercito a Ravenna per qualche tempo. Poi, noncurante del divieto del Senato, attraverso) rapidamente il — 44') Paradiso - Canto VI In vèr la Spagna rivolse lo stuolo ; poi vèr Durazzo ; e Farsalia percosse si eh' al Nil caldo si senti del duolo. Antandro e Simoenta, onde si mosse, rivide, e là dov' Ettore si cuba, e mal per Tolommeo poi si riscosse : da indi scese folgorando a Giuba ; poscia si volse nel vostro occidente, dove sentia la pompeiana tuba. Di quel eh' ei fé' col baiulo seguente, Bruto con Cassio nello inferno latra, e Modena e Perugia fé' dolente. Piangene ancor la trista Cleopatra, che, fuggendogli innanzi, dal colubro ■ la morte prese subitana ed atra. 66 69 72 75 78 Rubicone, piccalo fiume, tra Ra- venna e Rimini e confine fra la Gallia Cisalpina e l'Italia rcina- na, e ne nacque la guerra civile 64. In ver la SpajJna. — Con- tro Petreio, Afranio e Varrone, legati di Pompeo. 6.:;. Durazzo. — Città maritti- ma deirilliria nella quale Cesa- re fu assediato dai Pompeiani. Farsalia. — Città della Tes- siiglia, presso la quafe Cesare sconfisse Pompeo, ucciso poi pro- ditoriamente dal re d'Egitto, presso cui s'era rifugiato. 67. Antandro. — Città marit- tima della Frigia Minore, donde Enea fece vela verso l'Italia. Simoenta. — Ora Mendes, fiu- me della Troade. 65. Si cuba. — Riposa, è se- polto. Cesare dopo la morte di Pompeo, volle visitare i luo,ghi in cui era stata Troia. 69. Tolommeo. — Re d'Egit- to, al quale Cesare tolse il regno per darlo alla sorella Cleopatra. Si riscosse. — Si risvegliò con danno di Tolomeo. 70. Folgorando a Giuba. — Piombando rome folgore sopra Giuba, re della Mauritania, fau- tore de' Pompeiani. 71. Nel vostro ecc. — In Ispa- gna, dove sconfisse (45 a. C.) a Munda i figli di Pompeo. 7-?. Di quel ch'ei, ecc. — Di quanto fece l'uccello imperiale portato da Ottaviano. Baiulo. — Portatore, e, in senso traslato, reggitore, duce, il operatore. 74. Bruto con Cassio. — Scon- fitti a Filippi da Ottaviano. So- no nell'Inferno, in bocca a Luci- fero. Latra. — Grida, attesta. 75. Modena. — Presso questa città Augusto sconfisse Marco Antonio, e a Perugia il fratello di lui Lucio f4i a. C). 76. Cleopatra. — Dopo la bat- taglia d'Azio, non essendole riu- scito di sedurre il vincitore Au- gusto, si fece mordere da un a- spide. 77. Innanzi. — All'aquila. Colubro. — Serpe. ■-R. .'Vtra. — Atroce. 441 La D'viNA Commedia Con costui corse infino al lito rubro ; con costui pose il mondo in tanta pace che fu serrato a Giano il suo delubro. Ma ciò che il segno, che parlar mi face, fatto avea prima, e poi era fatturo, per lo regno mortai eh' a lui soggiace, diventa in apparenza poco e scuro, se in mano al terzo Cesare si mira con occhio chiaro e con affetto puro ; che la viva giustizia che mi spira gli concedette, in mano a quel eh' io dico, gloria di far vendetta alla sua ira. Or qui l'ammira in ciò ch'io ti replico; poscia con Tito a far vendetta corse della vendetta del peccato antico. E quando il dente longobardo morse la santa Chiesa, sotto alle sue ali Carlo Magno, vincendo, la soccorse. Ornai puoi giudicar di quei ootali, ch'io accusai di sopra, e di lor falli, che son cagion di tutti vostri mali. 81 84 90 93 99 70. Con costui. — Con Augu- sto l'aquila corse sino id Mar liosso. 8i. Delubro. — Tempio: quel- lo di (riano, die restava chiuso in tempo di pace. 82. Il segno. — L'aquila, in- segna dell'Impero. 8.^. Era fatturo. — Era p( r farsi. 84. Regno mortai. — Della terra, da Dio assegnato all'aqui- la, cioè al pcp-olo romano. 8.V Poco e scuro. — Di poca importanza. 86. Terzo Cesare. — Tiberio, sotto il cui impero Cristo mori. 87. Con occhio... — Con la mente illimiinata dalla fede, e con spirito sinciM'o. 00. Gloria, ecc. — La gloria di placare IMra di Dio. Pare che il concetto sia questo : Cristo o- norò il regno di Tiberio sce- gliendo di morire sotto di lui. Tito poi vendicò la crocefìssione di GesiJ, che era stata la vendet- ta del peccato originale, distrug- gendo (ìerusalemme. 95. Sotto alle ecc. — Sotto alle ali dell'aquila. Quando i Longobardi perse- guitarono la Chiesa, Carlo Ma- gno le venne in soccorso (773) e J7 anni più tardi fu incoronato imperatore da Leone IIL qy. Quei cotali. — I Guelfi e i Ghibellini. — AA' Paradiso - Canto VI L'uno al pubblico segno i gigli gialli oppone, e 1' altro appropria quello a parte, si che forte a veder è chi più falli. 102 Faccian li ghibellin, faccian lor arte sott' altro segno ; che mal segue quello sempre chi la giustizia e lui diparte : 105 e non l'abbatta esto Carlo novello coi guelfi suoi, ma tema degli artigli eh' a più alto leon trasser lo vello. 108 Molte fiate già pianser li figli per la colpa del padre ; e non si creda che Dio trasmuti l'arme per suoi gigli. HI Questa piccio'a stella si correda dei buoni spirti, che son stati attivi perché onore e fama li succeda; 114 e quando li disiri poggian quivi si disviando, pur convien che i raggi del vero amore in su poggin men vivi. 1 17 Ma, nel commensurar dei nostri gaggi col merlo, è parte di nostra letizia, perché non li vedem minor né maggi. 120 loo. L'uno. — 11 Guelfo op- pone all'insegna dell'impero uni- versale i gigli gialli, insegna del- la Casa di Francia, e quindi an- che di Carlo II d'Angiò, re di Napoli e capo dei Guelfi. IDI. L'altro. — II Ghibellino, che vuol far servire il pubblico segno agli inteiressi della sua parte. I02. Forte. — Difficile. io;;. Lor arte. — I Icro inte- ressi. 104. Sott'altro segno. — Non si valgano del nome dell'Impero'. 105. Sempre, ecc. — Chi se- para la giustizia e la potestà imperiale. 106. Carlo, — Carlo II inva- no spera di abbattere l'aquila ; si ricordi che essa strappò il pelo a leoni più valorosi di lui. 111. Dio trasmuti ecc. — ■ Dio abbandoni l'insegna dell'aquila per quella angioina dei gigli- 112. Picciola stella, ecc. — TI cielo di Mercurio si adorna. 114. Li succeda. — Resti nel inome loro. 11;^. E quando ecc. — Mirano a conseguire fama ed onore in terra, deviando cosi da Dio, che deve essere l'unico nostro scopo, ne viene che i raggi dell'amore verso Dio s'innalzano più deboli a lui. 118. Commensurar. — Propor- zicnare. Gaggi. — Premi. 120. Maggi. — Maggiori. A4?, — La Divina Commedia Quindi addolcisce la viva giustizia in noi l'affetto, si che non si puote torcer giammai ad alcuna nequizia. 123 Diverse voci fan giù dolci note ; cosi diversi scanni in nostra vita, rendon dolce armonia tra queste rote. 126 E dentro alla presente margarita luce la luce di Romeo, di cui fu l'opra bella e grande mal gradita; 129 ma i provenzali che fér contra lui non hanno riso, e però mal cammina qual si fa danno del ben fare altrui. 132 Quattro figlie ebbe, e ciascuna regina, Ramondo Beringhieri, e ciò gli fece Romeo persona umile e peregrina; 135 e poi il mosser le parole biece a domandar ragione a questo giusto, che gli assegnò sette e cinque per diece : 138 121. Quindi, ecc. — Per que- sta in corrispondenza, Dio purifi- ca i nostri affetti, si che noi non possiamo nnai essere invidiosi. 124. Diverse voci, ecc. — Fan- no in terra dolce armonia, cosi diversi gradi di beatitudine for- mano qui armonia celeste. 127. Marj5arita. — Gemma; qui vale: Mercurio. 127. Romeo di Villanova. — Fu primo ministro di Raimon- do Beringhieri IV, conte di Pro- venza, nella prima metà del 1200. Morto il conte, Romeo ri- mase amministratore della Pro- venza e tutore di Beatrice, da lui iriaritata a Carlo I d'Angiò. La leggenda seguita da Dante dice che Romeo fu un pellegrincs il ciuale capitò in casa di Raimon- do, ne amministrò i beni e ne maritò le figlie a quattro re. In- vidiosi cortigiani lo calunniarono presso Raimondo, e Romeo par- ti da lui, e fini mendicando la sua vita 1-^0. Fèr contra lui. — Che Io accusarono calunniandolo. 131. Non hanno riso. — Cai- Io d'Angiò li trattò molto peg- gio di Raimondo e di Romeo. 1.-^2. Oual» ^cc. — Chiunque si rode d'invidia per le buone opere altrui. 133. Quattro figlie. — Mar- gherita, maritata a Luigi IX di Francia ; Eleonora, sposata ad Arrigo III d'Inghilterra; San- cia, maritata a Riccardo conte di Cornovaglia, che divenne poi re di Germania ; Beatrice, erede della Provenza, moglie di Carlo d'Angiò. 1-^6. Biece. — Calunniose. 137. Ragione — Dell'ammini- strazione. 138. Assegnò. — Dimostrò con i conti che gli averi di Rai- mondo eran ci'esciuti a 12 da io. 444 -- Paradiso - Canto VII indi partissi povero e vetusto ; e se il mondo sapesse il cor eh' egli ebbe mendicando sua vita a frusto a frusto, assai lo loda e più lo loderebbe ». 142 iT,q. Vetusto. — Vecchio. 141. A frusto a frusto, — A tozzo a tozzo. CANTO VII (( Osanna sanctus Deus Sabaoth, superillustrans claritate tua felices ignes horuni malachoth ! » 3 Cosi, volgendosi alla nota sua, fu viso a me cantare essa sustanza, sopra la qual doppio lume s' addua : 6 ed essa e l'aUre mossero a sua danza, e, quasi velocissime faville, mi si velar di sùbita distanza. 9 Io dubitava, e dicea : (c Dille, dille », fra me, (c dille », diceva, <( alla mia donna che mi disseta con le dolci stille » ; 12 ma quella riverenza che s' indonna di tutto me, pur per ' be ' e per ' ice ', mi richinava, come 1' uom eh' assonna. 15 i--^. Osanna. — Salve, o san- le altre anime si allontanarono to Dio de^fli eserciti (sabaoth) con movimento di danza, che col tuo chiarore accresci il q. Di subita ecc. — Per di- lume dei beati fuochi di questi stanza ra^giimta in breve tem- reg;ni (malachoth). pò. 4-5. Cosi ecc. — Queste pa- 12. Dolci stille. — Parole di role mi sembrò dicesse Giusti- verità, niano incominciando a cantare. 13. S'indonna. — S'impadro- 6. Sopra la qual ecc. — Sul- nisce. la quale si congiunge il lume 14. Pur per 'be' ecc. — Anche dell'intelletto naturale e quello ad udire una sola parte del no- me di Beatrice. n.e di Beatrice. 7. Essa ecc. — Giustiniano e 11^. Mi richinava. — Mi face- — 445 — La Duìna Commedia Poco sofferse me cotal Beatrice, e cominciò, raggiandomi d' un riso tal che nel foco faria 1' uom felice : 18 <( Secondo mio infallibile avviso, come giusta vendetta giustamente vengiata fosse, t'ha in pensier miso ; 21 ma io ti solverò tosto la mente : e tu ascolta, che le mie parole di gran sentenza ti faran presente. 24 Per non soffrire alla virtù che vuole freno a suo prode, queir uom che non nacque, dannando sé, dannò tutta sua prole ; 27 onde r umana specie inferma giacque giù per secoli mo'ti in grande errore, fin eh' al Verbo di Dio di scender piacque, 30 u' la natura, che dal suo fattore s' era allungata, unio a sé in persona con l'atto sol del suo eterno amore. 33 Or drizza il viso a quel eh' or si ragiona : questa natura al suo fattore unita, qua! fu creata, fu sincera e buona ; 36 va tenere il capo chino, come l'uomo preso dal sonno. i6. Poco ecc. — Beatrice mi lanciò poco tempo cosi dubbioso. 17. Raggiardonii. — Mi rivol- se un sorriso tale, che rendereb- be felice anche un uomo che fos- se in mezzo al fuoco. 20-21. Come giusta vendetta ecc. — Come la morie di Cri- sto, c;iusta espia.none del pecca- lo orig'inale, fosse stata (giusta- mente vendicata con la distruzio- ne di Gorusalomme. 22. Ti solverò. — Dal nodo del dubbio. 24. Di gran ecc. — ■ Ti faran- no (inno fli sfMilenza ]>rof. 21 24 27 30 33 3(5 39 Due voci che cantino a runisono sembrano una sola. Ma se una tenera ferma la nota e l'aUra s;orgheggi, questa si distingue da quella. TC). Lucerne. — Anime che ir- radiano luce. 2 1. Al modo, ecc.. — A secon- da della loro vista eterna ; se- condo che avevano maggiore o minore visione di Dio. 22. Fredda nube. — Alte re- trioni dell'atmosfera. 23. Festini. — \'eloci. 26. Lasciando ecc. — Lascian- do di danzare nell'Empireo, sede dei Serafini, suprema gerarchia angelica. 28. Dentro. — In mezzo. 21). Si che unque ecc. — Tn modo così dolce, che d'allora io p.o il desiderio di risentirlo. 33. Ti gioi. — Ti rallegri. 34. Coi principi. — Col coro angelico dei Principati che muj- vono il cielo di Venere. 3-^. D' un giro ecc. — C<-m danza uguale per moto, per du- rata e per intensità. 36. Ai quali. — Principati ce- lesti. - Tu dei mondo. — Tu che vivi nel mondo. 37. Voi ecc. — Con questo ver- so incomincia una canzone d»l Convito, in cui Dante si rivolge alle Intelligenze, o angeli, che muovono il cielo di Venere. 38. D'amor. — Divino, e quin- di anche del prossimo. Dalile . 4.v3 — La Divina Commedia Poscia che gli occhi miei si furo offerti alla mia donna riverenti, ed essa fatti gli avea di sé contenti e certi, rivolsersi alla luce, che promessa tanto s'avea, e : « Di', chi siete? » fue la voce mia di grande affetto impressa. E quanta e quale vid'io lei far pitie per allegrezza nuova che s'accrebbe, quand'io parlai, all'allegrezze sue! Cosi fatta, mi disse ; « Il mondo m'ebbe giù poco tempo ; e se più fosse stato, molto sarà di mal, che non sarebbe. La mia letizia mi ti tien celato, che mi raggia dintorno e mi nasconde quasi animai di sua seta fasciato. Assai m'amasti, ed avesti bene onde ; che, s'io fossi giù stato, io ti mostrava di mio amor più oltre che le fronde. Quella sinistra riva, che si lava di Rodano poi eh 'è misto con Sorga, per suo signore a tempo m'aspettava; 42 45 48 51 54 57 60 40. Poscia ecc. — Dji)u clic Beatrice m'ebbe incoraggiato a parlare ecc. 4-^. Che promessa. — Che co- si di buon grado s'era offerta di parlare. 46. E quanta ecc. — • La luce di Carlo Martello s'accende viep- niù al chiedere 1 La Divina Commedia La circular natura, ch'è suggello alla cera mortai, fa ben sua arte, ma non distingue l'un dall'altro ostello. Quinci addivien ch'Esaù si diparte per seme da Giacob, e vien Quirino da si vii padre che si rende a Marte. Natura generata il suo cammino simil farebbe sempre ai generanti, se non vincesse il provveder divino. Or quel che t'era retro t'è davanti ; ma perché sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t'ammanti. Sempre natura, se fortuna trova discorde a sé, come ogni altra semenie fuor di sua region, fa mala prova. E se il mondo là giù ponesse mente al fondamento che natura pone, seguendo lui, avria buona la gente. 129 132 135 138 141 [44 127. La circular natura. — La virtù attiva dei cieli sempre gi- ranti, che imprime nei mortali le diverse attitudini, fa quello i.he deve fare, ma senza badare ;dl 'origine della persona o alla sua famiglia. 1^0. Quinci. — Perciò awpii- ne che Esaù e Giacobbe, pur es- sendo fratelli, ebbero indole dis- simile l'uno dall'altro, essendo il primo bellicoso, e il secondo pacifico. 1.^2. Da si vii padre ecc. — Romolo ebbe un padre di cosi bassa coindizione, che si diede a Marte la gloria di aver genera- lo il fondatore di Roma. 133. Natura ecc. — La natura (Ipì figli sarobli:; spuipro simile a quella dei genitoii, se la Prov- videnza non disponesse altrimen- ti, mediante le influenze astrali. 136. Or quel ecc. — Ciò pe- sto, tu vedi chiaro quello che pri- ma non vedevi. 137. Di te mi giova. — Mi compiaccio' della tua compagnia. 138. T'ammanti. — Coroni le tue cognizioni. 139. Sempre ecc. — Se la na tura getta il suo seme in ini terreno che non possa assecon- darla, fa mala riuscita. 143. Al fondamento ecc. — .Al- le attitudini naturali dell'uomo, e non desse ai giovani educazio- ne e occupazione inadatte all'in- dole loro, la gente sarebbe buona. 4.S8 Paradiso - Canto IX Ma voi torcete alla religione tal che fìa nato a cingersi la spada, e fate re di tal ch'è da sermone; onde la traccia vostra è fuor di strada ». 148 i4v Torcete ecc. — Fate ec- clesiastico chi invece avrebbe di- spc&izione a fare il guerriero, e fate re chi è nato per predicare. Qui Dante alluderebbe a Ro- berto di Napoli, che si dilettava a comporre sermoni sacri, 148. Onde ecc. — E cosi se- guite via diversa da quella se- ijnata dalla natura. CANTO IX Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, m'ebbe chiarito, mi narrò gl'inganni che ricever dovea la sua semenza ; ma disse : ce Taci, e lascia volger gli anni» ; sì ch'io non posso dir se non che pianto giusto verrà di retro ai vostri danni, E già la vita di quel lume santo rivolta s'era al sol che la riempie, come quel ben eh 'ad ogni cosa è tanto. Ahi, anime ingannate e fatture empie, che da si fatto ben torcete i cori, drizzando in vanità le vostre tempie ! 12 I. Clemenza. — Figlia di Car- lo Martello, nata verso il 1290, sposata a Luigi X re di Francia nel 131:;, e morta il 1328. 3. "Semenza. — I figli di Car- lo Martello, specialmente Carlo Roberto, al quale fu usurpato il trono dallo zio Roberto. 4, Volger gli anni. — Lascia che il tempo riveli gl'inganni on- de fu vittima il figlio suo. v6. Pianto giusto. — Giusto castigo delle colpi di re Robarto, usurpatore del regno a Carlo Roberto. 7. La vita. — - Lo spirito bealo di Carlo Martello. S. Al sol. — A Dio. q. Tanto. — Quanto basta ad appagare ogni desiderio. IO. Fatture. — Creature. 11-12. Cile ecc. — Da Dio tor- cete i vostri occhi (tirmpie), o^-sia desideri. — 4.S9 La Divina Commedia Ed ecco un altro di quelli splendori ver me si fece, e il suo voler piacermi significava nel chiarir di fuori. 15 Gli occhi di Beatrice, ch'eran fermi sopra me, come pria, di caro assenso al mio disio certificato férmi. 18 <( Deh metti al mio voler tosto compenso, beato spirto, dissi, e fammi prova ch'io possa in te rifletter quel ch'io penso». 21 Onde la luce, che m'era ancor nuova, del suo profondo, ond'ella pria cantava, seguette, come a cui di ben far giova : 24 (( In quella parte della terra prava italica, che siede tra Rialto e le fontane di Brenta e di Piava, 27 si leva un colle, e non surge moli 'alto, là donde scese già una facella, che fece alla contrada un grande assalto. 30 D'una radice nacqui ed io ed ella ; Cunizza fui chiamata, e qui refulgo, perché mi vinse il lume d'està stella. 33 T4. Il suo voler piacermi. — Dimostrava col sue splendore di \-()ler piacermi. 17. Di caro assenso. — M'as- sicuraroino de! desiderato c^nson- 80 di parlare all'anima. 19-21. Deh ecc. — Soddisfa subito il mio desiderio e dimo- .strami con le tue parole che il mio pensiero ti è noto. 24. Seguette. — Continuò a parlare come chi gode di com- piacere gli altri. 2.:^. In quella parte. — Nella Marca trevigiana. 27. Fontane. — .Sorc^entì. 2.S. Colle. — Di Romano, in \-etta al quale so.r,oeva il castello degli Ezzelini. 20. Una facella. — Ezzelino HI da Romano; Dante si rife- risce alla lenoenda la qiifdc di- ceva che la madre di Ezzelino-, Adelaide defili Alberti, allorché era incinta di lui, sognò di par- torire una fiamma, che incen- diava tutta la Marca trevigiana. ^2. Cunizza. — Da Romano, figlia minore di Ezzelino II f ii()8-i27q). ebbe tre mariti e parecchi amanti, fra i quali il trovatore mantovano Bordello. T,T,. Mi vinse ecc. — Fui do- minata dalla passione amorosa. — 460 — Paradiso - Canto IX Ma lietamente a me medesma indulgo la cagion di mia sorte, e non mi noia, che parria forse forte al vostro vulgo. Di questa luculenta e cara gioia del nostro cielo, che più m'è propinqua, grande fama rimase, e, pria che moia, questo centesim'anno ancor s'incinqua. Vedi se far si dèe l'uomo eccellente, si ch'altra vita la prima relinqua ! E ciò non pensa la turba presente, che Tagliamento ed Adice richiude, né per esser battuta ancor si pente. Ma tosto fìa che Padova al Palude cangerà l'acqua che Vicenza bagna, per esser al dover le genti crude. E dove Sile e Cagnan s'accompagna, tal signoreggia e va con la testa alta, che già per lui carpir si fa la ragna. Piangerà Feltro ancora la diffalta dell'empio suo pastor, che sarà sconcia si che per simil non s'entrò in Malta. 36 39 42 45 48 51 54 ■^4. Ma lietamente ecc. — Ma perdono a me stessa l'amore mondano, che mi ha disposta al- l'amore divino, il quale mi è rnusa di j:jioia (non mi noia). 36. Che parria. — Che a] vo!- ;■■(■ parrebbe ditl-icile a compren- dere. ■xj. Questa lucuìenta. — .Ani- ma luminosa. 40. S'incinqua. — Si quintu- plica, cioè durerà molti seqoli. 42. Si ch'altra vita. — La vi- ta del corpo lascia dopo sé quel- la del nome. 43. E ciò... -- D'acquistarsi fama. 44. Che Tagliamento ecc. — Marca trevi.s^iana, il cui confine occidentale era l'Adige, e il Ta- gliamento ad est. 45. Battuta. — Da g^uerre e oppressioni tiranniche. 46-47. Ma tosto. — Le acque 1 osse<:jgeranno di sangue sparso nelle battaglie. 49. Dove ecc. — A Treviso si ccngiungono i due fiumi .Sile e Cagnano. 50. Tal. — Rizzardo da Ca- millo, capitano di Treviso e vi- cario imperiale, ucciso a tradi- mento. 51. Ragna. — Rete da uccel- lare. .^2. Diffalta. — Tradimento. ss- Pastor. — Alessandro No- vello, vescovo di Feltre (i2q8- 1320), che consegnò al governa- tore di Ferrara alcimi fuorusciti ferraresi riparati presso dì lui, i ciuali furono decapitati. 1:^4. Malta. — Prigione presso il lago di Bolsena, o presso Cit- tadella, edificata da Ezzelino III. — 461 La r')iviN.\ Commedia Troppo sarebbe larga la bigoncia che ricevesse il sangue ferrarese e stanco chi il pesasse ad oncia ad oncia, 57 che donerà questo prete cortese, per mostrarsi di parte ; e cotai doni conformi fieno al viver del paese. 60 Su sono specchi, voi dicete troni, onde rifulge a noi Dio giudicante, si che questi parlar ne paion buoni ». 63 Qui si lacette, e fecemi sembiante che fosse ad altro volta, per la rota in che si mise, com'era davante. 66 L'altra letizia, che m'era già nota preclara cosa, mi si fece in vista qual fin baiaselo in che lo sol percola. 69 Per letiziar là su fulgor s'acquista, si come riso qui ; ma giù s'abbuia l'ombra di fuor, come la mente è trista. 72 (( Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia, diss'io, beato spirto, si che nulla voglia di sé a te puote esser fuia. 75 Dunque la voce tua, che il ciel trastulla s^empre col canto di quei fochi pii che di sei ali fannosi cuculia, 78 perché non satisface ai miei disii? Già non attenderei io tua domanda, s'io m'intuassi, come tu t'immii)). fil c;o. Parte. — Guelfa. Gq. Baiaselo. — Spcòc di ni- 6i. Su. — Nell'empireo. bino. Specchi. — Intelligenze mo- 71. Giù. — All'inferno, trici del rielo di V'enere. 7-^. S' inluia. — Si trasfonde (ì-T,. Questi parlar. — Mie prò- in lui co.i la meditazioine. di/ioni. 7^. Voglia di sé ecc. — Ncs- 64. Fecemi. ■ — Mostrò di ri- puna volontà può esser ladra (fll= volgersi ad altro pensiero. ia) di sé medesima a te. 67. L'altra letizia. ■ — L'allro 77. Fochi. — .Angeli rivestili sjjirito boato. di sci ali ; sono i serafini. Preclara cosa. — Persona di Si. M'intuassi. — Vedessi i preclara fama. luoi pcnsi(M-i cc/inr tu vedi i miei. — 462 Paradiso - Canto IX '( La maggior valle in che l'acqua si spanda, incominciare allor le sue parole, fuor di quel mar che la terra inghirlanda, 84 tra i discordanti liti, centra il sole tanto sen va che fa meridiano là dove l'orizzonte pria far suole. 87 Di quella valle fu' io littorano tra Ebro e Macra, che, per cammin corto, Io genovese parte dal toscano. 90 Ad un occaso quasi e ad un orto Bùggea siede e la terra ond'io fui, che fé' del sangue suo già caldo il porto. 93 Folco mi disse quella gente, a cui fu noto il nome mio, e questo cie'.o di m.e s'imprenta, com'io fei di Lui; 9G che più non arse la figlia di Belo, noiando ed a Sicheo ed a Creusa, di me, in fin che si convenne al pelo ; 99 né quella Rodopeia, che delusa fu da Demofoonte, né Alcide quando Iole nel cor ebbe richiusa. 102 Sj. La maggior valle. — li Mediterraneo, il maggiore dei mari interni, nei quale si vei'su l'acqua dell'oceano che circonda la terra. 8.V Discordanti liti. — Del- l'Europa e dell'Africa. 87. Centra il sole. — Da o- rJente a occidente. 88. Fu' io littorano. — Nac- qui sul lido di quel mare. 8g. Cammin corto. — Breve tratto. 91. Ad un occaso. — Quasi \j stesb-o meridiano e lo stesso o- riente hanno Buggea, città del- r.'Mgeria, e la mia terra nativa, Marsiglia. OS- Che fé ecc. — Intende la strage dei Marsigliesi, fatta da Decio Bruto, legato di Cesare. 04. Folco. — Folchetto da Marsiglia, trovatore provenzale nato nel secolo XII, che si fece monaco, e nel 120.'; fu eletto ve- scovo di Tolosa ; ebbe parte alla crociata contro gli albigesi. q6. Com'io fei ecc. — Come io sentii in vita il suo influsso. g7-g8. La figlia ecc. — Dido- ne, vedova di Sicheo ; Enea ve- dovo di Creusa. qg. Al pelo. — Nell'età gio- vanile. 100. Rodopeia. — Fillide, fi- glia di Sitone re di Tracia, la quale abitava presso Rodope ; fu amata da Demofonte, figlio di Teseo e di Fedra ; per il manca- to arrivo di lui s'impiccò, e fu trasformata in mandorlo. loi. Alcide. — Ercole, aman- do Jole, eccitò la gelosia di De- ianira, che gli diede la camicia di Nesso, per cui Ercole morì. 463 I.\ DlMNA COMMKDIA Non però qui si pente, ma si ride ; non della colpa, ch'a mente non torna, ma del valor ch'ordinò e provvide. 105 Qui si rimira negl'arie che adorna cotanto effetto, e discernesi il bene per che il mondo di su quel di giù torna. 108 Ma perché le lue voglie tutte piene ten porti, che son nate in questa spera, procedere ancor oltre mi conviene. Ili Tu vuoi saper chi è in questa lumiera, che qui appresso me cosi scintilla, come raggio di sole in acqua mera. 114 Or sappi che là entro si tranquilla Raab, ed a nostr'ordine congiunta di lei nel sommo grado si sigilla. 117 Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta che il vosiro mondo face, pria ch'altr'alma del trionfo di Cristo fu assunta. 120 Ben si convenne lei lasciar per palma in alcun cielo dell'alta vittoria, che s'acquistò con l'una e l'altra palma; 123 perch el'a favorò la prima gloria di Giosuè in su la Terrasanta , che poco tocca al papa la memoria. 126 La tua città, che di colui è pianta che pria volse le spalle al suo fattore e di cui è la invidia tanto pianta, 129 io6-To8. Qui ecc. — In Para- na con la sua punla nfl ciolo (liso si vede addentro nell'arte del di Venere, secondo la teoria di Creatore, e si riconosce il som- Alfraganu. MIO bene, che impronta dal mon- 121. Palma. — Segno, fio superno il mondo di giù. 122. Vittoria. • — Di Giosuè su 114. Acqua mera. • — Limpida. Gerico. 116. Raab. — Meretrice di Gè 123. Con l'una. — Con le ma- rico, che occidtò pli esploratori ni giunte. mandati da Giosuè per la con- 124. Favorò ecc. — • Favori la tiuista della città, il che le valse prosa di Gerico. la beatitudine eterna. 126. Che poco ecc. — Poco sta 117. Di lei ecc. — Il nostro in mente al papa. coro s'impronta dello splendore 127. La tua città. — Firon/c di lei. rampolla da Lucifero. 118. S'appunta. — Il cono 120. Tanto pianta. — Tn ho ombroso che fa la tCiTa termi- fu cau=;a del peccalo di .Adamo. — 464 — Pakadjso - Canto X produce e spande il maledetto fiore e 'ha disviate le pecore e gli agni, però che fatto ha lupo del pastore. Per questo l 'Evangelio e i dottor magni son derelitti, e solo ai Decretali si studia si che pare ai lor vivagni. A questo intende il papa e i cardinali : ■non vanno i lor pensieri a Nazzarette, là dove Gabriello aperse l'ali. Ma Vaticano e l'altre parti elette di Roma, che son state cimiterio alla milizia che Pietro seguette, tosto libere fìen dell'adulterio ». 132 135 138 142 130. Fiore. — ■ Fioriini d'oro, [ler il giglio che vi è improntato. 133-136. Per questo ecc. - Per amore dei fiorini d'oro sono abbandonata gli studi del Van- ."clo e delle .Scritture dei Santi Padri, e solo studiansi le costi- tuzioni dei papi e il diritto ca- nonico, il quale studio si rivela ai margini (vivagni) dei testi. che sono consuiiti da! km 138. Aperse l'ali. — l nnnziazione a Maria. 130. Parti elette. — sacri. 141. Milizia. — Ai m al santi che seguirono gì pi di Pietro. 142. Adulterio. — S dei papi. o uso. cr l'an- Lu',1 arliri v li esem CANTO X Guardando nel suo figlio con l'amore che l'uno e l'altro elernalmente spira, lo primo ed ineffabile valore quanto per mente 0 per loco si gira con tanto ordine fé' ch'esser non puote senza gustar di lui chi ciò rimira. 1-6. Guardando. — Il primo ed ineffabile valore, ossia il Pa- dre (potenza), per mezzo del Fi- ijlio (sapienza) e dello Spirito Santo (virtù), che ò l'amore che emana dall'uno e dall'altro, creò le cose spirituali e le materiali con tale ordine, che noai può non compiacerai! di lui chi queste' coso rimira. 465 La Divina Commedia Leva dunque, 'ettor, all'alte rote meco la vista, dritto a quella parte dove l'un moto e l'altro si percote ; 9 e li comincia a vagheggiar nell'arte di quel maestro, che dentro a sé l'ama tanto che mai da lei l'occhio non parte. 12 Vedi come da indi si dirama r obbliquo cerchio che i pianeti porta, per satisfare al mondo che li chiama : 15 e se la strada lor non fosse torta, molta virtii nel ciel sarebbe in vano, e quasi ogni potenza qua giù morta ; 18 e se da dritto più o men lontano fosse il partire, assai sarebbe manco e giù e su dell' ordine mondano. 21 Or ti riman, lettor, sopra il tuo banco, retro pensando a ciò che si preliba, s'esser vuoi lieto assai prima che stanco. 24 Messo t' ho innanzi : omai per te ti ciba; che a sé torce tutta la mia cura quella materia ond' io son fatto scriba. 27 Lo ministro maggior della natura, che del valor del cielo il mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura, ' 30 7. Alte rote. — Sfere celesti. 20. Manco. ^ Imperfetto. q. Dove ecc. — L'equatore e 21. E giù e su. — Nei duo io zodiaco s'incrociano, e dove il emisferi terrestri, sole s:iung:e ne^ìì equiriozi. 22. Or ti riman eci:. — Rac- II. Maestro. — Dio, che non co.^lifi col pensiero, distoglie mai lo sijuardo dalla 2-:ì. Che si preliba. — Che ti sua opera della creazione. ^ì presenterà. J3. Da indi. — Da quei pun- 24. S'esser" ecc. — Se vuoi to deirequitcre s, ondina lo zo- 3^^^;^,^ ^^^ soddisfaziciie senza (baco, che reca rIi astri. stancarti. ■6. Torce. — Richiama. 16. Strada ecc. — Se lo zcdia co non avesse orbila obliqua, gli e •!, c'- astri avrebbero tulli influsso sul -7- scriba. — Scrittore, medesimo punto. -'^- Ministro, — Il sole. iQ. Da dritto. — Se lo zodia- ^q. Imprenta. — Impnn co divergesse diversamente dal- virtù che riceve dal cielo. l'equatore ecc. — 466 — Paradiso - Canto X con quella parte che su si rammenta congiunto, si girava per le spire in che più tosto ognora s' appresenta. 33 Ed io era con lui ; ma del salire non m'accors'io, se non com' uom s'accorge, anzi il primo pensier, del suo venire. 36 È Beatrice quella che si scorge di bene in meglio, si subitamente che l'alto suo per tempo non si sporge. 39 Quant' esser convenia da sé lucente quel ch'era dentro al sol dov'io entrami, non per color, ma per lume parvente 1 42 Perch'io lo ingegno, l'arte e l'uso chiami, si no '1 direi che mai s' imaginasse, ma creder puossi e di veder si brami. 45 E se le fantasie nostre son basse a tanta altezza, non è maraviglia, che sopra il sol non fu occhio ch'andasse. 48 Tal era quivi la quarta famiglia dell'alto padre che sempre la sazia, mostrando come spira e come figlia ; 51 ^i. Con quella parte ecc. — Congfiunto alla costellazione del- l'Ariete, come dicesi nel versi 8. Per tal donna. — La po- vertà. f,8-i{q. In j^uerra del padre. — Contro la volontà del padre, ric- co mercante, che Io costrinse poi a rinunziare ad ogni eredità da- vanti al vescovo d'Assisi. i;g-6o. A cui, coin'alla morte... — Alla povertà, come alla morte, nessuno fa buon viso. 61-62. E dinanzi ecc. — Di- nanzi alla curia d'Assisi e davan- ti al padre fece le nozze cjlla po- vertà. 64. Questa ecc. — La povertà, privata di Cristo. 65. Dispetta e scura. — Di- sprezzata e ignorata. 66. Fino a costui. — Finché si congiunse.» a lei S. France- sco. 67-6q. Né valse ecc. — Valse a far amare la povertà l'esem- pio del pescatore Amiclate, che lasciava tranquillamente aperta la sua porta durante i saccheggi dei soldati di Cesare e Pompeo, né si turbò quando si vide davan- ti lo stesso Cesare. 70-72. Né valse ecc. — Non valse alla povertà, per rendersi gradita, l'aver alteramente (fe- roce) accompagnato Cristo sulla croce (CristO' morì nudo), sotto in quale piangeva Maria. 73. Chiuso. — Oscuro. 75. Prendi. — Intendi. Diffuso. — Fsteso. — 47.^ — La Divina Commedia tanto che il venerabile Bernardo si scalzò prima, e retro a tanta pace corse, e correndo gli parv' esser tardo. 81 O ignota ricchezza, o ben ferace ! scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro retro allo sposo, si la sposa piace. 84 indi sen va quel padre e quel maestro con la sua donna e con que'.la famiglia, che già legava 1' umile capestro. 87 Né gli gravò viltà di cor le ciglia, per esser fi' di Pietro Bemardone, né per parer dispetto a maraviglia ; 90 ma regalmente sua dura intenzione ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe primo sigillo a sua religione. 93 Poi che la gente poverella crebbe retro a costui, la cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe, 96 di seconda corona redimita fu per Onorio dall'eterno spiro la santa voglia d' esto archimandrita. 99 70. Bernardo. — Bernai'do da Btrnard^ne, esercitanle l'arie d'I- Quintavalle, ricco cittadino d'As- la lana. sisi, per seguire S. Francesco go. Dispetto a maraviglia. — abbandonò tutte le proprie rie- Spre^^evC'le da destar stupore, chezze. Fu il primo discepolo. gì. Dura. — Ardua, difììcile, 82. O ignota ricchezza. — La ed anche ferrea, risoluta, povertà è ricchezza spirituale, i- qi,. Primo sigillo. — La pri- gnota ai mondani. i-.ia approvazione (1210) data so!- Ben ferace. — Che mena alle tanto a voce, srioie del Paradiso. qf,. La cui ecc. — La cui vita 83. Egidio. — Perugino, se- miracolosa meglio si canterebbe guace di S. Francesco. ner esaltare la gloria divina, ari- Silvestro. — Prete d'Assisi, y\diè la sua. pure seguace di S. Francesco. 97. Di seconda ecc, — L'or- 84. Retro... — Dietro a Fran- dine fu istituito con bolla di O- cesco, che ha sposata hi i)0\erlà. porio III, ministro in ciò delia 81;. Sin va. — A Roma, pres- volontà divina. so papa Innocenzo III. Redimila. — Coronata. 86. Con quella famiglia. — 97. Di seconda... — Fu ap- Con i suoi seguaci. provata solennemente da Oao- 87. Umile capestro. — Il cor- rio IH. done dei Francescani. Redimita. — Coronala. 89. Fi'. — FigHu di Pietro 99. Archimandrita. — Capo — 476 — PARAfiiso - Canto \I E poi che, per la sete del martiro, nella presenza del Soldan superba predicò Cristo e gli altri che il seguirò, e per trovare a conversione acerba troppo la gente, per non stare indarno, reddissi al frutto dell'italica erba, nel crudo sasso, intra Tevero ed Arno, da Cristo prese 1' ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarne. Quando a colui eh' a tanto ben sortillo piacque di trarlo suso alla mercede, ch'ei meritò nel suo farsi pusillo, ai frati suoi, si com' a giuste rede, raccomandò la sua donna più cara, e comandò che l'amassero a fede ; e del suo grembo l'anima preclara mover si volle, tornando al suo regno, ed al suo corpo non volle altra bara. 102 105 108 li; 114 117 della mandria o pastore, qui ca- po de' l'ordine. loi. Del soldan. — Del Sul- tano Malek al Kamel, che San Francesco invano tentò di con- vertire al cristianesimo (12 ig) 102. E gli altri che il segui= ro. — I martiri e gli apostoli. 10-^. Acerba. — Restia. io;. Reddissi al frutto deiri= talica erba. — Tornò in Italia, dove il seme della sua predica- zione dava buoni frutti. 106. Nel cruJo. — Nello sco- sceso monte della Vernia, nel Ca- sentino. 107. Da Cristo prese l'ultimo sigillo. — Cristo gli apparve in forma di Serafino, e gl'impres- so le stimmate delle ferite a lui inferte dai giudei, alle mani, ai piedi ed alle costole. loS. Due anni. — Dal 1224 al i22(), annu in cui S. Fran- cesco mori. Sortillo. — Lo destinò. Mercede. — Paradiso. Pusillo. — Umile segua- 109. no. III. ce. 112. verta. 114. Rede. — Eredi. La sua donna. La po- A fede. — Fedelmente. E del suo grembo. — Dal cfrembo della povertà. 116. Al suo regno. — Al cie- lo, donde l'anima era discesa. 117. Altra bara. — Che po- vertà. Dicesi che S. Francesco nrima di morire si mettesse nu- do in terra, volendo così indi- care il suo grande amore alla povertà. — 477 — La Divina Commedia Pensa oramai qual fu colui, che degno collega fu a mantener la barca di Pietro in alto mar per dritto segno ! 120 E questi fu il nostro patriarca ; per che qual segue lui, com'ei comanda, discerner puoi che buone merce carca. 123 Ma il suo peculio di nuova vivanda è fatto ghiotto si eh' esser non puote che per diversi salti non si spanda ; 126 e quanto le sue pecore remote e vagabonde più da esso vanno, pili tornano all'ovil di latte vote. 129 Ben son di quelle che temono il danno, e stringonsi al pastor ; ma son si poche che le cappe fornisce poco panno. 132 Or, se !e mie parole non son fioche, se la tua audienza è stata attenta, se dò e' ho detto alla mente rivoche, 135 in parte fìa la tua voglia contenta, perché vedrai la pianta onde si scheggia, e vedrai il coreggièr che argomenta, ' U' ben s' impingua, se non si vaneggia ' ». 139 itS. Pensa qual fu colui. — San Domenico. iig. Collega. — Compagno t)cr salvare la Chiesa. 121. II nostro patriarca. — Fondatore dell'ordine dei Dome- nicani. 122-12;^. Per che ecc. — Per la qualcosa intendi che chiunque se- gue i suoi precetti godrà della beatitudine celeste. ■24. Peculio. — Gregge, cioè i frali domenicani. Nuova vivanda. — Godimen- to di alti uffici : vesco/vadi, pre- lature, ecc. 126. Salti. — Si sperda fuori dall'ovile per nuovi pascoli. 129. Di latte \òte. — Prive di buon alimento spirituale. 130. Ben son tee. — Vi sono pecorelle, e cioè Domenicani ecc. 1:^2. Che le cappe ecc. — Non occorre tanto panno per le loro cappe, essendo pochi i domen.ica- ni incorrotti. 13^. Rivoche. — ■ Richiami. i;^7. La pianta onde si scheg= già. — Qual sia la pianta da cui io levo le schegge, cioè a chi sia rivolto il mio biasimo, e ve- drai che cosa abbia inteso dire il domenicano (cinto di correg- gia) con le parole... - 478 - P.vKADlso - Canto XII CANTO XII Si tos:o come 1' ultima parola la benedetta fiamma per dir tolse, a rotar cominciò la santa mola ; e nel suo giro tutta non si volse prima eh' un' altra di cerchio la chiuse, e moto a moto, e canto a canto colse : canto che tanto vince nostre muse, nostre sirene, in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel eh' ei refuse. Come sì volgon per tenera nube due archi paralleli e concolori, quando Giunone a sua ancella iube, nascendo di quel d'entro quel di fuori, a guisa del parlar di quella vaga, eh' amor consunse come sol vapori ; e fanno qui la gente esser presaga, per lo patto che Dio con Noè pose, del mondo che giammai più non si allaga 12 15 18 2. Benedetta fiamma ecc. — L'anima di San Tommaso d'A- quino. Per dir tolse. — Finì di pro- nunziare. 3. Mola. — Ruota, cerchio di danzanti. 4. E nel suo giro ecc. — Non aveva compiuto il suo giro. c^. Ch'un'altra ecc. — Un'al- tra ghirlanda d'anime beate le girò intorno, accordando con es- sa moto e canto. 7. Nostre Muse. — I nostri poeti, il nostro canto. 8. Dolci tube. — Celestiali or- gani, dolci trombe. q. Quanto. — Come il raggio diretto vince quello riflesso. 14-1:;. Di quella. — La ninfa Eco, che si consumò d'amore per Narciso, come il sole consuma l vapori, e di lei non restò che il riflesse della voce. 10-12. Come si volgon ecc. — Come brillano due stiùsce paral- lele e di tinte simili nell'arcoba- leno, quando- Giunone manda la messaggera Iride sulla terra, e la striscia esterna è il riflesso dei raggi di quella interna. 16-18. E ianno tee. — In ter- ra la gente, ricordando il patto fra Dio e Noè, presagisce che il diluvio non si rinnoverà piii. 479 — La Divina Commedia cosi di quelle sempiterne rose volgeansi circa noi le due ghirlande, e si l'estrema all'ultima rispose. 21 Poi che il tripudio e 1' alta festa grande, si del cantare e si del fiammeggiarsi luce con luce gaudiose e blande,' 24 insieme a punto ed a voler quetàrsi, pur come gli occhi eh' al piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi, 27 del cor dell' una delle luci nuove si mosse voce, che l'ago alla ste'la parer mi fece in volgermi al suo dove ; 30 e cominciò : « L'amor che mi fa bella mi tragge a ragionar dell' altro duca, per cui del mio si ben ci si favella. 33 Degno è che dov'è l'un l'ahro s'induca, si che com'elli ad una militàro, cosi la gloria loro insieme luca. 36 L'esercito di Cristo, che si caro costò a riarmar, retro all'insegna si movea tardo, suspiccioso e raro, 39 quando lo imperador, che sempre regna, provvide alla milizia eh' era in forse, per sola grazia, non per esser degna ; , 42 20. Circa. — .Attorno a noi. -;;4. S'induca. — S' inlrocluca 21. E si l'estrema ecc. — L'è- ner parlarne. sterna si accordò con l'interna. .•^.v Ad una. — Insieme. 2.!;-26. Insieme a punto. — .Si ri7' Di Cristo Cristiani rlor- fermai'ono ad un punto per vo- dìnati col sacrifìcio del Reden- lere concorde, come o^li occhi si tore. accordano per aprirsi e chiudersi 38. InsejJna. — Croce, insieme. 3q. Suspiccioso. — Diflklonto 28. Del cor. — Dal centro. per causa degli eretici. 29. Che l'affo ecc. — Mi fece I^aro. — .Scarso di numero. voljT;ere a lei come l'aijo macine- 40. Lo imperador. — Dio. tlco si volge verso la stella jx>lare. 41. In forse. — ■ In pericolo. 33. Per cui ecc. — Del quale 42. Per sola j^razia. — Per la è stato detto tanto bene da Tom- grazia divina r non perchè la maso d'Aquino. meritassero. 480 Paradiso - Canto XII e, com'è detto, a sua sposa soccorse con due campioni, al cui fare, al cui dire Io popol disviato si raccorse. 45 In quella parte, ove surge ad aprire Zefiro dolce le novelle fronde, di che si vede Europa rivestire, 48 non molto lungi al percoter dell'onde, retro alle quali, per la lunga foga, lo sol talvolta ad ogni uom si nasconde, 51 siede la fortunata Calaroga, sotto la protezion del grande scudo, in che soggiace il leone e soggioga. 54 Dentro vi nacque l'amoroso drudo della fede cristiana, il santo atleta, benigno ai suoi, ed ai nemici crudo; 57 e, come fu creata, fu repleta si la sua mente di viva virtute che nella madre lei fece profeta. t)U Poi che le sponsalizie fur compiute al sacro fonte intra luì e la fede, u' si dotar di mutua salute; C3 43. Com'è detto. — Nel caiUj XI. verso 31. Sposa. — Chiesa. 41;. Si raccorse. — Si ravvide. 46-48. Quella parte. — In I- .spaijna, donde viene il ven/to fe- condatore di ponente. 4q. Onde. — Golfo di Guasco- gna. 50. Lunga foga. — Lungo cor- so, nel solstizio d'estate. 52. Calaroga. — Calaruega, città di Castiglia che ebbe il van- to di aver dato i natali a San Domenico. 1^3. Scudo. — L'arme del re di Castiglia, formata da due leoni e due castelli, inquartati in modo che un leone sogar'oga un caste'- io e l'altro leone invece ne è sog- rjiogato. 55. Drudo. — Amante. -8. Repleta. — Ripiena, 00. Che neila madre. — Clie, essendo nella madre... Lei. — La madre; si riferisce alla seguente leggenda : la madre di San Domenico quando era in- cinta di lui, sognò di partorire un cane bianco e nero (che fu- rono poi i colori dei Domenicani) portante in bocca una fiamma, che incendiò il mondo 61. Sponsalizie. — Battesimo. 63. U' si dotar. — La fede promise a San Domenico, e que- sti a quella, facend<"si mutua pro- messa di 'alute. — 481 La Divina Commedia la donna, che per lui 1' assenso diede, vide nel sonno il mirabile frutto eh' uscir dovea di lui e delle rede ; 66 e perché fosse, quale era, in costrutto, quinci si mosse spirito a nomarlo de! possessivo di cui era tutto. 69 Dominico fu detto ; ed io ne parlo si come dell' agricola, che Cristo elesse all'orto suo per aiutarlo. 72 Ben parve messo e famigliar di Cristo ; che il primo amor che in lui fu manifesto fu al primo consiglio che die Cristo. 75 Spesse fiate fu tacito e desto trovato in terra dalla sua nutrice come dicesse : ' Io son venuto a questo '. 78 O padre suo veramente Felice ! o madre sua veramente Giovanna, se interpretata vai come si dice ! 81 Non per lo mondo, per cui mo s' affanna di retro ad Ostiense ed a Taddeo, ma per amor della verace manna, 84 64. La donna. — La matrina sognò che Domenico aveva una stella in frointe, segno che egli avrebbe illuminato i popoli. 66. Rede. — Eredi ; l'ordine da lui fondato. 67. In costrutto. — Affinchè la parola, ossia il nome, fosse l'e- spressione del suo essere. 68. Quinci ecc. — Dal ciclo venne l'ispirazione di chiamarlo Domenico, da Dominus, il Si- gnore, al quale egli apparteneva completamente. 71. \p,rìcoìa, — Agricoltore. 7:;. Consiglio. — Povertà. 77. In terra. — A pregare od a far penitenza. 78. A questo. — Per vivere u- mi!e e povero. So. Giovanna. — hi ebraico significa : piena di grazia. 82. Per lo mondo. — Per con- seguire beni mondani. Sv Di retro ecc. — Ci mo chi, per arricchire, studia diritto cano- nico, nelle opere di Ostiense (En- rico di Susa cardinale e vescovo d'Ostia morto nel 1277, coanmen- tatore delle Decretali). Taddeo, — D'Alderotto, celebre medico fiorentino, autore di ope- re famose. Visse tra il 1215 e il 1291:; e giunse a grande riputa- zioine e a grande ricchezza. 84. Verace manna. — Cibo sp-aitualc. 482 - Paradiso - Canto XII in picciol tempo gran dottor si feo, tal che si mise a circuir la vigna, che tosto imbianca, se il vignaio è reo ed alla sedia, che fu già benigna più ai poveri giusti, non per lei, ma per colui che siede, che traligna, non dispensare o due o tre per sei, non la fortuna di prima vacante, non decimas, quae sunt pauperuni Dei, addomandò ; ma contro al mondo errante licenza di combatter per lo seme, del qual ti fascian ventiquattro piante. Poi con dottrina e con volere insieme con l'officio apostolico si mosse, quasi torrente eh' alta vena preme ; e negli sterpi eretici percosse l'impeto suo, piti vivamente quivi dove le resistenze eran più grosse. Di lui si fecer poi diversi rivi, onde l'orto cattolico si riga, si che i suoi arbuscelli stan più vivi. 87 90 93 06 99 102 105 86. Circuir la vigna. — A ìjuardia della Chiesa. 87. Imbianca. — Avvizzisce, si secca. Vignaio. — Pastore della Chie- sa. 88. Sedia. — Pontificia ; Do- menico andò a Roma nel 1205. 8c). Più. — Che al presente. Non per lei — Per colpa della Chiesa. go. Ma ecc. — Traligna per il pontefice, che non esercita il suo ministeri caritatevolmente, come i suoi predecessori. q 1-94. Non dispensare ecc. — Non chiese la facoltà di dare due o tre per avere sei ; né domandò le rendite del primo beneficio va- cante, né le decime che seno dei poveri del Si.s:nore. 94. Ma contro. — Ma per la ftxle domandò licenza di combat- tere contro coloro che vivono nel- l'errcre, nell'eresia, e specialmen- te contro gli Albigesi. 95. Lo seme. — La fede. 06. Ventiquattro piante. — I libri del vecchio Testamento. 97-102. Poi ecc. — Allude al- ia crociata fatta da San Dome- nico contro gli Albigesi, dappri- ma con la dottrina, poi con la violenza e la strage. 08. L'officio apostolico. — La autorizzazione del pontefice. 99. Ch'afta vena preme. — Che ha corso rapido per la sor- gente posta in alto. \oT,. Diversi rid. — • I seguaci di San Domenico. J04. L'orto. — La Chiesa. i(i;. .\rbuscelii ecc. — I fedeli. 4S0 - La Divina Commedia Se tal fu r una rota della biga, in che la santa Chiesa si difese e vinse in campo la sua civil briga, 103 ben ti dovrebbe assai esser palese reccellenza dell' altra, di cui Tomma dinanzi al mio venir fu si cortese. 1 1 1 Ma r orbita, che fé' la parte somma di sua circonferenza, è derelitta, si eh' è la muffa dov'era la gromma. 114 La sua famiglia, che si mosse dritta coi piedi alle sue orme, è tanto volta che quel dinanzi a quel di retro gitta ; 117 e tosto si vedrà della ricolta della mala coltura, quando il loglio si lagnerà che l'arca gli sia tolta. 120 Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio nostro volume, ancor troveria carta u' leggerebbe : ' Io mi son quel eh' io soglio ' ; 123 ma non fìa da Casal, né d'Acquasparta, là onde vegnon tali alla scrittura, che l'un la fugge e l'altro la coarta. 126 io6. L'ima rota. — San Do- scriventi la povertà, e condan- nienico. nanti le riserve accumulate nei io8. Civil briga. — Le lotte j^rrnal e nelle cantine, contro le eresie. 121. A foglio a foglio. — I fra- 1 IO. Dell'altra. — Ruota, ossia ti a uno a uno. San Francesco. 122. Volume. — L'Ordine. III. Cortese. — • Elogiandola. 123. Io ecc. — Sono quale 112-113. L'orbita ecc. — L'è- solevano essere dapprima i Fran- senipio di San Francesco non è cescani. seguito. 124. Da Casal. — Mo^n ferrato. 114. La muffa. — Il male do- Fra Ubertino, volendo stringere ve era il bene. Se nelle botti si vieppiù la regola, dovette abban- niette buon vino si! forma la donare l'ordine, gromma, se si lascian vuote vi D'Acquasparta. — Nel con- nasce la muffa. tado di Todi ; Matteo d'Acqua- ii.i^. Fauiiglra. — I Frann- sparta, cardinale, allorché era gc- scani. nerale dell'ordine fu mite nell'ap- 117. A quel. — Cau'mina a ri- piicazione della regola, troso. US. Scrittura. — La regola iiS. Si vedrà. -- Il frutto della di San Francesco, cattiva coltivazione. 126. L'un. — Matteo d'Acqua- iir». Loglio. — I Francescani sparta, indegni si lamenteranno dei de- L'altro. — Ub'Ttino la reslrin- creti del Concilio di Vienna, pre- .o-e, facendola rigorosa. -484 - Paradiso - Canto XII Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che nei grandi offici sempre posposi la sinistra cura. Illuminato ed Augustin son quici, che fùr dei primi scalzi poverelli, che nel capestro a Dio si fero amici. Ugo da San Vittore è qui con ellì, e Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano lo qual giù luce in dodici libelli ; Natan profeta, e il metropo'.itano Crisostomo, ed Anselmo, e quel Donato ch'alia prim' arte degnò por la mano; Rabàno è qui, e lucemi da lato il calabrese abate Gioacchino, di spirito profetico dotato. 129 132 135 138 141 127-128. Vita. — L'anima di Bonaventura di Bagnorea. Nel- l'applicazione della regola fran- cescana era fra Matt-^o e Uber- tino. Egli entrò nei Francescani 11 1243 ; nel i2:;ò fu nominato generale dell'ordine, e nel 1272 fu eletto cardinale e vescovo di Albano. Mori a Lione nel 1274. 129. Sinistra cura. — Cura delle cose tempo"ali. 130. Illuminato. — Da Rieti, ardente seguace di San France- sco e suo compagno in Oriente ; e cosi Agostino. 132. Capestro. — Prendendo il cordone francescano. i.S.^- Ugo ecc. — Celebre teo- logo, nato in Fiandra, fu canc-- nico in San Vittore di Parigi, ove mori nel 1141. 134. Pietro Mangiadore. — Teologo francese, mori in San Vittore nel 1 179. Pietro Ispano. — Da Lisbona, medico, teologo, cardinale e ar- civescovo di Braga ; fu eletto Pa- pa nel 1276 (Giovanni XXI) e mori a Viterbo sotto le rovine di una casa. 135. Giù ecc. — Nel mondo ha fama per i suoi dodici libri. 136. Natan. — Profeta, che rimproverò Davide per i suoi peccati. 137. Crisostomo. — Giovanni d' -Antiochia, detto Crisostomo (Bocca d'oroì 347-407, metropoli- ta di Costantinopoli ; gran pa- dre della Chiesa greca. Anselmo. — Arcivescovo dii Canterbury, autore di opere teo- logiche. Donato. — Elio Donati, inse- gnò a Roma e fu maestro di San Gerolamo e grammatico cele^ bre. 138. .4rte. • — • Grammatica, la prima delle arti del trivio e del quadrivio, ch'eran sette. 139. Rabàno. — Mauro, di Magonza (776-856), arcivescovo della sua città, scrisse commenti a molti libri della Bibbia. 140. Gioacchino. — Da Celico in Calabria (i 130-1202), ebbe fa- ma di profeta. Dante. 48.=; La Divixa Commedia Ad inveggiar cotanto paladino mi mosse la infiammata cortesia di fra Tommaso, e il discreto latino ; e mosse meco questa compagnia ». 142. Inveggiar. — Encomiare. Paladino. — San Domenico. 14-;. Infiammala. — Ardente di carità nell 'elogiare San Fran- cesco. 145 Lin- 144. Discreto latino. guaggio riverente. 14!;. E mosse ecc. — A venire con me, danzando e cantando. CANTO XUI Imagini chi bene intender cupe quel ch'io vidi (e ritenga l'image, mentre ch'io dico, come ferma rupe) quindici stelle, che in diverse plage lo cielo avvivan di tanto sereno che soperchia dell'aere ogni compage; imagini quel Carro, a cui il seno basta del nostro cielo e notte e giorno, si eh' al volger del temo non vien meno ; imagini la bocca di quel corno, che si comincia in punta dello ste'o a cui la prima rota va dintorno, 12 1. Imagini ecc. — Chi deside- ra intender bene quello ch'io vidi Dra, mi stia ben attento e imma- gini qnindici stelle le quali, in diverso plaghe del cielo, risplen- dano tanto luminosamente da vin- cere la densità (compage) dell'at- mosfera. Cupe. — Brama. 7-q. Imagini ecc. — Immagini che le sette stelle dell'Orsa Mag- tricre rimangano seriTpre nell'e- misfero boreale celeste, cosi che al voltare dei timone non scom- oaiano, girando intorno alla stel- la polare, ed essendo vicinissime ad essa. IO. Imagini ecc. — Le due stelle dell'Orsa Minore (la qua- le ha forma di corno, che comin- cia presso la scella palare) al- l'estremità dell'asse celeste, in- torno a cui gira il Primo Mobi- le, e pensi che queste ventiquat- tro stelle siane- distribuite in due costellazioni, ciascuna delle qua- li formata da dodici stelle, di- sposte come quelle della co^'itel- lazione della Corona, che un'an- tica leggenda dice essere la co- 486 — Paradiso - Canto XIII aver fatto di sé due segni in cielo, qual fece la figliuola di Minòi allora che senti di morte il gelo ; 15 e l'un nell'altro aver li raggi suoi, ed ambedue girarsi per maniera che l'uno andasse al prima e 1' altro al poi : 18 ed avrà quasi l'ombra della vera costellazion e della doppia danza, che circulava il punto dov'io era; 21 poich' è tanto di là da nostra usanza, quanto di là dal mover della Chiana si move il ciel che tutti gli altri avanza. 24 Li si cantò non Bacco, non Peana, ma tre persone in divina natura, ed in una persona essa e 1' umana. 27 Compiè il cantare e il volger sua misura, ed attesersi a noi quei santi lumi, felicitando sé di cura in cura. 30 Ruppe il silenzio nei concordi numi poscia la luce, in che mirabil vita del poverel di Dio narrata fumi, 33 e disse: «Quando 1' una paglia è trita, quando la sua semenza è già riposta, a batter 1' altra dolce amor m' invita. 36 runa fiorita d'Arianna, figlia di nime non cantavano le Iodi di Minos, trasformata da Bacco in Bacco, o quelle d'Apollo (Peana), costellazione. ma esaltavano i misteri della i6. E l'un ecc. — Immag;ini Trinità e dell'Incarnazione, che le due costellazioni siano con- 28. Compiè ecc. — Finito il centriche, e si muovano in senso giro circolare, il canto e la dan- con trarlo l'una all'altra. za terminarono. ig. Ed avrà ecc. — Avrà una 29. Attesersi. — Si rivolsero, pallida idea del vero. 30. Felicitando ecc. — Lieti 21. Circulava. — Girava attor- di passare dall'occupazione del no. canto e della danza, alla spiega- 22. Poich'è. — Perchè lospien- zione del dubbio di Dante, circa dorè e il canto di quelle anime la sapienza di Salomone, superano tanto oofni nostro uso, t,i. Nei concordi numi. — Tra quanto il movimento velocissimo i beati che tutti tacevano, ruppe del Primo Mobile, supera quello il silenzio San Tommaso, che a- lentissimo della Chiana, fiume del veva narrato a Dante la vita di territorio aretino. San Francesco d'Assisi. 25. Lì si cantò ecc. — Le a- ;^4. Quando ecc. — Chiarito - 487 - La Divina Commedia Tu credi che nel petto, onde la costa si trasse per formar la bella guancia, il cui palato a tutto il mondo costa, 39 ed in quel che, forato dalla lancia, e poscia e prima tanto satisfece che d'ogni colpa vince la bilancia, 42 quantunque a'.la natura umana lece aver di lume, tutto fosse infuso da quel valor che l'uno e l'altro fece : 45 e però ammiri ciò ch'io dissi suso, quando narrai che non ebbe secondo lo ben che nella quinta luce è chiuso. 48 Ora apri gli occhi a quel eh' io ti rispondo, e vedrai il tuo credere e il mio dire nel vero farsi come centro in tondo. 51 Ciò che non more e ciò che può morire non è se non splendor di quella idea che partorisce, amando, il nostro sire ; 54 che quella viva luce, che si mea dal suo lucente che non si disuna da lui, né dall'amor che a lor s' intrea, 57 il primo dubbio ed accolta la ve- quinta luce della prima corona, rità nella tua mente, ti libererò cioè che nessuno fu più sapiente del seco'ndo dubbio di lei. 37. Tu credi ecc. — Adamo, :;:. Nel vero farsi ecc. — Coin- dal quale Dio levò una costa per ridere perfettamente, come nel creare la bella Eva, che, man- centro convergono tutti i punti giando il frutto proibito, cagio- della circonferenza, nò tanto male all'umanità. ^2. Ciò che non more ecc. — 40. Ed in quel ecc. — Gf^sù De^li esseri incorruttibili : cerne Cristo, trafìtto sulla crcce dalla . 123 126 129 132 135 138 142 J2I. Vie più ecc. — Peggio che inutilmente, anzi con suo danno: casca nell'errore, chiun- que si mette a cercare il vero, ignorando il metodo per trovarlo. 125. Parmenide, Melisso. — Filosofi della scuola eleatica, che crearono dottrine senza fonda- mento di verità (.'^00-400 a, C). Brisso. — Nativo di Eraclea, cercò la quadratura del cerchio. 127. Sabeliio. — Eretico afri- cano, morto- nel 26.1;. Negava il dogma della Trinità. Arrio. — Prete d'Alessandria d'Egitto, (m. 3-^6) : diceva che Cristo non era eterno, e consu- stanziale al Padre. 128. Che furon ecc. — Che falsarono il senso delle Scrittu- re, come le spade rendono defor- mi i visi di coloro che vi si specchiano. 131. A giudicar. — Della sa- lute o dannazione d'un'anima. Stima ecc. — Giudica il vale- re. 134. Feroce. — Inetto, selva- tico. 137. Per tutto suo cammino. — Per l'intero percorso. 138. Foce. — Porto. i3g. Donna Berta o ser Mar- tino. — Nomi usati nel medioe- vo ad indicare persone volgari in genere. 140. Furare. — Rubare. Offerère. — Far pie offerte. 141. Vedergli ecc. — Il giu- dizio divino rispetto a quei due. 142. Surgere. — Salvarsi. — 4Q2 Paradiso - Canto XfV CANTO XIV Dal centro al cerchio, e si dal cerchio al centro, movesi l'acqua in un ritondo vaso, secondo ch'è percossa fuori o dentro. 3 Nella mia mente fé' sùbito caso questo ch'io dico, si come si tacque la gloriosa vita di Tommaso, 6 per la similitudine che nacque del suo parlare e di quel di Beatrice, a cui si cominciar, dopo lui, piacque : 9 <( A costui fa mestieri, e no '1 vi dice né con la voce né pensando ancora, d'un altro vero andare alla radice. 12 Ditegli se la luce, onde s' infiora vostra sustanzia, rimarrà con voi eternamente si com'ella è ora ; 15 e, se rimane, dite come, poi che sarete visibili rifatti, esser potrà eh' al veder non vi nói ». 18 Come da più letizia pinti e tratti alla fiata quei che vanno a rota levan la voce e rallegrano gli alti, 21 T,. Secondo ecc. — Se è per- i;;. S'infiora ecc. — S'aclorn;i cessa dentro, l'acqua si muove l'anima beata. dal centro alla circonferenza 17. Visibili rifatti. — Quando (Beatrice); dalla circonferenza a! saranno risorti i vestii corpi, centro invece, se è percossa fuo- 18. Esser potrà ecc. — Che la ri (San Tommaso). luce nin vi abbagli. 4. Nella mia mente ecc. — La ig. Come da ecc. — Come mia rnente subito pensò talvolta i danzatori, spinti e tra- 9. A CUI SI ecc. - Alla quale ^^.^^^. ^^ ^^^..^-^ ..^ ^^^^^ d^,. cosi GCC 10. Costui. — Dante. '^ solita, cantano e danzano più 12.' D'un altro vero. "— Cono- alleo:ramente. scere profondamente un'altra ve- 20. Alla fiata. — - Talvolta, rità. — 493 — La Divina Commedia così all'orazion pronta e devota li santi Gerelli mostrar nuova gioia nel tornear e nella mira nota. Qual si lamenta perché qui si moia, per viver colà su, non vide quive lo refrigerio dell'eterna ploia. Quell'uno e due e tre che sempre vive, e regna sempre in tre e due e uno, non circonscritto, e tutto circonscrive, tre volte era cantato da ciascuno ■ di quegli spirti con tal melodia ch'ad ogni merto saria giusto muno. Ed io udi' nella luce più dia del minor cerchio una voce modesta, forse qual fu dall'angelo a Maria, risponder : (c Quanto fia lunga la festa di paradiso, tanto il nostro amore si raggerà d'intorno cotal vesta. La sua chiarezza seguirà l'ardore, l'ardor la visione, e quella è tanta, quanta ha di grazia sopra il suo valore. 24 27 30 33 36 39 42 22. Così. — Le anime beate delle due ghirlande espressero gioia nuova, no\ girare e nel can- to ammirevole. 25. Qual si lamenta. — Chiun- que si lamenta di dover prima morire, per andare a vivere in cielo, lo fa perchè non ha ccno- sciuto il conforto dell'eterna feli- cità comcessa dalla divina grazia. 27. Ploia. — Piogg;ia. 28. Uno ecc. — li Padre; il Padre e il Figlio ; il Padre, il Fi- glio e Io Spirilo Santo. 30. Non circouscritto. — Non chiuso nello spazio e tutto com- prendendo. P,T,. Ch'ad ogni ecc. — Che sarebbe degno premio (muno) ad ogni merito. T4. Più dia. — Più divina, os- sia splendente maggiormente. 3,:;. Minor. — Interno. ■^6. Dall' angelo. — Gabriele nrll'annunziazione. 37 e seg. Quanto ecc. — Il nostro spirito, infiammalo d'amo- re, in eterno irradierù questa lu- ce. 40-43. La sua chiarezza. — Il minore o maggior merito (va- lore) individuale attira grazia di- \ina minore o maggiore, alla ciuale è proporzionata la visione (cognizione) di Dio, che spira a- deguato ardore di carità, da cui procede la m'uore o maggiore chiarezza della luce irradiata. — 494 — Paradiso - ('anto XIV Come la carne gloriosa e santa fia rivestita, la nostra persona pili grata fia per esser tutta quanta ; 45 per che s'accrescerà ciò che ne dona di gratuito lume il sommo bene, lume eh' a lui veder ne condiziona : 48 onde la vision crescer conviene, crescer l'ardor che di quella s'accende, crescer lo raggio che da esso viene. 51 Ma si come carbon^ che fiamma rende, e per vivo candor quella soperchia, si che la sua parvenza si difende, 54 cosi questo fulgor, che già ne cerchia, fia vinto in apparenza dalla carne che tutto di la terra ricoperchia ; 57 né potrà tanta luce affaticarne, che gli organi del corpo saran forti a tutto ciò che potrà dilettarne ». 60 Tanto mi parver subiti ed accorti e l'uno e l'altro coro a dicer : «Anime)), che ben mostrar disio dei corpi morti ; 63 forse non pur per lor, ma per le mamme, per li padri e per gli altri, che fùr cari anzi che fosser sempiterne fiamme. 66 Ed ecco intorno, di chiarezza pari, nascere un lustro sopra quel che v'era, a guisa d'orizzonte che rischiari : 69 e si come al salir di prima sera comincian per lo ciel nuove parvenze, si che la vista pare e non par vera ; 72 4V4.V Come ecc. — CoUa glo- 56. Fia. — Sarà superato iii riticala risurrezione la nostra per- apparenza dallo splendore deM.i sona (anima e corpo) sarà più ^carne eh 'è ancora sepolta, perfetta. 62. Amnie. — Cosi sia, amen. 47. Gratuito lume. — Grazia 63. Che ben ecc. — Mostrando divina. des'Iderio della risurrezione cor- 48. Lume. • — Che ci fa vede- porale. re Dio. 68. Lustro. — ■ Circonferenza e,2. Carbon ecc. — Il carbo- luminosa, ne incandescente vince la sua 6q. Hischiari. — S'illumini, stessa fiamma restando visibile. 71. Parvenze. — Stelle. — 49i^ — La Divina Commedia parvemi li novelle sussistenze cominciar a vedere, e fare un giro di fuor dall'altre due circonferenze. 75 O vero isfavillar del santo spiro, come si fece sùbito e candente agli occhi miei, che vinti non soffrirò! 78 Ma Beatrice si bella e ridente mi si mostrò, che tra quelle vedute si vuol lasciar che non seguir la mente. 81 Quindi ripreser gli occhi miei virtute a rilevarsi, e vidimi translato sol con mia donna in più alta salute. 84 Ben m'accors'io ch'io era più levato, per l'affocato riso della stella, che mi parca più roggio che l'usato. 87 Con tutto il core, e con quella favella eh 'è una in tutti, a Dio feci olocausto, qual conveniasi alla grazia novella ; 90 e non er'anco del mio petto esausto l'ardor del sacrifìcio, ch'io conobbi esso litare stato accetto e fausto ; 93 che con tanto lucore e tanto robbi m'apparvero splendor dentro a due raggi ch'io dissi: « O Eliòs, che si gli addobbi!» 96 yT,. Novelle sussistenze. — Al- tri spiriti beati. 76. Santo spiro. . — Spirito Santo. 77. Candente. — Incandescen- te. 78. Vinti. — Abbagfliati non sopportarom Io splendore. So. Vedute. — • Apparizioni. 81. Si vuol lasciar. — Biso- gna lasciare fra quolic che la mente non ritiene, ossia fra quel- le che egli non può descrivere. 84. Più alta salute. — Al cielo di Marte. 86. Affocato. — Ardente. 87. Roggio. — Rosso. 8g. Ch'è una ecc. — Perchè ò l'espressione del vivo sen.ti- jnento dell'animo. Olocausto. — Di lutto sé me- desimo, in ringfraziamento della ijrazia nuova. Qi. Esausto. — Esaurito. q^. Litare. — L'olocausto. Fausto. — Gradito a Dm. 94. Lucore. — Splendore. Robbi. — Rossi. 95. Splendor. — Spirili dei martiri. 96. Eiiòs ecc. — O Sole (Dio), rhc li adorni cosi ! 496 — Paradiso - Canto XIV Come, distinta da minori e maggi lumi, biancheggia tra i poli del mondo Galassia si che fa dubbiar ben saggi, 99 si costellati facean nel profondo Marte quei rai il venerabil segno, che fan giunture di quadranti in tondo. 102 Qui vince la memoria mia lo ingegno : che quella croce lampeggiava Cristo, si ch'io non so trovare esemp'o degno. 105 Ma chi prende sua croce e segue Cristo, ancor mi scuserà di quel ch'io lasso, vedendo in quell'albór balenar Cristo. 108 Di corno in corno, e tra la cima e il basso, si movean lumi, scintillando forte nel congiungersi insieme e nel trapasso : III cosi si veggion qui diritte e torte, veloci e tarde, rinnovando vista, le minuzie dei corpi, lunghe e corte, 114 moversi per lo raggio, onde si lista talvolta l'ombra, che per sua difesa la gente con ingegno ed arte acquista. 117 E come giga ed arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non è intesa, 120 97. Maggi. — Maggiori. 109. Di corno, ecc. — Di brac- 99. Galassia. — Via Lattea, co in braccio della croce, sulla cui natura i grandi dottori 110. Lumi. — Anime beate, sono dubbiosi. in. Nel congiungersi. — 101-102. Venerabil segno ecc. Quando si incontravano ed oltre- — La croce, i cui raggi s'inter- passavano. secano (giunture) al centro comò 112. Così si veggion qui ecc. diametri di una circonferenza u- — Cosi in terra vediamo il pul- nica (quadranti). viscoto muoversi nel raggio di 103. Vince. — Supera. luce solare che, dagli spiragli, TO';. Sì ecc. — In tal modo che penetra in stanza ove sia fatta , . , oscurità con congegni ed arte. non so trovare esempio degno a ^^g ^.^^ _ Stiumenio musi- raffigurarla. ^^j^ ^ ^^^.^^^ ^j^ij^ ^j ^[^1:,^^ 106. Ma chi ecc. — Chi è for- 120. A tal. — A chi non ode te nel dolore salirà in cielo ed distintamente le note, ma ne co- ai Icra potrà veder Cristo. glie la melodia. — 497 — La Divina Commedia cosi dai lumi, che li m'apparinno, s'accogliea per la croce una melode, che mi rapiva senza intender l'inno. 123 Ben m'accors'io ch'ell'era d'alte lode, però che a me venia: ce Risurgi e vinci», com'a colui che non intende ed ode. 126 Io m'innam.orava tanto quinci, che infìno a li non fu alcuna cosa che mi legasse con si dolci vinci. 129 Forse la mia parola par tropp'osa, posponendo il piacer degli occhi belli, nei quai mirando mio disio ha posa. 132 Ma chi s'avvede che i vivi suggelli d'ogni bellezza più fanno più suso, e ch'io non m'era li rivolto a quelli, 135 escusar puomrai di quel ch'io m'accuso per escusarmi, e vedermi dir vero : che il piacer santo non è qui dischiuso, perché si fa, montando, più sincero. 139 127. Quinci. — Di quL-Ha me- Crescano in bellezza man mano lodia. che si sale. 128. Infino a lì. — Fino a quel 1:^7. Per escusarmi ecc. — momento. Scusarmi d'aver detto franca- I2<). Vinci. — Vincoli. mente che il diletto maggiore 130. Osa. — Ardita. da me provato era l' udire il 131. Occhi belli. — Di Bea- canto dei beati nel cielo di Mar- trice. te. 133. I vivi suggelli. — I cieli. 138. Il piacer santo. — Degli 134. Più fanno più suso. — occhi di Beatrice. CANTO XV Benigna volontade, in cui si liqua sempre l'amor che drittamente spira, come cupidità fa nell'iniqua, 3 1. Si liqua, — Amore si risol- 3. Cupidità. — Clu; si risolvo ve in buo'na volont;'i. invece nel \ulerc il male. 2. L'amor. — Divino. - 498 - Paradiso - Canto XV silenzio pose a quella dolce lira, e fece quietar le sante corde, che la destra del cielo allenta e tira. 6 Come saranno ai giusti preghi sorde quelle sustanzie, che, per darmi voglia ch'io le pregassi, a tacer fùr concorde? 9 Ben è che senza termine si doglia chi, per amor di cosa che non duri, eternalmente queir amor si spoglia. 12 Quale per li seren tranquilli e puri discorre ad ora ad or sùbito foco, movendo gli occhi che stavan sicuri, 15 e pare stella che tramuti loco, se non che dalla parte ond'ei s'accende nulla sen perde, ed esso dura poco ; 18 tale, dal corno che in destro si stende, al pie di quella croce corse un astro della costellazion che li risplende : 21 né si parti la gemma dal suo nastro, ma per la lista radiai trascorse, che parve foco retro ad alabastro. 24 Si pia l'ombra d'Anchise si pòrse, se fede merta nosira maggior musa, quando in Elisio del figlio s'accorse. 27 (( O sanguis meus, o super-infusa grafia Dei, sicut Ubi, cui bis unquam codi ianua reclusa?)) 30 5. Corde. — Le anime beate 22. La gemma. — L'anima che si fermarono. raggiante, che segui ad angolo 6. La destra. — Di Dio. retto la linea della croce. 13. Li seren. — Notti serene. 2.:;. Si pòrse. — Si presentò. 14. Discorre. — Traversa una 26. Nostra maggior musa. — stella cadente. Virgilio, che nell'Eneide, descri- 15. Movendo ecc. — Facendo ve la discesa di Enea all'Eliso e battere le palpebre. il suo incontro col padre An- 17-18. Dalla parte ecc. — Nel- chise. la parte del cielo donde guizza 28. O sanguis meus ecc. — O il fuoco non manca alcuna stella. sangue mio, o grazia di Dio iq. Corno. — Braccio destro dall'alto infusa, a chi, come a della croce. le, fu dischiusa due volte la oor- 20. Astro. — Uno spirito ri- fa de! Ciclo? (Ora e dopo mor- splendente della croce di Marte. te). — 499 — La Divina Commedia Cosi quel lume; ond' io m'attesi a lui, poscia rivolsi alla mia donna il viso, e quinci e quindi stupefatto fui : 33 che dentro agli occhi suoi ardeva un riso tal eh' io pensai co' miei toccar lo fondo della mia grazia e del mio paradiso. 36 Indi, a udire ed a veder giocondo, giunse lo spirto al suo principio cose eh' io non intesi, sì parlò profondo : 39 né per elezion mi si nascose, ma per necessità, che il suo concetto al segno dei mortai si soprappose. 42 E quando l'arco dell'ardente affetto fu si sfocato che il parlar discese in vèr lo segno del nostro intelletto, 45 la prima cosa che per me s' intese, « Benedetto sie tu, fu, trino ed uno, che nel mio seme sei tanto cortese ». 48 E seguitò : « Grato e lontan digiuno, tratto leggendo nel magno volume u' non si muta mai bianco né bruno, 51 soluto hai, figlio, dentro a questo lume in ch'io ti parlo, mercé di colei ch'air alto volo ti vesti le piume 54 T,T,. Quinci e quindi. — Dal 46. Per me. — Da me. lato dove c'era lo spirito e dal 48. Nel mio seme. — Verso lato dove c'era Beatrice. uno della mia stirpe. -^t;. Lo fondo. — L'estremo 49. Lontan digiuno. — Antico grado della beatitudine. desiderio di veder Dante. •^8. Giunse ecc. — Aggiunse 50. Tratto leggendo. — Deri- alle prime parole. vatomi dalla lettura del libro e- 40. Elezion. — Per sua libera terno del sapere divino. volontà parlò oscuro. 51. Non si muta. — Dove nan 42. Si soprappose. — All'urna- si mutano i decreti divini come no intelletto, superandone il li- nei libri umani. mite di eomprensio.^f^ 52. Soluto hai hcc. — Appajja- 43. L'arco. — L'ardore di ca- to in uno cbe ti parla da questo rità. splendore. 45. Lo segno. - 11 grado. 53. Colei, — : Beatrice. — 500 — Paradiso - Canto XV t Tu credi che a me tuo pensìer mei da quel eh' è primo, cosi come raia dall' un, se si conosce, il cinque e il sei; 57 e però chi io mi sia, e perch' io paia più gaudioso a te, non mi domandi, che alcun altro in questa turba gaia. 60 Tu credi il vero ; che minori e grandi di questa vita miran nello speglio, in che, prima che pensi, il pensier pandi. 63 Ma perché il sacro amore, in che io veglio con perpetua vista e che m' asseta di dolce disiar, s'adempia meglio, 66 la voce tua sicura, balda e lieta suoni la volontà, suoni il disio, . a che la mia risposta è già decreta )>. 69 Io mi volsi a Beatrice, e quella udio pria eh' io parlassi, ed arrisemi un cenno che fece crescer l'ali al voler mio. 72 Poi cominciai cosi : « L'affetto e il senno, come la prima equalità v'apparse, d'un peso per ciascun di voi si fenno ; 75 però che il sol, che v' allumò ed arse col caldo e con la luce, è si iguali che tutte simiglianze sono scarse. 78 i^.v Mei. — Credi che il tuo pensiero si apra a me cliiaro ri- mirando in Dio. 56. Raia. — Raggia, deriva, come dall'unità procedono gli al- tri numeri. 58. E però. — Per questo. 61. Minori e grandi. — Spi- riti di varia beatitudine. 62. Vita. — Celeste. Speglio. — Dio, specchio nel quale i beati vedono ogni cosa. 6;^. Pandi. — Manifesti, e- sprim". 6v Vista, — Contemplazione. 69. Decreta. — Pronta, decre- tata. 71. Arrìsemi. — Sorridendomi fece un cenno. 74. Prima equalità. — Dio. 75. D'un peso. — Uguali. 76. Sol. — Dio. 77. Caldo. — Dell'amore. Luce. — Della sapienza. 78. Che tutte ecc. — Che ogni comparazione sarebbe impari a ri;rarlo. Dante. — i^oi 32 La Divina Commedia Ma voglia ed argomento nei mortali, per la cagion eh' a voi è manifesta, diversamente son pennuti in ali ; 81 ond'lo che son mortai, mi sento in questa disuguaglianza, e però non ringrazio se non col core alla paterna festa. 84 Ben supplico io a te, vivo topazio, che questa gioia preziosa ingemmi, perché mi facci del tuo nome sazio »•/ 87 c( 0 fronda mia, in che io compiacemmi pure aspettando, io fui la tua radice » ; ootal principio, rispondendo, lemmi. 90 Poscia mi disse : « Quel da cui si dice tua cognazion, e che cent'anni e pitie girato ha il monte in la prima cornice, 93 mio figlio fu, e tuo bisavo fue : ben si convien che la lunga fatica tu gli raccorci con l'opere tue. 96 Fiorenza, dentro dalla cerchia antica, ond'ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica. 99 7(). Ma voglia ed argomento. - — L'affetto e il senno non van- no di pari passo, essendo diver- samente « pennuti », e cioè la vo- glia, o sentimento vola innanzi all'afi^omento, o intelligenza. So. Per la cagion ecc. — Perchè l'inielligenza umana è li- mitata, l'affetto invece non ha confini. 8t,. Disuguaglianza. — Tra affetto e senno, voglia e argo- mento. 84. Paterna festa. — Paterne accoglienze, di cui ringrazio col cuore non sapendo esprimermi a parole. 85. Topazio. — Splendore vivo. 86. Gioia. — Croce. 89. Puie. — Mi fu diletto il .solo aspettarti. Radice. — Cai>o>tipite. gì. Quel. — Colui, dal qualo i ''ini lian nreso il cognome di Alighieri. Questa Alighiero era vi\o nel 1201, ma Dante ne igno- rava l'anno preciso della morte. ()!,. Girato. — E' in Purgato- rio coi superbi. q6. Opere. — Con suffragio di opere pie. 97. Dentro. — Entro la cer- chia delle mura romane. f;S. Ond'ella ecc. — Nella cer- chia romana la chiesa della Ba- dia suona le ore alla città. 502 Paradiso - Canto XV Non avea catenella, non corona, non donne contigiate, non cintura che fosse a veder più che la persona. Non faceva, nascendo, ancor paura la figlia al padre, che il tempo e la dote non fuggian quinci e quindi la misura. Non avea case di famiglia vote ; non v'era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che in camera si puote. Non era vinto ancora Montemalo dal vostro Uccellatolo, che, com' è vinto nel montar su, cosi sarà nel calo. Bellincion Berti vid' io andar cinto di cuoio e d' osso, e venir dallo specchio la donna sua senza il volto dipinto; e vidi quel del Nerlo e quel del Vecchio esser contenti alla pelle scoperta, e le sue donne al fuso ed al pennecchio. O fortunate ! ciascuna era certa della sua sepohura, ed ancor nulla era per Francia nel letto diserta. 102 105 108 ,11 114 117 120 loo. Catenella. — Collare o braccialefto. loi. Contigiate. — Adornate di calzature di cuoio trapunto. 102. Che fosse. — Più appari- scente della persona stessa. I04-I0.S. Il tempo e la dote ecc. — Non si maritavan molto giovani e con gran dote. io6. Vote. — Palazzi con nu- merose stanze e perciò disabitate. 107-108. Sardanapalo. — ■ Re dell'Assiria (667-626 a. C), pro- verbiale pel lusso e per la vita dissoluta. 109. Montemalo. — Monte Ma- rio, presso Roma, non era supe- rato dall 'Uccellatolo, monte r>on lontano da Firenze; quindi, Ro- ma non era superata da Firenze nel fasto degli edifici. no. Com'è vinto ecc. — NpI- lo stesso modo che Firenze supe- ra Roma nella grandezza, la su- pererà nella rovina. 112. Bellincion Berti. — Ono- revole cittadino di Firenze, pa- dre della buona Gualdrada. (In- ferno XVI). 113. D'osso. — Con fìbbia di osso, con semplicità. II;:;. Nerlo. — Del sestiere d'oltr'Arno, casato guelfo molto potente. Del Vecchio. — I Vecchietti, nobili guelfi di Firenze, del quar- tiere di .San Brancazio. 116. Pelle scoperta. — Senza drappi. iif). Sepoltura. — Non si mo- riva in esilio. 120. Per Francia. — Ed al- trove, dove i fiorentini andavano per commerciare. .^o.ì — La Divina Commedia L' una vegghiava a studio della culla, e consolando usava l' idioma che pria li padri e le madri trastulla; 123 r altra traendo alla rócca la chioma, favoleggiava con la sua famiglia dei Troiani, di Fiesole e di Roma. 126 Saria tenuta allor tal maraviglia una Cianghella, un Lapo Salterello, qual or saria Cincinnato o Corniglia. 129 A cosi riposato, a cosi bello viver di cittadini, a cosi fida cittadinanza, a cosi dolce ostello, 132 Maria mi die, chiamata in alte grida, e neir antico vostro batistéo insieme fui cristiano e Cacciaguida. 135 Moronlo fu mio frate ed Eliseo ; mia donna venne a me di vai di Pado, e quindi il sopranome tuo si feo. 138 Poi seguitai lo imperador Currado, ed ei mi cinse della sua milizia, tanto per bene oprar gli venni in grado. 141 Retro gli andai incontro alla nequizia di quella legge, il cui popolo usurpa, per colpa dei pastor, vostra giustizia. 144 I2J. Consolando. — II bimbo. mia madre ir^lle doglie del parto. L'idioma. — Già usato dai gè- 135;. Cacciaguida. — Nacque nitori nella loro infanzia. in Firenze verso il loio, della 125. Favolegf^iava. — Racccn- fami.sflia degli Elisei che vanta- tava le leg'gende. vano origine romana. Sposò una 128. CianijJhella. — Della fa- Alighieri, di vai di Po. miglia dell.i Tosa, sposata a Li- 1-^7. Pado. — Po. lo degli Alidosi di Imola, famo- 138. Quindi. — Dalla mia sa per abiti fastosi e per la sua donna, superbia. 139. Currado. — Corrado HI Lapo Salterello. — Dottor in di .Svevia, alla seconda crociat.i. legge e poeta fiorentino, conteni- 140. Mi Cinse ecc. — Mi fece noraneo di Dante, e insieme a cavaliere. lui condannato. Partecipò a tutti 141. Gli venni in grado. — gli avvenimenti politici della sua Gli piarqui. città. 143. Legge. — Maomettana. 120- Corniglia. — Cornelia, 144. Per colpa dei pastor. — u'.adre dei Gracchi. Dei Papi, che non pensano alla 133. Chiamata. — Invocata da liberazione di lerra Santa. — 504 — Paradiso - Canto X\'l Quivi fu' io da quella gente turpa disvìluppato dal mondo fallace, il cui amor molte anime deturpa, e venni dal martiro a questa pace ». 148 146 Disviluppato. con la morte. DiscloUo 148. Dal martiro. — Essendo morto per la difesa del Cristia- ntsimo. CANTO XVI O poca nostra nobiltà di sangue, se gloriar di te la gente fai qua giù, dove l'affetto nostro langue, mirabil cosa non mi sarà mai ; che là, dove appetito non si torce, dico nel elei, io me ne gloriai. Ben sei tu manto che tosto raccorce, si che, se non s' appon di die in die, lo tempo va dintorno con le force. Dal ' voi ' che prima Roma sofferie, in che la sua famiglia men persevra, ricominciaron le parole mie ; 12 1. O poca ecc. — ■ Non mi me- ravig;Iiei-ò pii; che quaggiù si glorino della nobiltà del sangue, se io ne trassi motivo ad insuper- bire lassù nel cielo. 5. Non si torce. — Verso be- ni fallaci. 7. Ben sei tu manto ecc. — La nobiltà del sangue è un man- to che si consuma se non vi si aggiunge di giorno in giorno per virtù nuova. 9. Force. — Forbici. io. Dal e; voi» ecc. — Dante parlando a Cacciaguida aveva usato fin qui il pronome singo- lare tu, ora adopera il pronome plurale ((Voi», come già ha fat- ito con Farinata, Cavalcante, Brunetto, Beatrice e Adriano V. Voi. — Il pronome ((vo-i», ri- volto ad una sola persona, fu u- sato pe'' la prima volta dai Ro- mani, parlando con Giulio Cesa- re. Cosi credevasi nel M. E. ; ma invece quest'uso cominciò nel ter- zo secolo dell'era volgare. II. In che ecc. — - Ora i Ro- mani danno sempre del (( tu ». — ?^oS La Divina Commedia onde Beatrice, ch'era un poco scevra, ridendo, parve quella che tossio al primo fallo scrìtto di Ginevra. 15 Io cominciai : <( Voi siete il padre mio, voi mi date a parlar tutta baldezza, voi mi levate si ch'io son più ch'io. 18 Per tanti rivi s' empie d' allegrezza la mente mia, che di sé fa letizia, perché può sostener che non si spezza. 21 Ditemi dunque, cara mia primizia, quai fiir li vostri antichi, e quai fùr gli anni che si segnare in vostra puerizia. 24 Ditemi dell' ovìl di San Giovanni quanto era allora, e chi eran le genti tra esso degne di più alti scanni ». 27 Come s'avviva allo spirar dei venti carbone in flamm-a, cosi vidi quella luce risplendere ai miei blandimenti ; 30 e come agli occhi miei si fé' più bella, cosi con voce più dolce e soave, ma non con questa moderna favella, 33 dissemi : « Da quel di che fu detto ' Ave ' al parto in che mia madre, eh' è or santa, s'alleviò di me ond'era grave, 36 IT,. Scevra. — Discosta. Firenze, posta sotto il patronato 14. Quella ecc. — Come, nel di San Giovanni, romanzo di Lancillotto, la dama 26. Quanto era ecc. — Quan- di Mallehiult, cameriera della ti abitanti aveva Firenze. ref2fina Ginevra, tossi vedendo Le ^enti. — Le famiglie più Lancillotto baciare la regina, onorevoli. cosi Beatrice sorrise per la vana- 30. Luce. — Lo spirito di gloria di Dante. Cacciaguida. 20-21. Di sé fa letizia ecc. — ^^ Moderna favella. — Par- Si rallegra d. sé che può acco- ^^^ ^.^^ ;, ^.^^ fiorentino ehere tanta gioia. , , " 22. Primizia. — Progenitore. ^'^' ^^i"P° *^°- 2:^. Quai fùr f^li anni. — .ì4- Da quel di ecc. — Dall'An- Quando nasceste. nunciazione di Maria alla mia 25. Ovil di San Giovanni. — nascila. — 506 — Paradiso - Canto XVÌ al suo Leon cinquecento cinquanta e trenta fiate venne questo foco a rinfiammarsi sotto la sua pianta. 39 Gli antichi miei ed io nacqui nel loco, dove si trova pria 1' ultimo sesto da quel che corre il vostro annua! gioco : 42 basti dei miei maggiori udirne questo ; chi ei si furo, ed onde venner quivi, più è tacer, che ragionare, onesto. 45 Tutti color eh' a quel tempo eran ivi da poter arme, tra Marte e il Batista. erano il quinto di quei che son vivi ; 48 ma la cittadinanza, eh' è or mista di Campi, di Certaldo e di Fighine, pura vedeasi nell' ultimo artista. 51 O quanto fora meglio esser vicine quelle genti eh' io dico, ed al Galluzzo ed a Trespiano aver vostro confine, 54 37. Ai suo Leon ecc. — Mar- te, compiendo la sua rivoluzio- ne, 580 volte si trovò presso la costellazione del Leone, a pren- derne luce e calore ; sicché, se- condo il sistema tolemaico, Cac- ciaguida è nato nel loqi. 40. Loco ecc. — Dove comin- àa il quartiere (sesto) di Porta San Piero. 42. Annual j^ioco. — La cor- sa del palio, che facevasi a Fi- renze nella festa di San Gio- vanni. 47. Poter arnie. — Atti alle armi. Tra Marte e il Batista. — Tra la statua di Marte al Ponte \ ecchio (- la chiesa di San Gio- vanni, punti estremi della città di Firenze in quel tempo. 48. Il quinto. La città dei miei tempi era il quinto di quel- la d'adesso. 50. Di Campi tee. — Dulie famiglie venute da Campi, in Val di Bisenzio, da Certaldo nel- la Valdelsa, da Figline nel Val- darno superiore, ed in genere dal contado. 51. Pura ecc. — La cittadi- nanza era pura anche nell'umi- le artigiano. 52. Fora meglio ecc. — Sa- rebbe stato meglio aver quella gente v'cina, confinante, e non coimpreisa entro l'i mura della cttà. .SI. Galluzzo. — Villaggio a due miglia da Firenze. ~,4. Trespiano. — Villaggio a tre miglia da Firenze ; tra que- sti due villaggi, e non più oltre, Cacciaguida volava il confine del territorio fiorentino. ?,07 — La Div.'xa Co:\iMEmA che averle dentro, e sostener lo puzzo del villan d'Aguglion, di quel da Slgna, che già per barattare ha 1' occhio aguzzo ! Se la gente, eh' al mondo più traligna, non fosse stata a Cesare noverca, ma, come madre a suo figliuol, benigna, tal fatto è fiorentino, e cambia e merca, che si sarebbe volto a Simifonti, là dove andava l' avolo alla cerca. Sariasi Montemurlo ancor dei Conti ; sariansi i Cerchi nel pivier d'Acone, e forse in Val di Greve i Buondalmonti. Sempre la confusion delle persone principio fu del mal della cittade, come del corpo il cibo che s' appone : e cieco toro più avaccio cade che '1 cieco agnello, e molte volte taglia più e meglio una che le cinque spade. 57 60 63 66 69 72 56-57 Villan d'Aguglion. — Baldo d'Ag:uslicne (castello in Val di Pesa) contemporaneo di Dante, legista e cittadino di grande autorità in Firenze. Nella riforma del 2 settembre 13 n, che porta il nome d'Aguglione, Dan- te fu tra gli espulsi esclusi dal ritorno in patria. Di quel da Signa. — Fazio Morubaldini, uomo di legge, eb- be molti pubblici uffici e fu fa- moso per baratteria. '58. Se la gente ecc. — Di Chiesa. 5g. Noverca. — Matrigna , cioè avversa all'Impero. fii. Tal fatto ecc. — E' diven- tato cittadino di Firenze ed eser- cita il cambio e la mercatura chi, invece, farebbe gli umili mestie- ri dei suoi maggiori a Semi- fonte, castello In Valdelsa, di- strutto dai Guelfi di Firenze il 1202. 6t,. Alla cerca. — Mendicando. 64. Montemurlo. — Castello dei conti Guidi, i quali lo ven- dettero ai Fiorentini nel 1234, non potendolo difendere dai Pi- stoiesi. 6.V Cerchi. — Di parte bianca. Pivier. — Gruppo di parroc- chie soggette al capo di una di esse, detto pievano. Acone. — In vai di Sievr. 66. Val di Greve. — Al sud di Firenze, dove era il cistello di Montebuoni, dei Buondelmonti. 67. La confusion. — La im- migrazione di genie nuova. 69. S'appone. — S'aggiungo 70. Avaccio. — Presto. — e;o8 Paradiso - Canto X\'f Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia come son ite, e come se ne vanno di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia ; udir come le schiatte si disfanno, non ti parrà nuova cosa né forte, poscia che le cittadi termine hanno. Le vostre cose tutte hanno lor morte, si come voi ; ma celasi in alcuna che dura molto, e le vite son corie. E com.e il volger del elei della luna copre ed iscopre i liti senza posa, cosi fa di Fiorenza la fortuna ; per che non dèe parer mirabil cosa ciò eh' io dirò degli ahi fiorentini, onde la fama nel tempo è nascosa. Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini, Filippi, Greci, Ormanni ed Alberichi, già nel calare, illustri cittadini ; e vidi cosi grandi come antichi, con quel della Sannella, quel dell'Arca, e Soldanieri ed Ardinghi e Bostichi. Sopra la porta, che al presente è carca di nuova fellonia di tanto peso che tosto fia iattura della barca. 75 84 87 90 93 96 7,^. Luni. — Città sulla sini- stra del fiume Magra, già di- strutta ai tempi di Dante. Urbisaglia. — Città della Mar- ca d'Ancona, distrutta da Ala- rico. Ai tempi di Dante non era più che un castello. 75. Chiusi. — Città etrusca fiorentissima, nel medioevo, era in decadenza. Sinigaglia. — Saccheggiata nel 1264 dai saraceni di Manfre- di. 7q. Vostre. — Terrestri. 80. Celasi in alcuna. — La morte si cela in alcune cose che durano molto ; e se non ne vedia- mo la fine è perchè la vita no- stra è breve. 83. Copre ecc. — Il flusso e riflusso delle maree. 86. Alti fiorentini. — Nobili casati fiorentini. 87. Nascosa. — Obliata. 88. Ughi ecc. — Famiglie antiche e potenti, che declina- vano già al tempo di Caccia- guida. qi. E vidi ecc. — Grandi co- me nell'antichità. 04. Porta. — • San Pietro, abi- tata dai Cerchi, gente che cau- serà la ro\ina della città di Fi- renze. — 509 — La Divina Commedia erano i Ravignani, ond' è disceso il conte Guido, e qualunque del nome dell' aito Bellincion ha poscia preso. 99 Quel della Pressa sapeva già come regger si vuole, ed avea Caligaio dorata in casa sua già l'elsa e il pome. 102 Crande era già la colonna del Vaio, Sacchetti, Ciuochi, Fifanti e Barucci, e Calli, e quei che arrossan per lo staio. 105 Lo ceppo, di che nacquero i Calfucci, era già grande, e già erano tratti alle curule Sizii ed Arrigucci. 108 O quali io vidi quei che son disfatti per lor superbia! e le palle dell'oro fiorian Fiorenza in tutti suoi gran fatti. 1 1 1 Cosi facean li padri di coloro che, sempre che la vostra chiesa vaca, si fanno grassi stando a consisterò. 1 1 4 L' oltracotata schiatta, che s' indraca retro a chi fugge, ed a chi mostra il dente o ver la borsa com'agnel si placa, 117 già venia su, ma di picciola gente, sì che non piacque ad Ubertin Donato, che poi il suocero il fé' lor parente. 120 r|8. QuaJunque. — K quei ni- loS. Alle curiik. — Le sodi'' mi (degli Adimari e dei Donati), curuli dei supremi^ magistrati. rinnovarono in famiglia il nome log. Quali io viii. — Nel lo- di Bellincione. ro splendore vidi gli Uberti. 100. Quel ecc. — Già aveva iio-iii. Le palJe dell'oro ecc. tenuto pubblici uffici. — I Lamberti, cho ebb ro le pai- loi. Ed avea (ìalif^aic ecc. — le d'oro in campo azzurro nel- I Galigai erano già insigniti del- l'arme, illustravano Firenze, l'ordine della cavalleria. 112. Così ecc. — Gli antenati 103. Grande ecc. — Erano già dei Visdomini e Tosinghi, che grandi le famiglie ecc. amministravano i beni del vesco- lo.v Per !o staio. — I Chiara- vado di P^ircnze quando la sede montesi che si vergognano della era vacante. storia dello staio, avendo uno di ii.i;-iiS. L'oltracOtata schiat' loro falsato lo staio che serviva ta ecc. — Gli Adimari, feroci con di misura. chi fugge, e agnelli con chi pa- 106. Lo ceppo ecc. — T Do- ga o mostra i denti. nati, da cui originano i Calfucci, 119. Ubertin Donato. ^ Ma- gli Uccellini, i Bellinciciii : tutti rito d'una Ravignani ; non vo- guelfi. leva il matrimonio della cogna- — ^10 — Paradiso - Canto XM Già era il Caponsacco nel mercato disceso giù da Fiesole, e già era buon cittadino Giuda ed Infangato. 123 Io dirò cosa incredibile e vera; nel picciol cerchio s'entrava per porta, che si nomava da quei della Pera. 126 Ciascun che della bella insegna porta del gran barone, i! cui nome e il cui pregio la festa di Tommiaso riconforta, 129 da esso ebbe milizia e privilegio ; avvenga che col popol si raduni oggi colui che la fascia col fregio. 132 Già eran Gualterotti ed Importuni ; ed ancor saria Borgo più quieto, se di nuovi vicin fosser digiuni. 135 La casa di che nacque il vostro fleto, per lo giusto disdegno che v'ha morti e posto fine al vostro viver lieto, 138 era onorata ed essa e suoi consorti : o Buondalmonte, quanto mal fuggisti le nozze sue per gli ahrui conforti ! 141 Molti sarebbon lieti, che son tristi, se Dio t' avesse conceduto ad Ema la prima volta che a città venisti; 144 ta con lino degli Aflimari, d'i mo- la, che lasciò la parte n, :>bllf per desta origine. mettersi col popolo, sebbene a- 121. Caponsacco. — Ghibellini, vessa per stemma le quattn.. oriundi fiesolani, abitavano pres- .sbarre dell'insegna del marchese so il Mercato- \''ecchio. Ugo, circondate da un fregio. i2;ì. Giuda ed Infangato. — 133. Eran. — Fiorivano. Famiglie ghibelline, decadute ai 134. Borgo. — Santi Apostoli tempi di Dante. dove abitavano le due famiglie. i2.i^. Cerchio. — La prima 136. La casa ecc. — Degli cerchia, una po^-ta della quale Amidei, causa del pianto di Fi- prese il nome di Peruzza, da quei renze, con la divisione dei citta- della Pera. dini in guelfi e ghibellini. 127. Ciascun ecc. — Le fami- 137. Disdegno. — Affronto, glie che portavano l'insegna di 140. Quanto mal ecc. — Quan- Ugo il grande, marchese di To- to malamente fuggisti ecc. poi- scana, morto il giorno di San che fosti ucciso la mattina di Pa- Tommaso, nel qual giorno si fa- squa del 1215. e Firenze fu scissa. cavano esequie alla sua memoria. 143. Ema. — Fiume di Val di 132. Colui. — Giano della Bel- Greve, nel quale Buondelmontt- — ."^ll — t,A Divina Commedia ma conveniasi a quella pietra scema che guarda il ponte, che Fiorenza fesse vittima nella sua pace postrema. 147 Con queste genti, e con altre con esse, vid' io Fiorenza in si fatto riposo, che non avea cagion onde piangesse; 150 Con queste genti vid' io glorioso e giusto il popol suo, tanto che il giglio non era ad asta mai posto a ritroso, né per division fatto vermiglio». 154 stava pi^r affogare, quando per la prima volta andò a Firenze. 14.:;. Pielia scema. — La sta- tua mozza di Marte, posta sul Ponte Vecchio, alla quale Firen- 7.e sacrifica la sua ultima pace. i4g. Vid'io ecc. — Vidi Firen- ze vivere in pace con queste fa- miglie nominate ed altre ancora. 152. Giglio. — L'insegna di Firenze. i^ì. A ritroso. • — Nel medio- ev-o i vincitori trascinavano per terra l'insegna del Comune vin- to, sull'asta rovesciata, in segno di scherno. ii;4. Vermiglio, — L'antica arme di Firenze era un giglio bianco in campo rosso. Dopo la guerra contro Pistoia (i2i:;i), i guelfi presero per iaisegna un giglio rosso in campo bianco, i ghibellini invece. niai;<^ennero il giglio bianco. CANTO XVII Qua! venne a Climenè, per accertarsi di ciò eh' avea incontro a sé udito, quei eh' ancor fa li padri ai figli scarsi ; I. Climenè. — Epafo, figlio di di Giove e di Io, affermò a Fetonte ch'egli non era tiglio del Sole ; e allora Fetonte scon- giurò la madre Climenè di dirgli ia verità. 3. Quei. — Fetonte, col suo esempio', ammonisce i genitori di essere guardinghi nelle con- cessioni ai figli ; difatti egli pre- cipitò dal carro del Scie che il padre aveva voluto affidargli. — !;i2 — Paradiso - Canto XVII tale era io, e tale era sentito e da Beatrice e dalla santa lampa, che pria per me avea mutato sito. Per che mia donna : « Manda fuor la vampa del tuo disio, mi disse, si eh' eli' esca segnata bene della interna stampa ; non perché nostra conoscenza cresca per tuo parlare, ma perché t' ausi a dir la sete, si che 1' uom li mesca ». «( O cara piota mia, che si t' insusì che, come veggion le terrene menti non capere in triangolo duo ottusi, cosi vedi '.e cose contrngenti anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti Lì tempi son presenti ; mentre eh' io era a Virgilio congiunto su per lo monte che l' anime cura, e discendendo nel mondo defunto, dette mi fùr di mia vita futura parole gravi ; avvenga eh' io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura : 12 15 18 21 24 4. Tale. — Ansioso di cono- scere la verità. Seatito. — Conosciuto, seb- bene io non avessi manifestato il mio pensiero. 5. Lampa. — Cacciaguida. 6. Mutato sito. — Perchè era disceso dal braccio destro, al pie- de deMa croce di Marte. 7. Vampa. — Ardore. 9. Interna stampa. — Deside rio inferiore. 11. T'ausi. — T'avvezzi. 12. L'uom ti mesca. — • Sì che altri pvossa saziai'e la tua fede. 13. Piota. — Qui significa pianta della mia stirpe. In senso proprio sarebbe zolla erbosa. T'insusi. — T'elevi tanto da discernere tutto, anche il futu- ro, con evidenza matematica. 15. Non capere ecc. — Non contenere due ottusi, perchè la somma degli angoli del trian- golo non supera quella di due angoli retti. 16. Cose contingenti. — Fatti casuali, d'incerto evento. 17. Anzi che sieno. — Quan- do esistono soltanto nella mente di Dio. Il punto ecc. — Dio. 20. Monte. — Purgatorio, che purifica le anime. 21. Mondo defunto. — L'In- ferno. 24. Tetragono. — Incrollabi- le alle vicende della fortuna. La DiMNA Commedia per che la voglia mia saria contenta d'intender qual fortuna mi s'appressa; che saetta previsa vien più lenta ». 27 Cosi diss' io a quella luce stessa, che pria m'avea parlato, e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa. 30 Né per ambage, in che la gente folle già s' inviscava pria che fosse anciso l'agnel di Dio che le peccata tolle, 33 ma per chiare parole, e con preciso latin, rispose queir amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso : 36 « La contingenza, che fuor del quaderno della vostra materia non si stende, tutta è dipinta nel cospetto eterno. 39 Necessità però quindi non prende, se non come dal viso, in che si specchia, nave che per corrente giù discende. 42 Da indi, si come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s' apparecchia. 45 Qw^. -Qal si parti Ippolito d'Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti conviene. 48 27. Più lenta. — E quindi contingenti, che sono nel mondo meno dolorosa. materiale, è già manifesto a 28. Luce. — Cacciaguida. Dio ; ma la divina prescienza 30. Confessa. — Manifesta. non le rende necessarie, lascian- 31. Né per ambage. — For- done il compimento al libero ar- me oscure, equivoche, usate ne- bilrio dell'uomo. irli antichi re-26 Paradiso - Canto XFX non potè suo valor si fare impresso, in tutto l'universo, che il suo verbo non rimanesse in infinito eccesso. 45 'E ciò fa certo che il primo superbo, che fu la somma d'ogni creatura, per non aspettar lume, cadde acerbo : 48 e quinci appar ch'ogni minor natura è corto recettacolo a quel bene che non ha fine, e sé con sé misura. 51 Dunque vostra veduta, che conviene essere alcun dei raggi della mente di che tutte le cose son ripiene, 54 non può da sua natura esser possente tanto che suo principio non discerna molto di là da quel che l'è parvente. 57 Però nella giustizia sempiterna la vista che riceve il vostro mondo, com'occhio per lo mar, dentro s'interna ; 60 che, benché dalla proda veggia il fondo, in pelago no '1 vede, e non di meno è li, ma cela lui l'esser profondo. 63 Lume non è, se non vien dal sereno che non si turba mai, anzi è tenèbra, od ombra della carne o suo veleno. 66 43. Si fare impresso. — Im- .52-54. Vostra veduta ecc. — primere. L' iintelletto umano non è che 44. Verbo. ■ — Concetto. qualche rafjt^io della mente di- 45. Eccesso. — Superiore agli vina. esseri della creazione. 57. Molto di là eoe. — Il Prin- 46 47. E ciò ecc. • — Di ciò è cipio (mente divina) si rivela al prova Lucifero, sebbene la più nostro intelletto di là dal limite perfetta fra le creature. delle nostre cognizioni. 48. Lume. — Per non avere i^g. La vista. — La conoscen- pspettato la luce della grazia di- za. vina, cadde immaturo, imper- 62. In pelago. — Tn alto mare. fetto. 63. E' lì ecc. — 11 pelago è 49. Ogni minor natura. — La nascosto dalla sua stessa profon- natura umana, minore di quel- dita. la di Lucifero. 64. Non è. — Per l'uomo. 50. Corto recettacolo. — Pie- Sereno. — Dio. colo vaso. 66. Ombra della carne. — !^i. Sé con sé. — Dio solo in Che offusca l'intelletto .sé può trovare la sua misura. Veleno, — Corruzione. — .S27 — I.A DiMNA Commedia Assai l'è mo aperta la latebra, che t'ascondeva la giustizia viva, di che facei question cotanto crebra ; 69 che lu dicevi : ' Un uom nasce alla riva dell'Indo, e quivi non è chi ragioni di Cristo, né chi legga, né chi scriva ; 72 e tutti i suoi voleri ed atti buoni sono, quanto ragione umana vede, senza peccato in vita o in sermoni. 75 More non battezzato e senza fede ; ov'è questa giustizia che il condanna? ov'è la colpa sua, s'egli non crede? ' 78 Or tu chi sei, che vuoi sedere a scranna per giudicar da lungi mille miglia con la veduta corta d'una spanna? 81 Certo a colui che meco s' assottiglia, se la scrittura sopra voi non fosse, da dubitar sarebbe a maraviglia. 84 O terreni animali, o nienti grosse ! la prima volontà, ch'è per sé buona, da sé, che è sommo ben, mai non si mosse. 87 Cotanto è giusto, quanto a lei consuona ; nullo creato bene a sé la tira, ma essa, radiando, lui cagiona ». 90 Quale sopr'esso il nido si rigira, poi che ha pasciuto la cicogna i figli, e come quei ch'è pasto la rimira ; 93 67-G8. Assai ecc. — Ccmpren- Colui, che con me sottilmente ra- di che rinsuiìRcienza dell'intelli- giona, potrebbe dubitare tino a ii'cnza umana impedisce d'inton- stupirne, se non avesse a guida dere l'infallibilità della g-iuslizia la Sacra Scrittura, che rivela un divina. Dio giusto e infallibile. 6q. Crebra. — Frequente. 86. Prima. — Divina. 74. Quanto. — Per quanto può Sy. Da sé ecc. — Non si mutò la sola ragione umana vedere, 11. ai. non illuminata dalla fede. 88. Cotanto, ecc. — (ÌIuslo ò 75. In vita 0 in sermoni. • — soltanto ecc. In «pere o in parole. 80. Nutlo ecc. — Nessun bene 77. Ov'è ecc. — Con quale creato attira la divina volontà, giustizia lo si condanna? ma anzi questa genera quello, 7q. Sedere a scranna. — Eri- raggiando nell'universo. gtrsi a giudice. qi. Quale ecc. — Come la ci- 82-84. Certo a cohii ecc. — cogna si gira nel suo nido, dopo - ^^8 - Fakadiso - Canto XIX ootal si fece, e si levai li cigli, la benedetta imagine, che l'ali movea sospinta da tanti consigli. 96 Roteando cantava, e dicea ; (( Quali son le mie note a te, che non le intendi, tal è il giudizio eterno a voi mortali». 99 Poi si quetaron quei lucenti incendi dello Spirito Santo ancor nel segno, che fé' i romani al mondo reverendi, 102 esso ricominciò : « A questo regno non sali mai chi non credette in Cristo, né pria né poi ch'ei si chiavasse al legno. 1(15 Ma, vedi, molti gridan 'Cristo, Cristo,' che saranno in giudizio assai men prope a lui che tal che non conosce Cristo; 108 e tai cristiani dannerà l'etiope, quando si partiranno i due collegi, l'uno in eterno ricco e l'altro inope. Ili Che potran dir li persi ai vostri regi, come vedranno quel volume aperto, nel qual si scrivon tutti suoi dispregi ? 114 Li si vedrà tra l'opere d'Alberto quella che tosto moverà la penna, per che il regno di Praga fia deserto. 117 aver nutrito i figli, cosi l'aquila, no. Collegi. — Schiere. dopo il suo ragionamento, girò ni. Inope. — Povero, privo intorno a me ; e come il cicogni- della grazia divina. no pasciuto (pasto) guarda amo- 112. Persi. — Pagani, infedeli rosamente la madre, cosi io guar- la oenere. dai l'aquila. ii;:;. Quel volume. — Della 06. Movea sospinta ecc. — mente divina, in cui tutto è no- L'aquila era sospinta nel moto tato. delle ali da tante volontà con- 114. Suoi dispregi. — Male a- cordi. zioni. 100. Poi. — Dopo che. „-. Alberto. — Alberto I di loi. Segno. — L'aquila. Austria 10^. Chiavasse. — Fosse ero- ^ rv h r-i ■ o, :„ - 116. Quella ecc. — Che move- cifisso. , , ^ ,. . . , 107. Prope. Presso. ''^ '^ penna divma a scrivere nel 109. L'Etiope. — Lo stesso e- volume eterno l'invasione e deva- tiope, il pagano, l'infedele, con- stazione della Boemia (1304). dannerà siffatti cristiani. — 529 — La Di \ ina Commedia Lì si vedrà il duol che sopra Senna induce, falseggiando la moneta, quei che morrà di colpo di cotenna. Li si vedrà la superbia ch'asseta, che fa lo scotto e l'inghilese folle, si che non può soffrir dentro a sua meta. Vedrassi la lussuria e il viver molle di quel di Spagna e di quel di Buemme, che mai valor non conobbe, né volle. Vedrassi al ciotto di Gerusalemme segnata con un i la sua bontate, quando il contrario segnerà un emme. Vedrassi l'avarizia e la viltate di quel che guarda l'isola del foco, dove Anchise fini la lunga etate ; ed a dare ad intender quanto è poco, la sua scrittura fìen lettere mozze, che noteranno mo'to in parvo loco. 120 123 129 132 ■ 135 ii8. Il duo!. — Il dolore dato a Parigi da Filippo il Bello, co- niando monete false. 120. Cotenna. — Fella del cin- ghiale, per tutto il cinghiale. Nel i'^i4, in una partita di caccia, Filippo il Bello cadde di cavallo per l'urto d'un cinghiale e poco dopo mori. 122. Lo Scotto. — Il re di Scozia. L'inghilese. — Il re d'Inghil- terra. 123. Soffrir. — Tenersi nei suoi confini e cerca di invadere il regno del vicino. 121^. Quel di Spaj^na. — Fer- dinando IV, re di Castiglia {1285- 1312), tolse Gibilterra ai Mori, e condannò ingiustamente a morte i fratelli Carvajal, i quali dal patibolo lo citarono a comparire davanti a Dio entro trenta gior- ni. Il re mori appunto in quel termine (13 12). Quel di Biiemine. — Vencc- slao IV, re di Boemia. 127. Ciotto. — Zoppo era Car- loi II re di Napoli e di Gerusa- lemme. 128. Un I. — Uno, ad indi- care la bontà. 129. Un emme. • — Segue di mille, ad indicare i suoi vizi. 131. Di quel ecc. — Federico II d'Aragona, re di Sicilia. 132. Anchise. — Padre di M- nea, morto-, narra Virgilio, a Trapani. 134. La sua scrittura ecc. — Fcrse Dante vuol dire che la re- gistrazione dei suoi vizi nel li- bro divino sarà cosi lunga da obbligare a servirsi di abbrevia- zioni (lettere mozze). F.^o — Paradiso - Canto XX E parranno a ciascun l'opere sozze del barba e del fratel, che tanto egregia nazione e due corone han fatte bozze. E quel di Portogallo e di Norvegia li si conosceranno, e quel di Rascia che mal ha visto il conio di Vinegia. O beata Ungheria, se non si lascia più malmenare ! e beata Navarra, se s'armasse del monte che la fascia ! E creder dèe ciascun che già, per arra di questo, Nicosia e Famagosta per la lor bestia si lamenti e garra, che dal fianco dell'altre non si scosta ». 138 141 144 148 i;^7. Barba. — Zio : Giacomo re di Maiorca (1243-1311). Fratel. — Giacomo II re di Sicilia prima, e poi d'Aragona. 13S. Bozze. — Vituperevoli. iT,q. Quel di Portogallo. — Dionisio detto l'Agricola (1261- 132:^) re di Portogallo, cogna- to di Giacomo e di Federico d'.A- ragona. Di Norvegia. — Acone III, (iambalunga. Regnò dal 1299 al 140. Quel di Rascia. — Ste- fano II Uros Milutinus, re del- la Serbia orientale, bagnata dal fiume Rasca, falsificò i ducati \eneziani. 14,. Più malmenare. — Sgo- \ernare. 144. Se s' armasse del monte ecc. ■ — • Se si difendesse, per mez- zo dei Pirenei, dal giogo fran- cese. 14.:;. Per arra. — Per prova. 146. Nicosia e Famagosta. — Le due città principali dell'isola di Cipro. 147. La lor bestia. — Arrigo II di Lusignano, re di Cipro (1285-1324). Garra. — Gridi. 145. Che ecc. — Fa degna compagnia agli^altri re malvagi. CANTO XX Quando colui che tutto il mondo alluma dell'emisperio nostro si' discende che il giorno d'ogni parte si consuma, Colui. Il sole. Discende. Tranionla. — .=5.1 1 La Divina Commedia lo ciel, che sol di lui prima s'accende, subitamente si rifa parvente per molta luci, in che una risplende. E quest'atto del ciel mi venne a mente, come il segno del mondo e dei suoi duci nel benedetto rostro fu tacente ; però che tutte quelle vive luci, vie più lucenti, cominciaron canti da mia memoria labili e caduci. O dolce amor, che di riso t'amm.anti, quanto parevi ardente in quei flailli ch'avièno spirto sol di pensier santi ! Poscia che i cari e lucidi lapilli, ond'io vidi ingemmato il sesto lume, poser silenzio agli angelici squilli, udir mi parve un mormorar di fiume, che scende chiaro giti di pietra in pietra, mostrando l'ubertà del suo cacume. E come suono al collo della cetra prende sua forma, e si come al pertugio della sampogna vento che penèira, cosi, rimosso d'aspettare indugio, quel morm.orar dell'aquila salissi su per lo collo, come fosse bugio : 12 15 18 21 24 27 4. Sol di lui. — Soltanto dal sole. 5. Parvente. — Visibile. 6. In che una risplende. - - Le qiuili tutte ricevono luce dal spie. 7. Atto. — Fenomeno. 8. Se^no del mondo. — L'a- c|iiila, simbolo di dominio sul mondo. q. Rostro. — Che prima ave- va parlato, ora si taceva. 12. Labili. — Sfuggenti. Caduci. — Usciti dalia lli e- moria. 13 Amor. — Divino. Di riso. — Di luce. 14. Flailli. — Flauti, ossia le anime canore dei beati, li;. Spirto. — Ispirazione. 16. Lapilli. — Pietre preziose, ossia le anime raggianti dei bea- li 17. Sesto lume — Cieio di Giove. 21. Cacume. — • Cima. 22. Collo — Manico, dove so- no i tasti. 2-^. Forma. — Modulazione. 24. Vento — Fiato. 25. Rimosso. — Subitamente. 27. Bugio. — Perforalo. .=;:,-! — Paradiso - Canto XX fecesi voce quivi, e quindi uscissi per Io suo bécco in forma di parole, quali aspettava il core, ov'io le scrissi. 30 « La parte in me che vede, e paté il sole nell'aquile mortali, incominciommi, or fisamente riguardar si vuole, 33 perchè dei fochi, ond'io figura fommi, quelli, onde l'occhio in testa mi scintilla, e' di tutti i !or gradi son li sommi. 36 Colui che luce in mezzo per pupilla fu il cantor dello Spirilo Santo, •che l'arca traslatò di villa in villa : 39 ora conosce il merto del suo canto, in quanto effetto fu del suo consiglio, per lo remunerar ch'è altrettanto. 42 Dei cinque, che mi fan cerchio per ciglio, colui, che più al bécco mi s'accosta, la vedovella consolò del figlio : 45 ora conosce quanto caro costa non seguir Cristo, per l'esperienza di questa dolce vita e dell'opposta. 48 E quel che segue in la circonferenza, di che ragiono, per l'arco superno, morte indugiò per vera penitenza : 51 .-^o. Quali. — Conformi al de- sempre corrispondente ai merito siderio chv; ave\o in cuore, ove delle anime. le scrissi. 41. In quanto ecc. — In quan- 31. La parte. — L'occhio. to spontaneamente, per sua vo- Pate. — Sostiene. lontà, lo rivolse a lodare Dio. 32. Incominciommi. — L'ay.ii- 44. Colui. — Traiano impera- la, lore. 34. Perchè ecc. — Degli spi- 4:;. Consolò ecc. — Le fece riti fiammeggianti di cui io so- giustizia del figlio ucciso. n.o formato, quelli che compon- 47. Esperienza. — Essendo sta- gono l'occhio sono sommi tra to all'inferno più secoli, lutti. 40. Qash — Che segue sul- 38. li cantor. — Dav'de, re l'arco del ciglio, Ezechia, re di d'Israele, cantore dei salmi, sue- Giuda, mentre era malato ebbe cessore di Saul. annunziata la morte dal profeta 39. Di villa in villa. — Dalla Isaia. Ma egli, pregando Dio, casa di Abin.adab a quella d'O- ebbe la vita protratta di altri bed-Edom-GhitteO', indi a Geni- quìndici anni. salemme. • 51. Vera penitenza. — Anacrc- 40. Merto del suo canto. — nismo dantesco : al Signore E- Dalla grandezza del premio che zechia si umiliò dopo la guari- — sr^ ~ Dante, La Divina Commedia ora conosce che il giudizio eterno non si trasmuta, perchè degno preco fa crastino là giù dell'odierno. L'altro che segue, con le leggi e meco, sotto buona intenzion che fé' mal frutto, per cedere al pastor si fece greco : ora conosce come il mal, dedutto dal suo bene operar, non gli è nocivo, avvegna che sia il mondo indi distrutto. E quel che vedi nell'arco declivo, Guglielmo fu, cui quella terra plora che piange Carlo e Federico vivo : ora conosce come s'innam.ora lo ciel del giusto rege, ed al sembiante del suo fulgore il fa vedere ancora. Chi crederebbe, giù nel mondo errante, che Rifeo troiano in questo tondo fosse la quinta delle luci sante? Ora ooncsce assai di quel che il mondo veder non può della divina grazia, benché sua vista non discerna il fondo ». 54 57 60 63 6tì 69 telone conseìruita, e non nel mo- mento che la invocava dal letto di morte. 53. Non si trasmuta. — Ma, al più, si differisce. 54. Fa crastino ecc. — Fa ac- cadere domani (crastino) quel che doveva esser oggi. S.t;. L'altro. — Costantino im- peratore, (274-3:^7) con il governo (le leggi) e il simbolo dell'im- pero (l'aquila) si trasferì a Bi- sanzio (si fece greco) lasciando Roma (per cedere) al Papa ; la sua intenzione sana e benigna «(diede mal frutto», cioè tolse a Roma l'impero e diede - Sarebbero espressi. — .\- chieder troppo. vresti espresso il tuo desiderio 28. La ma^^iore. — E' San senza tema di essere importuno. Benedetto di Norcia : visse più 31;. Alto fine. — Di veder Dio. anni in una egretta a Subiaco, 36. Ti riguarde. ^- Ti sei a- dopo aver abbandonate le ricchez- stenuto dal manifestare. ze. I monaci di Vicovaro per la ^q. Gente ingannata. — I pn- santità della sua vita lo fecero cani, viventi nell'errore, secondo superiore del loro convento, ma Gregorio Magno si riunivano sul noi tentarono di avvelenarle- per monte Cassino per adorare Apol- la reseda riefidissima introdotta- lo nel suo tempio. vi. San Benedetto' tornò alla sua Mal disposta. — Alla conver- protta, e. avendo molti d'isrepoli, sione. fondò più monasteri. A Monte ^2. La verità. — Cristiana. — 54.T — La Divina Commedia e tanta grazia sopra me rilusse eh' io ritrassi le ville circostanti dall'empio culto che il mondo sedusse. 45 Questi altri fochi tutti contemplanti uomini fiiro, accesi di quel caldo che fa nascere i fiori e i frutti santi. 48 Qui è Maccario, qui è Romoaldo, qui son li frati miei, che dentro ai chiostri fermar li piedi e tennero il cor saldo». 51 Ed io a lui : <( L' affetto, che dimostri meco parlando, e la buona sembianza, eh' io veggio e noto in tutti gli ardor vostri, 54 cosi m' ha dilatata mia fidanza, come il sol fa la rosa, quando aperta tanto divien quant'ell'ha di possanza; 57 però ti prego, e tu, padre, m' accerta s' io posso prender tanta grazia, eh' io ti veggia con imagine scoperta ». fìO Ond'egli : ((Frate, il tuo alto disio s' adempierà in su 1' ultima spera, dove s'adempion tutti gli altri e il mio ; 63 ivi è perfetta, matura ed intera ciascuna disianza ; in quella sola è ogni parte là dove sempr' era, 66 perché non è in loco, e non s'impola, e nostra scala infino ad essa varca, onde cosi dal viso ti s' invola. 69 44. Le ville. — Le senti dei 60. Con imagine scoperta. — luoghi vicini. Non iiiù avvolta nella luce. 47. Caldo. — Carila 62. In su ecc. — Nell'Empires. 48. Fiori. — Pensieri. 65. In quella sola ecc. — Solo frutti. — Opere. nell'Empireo, ch'è immobile, lo 49. Maccario. — Maccario A- cose non mutano di posto, lessandrino, discepolo di S. Anto- 67. Non è in loco. — Non i nio, promotore della vita mona- dentro altro luogo, altro cielo, stica, visse fra il Nilo ed il Mar ,p^ luuì li comprende. Rc^so e morì nel 404- Non s'impola. — Non ha poli Romoaldo. — San Romualdo, ; , , „• ^„„ r, •!-/;<• :i f ^ , rome e aire sfere che girano, nato a Ravenna il q^ò, fu il ton- • ci datore dell'ordine dei Camaldo- (>^- Varca. — baie. Iesi; mori il 1027. ^'0- Viso. — Vista. — 54Ù Pakadiso - Canto XXII Infìn là su la vide 11 patriarca Giacobbe porger la superna parte, quando gli apparve d'angeli si carca. 72 Ma per salirla mo nessun diparte da terra i piedi, e la regola mia rimasa è giù per danno delle carte. 75 Le mura, che soleano esser badia, fatte sono spelonche, e le cocolle sacca son piene di farina ria. 78 Ma grave usura tanto non si to' le contra il piacer di Dio, quanto quel frutto che fa il cor dei monaci si folle; 81 che, quantunque la Chiesa guarda, tutto è della gente che per Dio domanda, non di parenti, né d' altro più brutto. 84 La carne dei mortali è tanto blanda che giù non basta buon cominciamento dal nascer della quercia al far la ghianda. 87 Pier cominciò senz' oro e senza argento, ed io con orazioni e con digiuno, e Francesco umilmente il suo convento. 90 E se guardi al principio di ciascuno, poscia riguardi là dov' è trascorso, tu vederai del bianco fatto bruno. 93 Veramente Giordan volto è retrorso ; più fu il mar fuggir, quando Dio volse, mirabile a veder, che qui il soccorso». 96 70. Vide. — In sogno Giacob- Guarda. — Custodisce, bs. S4. Né d'altro. — Donne a- 73. Mo ecc. — Ora nessuno iranti di ecclesiastici, si stacca dalle cure mondane per 8.^. Blanda. — Debole. salirvi. 86-87. Buon cominciamento... 7t. Per danno delle carte. — — Un buon principio dura me- Su cui inutilmente si copia. no del tempo che corre fra il r.a- 77. Spelonche. — Ricovero di scere della quercia ed il predurre malvatji. delle ghiande (un ventennio). Cocólle. — Vesti n^onacali. 88. Pier. — L'apostolo S. Pie- ■ji). Ma ^rave usura. — Xes- tro cominciò in povertà la sua suna usura può spiacere a Dio missione. dìù del cattivo uso della rendita 94. Retrorso. — I nostri mo- ccclesiastica. r>asteri, come il fiume Giordano, 82. Quantunque. — Tutto vanno a ritroso ; ma Iddio, che quanto. fece fug'gire il fiume verso la — 547 — La Divina Commedia Cosi mi disse, ed indi si rìcolse al suo collegio, e il collegio si strinse ; poi, come turbo, tutto in su s'accolse. 99 La dolce donna retro a lor mi pinse con un sol cenno su per quella scala, si sua virtù la mia natura vinse; 102 né mai qua giù, dove si monta e cala naturalmente, fu si ratto moto ch'agguagliar si potesse alla mia ala. 105 S' io torni mai, lettore, a quel devoto trionfo, per lo quale io piango spesso le mie peccata e il petto mi percolo, 108 tu non avresti in tanto tratto e messo nel foco il dito, in quanto io vidi il segno che segue il Tauro, e fui dentro da esso. 1 1 1 O gloriose stelle, o lume pregno di gran virtù, dal quale io riconosco tutto, qual che si sia, lo mio ingegno, 114 con voi nasceva e s' ascondeva vosco quegli eh' è padre d'ogni mortai vita, quand' io senti' da prima 1' aer tosco; 117 e poi, quando mi fu grazia largita d'entrar nell' alta rota che vi gira, la vostra region mi fu sortita. 120 sorjjeiite, ancoa' piii facilmente può far tornare la disciplina ne- s;\\ ordinamenti leliciosi. q8. Collegio. — Compag-nia. gg. Turbo. — \'entQ ' turbi- noso. In su. — • Risali come vortice nell'Empireo. 102. Mia natura, — Il peso del mio corpo. 10.^. Mia ala. — Mio volare. io6. S'io (orni. — Cosi possa io tornare. 107. Per lo qual. — F'er con- seguire il quale. loq. Tu non avresti ecc. — In tempo più breve di quello in cu' tu metta il dito al fir:ico e ne io ritratiga, io fui dentro la co- stellazione dei Ciemelli. 113. Riconosco. — Dante sa rammenta d'essere nato sotto la costellazione dei (iemelli, che predispone gli uomini all'amore della scienza. 116. Quegli. — Alla mia na- scita il sole era in congiunzior.c con i (iemelli. iig. Nell'alta delle stelle fisse. 120. Region. rota. Cielo In sorte mi toccò di passare per il tratto di cielo che occupate. - .^48 Paradiso - Canto XXI 1 A voi devotamenle ora sospira r anima mia per acquistar virtute al passo forte, che a sé la, tira. 123 « Tu sei si presso all' ultima salute, cominciò Beatrice, che tu dèi aver le luci tue chiare ed acute. 126 E però, prima che tu più t' inlei, rimira in giù, e vedi quanto mondo sotto li piedi già esser ti fei ; 129 si che il tuo cor, quantunque può, giocondo s'appresenti alla turba trionfante, che lieta vien per questo etera tondo ». 132 Col viso ritornai per tutte e quante le sette spere, e vidi questo globo tal eh' io sorrisi del suo vii sembiante ; 135 e quel consiglio per migliore approbo che l'ha per meno; e chi ad altro pensa cliiamar si può veracemente probo. 138 Vidi la figlia di Latona incensa senza quell'ombra, che mi fu cagione per che già la credetti rara e densa. 141 L'aspetto del tuo nato, Iperione, quivi sostenni, e vidi com' si move circa e vicino a lui Maia e Dione. 144 123. Al passo forte. — Difìficile. terrene e pensa alle cose celesti. 124. Ultima salute. — Dio. 138. Probo. — Virtuoso. 127. T'inlei. — Entri in lei. i-^q. Figlia... — La Luna, 11- i2g. Ti fei. — Ti feci attra- luminata, versare. 140. Senza... — Le macchie 130. "Quantunque. — Per (Paradiso, e. H, v. 59-105). quanto. 142. Iperione. — Figlio di U- 1^2. Etera. — Il cielO' formato rano e della Terra e padre del dall'etei-e a guisia di sfera. Sole. 133 Col viso. — Con lo sguar- 144. Circa... — Intorno al so- do mi volsi a riguardare i sette [q cieli percorsi. 3laia_ _ j^i^^^^ di Mercurio, ra. 134. Questo globo. — La ter- • r , . • . n/r ' ■^^ ^ '^ indica lo stesso pianeta Mercu- 135. Sembiante. — Apparenza. '^""" 13(5. Approbo. — Approvo. Dione. — Madre di Venere, 137. Che l'ha per meno. — ■ designa il pianeta stesso di Ve- Che tiene in p<5co conto le co&e nere. La Divina Commedia Quindi m'apparve il temperar dì Giove tra il padre e il figlio ; e quivi mi fu chiaro il variar che fanno di lor dove. 147 E tutti e sette mi si dimostrare quanto son grandi, e quanto son veloci, e come sono in distante riparo. 150 L' aiuola che ci fa tanto feroci, volgendom' io con gli etemi Gemelli, tutta m' apparve dai colli alle foci. Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli. 154 145. Temperar... — Giove fra i.ì:;o. Riparo. — Luogo, il figlio Marte, caldo, e il padre i.qi. L'aiuola. — La terra. Sai urne, freddo. piccola rispetto ai cieli. 147. II varia. — Le Icro va- 153. Dai colli,.. — Dalle vet- riazioni, a seconda della distanza te dei monti alle foci dei fiumi, dal sole. al livello del mare. CANTO XXIII Come l'augello, intra l'amate fronde, posato al nido dei suol dolci nati la notte che le cose ci nasconde, 3 che, per veder gli aspetti disiati, e per trovar lo cibo onde li pasca, in che i gravi labor gli sono aggrati, 6 previene il tempo in su l'aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l'alba nasca; 9 cosi la donna mia si stava eretta ed attenta, rivolta in vèr la plaga, sotto la quale il sol mostra men fretta, 12 3. La notte. — Durante la AjJj^rati. — Graditi, notte. 7. Previene ecc. — Si leva pri- 4. Aspetti disiati. — Dei suoi ma dell'alba, nati. II. La plaga. — Del mezzodì. 6. In che. — Nella ricerca del cibo. -- ?>^o — Paradiso - Canto XXI M si che veggendola io sospesa e vaga, fecimì quale è quei che disiando altro vorria e sperando s'appaga. 15 Ma poco fu tra uno ed altro quando del mio attender, dico, e del vedere lo ciel venir più e pili rischiarando. 18 E Beatrice disse : « Ecco le schiere del trionfo di Cristo, e tutto il frutto ricolto del girar di queste spere». 21 Pareami che il suo viso ardesse tutto, e gli occhi avea di letizia si pieni che passar mi convien senza costrutto. 24 Quale nei plenilunii sereni Trivia ride tra le ninfe eteme, che dipingono il ciel per tutti i seni, 27 vid'io, sopra migliaia di lucerne, un sol che tutte quante l'accendea, come fa il nostro le viste superne ; 30 e per la viva luce trasparea la lucente sustanzia, tanto chiara nel viso mio che non la sostenea. 33 O Beatrice, dolce guida e cara ! Ella mi disse : <( Quel che ti sopranza è virtù, da cui nulla si ripara. 36 Quivi è la sapienza e la possanza ch'apri le strade intra il cielo e la terra, onde fu già si lunga disianza ». 39 j;,. Sospesa. - Annosa e dr- Minfe. -- Stelle. siderosa. 27. Seni, — Parti. n6. Tra uno ed altro quando. 29. Un sol. — Cristo. — Tra la sua attenzicne e il ri- so. Come fa il nostro ecc. — schiararsi del cielo. Sole, accendendo le stelle. ig. Le schiere. — Le milizie t,2. La lucente sustanzia. — dei beati redenti col martirio di Persona di Cristo. Cristo. ?,?!■ Ti sopranza. — Vince la 20. Frutto. — Raccolto per tua vista. l'influenza di queste sfere. 36. Nulla si ripara. — ■ Alcun 24. Senza costrutto. — Senza occhio può difendersi. riuscire a parlarne. -^7. La sapienza e la possan- 26. Trivia. — Diana, ossia la za. — Cosi .S. Paolo chiama Cri- luna, sto, il quale redense l'umanità. — .S.Si — La Divina Commedia Come foco di nube si disserra, per dilatarsi si che non vi cape, e fuor di sua natura in giù s'atterra ; 42 la mente mia cosi, tra quelle dape fatta pili grande, di sé stessa uscio, e, che si fesse, rimembrar non sape. 45 « Apri gli occhi e riguarda qual son io ; tu hai vedute cose, che possente sei fatto a sostener lo riso mio ». 48 Io era come quei, che si risente di vision obblita e che s'ingegna indarno di ridurlasi alla mente, 51 quando io udi' questa profferta, degna di tanto grado che mai non si estingue del libro che il preterito rassegna. 54 Se mo sonasser tutte quelle lingue, che Polinnia con le suore fero del latte lor dolcissimo più pingue, 57 per aiutarmi, al millesmo del vero non si vern'a, cantando il santo riso, e quanto il santo aspetto il facea mero. (30 E cosi, figurando i! paradiso, convien saltar lo sacrato poema, come chi trova suo cammin reciso. 63 Ma chi pensasse il ponderoso tema, e l'omero mortai che se ne carca, no '1 biasmerebbe, se sott'esso trema. 66 4j. Sua natura. — La quale Suore. — Soirellc, le altre otto sarebbe di salire. nuise. 43. Dape. — Cibi, e, metafo- 5:7. Più pini^ue. — Mej;lio i- ricamente, delizie paradisiache. spirate. 4v Non sape. ■ — Non sa ri- qS. Al millesmo ecc. — Non cordare quel che accadde. si riuscirebbe ad esprimere la ;;o. Obblita. — Dimenticata. millesima parte. 53. Grado. — Gratitudine. 60. Mero. — Sfavillante e ler- 54. Libro. — Della memoria, so. che tiene nota del passate-. 61. Figurando. — Descriven- .S.s. Linj^ue. — Dei poeti. do. 56. Polinnia. — Musa della 62. Sacrato poema. — Deve poesia lirica. sorvolare sulle cose qui vedute. Paradiso - Canto XXIII Non è pileggio da piociola barca quel che fendendo va l'ardita prora, né da nocchier eh 'a sé medesmo parca. « Perchè la faccia mia si t'innamora che tu non ti rivolgi al bel giardino, che sotto i raggi di Cristo s'infiora? Quivi è la rosa, in che il Verbo divino carne si fece; quivi son li gigli, al cui odor si prese il buon cammino ». Cosi Beatrice ; ed io, eh' a' suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei alla battaglia dei debili cigli. Come a raggio di sol, che puro mèi per fratta nube, già prato di fiori vider, coperti d'ombra, gli occhi miei; vid'io cosi più turbe di splendori folgorati di su da raggi ardenti, senza veder principio dei fulgori. O benigna virtù che si gl'imprenti, su t'esaltasti per largirmi loco agli occhi li, che non eran possenti. Il nome del bel fior, ch'io sempre invoco e mane e sera, tutto mi ristrinse l'animo ad avvisar lo maggior foco. 69 72 75 78 81 84 87 90 67. Pile^^io, — Tragitto. 68. Prora. — Ingecrnò. 6g. A sé ecc. — Che a sé ri- sparmia fatica. 71. Giardino. — Di anime bea- te. 73. Rosa. — Maria. 74. Gigli. — Apostoli che, con la predicazione, richiamavano gli uomini al Cielo. 77. Rendei. — Tornai. 78. Cigli. — Occhi. 7q. Mèi. — Trapassi. 80. Fratta. — Rotta. 82. Turbe. — Di splendori, schiere di beati. 83. Di su. — Provenienti dal- l'alto. 84. Principio ecc. — Cristo sil- levato iji alto. 85. Benigna virtù. — Cristo. Gl'imprenti. — Del tuo lume. 86. Su ecc. — T'elevasti per- chè i miei occhi avessero modo di vedere, non offesi dalla tua lu- ce abbagliante. 88. Fior. — Rosa (Maria). 8g. Mi ristrinse. — ■ Mi attras- se l'animo a rimirare Maria. - 55.Ì La Divina Commedia E come ambo le luci mi dipinse il quale e il quanto della viva stella, che là su vince, come qua giù vinse, 93 per entro il cielo scese una facella, formata in cerchio a guisa di corona, e cinsela, e girossi intorno ad ella. 96 Qualunque melodia più dolce suona qua giù, e più a sé l'anima tira, parrebbe nube che squarciata tuona, 99 comparata al sonar di quella lira, onde si coronava il bel zaflRro, del quale il ciel più chiaro s'inzafflra. 102 « lo sono amore angelico, che giro l'alta letizia che spira del ventre, che fu albergo del nostro disiro; 105 e girerommi, donna del ciel, mentre che seguirai tuo figlio, e farai dia più la spera suprema, perché gli entre )>. 108 Cosi la circulata melodia si sigillava, e tutti gli altri lumi facean sonar lo nome di Maria. Ili Lo real manto di tutti i volumi del mondo, che più ferve e più s'avviva nell'alito di Dio e nei costumi, 114 gì. Le luci. — Gli occhi. io8. Spera suprema. — L'em- 92. Il quale ecc. — La quali- pireo. là e la quantità. Gli entre. — Entrandoci tu. QT,. Vince. — Lo' splendore d'o- ioq. Circulata. — Che si nnio- £jni beato. ve in cerchio. Vinse. — In terra per strazia no. Sigillava. — ("onchiudc- c^ni mortale. va. 04. Facella. — L'Arcangelo m. Facean sonar. — Ripe- Gabriele, tevano. loo. Lira. — Canto dell'ar- uà. Manto. — Il nono cie'. 45 Si come il baccellier s'arma, e non parla, fin che il maestro la questi on propone, per approvarla, e non per terminarla ; 48 26. Cotai pieghe. — Sfumatu- Così dice il vann;elo di Matteo, re, e cioè : come il pittore ha bi- quando Cristo apparve ai diacepc>- so'gno di tinte meno vive per di- li andando sulle acque. ping^ere le pieghe, cosi io avrei 41. Viso ecc. — Vista hai in bisogno di lingua ed immagina- Dio. zione più perfette per ritrarre la 43. Civi. — Cittadini. dolcezza di quel canto. 44. A gloriarla. — Terchò ab- 30. Da quella ecc. — Mi fa biano a gloriarla. uscire dalla mia schiera. 45. Arrivi. — Tocchi. •^i. Foco benedetto. — L'ani- 46. Baccellier. — ■ Candidato mo di S. Pietro. alia laurea che raccoglie in men- Miro. • — Mirabile. te i suoi argomenti davanti ngli 32. Spiro. — Soffio, quindi p.i- esaminatori. roìa, eh 'è emiss.ione di fiato. 48. Approvarla. — Fondarla su -^4. Viro. — Uomo. argomenti. 37. Tenta. — Esamina. Terminarla. — Deciderla spet- to. Su per Io mare andavi. — tava al maestro. — ?,?,7 — La Divina Commedia cosi m'armava io d'ogni ragione, mentre ch'ella dicea, per esser presto a tal querente ed a tal professione. «Di', buon cristiano, fatti manifesto: fede che è?» Ond'io levai la fronte in quella luce, onde spirava questo; poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte sembianze femmi, perch'io spandessi l'acqua di fuor del mio interno fonte. « La grazia che mi dà ch'io mi confessi comincia' io, dall'alto primipilo, faccia li miei concetti esser espressi ». E seguitai : « Come il verace stilo ne scrisse, patte, del tuo caro frate, che mise Roma teco nel buon filo, fede è sustanzia di cose sperate, ed argomento delle non parventi ; e questo pare a me sua quiditate ». Allora udii : « Dirittamente senti, se bene intendi perché la ripose tra le sustanzie, e poi tra gli argomenti ». Ed io appresso : << Le profonde cose, che mi largiscon qui la lor parvenza, agli occhi di là giù son si ascose 51 54 57 60 63 66 69 72 SI. Querente. E'janiinato- Professione. — Della fede. 54. Questo. — Questa doman- da. t;S. Grazia, — Divina. Confessi, — Faccia la mia professione di fede. i,q. Primipilo. — Capo, o pri- mo campione della Chiesa, San Pietro. 60. Espressi. — Chiari. 61. Stilo. — Penna. 62. Frate. — .San Paolo. 6-^. Teco ecc. — ■ Con te sul buon cammino della religione ve- ra. 64. Sustanzia. — Prlncipo fon- damentale. 6.1^. Argomento. — • Convinzio- ne, credenza nelle cose che non si percepiscono coi sensi, né s'intui- scono con l'intellifj^enza. 66. Quiditate. — Essenza. 68. Se bene intendi. — Lo ra- Q:ioni per le quali San Paolo ri- pose la fede ecc. 71. Parvenza. — Evidenza. 72. Là giù. — In terra. - .S.S8 - Paradiso - Canto XXI\' che l'esser loro v'è in sola credenza, sopra la qual si fonda l'alta spene, e però di sustanzia prende intenza ; 75 e da questa credenza ci conviene sillogizzar, senza avere altra vista : però intenza di argomento tiene ». 78 Allora udii : « Se quantunque s'acquista giù per dottrina fosse cosi inteso, non gli avria loco ingegno di sofista». 81 Cosi spirò da quell'amore acceso; indi soggiunse : « Assai bene è trascorsa d'està moneta già la lega e il peso; 84 ma dimmi se tu l'hai nella tua borsa ». Ond'io : <( Si ho, si lucida e si tonda che nel suo conio nulla mi s'inforsa ». 87 Appresso usci della luce profonda, che li splendeva : <( Questa cara gioia, sopra la quale ogni virtù si fonda, 90 onde ti venne? » Ed io: « La larga ploia dello Spirito Santo, ch'è diffusa in su le vecchie e in su le nuove cuoia, 93 è sillogismo, che la m'ha conchiusa acutamente si che in verso d'ella ogni dimostrazion mi pare ottusa ». 96 73. Che ecc. — La loro esi- 83. Trascorsa ecc. — Esami- stenza è oggetto di pura creden- nata la fede nella sostanza e nel- za. rargoniento. 74. Spene. — Speranza dì per- 8."^. Se tu l'hai ecc. — .Se que- venire alla loro visione. sta fede è nel tuo animo. 75. Intenza. — Carattere. S6. Tonda, — Intera. 77. Sillogizzar ecc. — Argo- 87. Mi s'inforsa. — Mi sem- mentare su cose non viste ma bra incerto, dubbioso, credute per fede, la quale perciò 88. Luce. — San Pietro, diviene cosi argomento. So Gioia Fede 7g. Quantunque. — Quanto " pi^ia.' _ Pioggia, s impara. r> • n 11 80 Inteso. - Chiaramente e .03- Cuoia. - Pergamena de! sicuramente. Vecchio e Nuovo Testamento. 81. Non ecc. — Nel mondo 04- SillofJismo. — Ragione, non vi sarebbe luogo per cavilli Conchiusa. — Dimostrata. di sofisti. — S?,9 — La Divina Commedia Io udii poi: «L'antica e la novella proposizion che cosi ti conchiude, perché l'hai tu per divina favella?» 99 Ed io : « La prova che il ver mi dischiude son l'opere seguite, a che natura non scaldò ferro mai, né batté incude n. 102 Risposto fummi : <( Di', chi t'assicura che quell'opere fosser? Quel medesmo che vuol provarsi, non altri, il ti giura )>. 105 « Se il mondo si rivolse al cristianesmo, diss'io, senza miracoli, quest'uno è tal che gli altri non sono il centesmo ; 108 che tu entrasti povero e digiuno in campo, a seminar la buona pianta, che fu già vite, ed ora è fatta pruno». Ili Finito questo, l'alta corte santa risonò per le spere un (( Dio laudamo », nella melode che là su si canta. 114 E quel baron, che si di ramo in ramo, esaminando, già tratto m'avea che all'ultime fronde appressavamo, 117 ricominciò : (( La grazia, che donnea con la tua mente, la bocca t'aperse infino a qui, com' aprir si dovea ; 120 si eh' io approvo ciò che fuori emerse : ma or conviene esprimer quel che credi, ed onde alla credenza tua s'offerse ». 123 ()H. Proposizion. — Il Vecchio no. Pianta. — Cristianesimo, o il Nuovo Testamento. 113. Dio laudauio. — !•:' il 101. Opere ecc. — ■ Miracoli, canto del «Te deiim ». :i icui Natura, mai si accinse. 115. Baron, — San Pietro. 104. Fosser. — Avvenissero. 117. Ultime fronde. — .Xi soni- io<;. Non altri, il ti J^iura. — nii problemi della fede. Non è affermato che dai libri j^g ponnea. — .Si compi.icc. ^^^^^^ e -1 j r-i 122. Quel che credi. — La for- 106. Se il mondo ecc. — Che 1 n r j il mondo abbracciasse il cristia- "^'' '^'^^^^J^'^"- nesimo senza miracoli precedenti, '-^v td onde. h la cagione è miracolo cento volte più grande della lua ff de. degli altri. — 560 — Paradiso - Canto XXIV (( O santo padre, spirito che vedi ciò che credesti si che tu vincesti vèr lo sepolcro i pili giovani piedi, 126 comincia' io, tu vuoi eh' io manifesti la forma qui del pronto creder mio, ed anco la cagion di lui chiedesti ; 129 ed io rispondo : ' Io credo in uno Iddio solo ed eterno, che tutto il ciel move, non moto, con amore e con disio '. 132 Ed a tal creder non ho io pur prove fìsice e metafìsice, ma dàlmi anco la verità che quinci piove 135 per Moisè, per Profeti e per Salmi, per l'Evangelio, e per voi che scriveste, poiché l'ardente Spirto vi fece almi. 138 ' E credo in tre persone eterne, e queste credo una essenza si una e si trina che sofferà congiunto sono ed este'. 141 Della profonda condìzion divina eh' io tocco, nella mente mi sigilla pili volte l'evangelica dottrina. 144 Quest' è il princìpio, quest' è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e, come stella in cielo, in me scintilla ». 147 124-12.15. Vedi ecc. — Ora vedi 141. Sofferà eec. — Sjffrc, ani- ciuel che sulla terra credesti. mette. 12.V126. Vincesti. — Entrasti Sono. — Tre persone. Drima di S. Giovanni, ch'era ar- Esle. — E' un solo Dio (lat. rivato prima, nel sepolcro di Cri- est - è), sto (Vang;elc di S. Giovanni). 142. Condizion. — Mistero 132. Non moto. — Senta esser della Trinità che io espongo, mosso a sua volta. 14-^-144. Sigilla l'evangelica Con amore e con disio. — .'\- dottrina. — Imprime certezza al- mato e desiderato. la mia mente. 133. Pur. — Non so'o i_l5. Principio. — La credenza 134. Dàlmi. — Me la dà. nella Trinità è fondamentale. 135. Quinci. — Di qui. 146. In fiamma. — Donde de- 136. Per. — Gli scritti di ecc. riva tutta la fede che illumina 13S. Almi. — Atti ad alimcn- la mia mente, come una stella tare la fede coi vostri scritti. diradante le tenebre. — 561 — La Divina Commedia Come il signor, che ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch'ei si tace; 150 cosi, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, si oom' io tacqui, l'apostolico lume, al cui comando io avea detto ; si nel dir gli piacqui. 154 14S. I. — Gli. 141). Il servo. — Che ^H ha Mq. Da indi. — Quindi. dato la buona novella. i:;;ì. Lume. — San Pietro. CANTO XXV Se mai continga che il poema sacro, al quale ha posto mano e cielo e terra, si che m'ha fatto per più anni macro, 3 vinca la crudeltà, che fuor mi serra del bello ovil, dov' io dormii agnello nimico ai lupi, che gli danno guerra ; 6 con altra voce ornai, con altro vello ritornerò poeta, ed in sul fonte del mio battesmo prenderò il cappello ; 9 però che nella fede, che fa conte l'anime a Dio, quivi entra' io, e poi Pietro per lei si mi girò la fronte. 12 T. Continua. — Accada. 7. Voce. — Che canta argo- Sacro. — Per l'argomento. nionli divini. 2. AI quale ha ecc. — Cielo Vello. — Non più fjiovanc. e t«-ra han dato materia. q. Cappello, — M'incoronerò T,. Si che m'ha ecc. — Intorno poeta. al quale ho lavorato parecchi an- ,q p^ conte. Scliiudc. ni con lena intensa. j/ q^j^. ^^^_ _ Sono' Stato 4. Crudeltà. — L odio di parte , ^, , • , ,„ battezzato. che mi fece esule. o. . ^. . ^ .:;. Ovil. — Firenze. 12. Si mi giro ecc. — Come 6. Lupi. — Cittadini potenti e ho detto nel canto precedente, malvagi. \erso 1^2. ~~ 5G2 - 18 Pakadiso - Canto XXV Indi si mosse un lume verso noi di quella spera, ond' usci la primizia che lasciò Cristo dei vicari suoi ; 15 e la mia donna piena di letizia mi disse : « Mira, mira, ecco il barone, per cui là giù si visita Galizia ». Si come quando il colombo si pone presso al compagno, e l'uno all'altro pande, girando e mormorando, l'affezione, 21 cosi vid'io l'un dall'altro grande principe glorioso essere accolto, laudando il cibo che là su li prande. 24 Ma poi che il gratular si fu assolto, tacito coram me ciascun s' affisse, ignito si che vinceva il mio volto. 27 Ridendo allora Beatrice disse : « Inclita vita, per cui la larghezza della nostra basilica si scrisse, 30 fa' risonar la speme in questa altezza ; tu sai, che tante volte la figuri, quanto Gesù ai tre fé' più chiarezza ». 33 ((Leva la testa, e fa' che t'assicuri; che ciò che vien qua su dal mortai mondo, convien eh' ai nostri raggi si maturi ». 36 14. Primizia. — San Pietre, 29. Larghezza. — LibeialUà. primo desili apostoli e primo pcn- ^o. Basilica. — Corte celeste. tcfice. -^i. Fa' risonar ecc. — Chiedi- 17. Il barone. — San Jacopo ne a Dante, che già è stato inter- (Ji Compostella. roijato da San Pietro sulla fede. iS. Si visita. — Si fanno pel- 32-33. Tu sai, ecc. — Parlar- leq;rinagn;i per visitarne il sepol- ne, pciihè rappresenti la spe- crc. ranza, essendo stato presente 20. Pande. — Esprime, giran- tutte le volte che Dio mostrò la dosi attorno l'un l'altro tubando. sua divinità a Pietro, a Jacopo 24. Prande. — Nutre. ^ Giovanni, a preferenza che 2:;. Assolto. — Finito. ,. ,, ... ,. 26. Coram me. — Davanti a ^^^' altri _dis(:epoh. _ j^-jg 34. Assicuri. — Rmfrancati. 27. Ignito, ecc. — Ardente co- 36. Maturi. — Rinforzi, per- si che vinceva il mio sguardo. fezioni. 29. Vita. — Anima. La Divina Commedia Questo conforto dal foco secondo mi venne; end' io levai gli occhi ai monti, che gì' incurvaron pria col troppo pondo. 39 «Poiché, per grazia, vuol che tu t'affronti lo nostro imperadore, anzi la morte, nell'aula più segreta, co' suoi conti; 42 si che, veduto il ver di questa corte, la speme che là giù bene innamora in te ed in altrui di ciò conforte : 45 dì' quel che ell'è, e come se ne infiora la mente tua, e di' onde a te venne»; cosi segui '1 secondo lume ancora. 48 E quella pia, che guidò le penne delle mie ali a cosi alto volo, alla risposta cosi mi prevenne : 51 (( La chiesa militante alcun figliuolo non ha con più speranza, com'è scritto nel sol che raggia tutto nostro stuolo ; 54 però gli è conceduto che d' Egitto venga in Gerusalemme per vedere, anzi che il militar gli sia prescritto. 57 Gli altri due punti, che, non per sapere, son domandati, ma perchè rapporti quanto questa virtù t' è in piacere, 60 a lui lasc'io; che non gli saran forti, né di iattanza : ed egli a ciò risponda, e la grazia di Dio ciò gli comporti ». 63 ;,7. Foco secondo. — San Jaco- :;4. Soh — Dio c\v diflondf |J0. luce su In ni noi beati. .•:;8. Monti. — I due apostoli. e;;. D'E^ilto ecc. — Dal mon- T,q. Incurvaron. — Mi fecero do, dall'esilio in terra. al-)!)assarc yli occhi por l'eccesso :;6. tìerusalemme. — In cielo, di Iure. ^7. Il militar ecc. — Prima 40. T'affronti. — Ti trovi a che la xita umana, che è una fronte. milizia, abbia fini>. 41. Iniperadore. — Dio. c;8. Gli altri due punti. — Sul- 42. Aula più segreta. — Il Pa- la essenza e l'oiii^ine della spc- radiso. ranza. 4?. Conti. — Beati. 5q. Rapporti. — Riferisce in 44. Bene innamora. — Di Dio. terra. 415. Di ciò. — Con la verità 61. Forti. — .Ardui, veduta la r iflorzi. 62. Iattanza. — Vanaploria. ^T,. Con più speranza. — Di 67,. Comporli. — Consenta, lui, San Jacopo. — .S64 — P.»RADrso - Canto XXV Come discente eh' a dottor seconda, pronto e libente, in quello ch'egli è sperto, perché la sua bontà si disasconda : GC « Speme, diss' io, è uno attender certo della gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. 69 Da molte stelle mi vien questa luce ; ma quei la distillò nel mio cor pria, che fu sommo cantor del sommo duce. 72 ' Sperent in te, nella sua teodia dice, color che sanno il nome tuo ' : e chi no 'I sa, s'egli ha la fede mia? 75 Tu mi stillasti con lo stillar suo nell'epistola poi, sì ch'io son pieno, ed in altrui vostra pioggia replùo ». 78 Mentr'io diceva, dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo sùbito e spesso, a guisa di baleno. 81 Indi spirò: «L'amore ond'io avvampo ancor vèr la virtù, che mi seguette infìn la palma ed all'uscir del campo, 84 vuo! eh' io respiri a te, che ti dilette dì lei ; ed èmmi a grato che tu diche quello che la speranza ti promette». 87 04. Discente. — Discepolo. 74. Sanno. — Conoscono, cre- 6.^. Libente. — Volonteroso. dono. 66. Disa.sconda. — Riveli. 76. Tu mi stillasti ecc. — Con 68-60. I' qual. — • L'attendere. la tua epistola mi confermasti la l'aspettazione è prodotta dalla speranza ch'è nei Salmi di David, strazia divina e da opere merito- 78. Repluo. — Rnerso. rie compiute. ^o- Quello incendio. — San Ju- 70. Stelle.'— Scrittori di cose ^opo. 82. Spiro. — Disse. ^^^^^' ^ • T^ • , 8s. Vèr la virtù. — Verso la 71. Quei'. — Davide. speranza. 72. Sommo duce. — Spinto 84. Infin, ecc. — Fino al mar- Santo, tirio ed alla morte. 73 Teodia. — Canto in onore S5. Respiri. — Riparli, di Dio, il libro dei Salmi. 86. Emmi. — Mi è. - .=^65 - Dante. 36 La Divina Commedia Ed io : « Le nuove e le scritture antiche pongono il segno, ed esso lo mi addita, dell'anime che Dio s' ha fatte amiche. 90 Dice Isaia che ciascuna vestita nella sua terra fìa di doppia vesta, e la sua terra è questa dolce vita; 93 e il tuo fratello assai vie più digesta, là dove tratta delle bianche stole, questa rivelazion ci manifesta ». 96 E prima, appresso al fin d'este parole, Sperent in te, di sopra noi s' udi, a che risposer tutte le carole ; 99 poscia tra esse un lume si schiari, si che, se il Cancro avesse un tal cristallo, l'inverno avrebbe un mese d'un sol di. 102 E come surge e va ed entra in ballo vergine lieta, sol per fare onore alla novizia, e non per alcun fallo; 105 cosi vid'io lo schiarato splendore venire ai due, che si volgeano a rota, qual conveniasi al loro ardente amore. 108 Misesi li nel canto e nella nota ; e la mia donna in lor tenne l'aspetto, pur come sposa, tacita ed immota. Ili 8(}. Segno. — 11 fine delle ani- 101-102. Il Cancro ecc. — ino rivolte a Dio. Se la costellazione del Cancro a- Lo mi addita. — Mi addita la vesse una stella fulgida conio beatitudine. San Giovanni, dalla metà di di- 91. Ciascuna. — Anima elet- cembre alla metà di gennaio, e. la. cioè quando il sole è in Capri- 92. Doppia vesta. — Beatitu- corno, l'inverno avrebbe un me- dine dell'anima e del corpo. se d'un solo jjiorno, ossia non sa- 93. La sua terra. — I>a .sua lebbe mai notte, perchè appunto patria è il Paradiso. in quel periodo di tempo al^ tra- 94. Fratello. — Giovanni, a- montar del sole appare suU'oriz- postolo. zonte il seg:no del Cancro. Digesta. — Chiara, minuta. 105. Novizia. — Sposa novel- ()i;. Là. — Nell'Ape -alisse. la. Stole. — Eletti Fallo. — Vanità. 98. Sperent in te. — Sperino 107. Ai due. — San Pietro e in te. San Jacopo. 99. Carole. — Cori di beati 108. Quaì ecc. — Con velocità che si muo\ono in cerchio'. corrispcndente alla beatitudine. 100. Lume. — San Giovanni. 109. Misesi ecc. — Si accom- — 566 — Paradiso - Canto XXV (( Questi è colui che giacque sopra il petto del nostro pellicano, e questi fue d'in su la croce al grande offizio eletto». 114 La donna mia cosi ; né però piùe mosse la vista sua di stare attenta poscia, che prima, alle parole sue. 117 Quale è colui eh' adocchia, e s' argomenta di vedere eclissar lo sole un poco, che per veder non vedente diventa ; 120 tal mi fec'io a quell'ultimo foco, mentre che detto fu : « Perché t' abbagli per veder cosa, che qui non ha loco? 123 In terra è terra il mio corpo, e saràgli tanto con gli altri che il numero nostro con l'eterno proposito s'agguagli. 126 Con le due stole nel beato chiostro son le due luci so!e che salirò ; e questo apporterai nel mondo vostro ». 129 A questa voce l' infiammato giro si quietò con esso il dolce mischio, che si facea del suon del trino spiro; 132 si come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria nell'acqua ripercossi, tutti si posan al sonar d'un fischio. 135 oagnò ai due nel canto e nella no!i è qui. Si credeva nel medio- danza, evo che Giovanni fosse stato as- 11-^. Pellicano. — disto. Il sunto in cielo col corpo, senza pellicano, secondo la credenza morire. medioevale, nutriva i fii
  • . 24 Ed io : « Per filosofici argomenti, e per autorità che quinci scende, cotale amor convien che in me s'imprenti ; 27 che il bene, in quanto ben, come s'intende, cosi accende amore, e tanto maggio, quanto più di bontate in sé comprende. Dunque all'essenza, ov'è tanto avvantaggio che ciascun ben che fuor di lei si trova altro non è eh' un lume di suo raggio, 33 pili che in altra convien che si mova la mente, amando, di ciascun che cerne lo vero, in che si fonda questa prova. 36 Tal vero allo intelletto mio sterne colui che mi dimostra il primo Amore di tutte le sustanzie sempiterne. 39 Stèrnel la voce del verace autore, che dice a Moisè, di sé parlando : ' Io ti farò veder ogni valore '. 42 Stèmilmi tu ancora, cominciando l'alto preconio, che grida l'arcano di qui là giù sopra ogni altro bando ». 45 22. Vaglio. — Esame. (cerne) il vero, nel quale (in che) 2T,. Schiarar. — Chiarire i pen- questa prova si fonda, _ amando,^ sieri. si mova a Dio (essenzia) in cui 24. Che drizzò l'arco tuo a fai è tanta sovrabbondanza di per- berzaglio. — Che cosa t'indus-e fezicne (avvantaafgio), che ogni ad amar Dio. bene eh 'è fuori di esso non è che 2^20. Per filosofici argomenti, un suo riflesso. ecc. — ("Ili argomenti dei filo- -^7. Sterne. — Dispiega, sofi e le scritture sacre ispirate 38. Colui. — Aristotile, che nel dal cielo. libro delle « Cagioni » pone Dio 27. S'imprenti. - — • S'imprima. quale bene supremo a cui tendo- 28. Che il bene, in quanto ben, no gli uomini. come s'intende. — Il bene rico- 40. Stèrnel, ecc. — Lo dimo- nosciuto e preso come tale. stra la parola di Dio stesso. 2q. Maggio. — Maggiore. 4-^. Stèrnilmi. — Me lo dimo- io. Quanto più di bontate in stri. sé comprende. — Pii'i perfetto. 44-4>. L'alto preconio, ecc. — -^i--ì6. Dunque all'essenza, ecc. L'Apocalisse che rivela agli uo- — Dunque, conviene che la men- mini i misteri del cielo, meglio te di ciascuno, che distingue di ogni altro testo sacro. — .S69 — La Divina Commedia Ed io udi' : « Per intelletto umano e per autoritadi a lui concorde, de' tuoi amori a Dio guarda il soprano. 48 Ma di' ancor, se tu senti altre corde tirarti verso lui, si che tu suone con quanti denti questo amor ti morde ». 51 Non fu latente la santa intenzione dell'aquila di Cristo, anzi m'accorsi dove volea menar mia professione. 54 Però ricominciai : << Tutti quei morsi, che posson far lo cor volger a Dio, alla mia caritate son concorsi ; 57 che l'essere del mondo e l'esser mio, la morte ch'ei sostenne perch'io viva, e quel che spera ogni fedel, com' io, 60 con la predetta conoscenza viva, tratto m' hanno del mar dell' amor torto, e del diritto m' han posto alla riva. 63 Le fronde, onde s' infronda tutto l' orto dell' ortolano etemo, am' io cotanto, quanto da lui a lor di bene è pòrto ». 66 Si com' io tacqui, un dolcissimo canto risonò per lo cielo, e la mia donna dicea con gli altri : « Santo, santo, santo ! » 69 E come a lume acuto si dissonna per lo spirto visivo che ricorre allo splendor che va di gonna in gonna, 72 46-48. Per intelletto ecc. — 62. Amor torto. — Amor ter- Per ar^cinenti filosofici e per reno. d'autorità di libri sacri che si ac- ó.s- Diritto. — Amor di Dio. corda con quelli, il tuo supremo 64. Fronde. — Gli uomini, amore si volgfe a Dio. L'orto. — li mondo. 4Q. Corde. — Ragioni. 66. Quanto da lui ecc. — In .<;o. Suone. — Dira. proporzione del bene che Dio in- i^S- Aquila di Cristo. — San fende in loro. Giovanni che dai santi Padri fu òq. Santo, santo, santo! — E' Kimboleggiato nell'aquila. il principio del cantico dell'Apo- «^i^. Mor.si. — Stimoli. calisse. c;8. L'essere. — L'esistenza. 70. Si dissonna. — L'uomo ?i 60. Quei che. — La beatila- desta. dine eterna. 71. Per lo spirto visivo clie ri= 61. Predetta conoscenza. — Dio corre. — Virtù visiva che si è il bene supremo. volg^e allo splendore che attra- — .S70 — Paradiso - Canto XXVI e lo svegliato ciò che vede aborre, si nescia è la sua sùbita vigilia, fin che l'estimativa no '1 soccorre; così degli occhi miei ogni quisquilia fugò Beatrice col raggio de' suoi, che rifulgean da più di mille milia : onde, me' che dinanzi, vidi poi, e quasi stupefatto domandai d' un quarto lume, eh' io vidi con noi. E la mia donna : <( Dentro da que' rai vagheggia il suo fattor l'anima prima, che la prima virtù creasse mai ». Come la fronda, che flette la cima nel transito del vento, e poi si leva per la propria virtù che la sublima, fec' io in tanto in quanto ella diceva, stupendo ; e poi mi rifece sicuro im disio di parlare, ond'io ardeva; e cominciai : « O pomo, che maturo solo prodotto fosti, o padre antico, a cui ciascuna sposa è figlia e nuro; devoto, quanto posso, a te supplico perchè mi parli : tu vedi mia voglia, e, per udirti tosto, non la dico ». 75 78 81 84 87 90 93 96 versa le varie membrane dell'oc- chio. 7-^. Aborre. — Non sopporti. 74. Nescia. — Inconsapevole della causa è l'improvviso de- sfarsi. 7^. L'estimativa. — La rifles- sione. 76. Quisquilia. — Impedimen- to. 78. Che rifulgean da più di mille milia. — Che mandavano il loro splendore da oltre mille miolia. 79. Me'. — Meglio. 83. L'anima prima. — Ada- mo. 84. Prima virtù. — Dio. 87. Sublima. — La rivolge al- l'alto. 88. Fec'io in tanto in quanto ella diceva. -— Nel breve momen- to che parlò Beatrice. 8q. Stupendo. — Meraviglian- domi. c)i-c)2. O pomo, che maturo so= lo prodotto fosti. — Uomo credi- to in età matura. Q3. Nuro. — Nuora. La Divina Commedia Tal volta un animai coperto broglia si che l'affetto oonvien che si paia per lo seguir che face a lui l'invoglia; 99 e similmente l'anima primaia mi facea trasparer per la coperta quant' ella a compiacermi venia gaia. 102 Indi spirò: ((Senz'essermi profferta da te, la voglia tua discerno meglio che tu qualunque cosa t' è più certa; 105 perch' io la veggio nel verace speglio che fa di sé pareglio all'altre cose, e nulla face lui di sé pareglio. 108 Tu vuoi saper quant' è che Dio mi pose nell'eccelso giardino, ove costei a cosi lunga scala ti dispose, 111 e quanto fu diletto agli occhi miei, e la propria cagion del gran disdegno, e l'idioma ch'usai e ch'io fei. 114 Or, figliuol mio, non il gustar del legno fu per sé la cagion di tanto esilio, ma solamente il trapassar del segno. 117 Quindi, onde mosse tua donna Virgilio, quattromila trecento e due volumi di sol desiderai questo concilio ; 120 07. Coperto broj^Iia. — Avvol- occhi miei. — E ciuanto durò il (o si dimena. godimento del Paradiso terrestre. 08. Si ciie l'affetto convien che 113. Gran disdegno. — Contro sì paia. — Mostrando il desiderio i primi uomini, che cacciò dal di uscire dal viluppo. Paradiso terrestre. 09. Per lo seguir. — L'involu- 114. Ch'usai ecc. — Quale mi ero seconda i suci movimenti. fu dato da Dio ed in parte feci 100. L'anima primaia. — Del arricchendolo di nuove parole, primo uomo. 115. Legno. — Albero del frut- ici. Coperta. — La luce che lo proibito, l'avvolgeva. 117. Il trapassar del segno. — 106. Speglio, — Dio. L'aver desider.ilo di essere simile 107-108. Che fa dì sé pareglio -^ dìo. all'altre cose, ecc. — Nessuna jjg Quinci, onde ecc. — cosa può specchiare Dio, ma lui- ^y^^ jj,,^j^^, ^^^^^j^ Beatrice fece '%io:"^r3sÌ^ 'iàrdìno. - --vere in tuo aiuto Virgilio. _ Nel paradiso ternslre, dove Bea- "9- Volumi. - Lraslaz.Mii Irice ti delle le forze di salire. de! sole, anni. 112. E quanto fu diletto agli 120. Concilio. — Dei btaii. Paradiso Canto XX\'I e vidi lui tornare a tutti i lumi della sua strada novecento trenta fiate, mentre ch'io in terra fumi. 123 La lingua eh' io parlai fu tutta spenta innanzi assai eh' all' opra inconsumabile fosse la gente dì Nembrot attenta; 126 che nullo effetto mai razionabile, per lo piacere uman, che rinnovella seguendo il cielo, sempre fu durabile : 129 opera naturale è eh' uom favella ; ma, cosi o cosi, natura lascia poi fare a voi secondo che v'abbella. 132 Pria ch'io scendessi all'infernale ambascia, / s'appellava in terra il sommo bene, onde vien la letizia che mi fascia; 135 El si chiamò da poi, e ciò conviene, che r uso de' mortali è come fronda in ramo, che sen va ed altra viene. 138 Nel monte, che si leva più dall'onda, fu' io, con vita pura, e disonesta, dalla prim' ora a quella che seconda, come il sol muta quadra, l'ora sesta». 142 12 1. E vidi lui tornare a tutti i lumi — Il sole tornare ai se- gni dello zodiaco per i g^o anni della mia vita. 12;^. Fumi. — ^'islsi. 121^. Opra inconsumabile. — Torre di Babele, impossibile a compiersi. 127. Che nullo effetto mai ra 7ionabile. — Perchè la lingua, come tutte le creazioni umane, varianti a seconda delle differen- ti influenze, non è immutabile. 1^2. V'abbella. — Vi agg^ra- da. 134. 1. — Dio (denominazio- ne dantesca d'origine ignota). i;^^. Mi fascia. — Di beata lu- ce. 1.^6. El. — Dio, nella lingua ebraica, e significa forte, pos- sente. i-^q. Monte. — Sulla vetta del monte del Purgatorio, ov'è il Pa- radiso terrestre. 140. Vita . pura. — Dalla na- scita al mangiare del fruito proi- bito. Disonesta. — . Dal momento che ha mangiato il frutto proi- bito alla cacciata dal Paradiso terrestre. 141. Seconda. — Segue. 142. Come il sol muta qua= dra, l'ora sesta. — Tostochè il sole muta quadrante, avendo per- corso la quarta parte del suo gi- ro quotidiano, cioè ogni sei ore. — .S7.S — La Divina Commedia CANTO XXVII Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo cominciò « Gloria » tutto il paradiso, si che m' inebbriava il dolce canto. 3 Ciò eh' io vedeva mi scmbiava un riso dell'universo; per che mia ebbrezza entrava per l'udire e per lo viso. 6 O gioia ! 0 ineffabile allegrezza ! o vita intera d' amore e di pace ! 0 senza brama sicura ricchezza ! 9 Dinanzi agli occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incominciò a farsi più vivace ; 12 e tal nella sembianza sua divenne, qual diverrebbe Giove, s'egli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne. 15 La provvidenza, che quivi comparte vice ed officio, nel beato coro silenzio posto avea da ogni parte, 18 quand'io udì': ((Se io mi trascoloro, non ti maravigliar; che, dicend'io, vedrai trascolorar tutti costoro. 21 Quegli ch'usurpa in terra il loco mio, il loco mio, il loco mio che vaca nella presenza del fìgliuol di Dio, 24 2. Cominciò «Gloria». — Co divenne ecc. — Lo splemiore di minciarono i beati a recitare il S. Pietro si fa più vivace, qual Gloria patri. diverrebbe il pianeta Giove (luce 6. Viso. — Vista. bianca) se mutasse il suo colore 9. Senza brama. — • II desidc- in quello di Marte (luce rossa), rio non può essere colla beati- 17. Vice ed officio. — L'avvi- ludine, perchè la bratiiudine è cendarsi del parlare e del tace- cosa perfetta, e il dcsidei io è co- re, del moto e della quiete, sa difiitiva. 21. Vedrai Irascoloiar tutti co- io. Le quattro face. — I^e a- storo. — Si come io mi adirerò, nime splendenti di Pietro, Jaco- tutta questa compagnia si adi- po, Giovanni e Adamo stanno di- rerà. nanzi al poeta. 22. Quegli ch'usurpa. — Doni- li. Quella che pria venne. — fazio Vili. ^- Pietro. Il loco mio. — Il pontificato. 13. E tal nella sembianza sui 21,. Che vaca. — li' vacante — .'574 — Paradiso - Canto XXVII fatto ha del cimitero mio cloaca del sangue e della puzza, onde il perverso, che cadde di qua su, là giù si placa ». 27 Di quel color, che per lo sole avverso nube dipinge da sera e da mane, vid'io allora tutto il ciel cosperso : 30 e come donna onesta, che permane di sé sicura, e, per l'altrui fallanza, pure ascoltando, timida si fané, 33 cosi Beatrice trasmutò sembianza ; e tal eclissi credo che in ciel fue, quando pati la suprema possanza. 36 Poi procedetter le parole sue con voce tanto da sé trasmutata che la sembianza non si mutò piùe : 3P <( Non fu la sposa di Cristo allevata del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d'oro usata ; 42 m.a per acquisto d'esto viver lieto e Sisto e Pio e Calisto ed Urbano sparser lo sangue dopo molto fleto. 45 davanti a Dio, perchè ottenuto per mezzo di intrighi e mante- nuto con la frode. 2i;. Fatto ha del cimitero mio cloaca. — Di Roma, dove, se- condo la tradizione, fu sepolto S. Pietro, ha fatto un luogo di peccati e di delitti. 26. Il perverso. — Lucifero. 27. Là giù si placa. — Nel- l'inferno, per i molti peccatori. 28. Color, che per lo sole ecc. — Rosso, per avere il sole di fronte. -?i-^4. E come douna onesta, ecc. — Anche Beatrice si trasco- lora, come donna onesta, che ar- rossisce alla sola narrazione del- l'altrui colpa, pur essendo sicura della siua purità. ^1;. Eclissi. — Il cielo si oscu- rò quando Cristo meri. ■:(8-.'5o- Con voce tanto da sé trasmutata ecc. — Con voce tan- to cambiata, per la veemenza del tono, che maggiore non fu la mutazione del colore nel viso di S. Pietro. 40. La sposa. — - La Chiesa. 41. Di Lin, di quel di Cleto — S. Lino e S. Cleto furono succes- sori di S. Pietro, e come lui sof- frirono il martirio. 42. Per essere. — Per farne mercimonio. 4:^. D'esto viver lieto. — Ma perchè la Chiesa guidasse 1 fe- deli alla beatitudine celeste. 44. E Sisto e Pio e Calisto ed Urbano. — - Sisto papa, dal 117- 126, Pio dal i4i-i5;6, Calisto dal 217-222, e Urbano dal 222-230. 4^. Fleto. — Pianto, per mar- tirio. La Divina Commedia Non fu nostra intenzìon eh 'a destra mano dei nostri successor parte sedesse, parte dall'altra, del popol cristiano; 48 né che le chiavi, che mi fùr concesse, divenisser segnacolo in vessillo, che centra i battezzati combattesse ; 51 né ch'io fossi figura di sigillo ai privilegi venduti e mendaci, ond'io sovente arrosso e disfavillo. 54 In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua su per tutti i paschi : o difesa di Dio, perché pur giaci? 57 Del sangue nostro caorsini e guaschi s'apparecchian di bere : o buon principio, a che vii fine convien che tu caschi ! 60 Ma l'alta provvidenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo, soccorra tosto, si com'io conci pio. (53 E tu, fìgliuol, che per lo mortai pondo ancor giù tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch'io non ascondo ». fi6 Si come di vapor gelati fiocca in giuso l'aer nostro, quando il corno della Capra del ciel col sol si tocca ; 69 46. A destra. — A destra dei diede un patrimonio alla Chiesa, papi sedessero i predilefti (guelfi) frutto del sangue dei martiri, ed a sinistra gli odiati (i ghibel- Caorsini e Guaschi. — Papa lini). Giovanni XXII di Cahors, e 52. Figura. — L'immagiine di papa Clemente V di Guascogna. .S. Pietro nel sigillo papaie, im- 61. Scipio. — L'Africano, trion- Dresso su bolle e decreti di si- fò di Cartagine. monia e menzogna. 62. Difese. — .Mantenne. .q4. Disfavillo.' — M'infiammo 63. Soccorra. — Soccorrerà, d'ira. Concipio. — C mcepisco, penso. c;6. Paschi. — Pascoli, cariche ^'7- Si come, ecc. ~ In quella ecclesiastiche. !fuisa elle cade la neve sulla ter- r\ j-t ' „ „ /-. 1 • ra, quei lumi s'innal/arono. .^7. O difesa ecc. - O bracco ^^1 p^„^ ^^^p^.^ j^, ^.^, ^^, ^„, di Dio_ perchè ristai dal far vcn- gj ^occa. — Qu.-mdo il sole è in detta di costoro? Capricorno (cio^ da mezzo dicem- .«58. Del sangue nostro. — Che hre a mezzo gennaio). - .S76 - Paradiso - Canto XXVII in su vid'io cosi l'etere adorno farsi, e fioccar di vapor trionfanti, che fatto avean con noi quivi soggiorno. 72 Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e segui in fin che il mezzo, per lo molto, gli tolse il trapassar del più avanti. 75 Onde la donna, che mi vide assolto dell'attendere in su, mi disse : <( Adima il viso, e guarda come tu sei volto». 78 Dall'ora ch'io avea guardato prima, io vidi mosso me per tutto l'arco che fa dal mezzo al fine il primo clima; 81 si ch'io vedea di là da Cade il varco folle d'Ulisse, e di qua presso il lito, nel qual si fece Europa dolce carco : 84 e più mi fora discoperto il sito di questa aiuola ; ma il sol procedea, sotto i miei piedi, un segno e più partito. 87 La mente innamorata, che donnea con la mia donna sempre, di ridure ad essa gli occhi più che mai ardea. 90 7;^. Lo viso mio. — Il mio sguardo. I suoi sembianti. — I loro splendori. 74. Mezzo. — La distanza tra c'ii occhi e le anime. 74. Per lo molto. — Per es- sersi fatto troppo grande impe- dì di veder altro. 76. Assolto. — Non più in- tento. 77. Adima. — Abbassa lo stjuardo. 78. Volto. — Girato (girano col primo mobile velocissimo). 7q. Dall'ora ecc. — Dal mez- zogiorno. 81. Clima. — Gli antichi di- videvano la terra in sette zone (climi). La prima era la più vi- cina all'equatore. Dante aveva Ijeroorsi go g'radi. 82. Gade. — Cadice. S2-83. Il varco folle d'Ulisse. — ■ Di là dallo stretto di Gibilter- ra. 8-^. Il lito. — Il lito della Fe- nicia dove Giove, sotto forma di toro, rapì Europa, figlia del re Agenore. 86. Aiuola. — La terra. Ma il sol ecc. — Il sole era alia distanza di due costellazioni (Dante era nei Gemelli, il Sole in Ariete e di mezzo c'era il To- ro), e molta parte della terra era cosi oscurata. 88. Donnea. — Vagheggia la mia donna. — .S77 La Divina Commedia E se natura od arte fé' pasture da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o nelle sue pitture, 93 tutte adunate parrebber niente vèr lo piacer divin che mi rifulse, quando mi volsi al suo viso ridente. 96 E la virtù, che lo sguardo m'indulse, del bel nido di Leda mi divelse e nel ciel velocissimo m'impulse. 99 Le parti sue vivissime ed eccelse si uniformi son ch'io non so dire qual Beatrice per loco mi scelse. 102 Ma ella, che vedeva il mio disire, incominciò, ridendo tanto lieta che Dio parca nel suo volto gioire : 105 <( La natura del mondo, che quieta il mezzo, e tutto l'altro intorno move, quinci comincia come da sua meta. 108 E questo cielo non ha altro dove che la mente divina, in che s'accende l'amor che il volge e la virtù ch'ei piove. Ili Luce ed amor d'un cerchio lui comprende, si come questo gli altri, e quel precinto colui che il cinge solamente intende. 114 Qi. Pasture. — Attrattive na- li'.ialì o artistiche. 02. Per aver la mente. — Ter conquistaj-e l'aiiiiiio. qt^. Vèr. — In confronto. 97. Indulse. — Mi concesse. q8. Nido di Leda. — Dalla co- stellazione dei Gemelli, che sareb- bero Castore e Polluce, nati dal- l'uovo di Leda. qq. Ciel velocissimo. — Trimo Mobile. IDI. Ch'io non so dire ecc. — In qual parte del Primo Mobile Beatrice mi deponesse. 106 108. La natura del mondo^ ecc. — Da questo nono cielo comincia la natura del mondo, che fa star ferma la terra, se- condo il sistema tolemaico cen- tro dell'universo, e fa muovere tutto ciò che le è intorno. loq. Altro dove. — Altro luo- go. 112. Luce ed amor. — La luce e l'amore di un solo cer- chio, che è l'empireo, compren- de il cielo cristallino, il quale a siia volta racchiude gli altri otto cieli. 113. Precinto. — L'empireo non è inteso che da Dio. - .V^ Paradiso - Canto XXVII Non è suo moto per altro distinto ; ma gli altri son misurati da questo, si come dieci da mezzo e da quinto. 117 E come il tempo tenga in cotal testo le sue radici e negli altri le fronde, ornai a te puot 'esser manifesto. 12U O cupidìgia, che i mortali affonde si sotto te che nessuno ha potere di trarre gli occhi fuor delle tue onde! 123 Ben fiorisce negli uomini il volere ; ma la pioggia continua converte in bozzacchioni le susine vere. 126 Fede ed innocenza son reperte solo nei parvoletti ; poi ciascuna pria fugge che le guance sien coperte. 129 Tale, balbuziendo ancor, digiuna, che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna; 132 e tal, balbuziendo, ama ed ascolta la madre sua, che, con loquela intera, disira poi di vederla sepolta. 135 Cosi si fa la pelle bianca, nera, nel primo aspetto, della bella figlia di quei ch'apporta mane e lascia sera. 138 115. Distinto. — Miburato. 129. Sien coperte. — Dalla 117. Si come dieci da mezzo barba. e da quinto. — Il dieci è per- i;^o. Tale, balbuziendo. — Da rettamente misuralo dalla sua bambino digfiuna, ma appena metà che è cinque e dalla s-ua adolescente non osserva più il quinta parte che è due. Quindi die^iuno, neppure di quaresima <■ il Primo Mobile che imprime (venerdì santo è col plenilunio), ogni moto ai vari cieli. 133. Ascolta. — Ubbidisce. 118. In cotal testo. — In co- it,^,. Disira poi, ecc. — Di ve- tal vaso, cioè il Primo Mobile. derla morta per averne i beni J2I. Affonde. ^- Affoghi, sì e non esserne ammonito, che essi non si levano al cielo. ^. 1.36-138. Cosi si fa la pelle 126. Bozzacchioni. - Susine bianca, nera ecc. - La Ch.esa, , ,, che nelle sue onsrmi fu santa e che per eccesso d acqua crescono py^a, si è fatta malvagia al co- enormemente e si guastano. spetto di Dio (quei ch'apporta), 127. Reperte. — Trovate. o sole spirituale. — .S79 — I.A Divina Commedia Tu, perché non ti facci maraviglia, pensa che in terra non è chi governi onde si svia l'umana famiglia. Ma prima che gennaio tutto si sverni, per la centesma ch'è là giti negletta, ruggiran si questi cerchi superni che la fortuna, che tanto s'aspetta, le poppe volgerà u' son le prore, si che la classe correrà diretta ; e vero frutto verrà dopo il fiore». [41 144 148 141. Si svia. — E' così tra- viata. 142. Ma prima ecc. — Prima che il mese di gfennaio non sia i)iù nell'inverno, ma cada in pri- mavera , prima insomma che passino molt' anni, il cielo si commoverà e manderà in terra un liberatore, e l'umanità ripren- derà LI diritto camminc: operan- do (il fiore) rettamente, produr- rà il bene (frutto). 143. Centesma. — Quella mi- nima parte dell'anno trascurata da Giulio Cesare, quando rifor- mò il calendario, che facendo l'anno dì -^61; giorni e 6 ore lo faceva differire di circa 13 mi- nuti (centesima parte del gior- i'iC') dall'armo vero; errore cor- retto da papa Gregorio Vili. 147. Classe. — Flotta. CANTO XXVIII Poscia che contro alla vita presente dei miseri mortali aperse il vero quella che imparadisa la mia mente ; come in lo specchio fiamma di doppiere vede colui che se n'alluma retro, prima che l'abbia in vista 0 in pensiero, e sé rivolge, per veder se il vetro gli dice il vero, e vede ch'ei s'accorda con esso, come nota con suo metro ; 9 4. Doppiere. — Torcia di ce- ra usata nel medio evo in occa- sioni solenni. 5. Che se n'alluma ecc. — Che ha il lume allo spalle. 7-8. Se il vetro ecc. ^ .Se lo specchio rillctti' liamma reale. 0. Come nota ecc. — Come il canto con la sua musica. - .SSo Paradiso - Canto XX\'III cosi la mia memoria si ricorda ch'io feci, riguardando nei begli occhi, onde a pigliarmi fece Amor la corda : 12 e com'io mi rivolsi, e furon tócchi li miei da ciò che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s'adocchi, 15 un pimto vidi che raggiava lume acuto si che il viso, ch'egli affoca, chiuder conviensi, per lo forte acume ; 18 e quale stella par quinci più poca, parrebbe luna locata con esso, come stella con stella si colloca. 21 Forse cotanto, quanto pare appresso alo cinger la luce che il dipigne, quando il vapor, che il porta, più è spesso, 24 distante intomo al punto un cerchio d'igne sì girava si ratto ch'avria vinto quel moto che più tosto il mondo cigne ; 27 e questo era d'un altro circuncinto, e quel dal terzo, e il terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto : 30 sopra seguiva il settimo si sparto già di larghezza che il messo di Giuno intero a contenerlo sarebbe arto : * 33 12. Fece ecc. — Me prigio- ione (alo), circonda da presso il niero. sole e la luna, cosi un cerchio 14. Li miei. — Occhi. di fuoco circondava queJ punto. Volume. — Cielo. 27. Quel moto. — Dei primo 15. Quandunque. ■ — Ogni voi- mobile, che gira più rapido di ta. tutti i cieli. 16. Punto. — Dio. 28. Questo. — Primo cerchio 17. Il viso ecc. — La vista è formato da Serafini. che esso illumina. Altro. — I Cherubini. 18. Acume. — Intensità della 29. Terzo. — Troni. luce. Dal Quarto. — Dominazione. 10-21. E quale ecc. — La -o. Quinto. — Virtù. stella più piccola vista dalla ter- Sesto. Podestà. ra, collocala vicina a quel punto, ^,1. Settimo. —^Principati, in come vicmo sono le stelle in eie- " . . Io, sembrerebbe una luna, for- arco ampissimo. mata da spesso strato di vapori, ?.^- ^^^sso di Giuno. — Inde anzichf^ una piccolissima stella. o arcobaleno. 22. Cotanto ecc. — Come l'a- 33. Arto. — Stretto. - .^81 - Dante. 37 La Divina Commedia cosi l'ottavo e il nono; e ciascheduno più tardo si movea, secondo ch'era in numero distante più dall'uno. 36 E quello avea la fiamma più sincera, cui men distava la favilla pura ; credo, però che più di lei s'invera. 39 La donna mia, che mi vedeva in cura forte sospeso, disse : « Da quel punto depende il cielo e tutta la natura. 42 Mira quel cerchio che più gli è congiunto, e sappi che il suo movere è si tosto per l'affocato amore ond'egli è punto ». 45 Ed io a lei : « Se il mondo fosse posto con l'ordine, ch'io veggio in quelle rote, sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto; 48 ma nel mondo sensibile si puote veder le volte tanto più divine, quant'elle son dal centro più remote : 51 onde, se il mio disio dèe aver fine in questo miro ed angelico tempio, che solo amore e luce ha per confine, 54 udir conviemmi ancor perchè l'esemplo e l'esemplare non vanno d'un modo; che io per me indamo ciò contemplo». 57 34. Ottavo. — Arcangeli. 47. In quelle rote. — Nei no- Nono. — Anofeli. \e cerchi. .•^.«^-.•^6. Secondo ch'era ecc. — 48. Sazio, — Sarei pa.e;o della Ruotava più lento quanto più il tua risposta. suo numero era lontano dall'uno ."^o. Più divine. — T cerchi (Dio).' più veloci sono i più lontani dal -^8. Cui. — Dal quale meno centro (la Terra, secondo il si- ora lontano Dio. stema tolemaico). -50. S'invera. — Si compe- S^- Fme. — Appagato j. t;^. Miro. — Ammirevole. • ^ "ci;. L'esemplo. — 11 mondo 40. In cura. — In pensiero. sensibile, l'immagine di Dio. perplesso. -g L'esemplare. — Il mondo 4^^. Cerchio. — Dei serafini. soprasensibile. 46. l'osto. — Ordinato. 57. Per me. — Da me solo. - 583 - Paradiso - Canto XXVI II (( Se li tuoi diti non sono a tal nodo sufficienti, non è maraviglia, tanto, per non tentare, è tatto sodo». 60 Cosi la donna mia ; poi disse : « Piglia quel ch'io ti dicerò, se vuoi saziarti, ed intorno da esso t'assottiglia. 63 Li cerchi corporai sono ampi ed arti, secondo il più e il men della virtute, che si distende per tutte lor parti. 66 Maggior bontà vuol far maggior salute ; maggior salute maggior corpo cape, s'egli ha le parti egualmente compiute. 69 Dunque costui, che tutto quanto rape l'altro universo seco, corrisponde al cerchio che più ama e che più sape : 72 per che, se tu alla virtù circonde la tua misura, non alla parvenza delle sustanzie che t'appaion tonde, ' 75 tu vederai mirabil conseguenza, di maggio a più e di minore a meno, in ciascun cielo, a sua intelligenza ». 78 Come rimane splendido e sereno l'emisperio dell'aer, quando soffia Borea da quella guancia ond'è più leno, 81 58. Diti. — Non sono atti a mobile rapisce (rape), trascina le sciogliere il nodo ; metafora si- altre sfere. efnificante ringe.qno non esperto 72. Cerchio. — Dei serafini, a risolvere il dubbio. più ardenti d'amore e più illu- 60. Per non tentare. — E' di- minati da Dio. venuto stretto, pprchè nessuno ha 73. Se tu ecc. — Applichi la tentato di scioglierlo. fu^' misura alle virtù, non alla 61. PJgna. — Ascolta. grandezza apparente delle su= 63. T'assottiglia. — Medita stanzio angeliche disposte in cer- sottilmente intorno ad esso. chi. 64. Li cerchi corporali. _ l 76.78. Tu vederai ecc. — Ri- nove cieli sono ampi e stretti. spondenza perfetta di cielo mag- 67. Maggior bontà ecc. — ^i^re ad Intelligenza più elevata Quanto più grande è la virtù, ^ella gerarchia; secondo l'Intel- tanto maggiore vuol esser il suo i- *•/-•! i- benefico effetto. ''-^"^^ motrice. Cioè: gh an- 68. Maggior corpo. _ Si dif- -^'' P'" P'^esso a Dio sono più fonde in corpo più ampio, se perfetti, e però essi (intelligenze) è perfetto in ogni parte. movono i cieli più vicini a Dio. 70. Costui ecc. — I! primo 81. Guancia. — Dalla parte - .S83 - l.A Divina Commedia per che si purga e risolve la rofRa che pria turbava, si che il ciel ne ride con le bellezze d'ogni sua paroffla ; 84 cosi fec'io, poi che mi provvide la donna mia del suo risponder chiaro, e, come stella in cielo, il ver si vide. 87 E poi che le parole sue restaro, non altrimenti ferro disfavilla che bolle, come i cerchi sfavillare ; 90 lo incendio lor seguiva ogni scintilla ; ed eran tante che il numero loro più che il doppiar degli scacchi s'immilla. 93 Io sentiva osannar di coro in coro al punto fisso che li tiene all'ubi, e terrà sempre, nel qual sempre fòro ; 96 e quella, che vedeva i pensier dubì nella mia mente, disse : (c I cerchi primi t'hanno mostrati i Serafì e i Cherubi. 99 Cosi veloci seguono i suoi vimi, per simigliarsi al punto quanto ponno, e posson quanto a veder son sublimi. 102 di maestro, più temprjrata, (Ic- lìo : lene). 84. ParofiBa. — Parrocchia, ma qui siofnifica : plaga. 88. Restaro. — S'arrestarono. Q]. Lo incendio lor ecc. — Ogni scintilla (angelo) danzaxa nell'orbita del proprio cerchio'. 93. S'immilla. — Va nelle migliaia più che la progressiva duplicazione degli scacchi. Allu- de alla leggenda dell'inventore degli scaccili il quale al re di rcrsia, in premio della sua in- venzione, chiese tanti chicchi di ij;rano quanto è il numero che si ol tiene moltiplicando progressi- vamente due per il numero dei ciiiadrati della scacchiera ; fatto il calcolo, il re constatò che non aveva grano bastante a pagare l'inventore. Occorrevano chic- chi : 18.446.744-07.3-70g-5.ii-61.l- q:;. Al punto. — In lode di Dio. Ubi. — Al luogo loro asse- gnato per l'eternità. 07. E quella. — Beatrice. Dubi. — Dubbiosi. 98. I cerchi primi. — 11 pri- mo e il secondo. 100. Virai. — Legami, costi- tuiti dall'am.ore che li lega al Punto, cioè a Dio. 101. Per simigliar.si ecc. - Un cerchio che ruota velocissi- mo somiglia ad un punto. 102. E posson ecc. — .Sempre più somigliare a Dio quanto più si levano sublimi accimto a .=;8.t Paradiso - Canto XWIII Quegli altri amor, che intorno a lor vonno, si chiaman Troni del divin aspetto, perché i! primo ternaro terminonno. 105 E dèi saper che tutti hanno diletto, quanto la sua veduta si profonda nel vero, in che si queta ogn 'intelletto. 108 Quinci si può veder come si fonda l'esser beato nell'atto che vede, non in quel ch'ama, che poscia seconda; 111 e del vedere è misura mercede, che grazia partorisce e buona voglia ; cosi di grado in grado si procede. 114 L'altro ternaro, che cosi germoglia in questa primavera sempiterna, che notturno Ariete non dispoglia, 117 perpetualmente Osanna sverna con tre melode, che suonano in trée ordini di letizia, onde s'interna. 120 In essa gerarchia son ie tre dee : prima Dominazioni, e poi Virtudi ; l'ordine terzo di Podestadi èe. 123 Poscia nei due penultimi tripudi Principati ed Arcangeli si girano ; l'ultimo è tutto d'Angelici ludi. 126 io_^. Quegli ecc. — Quegli al- ritorie, frullo della grazia di Dio tri esseri prediletti che vanno in- e del buon volere, torno a loro nel settimo cerchio. Mercede. — Cioè delle opere 104. Troni del divin aspetto. meritorie. — Quasi sedi e specchi della di- 117. Notturno Ariete. ■ — Au- vina giustizia. tunno. 105. Ternaro. — Compiono 118. Sverna. — E' il cantare con i serafini e i cherubini il pri- deejH uccelli al 'ìnir dell'inverno, mo ternario dei cori anrjelici. Qui vale canto in genere. 107. Quanto. — Proporziona- ~ 120. S'interna. — Scoinpo- lo alla profondità della loro co- nendosi in tre. pnizione di Dio. 121. Dee. — • Intelligenze o loo-iii. Quinci si può veder .«gerarchie angeliche. ecc. — Da ciò si rileva che la j,^. Ée. E'. beatitudine consiste nella visio- jj^' Tripudi. Cerchi d'an- ne di Dio, non nell'amore verso pxii danzanti. Die, che segue alla visione. ' 125, Ludi.' — Giuochi, esul- 112. E' misura ecc. — 'La vi- tanze, e, in senso traslato, fe- sione varia secciido le opere me- ste. Qui : angeli festanti. La Divina Commedia Questi ordini di su tutti rimirano, e di giù vincon si che verso Dio tutti tirati sono e tutti tirano. E Dionisio con tanto disio a contemplar questi ordini si mise, che li nomò e distinse com'io. Ma Gregorio da lui poi si divise ; onde, si tosto come l'occhio aperse in questo ciel, di sé medesmo rise. E se tanto segreto ver proferse mortale in terra, non voglio ch'ammiri che chi il vide qua su gliel discoperse con altro assai del ver di questi giri ». 129 132 135 139 127. Di su. — Al punto verso Dio. 12S. E di giù. — Inferior- mente agiscono in modo d'at- trarre tutti a Dio. i;^o Dionisio. — Dionigi l'A- reopaorita, creduto autore dei li- bri ((della celeste gerarchia». i'^;:;. Gregorio. — Magno. Sì divise. — Si separò dall'o- pinione di Dionigi sulle gerar- chie angeliche, cadendo in er- rore. ly,^. Rise. — Del suo sbaglio, venendo qui al cielo. 1-^7. Morale ecc. — Se Dio- nigi mortale potè rivelare (pro- ferse) verità così nascoste, non fartene meraviglia, avendogliele rivelate S. Paolo, con molte al- tre, riguardanti queste gerar- chie angeliche. CANTO XXIX Quando ambedue i figli di Laiona, coperti del Montone e della Libra, fanno dell'orizzonte insieme zona, I. I figli. — Sole o Apollo, Luna e Diana. 3-4. Fanno. — Toccano, es- sendo in punti opposti dello zo- diaco (il Sole nell'Ariete e la Lu- na nella Libra), per un momen- to, contemporaneamente l'oriz- zonte, stando- alla stessa distan- za dallo zenit. — :{S6 — Paradiso - Canto XXIX quant'è dal punto che il zenit inlibra, infin che l'uno e l'altro da quel cinto, cambiando l'emisperio, si di libra, tanto, col volto di riso dipinto, si tacque Beatrice, riguardando fìsso nel punto che m'aveva vinto ; poi cominciò : « Io dico, non domando quel che tu vuoli udir, perch'io l'ho visto dove s'appunta ogni ubi ed ogni quando. Non per aver a sé di bene acquisto, ch'esser non può, ma perché suo splendore potesse, risplendendo, dir : Subsisto; in sua eternità di tempo fuore fuor d'ogni altro comprender, come ì piacque, s'aperse in nuovi amor l'eterno amore. Né prima quasi torpente si giacque ; che né prima né poscia procedette lo discorrer di Dio sopra quest'acque. Forma e materia congiunte e purette uscirò ad esser che non avea fallo, come d'arco tricorde tre saette ; 12 15 21 24 5. Da quel cinto. — Da quel- la zona dell'orizzonte si libera, uscendo dalla posizione di equidi- stanza. 6. Cambiando. — Passando, l'uno dall'emisfero superiore nel- l'inferiore; e l'altro dall'inferio- re nel nostro, superiore. 7. Tanto. — Per un istante cesi breve. g. Punto. — Dio. Vinto. — Abbagliato. 12. Dove. — In Dio. S'appunta. — Raccogliesi. Ubi. • — ■ Luogo, spazio. Quando. — Tempo. i-^. Di bene acquisto. — Ac- crescere il proprio bene. le,. Subsisto. — Manifestan- do nelle sue creature la sua bon- tà potesse affermare la propria esistenza. 16. Di tempo fuore. — Che trascende dai limiti del tempo ; il tempo e lo- spazio incomincia- no colla creazione dell'Universo. 17. D'ogni altro comprender. — Sfuggendo a ogni comprendi- mento , poiché Dio tutto com- prende senza esser compreso. 18. Nuovi amor. — Creò gli angeli. ig. Prima. — Prima della creazione. Torpente. — Inerte. 20. Né prima né poscia. — Fu, cic-è, innanzi al tempo, il quale comincia a esistere con la creazione. 21. Lo discorrer. — L'opera della creazione. 22. Forma ecc. — La forma e la materia, congiunte e da sole. 2-^. Uscirò. — Dalla mento divina senza difetti. 587 I.A Divina Comimedia e come in vetro, in ambra od in cristallo raggio risplende si che dal venire all'esser tutto non è intervallo; cosi il triforme effetto del suo Sire nell'esser suo raggiò insieme tutto, senza distinzion nell'esordire. Concreato fu ordine e costrutto alle sustanzie : e queMe furon cima nel mondo, in che puro atto fu produtto ; pura potenza tenne la parte ima ; nel mezzo strinse potenza con atto tal vime che giammai non si divima. Geronimo vi scrisse, lungo tratto di secoli, degli angeli creati, anzi che l'altro mondo fosse fatto; ma questo vero è scritto in molti lati dagli scrittor dello Spìrito Santo, e tu te n'avvedrai, se bene agguati : 27 30 33 36 39 42 26. Dal venire. — Dal giun- oere del raog-JQ jiel vetro al suo diffondervisi, non corre interval- lo. 28. Cosi ecc. — La creazione (li tutte e tre le cose. 20- Nell'esser suo. — Nella pienezza del suo essere. 30. Distinzion. — Di tempo, principio, mezzo, fine. 31. Concreato. ■ — In pari tem- po fu creato l'ordine proprio del- le varie sostanze. E l'ordine loro fu pure creato colla forma pura, materia pura ; forma e materia roin giunte. 32. Quelle. — Le sustanzie intellettuali, cioè s'I'i angeli. Cima. — Cioè sopra tutti i cieli. 33. In che. — Gli angeli, in cui l'atto fu puro, perchè pura forma, furon collocati in alto. 34. Pura potenza. — Pura materia, con sola potenza di ri- cevere l'azione altrui, fu collo- cata disotto, in bassO'. 315. Nel mezzo ecc. — Tra la terra e l'Empireo un legame che mai si scioglierù strinse le so- stanze attive e passive, che rice- vono l'influenza dalle superiori e la fan.no' sentire alle inferiori. 36. Vime. — Legame. Non si divima. — I-I' legame indissolubile. 37. Geronimo. — S. Gerola- mo, scrisse che gli angeli furo- no creati prima del .resto- del mondo. 40. Ma questo vero ecc. — Ma l'opinloine giusta, che gli an- g^eli sianc' stati creati insieme col mo'ndo, è espressa puro dagli scrittori di materie religiose. .r^SS — Paradiso - Canto XXIX ed anche la ragione il vede alquanto, che non concederebbe che 1 motori senza sua perfezion fosser cotanto. 45 Or sai tu dove e quando questi amori furon eletti, e come; si che spenti nel tuo disio già sono tre ardori. 48 Né giugneriesi numerando al venti si tosto, come degli angeli parte turbò il suggetto dei vostri elementi. 51 L'altra rimase, e cominciò quest' arte, che tu discerni, con tanto diletto che m^i da circuir non si diparte. 54 Principio del cader fu il maledetto superbir di colui, che tu vedesti da tutti i pesi del mondo costretto. 57 Quelli, che vedi qui, furon modesti a riconoscer sé dalla bontate, che gli avea fatti a tanto intender presti ; 60 per che le viste lor furo esaltate con grazia illuminante e con lor merto, si e' hanno piena e ferma volontate. 63 E non voglio che dubbi, ma sie cerio che ricever la grazia è meritorio, secondo che l'affetto l'è aperto. 66 44. Che non concederebbe ecc. turbare il globo terrestre, sost. — La ragione non può ammet- getto dei quattro elementi, tere che gli angeli fossero creati 52. Rimase. — In cielo, senza poter esercitare la loro in- Arte. — D'aggirarsi intorno fluenza sui cieli, creati tanto n Dio, al punto, tempo dopo. 57. Costretto. — Oppresso. 46. Or sai ec:. — • Ora cono- 60. Fresti. — Disposti a tan- sci quando e dove gli angeli fu- ta intelligenza, ron creali e come furono tutti 61. Le viste lor. — La cnpa- perfetti. cita loro di vedere Dio 'fv iin- 48. Tre ardori. — Tre dubbi nalzata con la grazia illuminan- sono risolti. iq e col merito- di riceverla. 4g. Né giugneriesi ecc. — E 5^ Ferma volontate. — Di il tempo per contare fino a ven- ^^^ peccare. t, sarebbe pm breve di quello ^^^^^^^ _ g, ^.^^..^ ;, passato dalla creazione degli an- . 1 1 u ■ geli alla -aduta d'una parte di n^erito a seconda che \ animo s, essi. apra con affetto maggiore o mi- Si. Il suggetto. — Cadde a nore alla grazia illuminante. - .sso - La Divina Commedia Ornai d'intorno a questo consistorio puoi contemplare assai, se le parole mie son ricòlte, senz' altro aiutorio. 69 Ma perchè in terra per le vostre scuole si legge che l'angelica natura è tal che intende e si ricorda e vuole, 72 ancor dirò, perché tu veggi pura la verità che là giù si confonde, equivocando in si fatta lettura. 75 Queste sustanzie, poi che fùr gioconde della faccia di Dio, non volser viso da essa, da cui nulla si nasconde : 78 però non hanno vedere interciso da nuovo obbietto, e però non bisogna rimemorar per concetto diviso. 81 Sì che là giù non dormendo sì sogna, credendo e non credendo dicer vero ; ma neir uno è più colpa e più vergogna. 84 Voi non andate giù per un sentiero filosofando ; tanto vi trasporta l'amor dell'apparenza e il suo pensiero. 87 Ed ancor questo qua su si comporta con men disdegno, che quando è posposta la divina scrittura o quando è tòrta. 90 Non vi si pensa quanto sangue costa seminarla nel mondo, e quanto piace chi umilmente con essa s'accosta. 93 67. Concistorio. — Collegio re alla memoria alcun concello angelico. iv^cito dalla mente. 6q. Aiutorio. — Aiuto. 8v Credendo ecc. — In buona 72. E' tal ecc. — Ha intellet- o in mala fede, ma in questo ra- to, memoria e volontà. so la colpa è maggiore. 76. Queste. — Sustanzie an- S."^. Giù. — In terra non se- geliche da quando furono allie- gfuite tutti una stessa via per tate della vista di Dio. scoprire la verità. 87. Da essa ecc. — Non ri- 87. Dell'apparenza. — Di ap- mossero lo sguardo da Dio, cui parir dotti, tutto è presente. Sq. Posposta. — A scritture 70. Interciso. — Inferrolto da profane, altri oggetti. 91. Vi. — In terra. Hi. Himemorar. — Richiama- 92. Piace. — A Dio. — 5QO — Paradiso - Canto XXIX Per apparer ciascun s'ingegna, e face sue invenzioni ; e quelle son trascorse dai predicanti, e il vangelio si tace. 96 Un dice clie la luna si ritorse nella passion di Cristo e s' interpose, per che il lume del sol giù non si pòrse ; 99 ed altri che la luce si nascose da sé; però agl'Ispani ed agl'indi, com' a' giudei, tale eclissi rispose. 102 Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi, quante sì fatte favole per anno in pergamo si gridan quinci e quindi ; 105 sì che le pecorelle, che non sanno, tornan dal pasco pasciute di vento, e non le scusa non veder lo danno. 108 Non disse Cristo al suo primo convento : ' Andate, e predicate al mondo ciance ', ma diede lor verace fondamento ; 111 e quel tanto sonò nelle sue guance, sì eh' a pugnar, per accender la fede, dell'evangelio fero scudo e lance. 114 Ora si va con motti e con iscede a predicare, e pur che ben si rida, gonfia il cappuccio, e piìi non si richiede; 117 ma tale uccel nel becchetto s'armida, che, se il vulgo il vedesse, vederebbe la perdonanza di che si confida ; 120 95. Trascorse. — Trattate. lu. Sue guance. — Loro boc- qy. Si ritorse. — Tornò indie- che. tro. 114. Scudo e lance. — Per di- 100. La luce ecc. — Che il fendere la fede contro le false Sole ritirò i suoi ragg-i, donde dottrine, l'eclissi in tutto il mondo. 11^. Iscede. — Buffonate. 103. Lapi e Bindi. — Nomi 117. Gonfia il cappuccio. — II comunissimi in quei tempi a Fi- frate si gonfia di superbia. '^^"^^" r ,.T , 118. Ma tale. — Il demonio. 108 E non ecc. _ ^on le Becchetto. _ Punta del cap- giustitica, perchè come cristi a- . ^ ni non devono ignorare le cose Puccio. essenziali per la salvezza dell'a- 120. Di che si confida. — Che nima loro. crede di acquistare a sentire tali log. Non disse ecc. — Ai suoi prediche, primi apostoli. — .SQI — I,\ Divina Commedia per cui tanta stoltizia in terra crebbe che, senza prova d'alcun testimonio, ad ogni promission si converrebbe. Di questo ingrassa il porco sant'Antonio, ed altri ancor che son assai piìi porci, pagando di moneta senza conio. Ma perchè slam digressi assai, ritòrci gli occhi oramai verso la dritta strada, si che la via col tempo si raccorci. Questa natura si oltre s'ingrada, in numero, che mai non fu loquela né concetto mortai che tanto vada. E se tu guardi quel che si rivela per Daniel, vedrai che in sue migliaia determinato numero si cela. La prima luce, che tutta la raia, per tanti modi in essa si recepe, quanti son gli splendori a che s'appaia ; onde, però che all'atto che concepe segue l'affetto, d'amor la dolcezza diversamente in essa ferve e tepe. 123 126 129 132 135 138 141 122. Testimonio, — Dìcumen- lo che provi che chi promette la perdonanza ne ha l'autorità. 12;^. Si converrebbe. — .Ac- correrebbe in folla. 124. Sant'.\ntonio. — Il san- to eremita era dipinto con vici- no un porco, rappresentante il demonio, die ora insjrassa di questa credulità popolare. 126. Moneta senza conio. — Indulsrn/c non vere. 128. Dritta strada. — Il dl- !-C0'rso intorno ai^li anci^eli. i2q. Si che ecc. — Cosi che l'arg-omento si restringa secondo i limiti del tempo che ci resta. i.':;o. Natura ecc. — La natu- ra angelica per numero cresce tanto di grado. i;54. Mis^Iiaia. ■ — Di angeli, detto con numero indeterminato. 1,6. Prima luca. — Dio. Raia. — Irradia. 137. Per tanti. — In modo vario è ricevuta dagli angeli. 138. Splendori. — Angeli (he lìan vario grado e perciò varia- mente rifulgono di luce. i-^q. Concepe. ■ — Concepisce, comprende cioè la visio^nc di Dio. T41. In essa ferve e tepe. — Fervente o tiepida. .';<)2 Paradiso - Canto XXX Vedi l'eccelso ornai, e la larghezza dell'eterno valor, poscia che tanti speculi fatti s' ha, in che si spezza, uno manendo in sé, cerne davanti)). 145 142. L'eccelso. — La sublimi- 145. Manendo. — Restando u- tà di Dio. no come prima della creazione. 144. Speculi. — Specchi, cioè Q-li ane^eli. CANTO XXX Forse sei mila miglia di lontano ci ferve 1' ora sesta, e questo mondo china già l'ombra, quasi al letto piano, 3 quando il mezzo del cielo, a noi profondo, comincia a farsi tal che alcuna stella perde il parere infìno a questo fondo ; 6 e come vien la chiarissima ancella del sol più oltre, cosi il ciel si chiude di vista in vista infìno alla più bella : 9 non altrimenti il trionfo, che lude sempre dintorno al punto che mi vinse, parendo inchiuso da quel eh' egl' inchiude, 12 a poco a poco al mio veder si estinse ; per che tornar con gli occhi a Beatrice nulla vedere ed amor mi costrinse. 15 1-9. Forse ecc. - — Se lontano mostra piìi le stelle, neanche la circa seimila mitrila è mezzo- più fuli^ida. g^iorno (ora sesta), dove noi ci io. Non altrimenti ecc. — Co- troviamo è l'aurora; la terra me le stelle, così i nove cori an- proietta l'ombra sua a occidente gaelici (trionfo) che danzano (lude) in linea orizzontale ; il mezzo del attorno a Dio, si estinsero a po- clelo stellato si rischiara, dispa- ^^ ^ ^^^ g„li q^cHì del poeta, riscono !e stelle più piccole e an- j_,_ ^^ g,^ _ j^^. ^^^j ^^^ che le pai fjrandi, a mano a ma- ,..,,. , no che l'aurora s'inoltra. ^'^hci che lo circondano; mvece 6. A questo fondo. — La ter- esso li avvolgie di luce, ra. i.T- Nulla vedere. — Non ve- 8. Il ciel si chiude. — Non dendo più nulla. ^ 59.^ — La Divina Commedia Se quanto infino a qui di lei si dice fosse conchiuso tutto in una loda, poca sarebbe a fornir questa vice. 18 La bellezza ch'io vidi si trasmoda non pur di là da noi, ma certo io credo che solo il suo fattor tutta la goda. 21 Da questo passo vinto mi concedo, più che giammai da punto di suo tema suprato fosse comico o tragedo ; 24 che, come sole in viso che più trema, cosi lo rimembrar del dolce riso la mente mia di sé medesma scema. 27 Dal primo giorno eh' io vidi il suo viso in questa vita, infino a questa vista, non m'è il seguire al mio cantar preciso ; 30 ma or convien che mio seguir desista più retro a sua bellezza, poetando, come all' ultimo suo ciascuno artista. 33 Cotal, qual io la lascio a maggior bando che quel della mia tuba, che deduce l'ardua sua materia terminando, 36 con atto e voce d 'espedito duce ricominciò : (( Noi semo usciti fuore del maggior corpo al ciel, eh' è pura luce ; 39 iS. Poca sarebbe ecc. — Per sato non mi è riuscito impossi- dire ora degnamente di lei. bile cantar di lei, ma ora devo 2 1. Il suo fattor ecc. — .Si:>Io fare come l'artista, il quale, da- la comprende. ta all'opera sua tutta la perfe- 22. Da questo passo ecc. -— zione di cui egli era capace, nul- Da questo punto mi dichiaro vin- la di più può aggiungerle. lo. 33. Ultimo suo. ■ — Estn'nid 23. Più ecc. — Di uno scrit- orado del suo ingegno- tore comico o tragico, vinto dal- 34. Cotal. — Splendente di le difficoltà di qualche punto del- bellezza che ic' lascio descrivere l'argomento da trattare. a chi è piili capace di me. 2t;. Come ecc. — Agisce la lu- 35. Deduce. — Conduce alla ce del sole su debole vista. fine il poema. 27. La mente mia ecc. — Ren- 37. Espedito duce. — Solhciia de inferiore a sé stessa. guida. 29. Questa vista. — Beatrice in. Ma^té'or corpo. — Primo nell'Empireo. mobile o cristallino, i! più gran- 30. Non m'è ecc. — Nel pas- de dei nove cieli. — ^<)4 — Paradiso - Canto XXX luce intellettual piena d' amore, amor di vero ben pien di letizia, letizia che trascende ogni dolzore. 42 Qui vederai 1' una e l'altra milizia di paradiso, e 1' una in quelli aspetti che tu vedrai all' ultima giustizia ». 45 Come sùbito lampo che discetti gli spiriti visivi, SI che priva dell'atto l'occhio dì più forti obbietti ; 48 così mi circonfulse luce viva e lasciommì fasciato di tal velo, del suo fulgor, che nulla m'appariva. 51 « Sempre 1' amore, che quieta il cielo, accoglie in sé cosi fatta salute, per far disposto a sua fiamma il candelo ». 54 Non fùr più tosto dentro a me venute queste parole brevi, eh' io compresi me sormontar dì sopra a mia virtute ; 57 e di novella vista mi raccesi, tale che nulla luce è tanto mera che gli occhi miei non si fosser difesi. 60 E vidi lume in forma di riviera fulgido di fulgore, intra due rive dipinte di mirabil primavera. 63 40. Intellettual. — Non sen- 49. Circonfulse. — Circonfu- sibile. se. 42. Trascende ecc. — Supera s,2. L'amore. — Dio, in che cgn'i dolcezza. si placa l'Empireo. 4;^. L'una e l'altra. — I beati 53. Salute. — Luce salutare, e gli angfeli. .:;4. Candele. — Anima che 44. L'una. —Gli uomini eletti sopporta tale luce, come la can- alia beatitudine, con aspetto cor- dela resfge la fiamma, poreo, quale avranno il giorno 55. Venute. — Udite, del giudizio. .^7- Sormontar. — ■ Accrescersi 46? Discetti. — Disgreghi, di- '^t mia virtù visiva, snerda 59- Mera. — Viva. '^ e i ... ■ • • ,.. , 60. Non si fosser difesi. — 47. Spinti VISIVI. _ V.rlu VI- ^^^ ^^^^,^ agguerriti a soste- siva. nerla. 48. Dell'atto ecc. — Dell'azio- 5,. Riviera. — Fiume. ne di luce più Intensa. f)-,. Dipinte ecc. — Fiurit»-. — f,9?, ~ La Divina Commedia Dì tal fiumana uscìan faville vive, e d'ogni parte si meitean nei fiori, quasi rubin che oro circonscrive ; 66 poi, come inebriate dagli odori, riprofondavan sé nel miro gurge, e, s' una entrava, un' altra n' uscia fuori. 69 « L'alto disio che mo t' infiamma ed urge d'aver notizia di ciò che tu véi, tanto mi piace più, quanto pili turge ; 72 ma di quest'acqua convien che tu bèi, prima che tanta sete in te si sazi » :, cosi mi disse il sol degli occhi miei. 75 Anco soggiunse : « Il fiume e li topazi, ch'entrano ed escono, e il rider dell'erbe son di lor vero ombriferi prefazi ; 78 non che da sé sien queste cose acerbe : ma è difetto dalla parte tua, che non hai viste ancor tanto superbe)). 81 Non è fantin che si sùbito rua col volto verso il latie, se si svegli molto tardato dall'usanza sua, 84 come fec'io, per far migliori spegli ancor degli occhi, chinandomi all'onda che si deriva, perché vi s' immegli. 87 64. Favilla. — Angeli. 7g. Cose acerbe. — Imperfpt- 6=;. Si mettean nei fiori. — Si te. Dosavano sui fiori i beati che e- Si. Viste ecc. — Occhi peiie- rano ?ulle rive. tranti, perfetti. 68. Miro gurjJe. — Gorgo me- .S2. Fantin. — Fantolino, bim- taviglioso, cioè il fiume deirEm- bo. pireo. ,S2. Rua. — Volga.si, si preci- 70. Urge. — Stimola. piti. 71. Véi. — ■ Vedi. 84. Molto ecc. — Assai più 72. Turge. — • Si fa intenso. tardi del solito. 74. Sete. — Di sapere. 85. Per far ecc. — Afììnchè 77. Il rider. — I fiori. gli occhi miei fos.'-pro specchi 78. Son di lor vero ecc. — più perfetti. Immagini o figure prrdimoslrati- 87. Si deriva ecc. — Provie- ve (prefazi - profazicni) del loro ne da Dio perchè in esso le fa- essere reale. colta umane si rendano migliori. — 59Ó — Paradiso - Canto XXX E si come di lei bevve la gronda delle palpebre mie, cosi mi parve di sua lunghezza divenuta louda. 90 Poi, come gente stata sotto larve, che pare altro che prima, se si sveste la sembianza non sua in che disparve ; 93 cosi mi si cambiaro in maggior feste li fiori e le faville, si eh' io vidi ambo le corti del ciel manifeste. 96 O isplendor di Dio, per cu' io vidi r alto trionfo de! regno verace, dammi virtù a dir com' io lo vidi. 99 Lume è là su, che visibile face lo creatore a quella creatura, che solo in lui vedere ha la sua pace ; 102 e sì distende in circular figura in tanto che la sua circonferenza sarebbe al sol troppo larga cintura. 105 Passi di raggio tutta sua parvenza riflesso al sommo del Mobile primo, che prende quindi vivere e potenza. 108 E come clivo in acqua di suo imo si specchia, quasi per vedersi adorno, quando è nell'erbe e nei fioretti opimo. 111 88. Gronda. — Le cig^lia, che rilo Santo, per altri la grazia il- fanno riparo agli occhi come luminante. grondaia. loi. Quella creatura. — Qua- qo. Di sua lunghezza ecc. — lunque creatura. DI lunen farsi tonda. lo.v Sarebbe al sol ecc. — Es- pi. Sotto larve. — Mascherati. t:cndo più grande de! sole. qz. Si sveste. — Si smasche- io6. Passi ecc. — La sua par- rà, venza deriva da un raggio ri- q'^. Disparve. — Si nascose. flesso sulla superfìcie esterna del 94. Si cambiare. — Si mo- Primo Mobile, il cui moto (po- strarono. lenza) procede dall'Empireo. 06. Ambo le corti. — I beati, loq. Clivo. — Collina sptc- e gli angeli. chiantesi nell'acqua corrente ai 100. Lume. — II fiume di hi- suoi piedi. ce raffigurante per alcuni lo Sjii- m. Opimo. — Ricco. ^ , — .S97 — Patite. 38 La Divina Commedia si soprastando al lume intorno intorno vidi specchiarsi, in più di mille soglie, quanto di noi là su fatto ha ritorno. 114 E se l'infimo grado in sé raccoglie si grande lume, quant' è la larghezza di questa rosa nell'estreme foglie? 117 La vista mia nell'ampio e nell'a'tezza non si smarriva, ma tutto prendeva il quanto e il quale di que'-la allegrezza. 120 Presso e lontano li né pon né leva, che dove Dio senza mezzo governa la legge naturai nulla rileva. 123 Nel giallo della rosa sempiterna, che si dilata, digrada e redole odor di lode al sol che sempre verna, 126 qual è colui che tace e dicer vuole, mi trasse Beatrice, e disse : <( Mira quanto è il convento delle bianche stole ! 129 Vedi nostra città quanto ella gira ! vedi li nostri scanni si ripieni che poca gente om.ai ci si disira. 132 In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni per la corona che già v' è su posta, prima che tu a queste nozze ceni 135 112. Soprastando. — Rotando 123. Nulla rileva. — Non ha sopra la luce. vigore. 113. Soglie. — Gradini. 124. Nel giallo. — Nel centro, 114. Quanto ecc. — Le anime ove nella rose sono gli stami dei beati. gialli. 115. L'infìmo grado.— Il gra- i'2;. Si dilata ecc. — Si allar- dino pilli basso. ea di gradino in gradino e dif- 117. Estreme foglie. — I som- fonde odore di lode a Dio, che mi gradini. fiorisce in primavera eterna. 119. Prendeva. — Abbraccia- 129. Quanto ecc. — Com'è va. ampia l'accolta dei beati. 120. Il quanto e i3 quale. — j^q. Città ecc. — Quanto si L'intensità e la qualità. ^.^en^e all'intorno. 121. Presso ecc. — La vici- nanza o lontananza non accresce 132. Che ecc. — Perchè è né diminuisce la visione celeste Prossima la_ fine del mondo, o, nell'Empireo. secondo altri, perchè ora gli uo- 122. Senza mezzo. — Diretta- mini sono corrotti, mente. 135. Ceni. — Sii morto. — .S98 — Paradiso - Canto XXXI sederà 1' alma, che fia giù agosta, dell'alto Enrico, eh' a drizzare Italia verrà in prima che ella sia disposta 138 La cieca cupidigia, che vi ammalia, simili fatti v'ha al fantolino, che muor di fame e caccia via la balia ; 141 e fìa prefetto n«l fòro divino allora tal, che palese e coperto non anderà con lui per un cammino. 144 Ma poco poi sarà da Dio sofferto nel santo ofRzio ; ch'ei sarà detruso là dove Simon mago è per suo merto, e farà quel d 'Alagna esser più giuso ». 148 136. Agosta. — Augusta. 142. Prefetto. — Capo della 137. Enrico. — Dell'imperato- Chiesa. re Àrrio:o VII di Lussemburg-o, 143. Tal ecc. — Clemente V, morto a Buonconvento (13 13). che gli attraverserà la strada In lui Dante riponeva ogni spe- con arti palesi ed occulte, ranza, per il bene d'Italia e per 146-147. Detriiso. — Inabissa- li proprio ritorno in patria. to nella terza bolgia dell'ottavo 138. In prima. — Prima che cerchio infernale, tra i simonia- 1 Jtaha sia disposta alla restau- • razione dell'impero. ' r. « 1 -nti ^ r, • nq. La cieca cupidigia ecc. ^48. Quel d Alagna. - Bom- — La passione di parte v 'impedi- f^^io VIII d'Anagm. sarà spinto sce di fare buone accoglienze ad niù in basso dallo spirito danna- Arrigo VII, che viene a guarir- io sopravveniente. ,vi de' vostri ma'i. CANTO XXXI In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa, che nel suo sangue Cristo fece sposa ; 3 ma l'altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la innamora e la bontà che la fece cotanta, 6 3. Cristo... — Fece sposa la schiera degli angeli non sta se- milizia dei beati redenti col iuo duta. martirio. 6. Cotanta. — Eccelsa. 4. Ma l'altra, che ecc. — La ^ 500 — La Divina Commedia si come schiera d' api, che s' infiora una fiata ed una sì ritorna là dove suo lavoro s'insapora, 9 nel gran fior discendeva, che s' adorna di tante foglie, e quindi risaliva là dove il suo amor sempre soggiorna. 12 Le facce tutte avean di fiamma viva, e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco che nulla neve a quel termine arriva. 15 Quando scendean nel fior, di banco in banco porgevan della pace e dell' ardore, ch'egli acquistavan ventilando il fianco. 18 Né Io ìnterporsi tra il di sopra e il fiore di tanta plenitudine volante impediva la vista e lo splendore; 21 che la luce divina è penetrante per l'universo, secondo eh' è degno, si che nulla le puote essere ostante. 24 Questo sicuro e gaudioso regno, frequente in gente antica ed in novella, viso ed amore avea tutto ad un segno. 27 O trina luce, che in unica stella scintillando a lor vista si gli appaga, guarda qua giti alla nostra procella. 30 Se i barbari, venendo di tal plaga, che ciascun giorno d' Elice si copra, rotante col suo figlio ond'ell'è vaga, 33 7. S'inflora. — Succhia nella 27. Viso. — La vista. oorolia del fiore. Sej^no. — Dio. q. Là. — Nell'alveare. 28. Trina luce. — Luce della i.i;. Termine. — Grado estrc- Trinità, mo di candore. 30. Qua 0ù. — Sulla terra. 16. Di banco in banco. — Di 7,^-3,6. I barbari, venendo da- s^radino in fjiardino. ecc. — I barbari venendo dal 18. E^H. — Esalino. nord, su cui gfira l'Orsa mag-- Ventilando. — Battendo le ali eiore, (che sarebbe la ninfa E- verso Dio. lice), "stupivano vedendo Roma e iq. Di sopra. — Il se^-gio di- i suoi eccelsi monumenti, quan- vìno. do essa (Latcrano) fu signora 2'^. Degno. — D'accoglierla. del mondo con l'impero e il pa- 24. Ostante. — Di ostacolo. oato. 26. Frequente. — Popolato dn. -,2. Elice. — Questa ninfa, do- cce po avf^r dato alla luce Arcade, — 600 — Paradiso - Canto XXXI vedendo Roma e l'ardua sua opra stupefacénsi, quando Laterano alle cose mortali andò di sopra ; 36 io, che al divino dall' umano, all'eterno dal tempo era venuto, e di Fiorenza in popol giusto e sano, 39 di che stupor dovea esser compiuto ! Certo tra esso e il gaudio mi facea libito il non udire e starmi muto. 42 E quasi peregrin, che si ricrea nel tempio del suo vóto riguardando e spera già ridir com' elio stea, 45 si per la viva luce passeggiando, menava io gli occhi per li gradi, mo su, mo giù e mo ricirculando. 48 Vedea di carità visi suadi, d' altrui lume fregiati e del suo riso, ed atti ornati di tutte onestadi. 51 La forma general di paradiso già tutta mio sguardo avea compresa, e in nulla parte ancor fermato il viso ; 54 e volgeami con voglia riaccesa per domandar la mia donna di cose, di che la mente mia era sospesa. 57 venne da Giunone mutata in or- stupore e il gaudio, mi compia- sa. Il fig^lio, divenuto cacciatore, cevo non ascoltare e tacermi, stava per uccidere la madre, e 44. Tempio del suo vóto. - — allora Giove li trasportò entragni- Che visita per scioijliere un voto. bi nei cieli, trasformando l'una 45. Ridir. — Descriverlo co- neirOrsa maga^iore, e l'altro nel- me egli lo ha veduto. l'Orsa minore. 48. Ricirculando. — Moven- ?,7-?i9- I®> che al divino ecc. dosi in giro. — Venute al divino, all'eterno, 49. Suadi. — Informati a ca- al popol giusto e santo dalTuma- rità. no e da Firenze, quanto non do- -q D'altrui Di Dio vevo esser più stupito dei Bar- ^jI onestadì. - Decoro, di- bari che passavano dal Nord a ■; , Roma, ossia da cosa umana a S"' cosa pure umana. 54- Nulla parte. — In nessun 40. Compiuto. — pieno. punto particolare. 41. Tra esso ecc. — Tra lo s,y. Sospesa. — Dubbiosa. — 60T — La Divina Commedia Uno intendea, ed altro mi rispose ; credea veder Beatrice, e vidi un sene vestito con le genti gloriose. 60 Diffuso era per gli occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio, quale a tenero padre si conviene. 63 Ed : (c Ella ov'è? » di sùbito diss'io ; ond'egli : « A terminar Io tuo disiro mosse Beatrice me del loco mio ; . 66 e se riguardi su nel terzo giro del sommo grado, tu la rivedrai nel trono che i suoi merti le sortirò ». 69 Senza risponder gli occhi su levai, e vidi lei che si facea corona, riflettendo da sé gli eterni rai. 72 Da quella region, che più su tuona, occhio mortale alcun tanto non dista, qualunque in mare più giù s'abbandona, 75 quanto li da Beatrice la mia vista ; ma nulla mi facea, che sua effige non discendeva a me per mezzo mista. 78 <( O donna, in cui la mia speranza vige e che soffristi per la mìa salute in inferno lasciar le tue vestige ; 81 .liS. Uno intendea, ed altro. chio dislava di più dall'occhio ■ — Intendevo parlare a Beatrice, di Beatrice, che non l'occhio mor- e trovo invece altra persona. tale, il quale, dal profondo del 59. Sene. — Vecchio. mare, risjuardi la regione più 60. Vestito ecc. — Di bianca alta dell'atmosfera. stola, come tutti i beati; 77. Nulla mi facea. — Non 61. Gene. — Gote. offuscava l'immao^ine di Beatri- 65. Terminar. — A compiere. ce. 67. Terzo ^iro. — Della rosa. yg. Mezzo mista. — Attenua- Nel I è Maria; nel II Eva; nel ^^ ^^ ^,^ ^^^,^20, da un ostacolo. Ili sono Rachele e Beatrice. q ^^^^^ _ Beatrice, in 60. Sortirò. — Assegnarono. ... , . 71. Facea corona. - Aureola, ^ui ha vigore la mia speranza, riflettendo intorno i raggi divini. 81. In mferno. — Scendere 73-76. Da quella region. — nrl Limbo a sollecitare Virgilio Dove sede\'a Beatrice. Il mio oc- per la mia salve7za. I — 602 — Ì'aradìso - Canto XXXI di tante cose, quante io ho vedute, dal tuo potere e dalla tua bontate riconosco la grazia e la virtute. 84 Tu m'hai di servo tratto a libertade per tutte quelle vie, per tutti i modi, che di ciò fare avéi la potestate. 87 La tua magnificenza in me custodi si che l'anima mia, che fatta hai sana, piacente a te dal corpo si disnodi ». 90 Cosi orai ; ed ella si lontana, come parea, sorrise e riguardommì ; poi si tornò all'eterna fontana. 93 E il santo sene : (c Acciò che tu assommi perfettamente, disse, il tuo cammino, a che prego ed amor santo mandommi, 96 vola con gli occhi per questo giardino ; che veder lui t'acconcerà lo sguardo più al montar per lo raggio divino. 99 E la regina del cielo, end' i' ardo tutto d'amor, ne farà ogni grazia, però ch'io sono il suo fedel Bernardo )>. 102 Quale è colui, che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l'antica fama non si sazia, 105 82. Di tante cose. — Vedute atto il tuo sofuardo a levarsi più nei tre regni, riconosco a te il alto nella ijloria divina, merito. 100. Regina. — Maria. 85. Servo. — Del peccato. 102. Bernardo. — (10Q1-1153) 87. Avéi. — Avevi. di Fontaines, abate a Clairvaux, 88. Custodi. — Conserva in promosse la II crociata; fu con- me la libertà dello spirito. sigliere di vescovi, principi e pa- go. Piacente. — In istato di dì ed avversario di Abelardo. grazia anche quando, con la mor- 103. Croazia. — Per dire di te, sarà libera da! corpc. lontano assai. 93- Si tornò. — Si rivolse an- 104. Veronica. — Vera icone, coira a Dio. ossia vera immag^ine ; è il suda- 94. Santo sene. — San Ber- ^io con l'impronta del volto di '^A^^l.^^- 'n • • Cristo, conservato nella basilica Assommi. — iermini. q6. Prego ecc. — Di Beatri di S. Pietro a Roma. lo.t;. Antica fama. — Non si q8. Veder lui ecc. — Rimirare sazia di rimirarla,^ per la fama la mistica rosa dei beati renderà antica dell'immagine. ce. — 603 La Divina Commf.dia ma dice nel pensier, fin che si mostra : (( Signor mio Gesù Cristo, Dio verace, or fu si fatta la sembianza vostra?» 108 tale era io mirando la vivace carità di colui, che in questo mondo, contemplando, gustò di quella pace. Ili (( Figliuol di grazia, questo esser giocondo, cominciò egli, non ti sarà noto tenendo gli occhi pur qua giù al fondo; 114 ma guarda i cerchi fino al più remoto, tanto che veggi seder la regina, cui questo regno è suddito e devoto». 117 Io levai gli occhi ; e come da mattina le parti orientai dell'orizzonte soperchian quella dove il sol declina, 120 cosi, quasi di valle andando a monte, con gli occhi vidi parte nello estremo vincer di lume tutta l'altra fronte : 123 e come quivi, ove s'aspetta il temo che mal guidò Fetonte, più s'infiamma, e quinci e quindi il lume è fatto scemo; 126 cosi quella pacifica oriafiamma nel mezzo s'avvivava, e d'ogni parte per egual m.odo allentava la fiamma. 129 107. Signor ecc. — Equivale 121. Andando. — Guardando ad un'; ffermazione. in alto. no. Carità. — Ardente amore 122. Estremo. ■ — Sommità, di S. Bernardo. i2.'^. Fronte. — La parte cir- 111. Gustò. — Pre£TUstò nella costante della rosa. vita terr^*na, nella meditazione, 124. Temo. — Timone, per il la beatitudine eterna. sole. 112. Figliuol di grazia. — 126. E' l'alto scemo. — Ai la- Uomo rigenerato dalla divina ti ; cioè di qua e di là del luogo strazia. donde sorsje il sole, la luce è me- 114. Al fondo. — Nel basso no viva, della rosa. 127. Oriafiamma. — Stendar- 116. Tanto che veggi ecc. — do fiammante con asta dorata, Finché non gfiunsfa a veder dove oer indicare le parti del cielo co- siede Maria, regina di questo re- lor di fiamma e d'oro, attorno al sno. seggio di Maria. 120. Soperchian. — Di luce il 129. Allentava. — Attenuava ponente. l'intensità. 604 Paradiso - Canto XXX fi Ed a quel mezzo, con le penne sparte, vidi più di mille angeli festanti, ciascun distinto e di fulgore e d'arte. 132 Vidi quivi ai lor giochi ed ai lor canti ridere una bellezza, che letizia era negli occhi a tutti gli altri santi. 135 E s'io avessi in dir tanta divìzia, quanto ad imaginar, non ardirei lo minimo tentar di sua delizia. 138 Bernardo, come vide gli occhi miei nel caldo suo caler fissi ed attenti, li suoi con tanto affetto volse a lei che ì miei di rimirar fé' più ardenti. 142 i-^o. Penne. — Ali aperte. 138. Lo minimo, ecc. — Ten- 132. D'arte. — Di inovimen- tare di esprimere la minima par- to, te. 1-^4. Bellezza. — Maria. 140. Suo calor. — Maria, a 1-^6. Divizia. ■ — Anche se io cui si rivolere l'amore di San avessi ricchezza di linguaggio, Bernardo, potenza di espressione. CANTO XXXII Affetto al suo piacer, quel contemplante libero ufficio di dottore assunse, e cominciò queste parole sante : 3 « La piaga, che Maria richiuse ed unse, quella ch'è tanto be'la da' suoi piedi è colei che l'aperse e che la punse. 6 1. Affetto a! suo piacer. — 4. La plaj^a ecc. — La Ver- Intento pur sempre a riguarda- p:'me, per mezzO' del figlio, liberò •re la Vergine. l'uomo dal peccato originale, che Quel contemplante. — San gravava sopra il genere umano Bernardo. rome piaga aperta da Eva, la 2. UfiBcio di dottore. — Di quale siede ai piedi di Maria, maestro. — 6">^ — La DtviKA CoìvtMEDiA Nell'ordine, che fanno i terzi sedi, siede Rachel di sotto da costei con Beatrice, si come tu vedi. Sara, Rebecca, Giuditta e colei che fu bisava al cantor, che, per doglia del fallo, disse : Miserare mei, puoi tu veder cosi di soglia in soglia giù digradar, com'io ch'a proprio nome vo per la rosa giù di foglia in foglia. E dal settimo grado in giù, si come infìno ad esso, succedono Ebree, dirimendo del fior tutte le chiome ; perché, secondo lo sguardo che fèe la fede in Cristo, queste sono il muro a che si parton le sacre scalèe. Da questa parte, onde il fior è maturo di tutte le sue foglie, sono assisi quei che credettero in Cristo venturo : dall'altra parte, onde sono intercisi di vóti, in semicircoli si stanno quei ch'a Cristo venuto ebber li visi. 12 15 18 21 24 27 7. Nell'ordine ecc. — Nel ar- 7.0 ordine di sejys^i, contando^ dal- l'alto. S. Rachel. — Cfr. Purgatorio XXVIII, 108. IO. Sara. — MoQlie del pa- triarca Àbramo, madre d'Isac- co, e di coloro che credettero nella venuta di Cristo. Rebecca. — Moglie d'Isacco. Giuditta. ■ — Giuditta, figlia d'i Merarir, uccise Oloferne per liberare i Giudei. Colei ecc. — Ruth, bisava del re Davide, il quale domandò per- dono a Die-, d'aver amato Bet- sabea ed ucciso Uria, marito di lei. 12. « Miserere mei». — «Abbi nictà di me», è detto nel salmo L, della penitenza. IT,. Di soglia in so^^lia ecc. — Sedute i'una ai piedi dell'altra, di gradino in gradino. 14. Com'Ic ecc.. — Come io ti vengo mostrando, indicandoti a nome le persone che sono nella rosa. 16. Si come ecc. — Come dal primo grado al settimo, da Maria a Ruth. ]8. Dirimendo ecc. — Separan- do le foglie della rosa. iq. Perchè, secondo ecc. — Secondo la fede degli uomini in CristjO. Gli scanni di queste don- ne beate dividono la rosa in due parti : quella a sinistra com- orende le anime credenti in Cri- sto «venturo», l'altra a destra, quelle credenti in Cristo « ve- nuto». 25-26. Onde sono intercisi ecc. — Nella parte destra ci «ono o- — 606 — t'ARADiso - Canto XXXÌI E come quinci il glorioso scanno della donna del cielo, e gli altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno, cosi di contra quel del gran Giovanni, che sempre santo il diserto e il martiro sofferse, e poi l'inferno da due anni ; e sotto lui cosi cerner sortirò Francesco, Benedetto ed Angustino ed altri sin qua giù di giro in giro. Or mira l'alto provveder divino, che l'uno e l'altro aspetto della fede egualmente empierà questo giardino : e sappi che dal grado in giù, che fìede a mezzo il tratto le due discrezioni, per nullo proprio merito si siede, 30 33 36 39 42 trni tanto posti vuoti per i beali futuri. 28. Quinci. — Dal Iato che ab- biamo guardato finora. 2q. Donna del cielo. — La Vergine, regina del cielc-. -^o. Cerna. — Segnano la di- visione. 31. Di contra. — Nel Iato op- posto. 31. Giovanni. — Battista, pre- cursore di Cristo : visse nel de- serto e fu giustiziato da Erode due anni prima della crocifissio- ne del Redentore. 32. Sempre santo. — Dalla nascita, pur avendo questa pre- ceduta quella di Cristo reden- tore. 33. L'inferno. — Il limbo, do- ve Cristo scese a liberarlo con gli altri spiriti. 34. Cerner sortirò ecc. — Eb- bero in sorte di segnare la divi- sione tra le anime del Vecchio e del Nuove Testamento. 315. Francesco. — :D' Assisi Cfr.' Par. XI, 4."^. Benedetto. - — Cfr. Paradiso XXII, 28. Angustino. — Di Tagasla (354-426), convertito da Sant'Am- brogio a Milano, dove era venu- to come maestro di retorica ; fu poi vescovo d'Ippona. Quale fon- datore della leologia scientifica, compi, con San Benedetto, fon- datore della vita monastica atti- va, e San Francesco, fondatore della vita monastica vivente nel- la povertà, l'opera del Battista, che aveva preparato l'avvento di Cristo. 37. Or mira ecc. — La prov- videnza divina farà si che le due schiere di beati riempirami;:) in pari numero le due parti della ! o«a. 40. E sappi ecc. ■ — Dal cer- chio che taglia a metà le due li- nee di separazione delle due ca- tegorie di beati, in giù, stanno ì bambini che han sede in Para- diso non per merito proprio, ma per la fede dei loro genitori. — 607 — La Divina Commedia ma per l'altrui, con certe condizioni ; che tutti questi son spiriti assolti prima ch'avesser vere elezioni. 45 Ben te ne puoi accorger per li volti, ed anco per le voci puerili, se tu li guardi bene e se gli ascolli. 48 Or dubbi tu, o dubitando sili ; ma io ti solverò il forte legame, in che ti stringon li pensier sottili. 51 Dentro all'ampiezza di questo reame casual punto non puote aver sito, se non come tristizia o sete o fame ; 54 che per eterna legge è stabilito quantunque vedi, si che giustamente ci si risponde dall'anello al dito. 57 E però questa festinata gente a vera vha non è sine causa : entrasi qui più o meno eccellente. 60 Lo rege, psr cui questo regno pausa in tanto amore ed in tanto diletto che nulla volontà è di più ausa, 63 le menti tutte nel suo lieto aspetto, creando, a suo piacer di grazia dota diversamente; e qui basti l'effetto. 66 4.q. Prima ch'avesser ecc. — ^8. E però ecc. — E per que- Prima che avessero libera vo!on- sto non è senza ragione (sine tà di scelta. causa) che a qu:;ste anime, (fe= 40. Sili. — Taci. stinate) affrettatesi a venire alla 50. Ma io ecc. — Con la fede vera vita, siano assegnati vari ti scioglierò il dubbio in cui sei gradi di beatitudine, caduto, per sottigliezza di ragio- 61. Lo re^e. — Dio. namento. Pausa. — Si posa. 53. Casual punto. — Il caso 63. Ausa. — Ardita di chieder non vi alberga, rome non v'han- di più. no posto la tristezza, ecc. 64.. Le nienti ecc. — Creando 56. Quantunque. — Tutto ciò. le anime assegna loro diversi 57. Ci si risponde ecc. — E' gradi di grazia. rispondenza prefetta tra beatitu- 66. E qui basti l'effetto. — dine e merito, come tra dito ed Basta dire l'effetto, senza andar- anellc-. ne a ricercare le cause. — 608 — Paradiso - Canto >.XXII E ciò espresso e chiaro vi si nota nella scrittura santa in quei gemelli, che nella madre ebber l'ira commota. Però, secondo il color dei capelli di cotal grazia, l'aUissimo lume degnamente convien che s'incappelli. Dunque, senza mercè di lor costume, locati son per gradi differenti, sol differendo nel primiero acume. Bastava si nei secoli recenti con l'innocenza, per aver salute, solamente la fede dei parenti ; poi che le prime etadi fùr compiute, convenne ai maschi all'innocenti penne, per circoncidere, acquistar virtute : ma, poi che il tempo della grazia venne, senza battesmo perfetto di Cristo tale innocenza là giù si ritenne. Riguarda omai nella faccia ch'a Cristo più si somiglia, che la sua chiarezza soia ti può disporre a veder Cristo», 69 72 75 78 84 87 68. Scrittura santa. — Il Vec- chio Testamento. Quei .gemelli. — Esaù e Gia- cobbe, figli g:emelli di Rebecca, volevano entrambi esser il primo a nascere. Ma Dio aveva detto : « il masfo'iore (Esaù) servirà il minore (Giacobbe). 70. Però ecc. — Il lume bea- tifico è sovrapposto al capo dei bambini secondo la misura del- la gfrazia cbe Dio asseg;nò loro nascendo. 11 grado della grazia, ossia 'a predestinazione propria, pareva indicato dal colore dei capelli. (Esaù era rosso e Gia- cobbe nero di capelli). 7:^ Mercè. — Merito delle lo- ro opere. 75. Primiero acume. — Solo perchè dapprima ebbero, nascen- do, differente grazia. 76. Bastava ecc. — Da Ada- mo ad Abramo, cioè nei tempi prossimi alla creazione, perchè i bambini potessero andare in Pa- radiso, bastava la fede dei pa- renti : da Abramo a Cristo, pei maschi, fu necessaria la circon- cisione ; dopo Cristo, ci volle il battesimo. 80. All'innocenti ecc. — Con- \enne accrescer la forza di volare al cielo, mediante la circc-ncisio- ne. 84. Là giù ecc. — Fu destina- ta al Limbo. 85. Riguarda ecc. — Guarda il viso di Maria. S5. Ch'arezza. — Splendore, — 609 La Divina Commedia Io vidi sopra lei tanta allegrezza piover, portata nelle menti sante create a trasvolar per quella altezza, 90 che quantunque io avea visto davante di tanta ammirazion non mi sospese, né mi mostrò di Dio tanto sembiante. 93 E quell'amor che primo li discese, cantando : Ave, Maria, grafia piena, dinanzi a lei le sue ali distese. 96 Rispose alla divina cantilena da tutte parti la beata corte, si ch'ogni vista sen fé' più serena. 99 (c O santo padre, che per me comporte l'esser qua giù lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per eterna sorte, 1U2 qual è queU'angel, che con tanto gioco guarda negli occhi la nostra regina, innamorato si che par di foco? >> 105 Cosi ricorsi ancora alla dottrina di colui ch'abbelliva di Maria,' come del sole stella mattutina. 108 Ed egli a me : <( Baldezza e leggiadria, quanta esser può in angelo ed in a'ma, tutta è in lui, e si volem che sia, 1 1 1 perch'egli è quegli che portò la palma giù a Maria, quando il figliuol di Dio carcar si volle della nostra salma. 114 8q. Portata. — Dagli angeli. loi. Qua giù. — Nd fondo Q2. Non mi sospese. — Tutto della rosa celeste. quanto avevo visto prima non mi 103. Gioco. — Festa. sorprese tanto. 107. Ch'abbelliva. — Che si 93. Né mi mostrò ecc. — Né faceva bello nella conteniplazidiic mi mostrò tanta parte dell'aspet- di Maria. te di Dio. 112. Perch'egli ecc. — L'ar- 94. Li. — Sopra la Vergine. cangelo Gabriele comunicò a M;i- qé. Distese. — L'arcangelo ria essere lei l'eletta a madre Gabriele aperse le ali in atto del Messia. d'adorazione. 112. La palma. — Dell'annun- 99. Serena. — Ogni beato ciazione, simbolo della scelta crebbe di luce. fatta da Dio. 100. Comporte. — Supponi vo- 114. Carcar ecc. — Volle as- lentieri. sumere forma mortale. -- 6h) — Paradiso - Canto XXXII Ma vieni ornai con gli occhi, si oom'io andrò parlando, e nota i gran patrici di questo imperio giustissimo e pio. Quei due che seggon là su più felici, per esser propinquissimi ad Augusta, son d'està rosa quasi due radici. Colui che da sinistra le s'aggiusta, è il padre, per lo cui ardito gusto l'umana specie tanto amaro gusta. Dal destro vedi quel padre vetusto di santa Chiesa, cui Cristo le chiavi raccomandò di questo fior venusto. E quei che vide tutt'i tempi gravi, pria che morisse, della bella sposa che s'acquistò con la lancia e coi chiavi, siede lungh'esso ; e lungo l'aliro posa quel duca, sotto cui visse di manna la gente ingrata, mobile e ritrosa. Di contro a Pietro vedi sedere Anna, tanto contenta di mirar sua figlia che non move occhi per cantare Osanna. 117 120 123 126 129 132 135 11^. Vieni ornai ecc. — Seguii con gli occhi il mio dire. ii6. Patrici. — Patrizi, gii e- lelti. ii8. Più felici. — Nel primo ordine. iig. Per esser ecc. — Vici- nissimi alla Vergine, imperatri- ce del celeste regno. 120. I^adici. — Capostipiti. 121. S'aggiusta. — Le sta vi- cino (iuxta). 122. Il padre. — Adamo per il cui gusto ribelle di voler assag- giare il frutto proibito rumaniti\ nasce col peccato originale. 124. Padre vetusto. — San Pietro. 126. Di questo fior. — Del bel regno celeste. 172. E Quei elle' vide ecc. — San Giovanni evangelista scris- se l'Apocalisse, storia profetica della Chiesa, sposata da Cristo trafitto dalla lancia di Longino e dai chiodi. 130. Lungh'esso. — Vicino a S. Pietro. 130. L'altro. — E accanto ad Adamo siede Mosè, che condus- se il popolo ebreo nella Terra Promessa, nutrendolo nel deser- to per quarant'anni delia manna caduta dal cielo. 133. Anna. — Moglie di Gioa- chino e madre di Maria. 135. Che non move ecc. — Pur cantando «osanna» non tialascia di guardare la figlia. 611 La Divina Commedia E contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna, quando chinavi, a ruinar, le ciglia. 138 Ma perché il tempo fugge, che t'assonna, qui farem punto, come buon sartore che, com'egli ha del panno, fa la gonna; 141 e drizzeremo gli occhi a! primo amore, si che, guardando verso lui, penetri, quant'è possibil, per lo suo fulgore. 144 Veramente (né forse tu t'arretri movendo l'ali tue, credendo oltrarti) orando grazia convien che s'impetri, 147 grazia da quella che può aiutarti ; e tu mi segui con l'affezione, si che dal dicer mio lo cor non parti » ; e cominciò questa santa orazione. 151 i;,6. Padre di famiglia. — A- 143. Penetri. — T'addentri nel damo, nadre dell'umanità. suo fulsjore. 137. Lucia. — Cfr. Inf. II 97. 14;. Veramente ecc. — Ma, 138. Quando ecc. — Avendo affinchè tu non abbia a retroce- perso la speranza di giungere in dere, credendo d'inoltrarti, con- vetta al co!le luminoso, ricadevi viene che tu con la preghiera a nella selva del peccato. Maria ottenga la grazia di prc- 139. Cbe t'assonna. — Ti ra- gredire nella visione beatifica, pisce in estasi. 14S. Quella. — Maria. 141. Che, com'egli ecc. — Che 149. E tu ecc. — Arcompa- fa le vesti più o meno amp e, ona con affetto e compunzione secondo il panno di cui dispone. la preghiera, ripetendola in cuor 14^. Primo amore. — Dio. tuo. CANTO XXXIII K Vergine madre, figlia del tuo figlio, umi'e ed alta piti che creatura, term.ine fisso d'eterno consiglio, 3 3. Termine ecc. — Designata 1. Figlia ecc. — Creatura e ab eterno da Dio quale madre madre di Dio. del Redentore. 2. Umile, — Per la sua umil- tà piacque a Dio. — 6u — Paradiso - Canto XXX IH tu se' colei, che l'umana natura nobilitasti si che il suo Fattore non disdegnò di farsi sua fattura. 6 Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo nell'eterna pace cosi è germinato questo fiore. 9 Qui sei a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra i mortali, sei di speranza fontana vivace. 12 Donna, sei tanto grande e tanto vali che, qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disianza vuol vo'.ar senz'ali. 15 La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al domandar precorre. 18 In te misericordia, in te pietate, in te m-agniflcenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. 21 Or questi, che dall'infima lacuna dell'universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, 24 supplica a te, per grazia, di virtute tanto che possa con gli occhi levarsi più alto verso l'ultima salute. 27 Ed io, che mai per mio veder non arsi più ch'io fo per lo suo, tutti i miei preghi ti porgo, e prego che non sieno scarsi, 30 6. Sua fattura. — Figliuolo siderio è vano come quello di di donna. chi desidera volare senz'ali. 7. L'amore. — Tra Dio e l'u- 21. Quantunque. — Tutte ciò manità. che di buono. 8-Q. Per Itf) cui ecc. — In 22. Lacuna ecc. — L'inferno. virtù della redenzione compiuta 24. Spiritali. — • Degli spiriti. da Cristo si formò questa rosa 27. Ultima salute. — Dio'. candida. 28. Ed io, ecc. — Non desi- io. Meridiana. — Ardente co- derai mai per me di veder Dio, me il sole a mezzogiorno. come desidero era che lo veda 12. Vivace. — Inesauribile. Dante. 14. Oual. — Chiunque. 30. Scarsi. — Fo voti che rie- 15. Sua disianza. — II suo do- scano efficaci. - 61;^ - Dan (e. 39 La Divina Commedia perché tu ogni nube gli disleghi di sua mortalità coi preghi tuoi, si che il sommo piacer gli si dispieghi. 33 Ancor ti prego, regina che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, gli affetti suoi. 36 Vinca tua guardia i movimenti umani : vedi Beatrice con quanti beati per li miei preghi ti chiudon le mani ». .39 Gli occhi da Dio diletti e venerati, fissi nell'orator, ne dimostrare quanto i devoti preghi le son grati. 42 Indi all'eterno lume si drizzaro, ne! qual non si de' creder che s'invii per creatura l'occhio tanto chiaro. 45 Ed io ch'ai fine di tutti i disii m'appropinquava, si com'io dovea, l'ardor del desiderio in me finii. 48 Bernardo m'accennava, e sorridea, perch'io guardassi suso : ma io era già per me stesso tal qual ei volea ; 51 che la mia vista, venendo sincera, e più e più entrava per lo raggio dell'aita luce, che da sé è vera. 54 31. Disleghi ecc. — Perchè tu 44. Nel qual ecc. - Nessun pregando Dio liberi la sua men- occhio penetra tanto addentro te da ogni cura (nube) mortale, nella visione di Dio quanto quel- affinchè eoli groda la g'ioia su- li della \'ergine. prema della piena visione di Dio. 47. Com'io dovea. — Com'c- 3.q. Che conservi ecc. ■ — Che ra naturale, preservi dal peccato il suo animo, 48. Finii. — Di ardere dal do- dopo la mirabile visione. siderio, \icino a compiersi. 37. Movimenti umani. — I 1^1. Già per me stesso. — Pri- nialvaori impulsi delle passioni u- ma ancora del suo cenno, io g;ià mane. era rivolto a Dio. T,q. Per li miei ecc. — Affin- 1^,2. Sincera. — Divenendo che tu accolgja la mia preghiera, sempre più chiara, tutti tendono a te le mani ginn- ^4. Da sé è vera. — A diffe- te. renza delle altre cose che sono 40. Gli occhi. — Della Vergi- vere in quanto partecipano della ne. luce divina. - 6i4 - Paradiso - Canto XXXI II Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che il parlar nostro ch'a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio. 57 Qual è colui che somniando vede, che dopo il sogno la passione impressa rimane, e l'altro alla mente non riede ; (iO coiai son io, che quasi tutta cessa mia visione, ed ancor mi distilla nel cor lo dolce che nacque da essa. (J3 Cosi la neve al sol sì disigilla, cosi al vento nelle foglie lievi si perdea la sentenza di Sibilla. 66 O somma luce, che tanto ti levi dai concetti mortali, alla mia mente ripresta un poco di quel che parevi, 69 e fa la lingua mia tanto possente ch'una favilla sol della tua gloria possa lasciare alla futura gente ; 72 che, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, più si conce perà di tua vittoria. 75 Io credo, per l'acume ch'io soffersi del vivo raggio, ch'io sarei smarrito, se gli occhi miei da lui fossero aversi ; 78 e mi ricorda ch'io fui più ardito per questo a sostener, tanto, ch'io giunsi l'aspetto mio col valor infinito. 81 55. Maggio. — Maggiore di sperdeva, penetrando nella caver- quel che si può dire. na ove ìa sibilla aveva sede. 57. Oltraggio. ■ — Eccesso, che 73. Per tornare, ecc. — Per trascende ogni limite. poco che della visione mi torni s8. Qual è ecc. — Come Tuo- a mente e sàa da me posto in mo al destarsi non ricorda più il versi. sogno fatto, ma continua a prò- 7-. Di tua vittoria. — Meglio vare i diversi sentimenti (di dolo- gji uomini immagineranno la tua re o di gioia) causati dal sogno. oloria morVa ^*''^' ~ '^''" ''''"'' ' ""'' ^ "^- '^''"'''- " ^'"'^^*^ ^^ '"^• "'6j'.''così la neve ecc. — Si ^ per questo rimasi intento alla scioglie perdendo la sua forma. visione di Dio tanto che con- 66. Si perdea ecc. — Gli ora- giunsi i! mio sguardo, la mia coli della sibilla cumana erano comprensione con la virtù sua. scritti su foglio che il vento di- - 6i5 - La Divina Commedia O abbondante grazia, ond'io presunsi ficcar Io viso per la luce eterna tanto che la veduta vi consunsi ! 84 Nel suo profondo vidi che s'interna, legato con amore in un volume, ciò che per l'universo si squaderna ; 87 sustanzia ed accidenti, e lor costume, quasi conflati insieme per tal modo ■ che ciò ch'io dico è un semplice lume. 90 La forma universal di questo nodo credo ch'io vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch'io godo. 93 Un punto solo m'è maggior letargo che veniicinque secoli alla impresa, che fé' Nettuno ammirar l'ombra d'Argo : 96 cosi la mente mia, tutta sospesa, mirava fìssa, immobile ed attenta, e sempre del mirar faceasi accesa. 99 A quella luce cotal si diventa che volgersi da lei per altro aspetto è impossibi! che mai si consenta; 102 84. Consunsi. — Esaurii ogni 94. Punto. — Di tempo. Tutta facoltà di contemplare più a lun- Paminirazione che nel corso di iio quella luce. Ebbi la visione venticinque secoli gli uomini tri- intera della divinità. butarono al viaggio degli Argo- 8.15-87. Suo ecc. — Di Dio. E' nauti in Colchide per rapire il raccolto con amore in volume vello d'oro è minore dell'ammira- lutto ciò che quaggiù si vede zione estatica che io provai nel separato (si squadernaV j^oj^ istante che mi affisi in Dio. SS. Sustanzia. — Tutto ciu che sussiste. L.a prima nave che sjolcasse le Acddentt" - Le ditfercnti mo- '^"d^' ^ proiettasse su di esse la dalilà delle cose. ^^'^ ombra, fu la nave Argc-, Costume. — La proprietà delle onde Io stupore di Nettuno al cose. prodigio è minore di quello che 89. Conflati. — Riuniti in mo- \q provai guardando la divinità. do così mirabile. q-j. Sospesa. — Piena di me- ()0. Lume. — B.irlumc ravu co che ricordo. 108. Che bagni, ecc. — Lat- tante. lOQ. Più ch'un ecc. — Aspet- to. III. Oual era davante. — Im mutabile. 112-114. Ma per la vista ecc. — La mia vista s' afforzava sempre più guardando Dio, il quale as,svimeva diversi aspetti a causa della mia vista che mu- tava, e non dell'essf-re suo, che è immutabile. 115. Sussistenza. — Essenza divina. 117. Continenza. — Dimtn sione, circonferenza. 118. Iri. — L'arcobaleno. Il riflettente è il Padre, il riflesso è il Figlio, il Fuoco Io Spirito Santo (procedente dal Padre e dal Figlio). 121. Corto ecc. — Imperfetto, debole, inefficace. 122. E questo, ecc. — E il concetto a paragone di quel ch'io vidi è cosi debole, meschine, che ad esprimerlo dovrebbe ba- stare meno che poco, nulla. 617 - [.A Divina Commedia O luce eterna, che sola in te sidi. sola t'intendi, e, da te intelletta ed intendente te, ami ed arridi ! 126 Quella circulazion, che si concetta pareva in te, come lume riflesso, dagli occhi miei alquanto circonspetta, 129 dentro da sé del suo colore stesso mi parve phita della nostra effige, per che il mio viso in lei tutto era messo. 132 Qual è '1 geometra che tutto s'afRge per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond 'egli indige ; 135 tale era io a quella vista nuova : veder voleva, come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova, 138 ma non eran da ciò le proprie penne ; se non che la mia mente fu percossa da un fulgore, in che sua voglia venne. 141 124. O luce, ecc. — O luce eterna della Trinità, che sala ri- Dosi in te stessa, sola t'intendi perfettamente, e nella persona del Padre intendi te stessa e in quella del Figlio sei da te stessa intesa, e sorridi d'amore nella persona dello Spirito Santo. 127. Quella circulazion. — Il oerchio rispondente alla persona del Figlio. i2q. Circonspetta. — Contem- plata. i.-^o. Sno. — Dello stesso co- lore della circulazione. i-:;!. Mi parve, ecc. — Mi sembrò che dentro il cerchio del fitjlio fosse r imtnajjine umana, per cui le volsi tutta la mia at- tenzione. 133. Tutio s'afGge. — S'arro- vella con tutte le for;^e della sua mente. 134. Per misurar lo cerchio. — E' il problema della quadra- tura del circolo, ancora da ri- solvere per la mancanza dell'e- satto rapporto fra il diametro e la circonferenza. I3.<;. Indice. • — Abbisogna. 136. Nuova. — Meravigliosa. 137. Voleva, ecc. — Volevo conoscere in qual modo l'effigie umana si univa al cerchio di- vino, e come l'umano trovasse iuogc nel divino. 135. S'indova. — Trova il suo luogo. 130. Ma non eran ecc. — Ma la mia mente non giungeva a svelare tanto mistero. 141. Da un fulgore. — Di grazia divina, nel quale era elianto la mia mente voleva co- noscere. - 618 Paradiso - Canto XXXTIT All'alta fantasia qui mancò possa ; ma già volgeva il mio disino e il velie. si come rota ch'egualmente è mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle. 145 142. All'alta ecc. — Perchè mancò la visione. 14;;. Volgeva. — Dio volgeva il mio desiderio e la volontà mia in perfetta conformità con sé medesimo. Velie. — Volontà. 144. Si come ecc. — Col moto uniforme delle parti di una ruo- ta, ubbidiente all'impulso rice- vuto. 145. L'amor, ecc. — Dio. Fine — 619 INDICE GIUSEPPE MAZZINI : Dantiì Pag. 7 INFERNO Canto Primo — Dante abbandona la «verace via»; smarritosi nella selva, trova via e guida sicura Pag. 19 Canto II — L'anima del poeta è offesa da viltade : Virgilio amorevolmente Io conforta, partecipan- dogli la cura che nel cielo hanno di lui Maria, Lucia e Beatrice • » 24 Canto III ■ — ■ La porta infernale; il vestibolo e gli ignavi : L'Acheronte e Caronte » 28 Canto IV — Cerchio primo : Il limbo - Antichi uo- mini illustri » 33 Canto V — Cerchio secondo : I dannati per amore - Minosse - Francesca da Rimini » 39 Canto VI ■ — Cerchio terzo : I golosi - Cerbero - Clticco profetizza lo sgoverno dei « Neri » in Fi- renze » 44 Canto VII — Cerchio quarto : Avari e prodighi - Fiu- to - La fortuna - Cerchio quinto : Palude Stige - Iracondi e accidiosi » 48 Canto Vili — Cerchio quinto : Ii-'acondi - Flegias - Filippo Argenti - La città di Dite » 53 Canto IX ■ — Città di Dite - Le tre Furie - Il messo del cielo. - Cerchio sesto : Confine orientale d'I- talia » 57 Canto X — Cerchio sesto : Eretici - Farinata degli Uberti predice a Dante il duro esilio - Cavalcan- te Cavalcanti e Federico Imperatore .... » 62 — 621 — \..\ DiviMA Commedia Canto XI — Cerchio sesie : Eretici - La tomba di papa Anastasio - Concetto morale della divisione dell'inferno Pag. O7 Canto XII — Cerchio settimo, girone primo : Vio- lenti contro il prossimo - Il Minotauro - La ruina infernale - Il Flegetonte - I Con tauri - I violenti di triste fama » 72 Canto XIII — Cerchio settimo, girone secondo : Vio- lenti contro sé o contro le cose proprie - La selva dolorosa e le Arpie - Pier della Vigna - Lane da, Siena - Giacomo da Sanf'Andrea » 78 (?ANTO XIV — Cerchio settimo, girone terzo : Violen- ti contro Dio - Capaneo - Il Veglio di Creta - I fiumi infernali » 84 Canto XV — Cerchio settimo, girone terzo : Violen- ti contro natura: - Predizione di Brunetto Latini - Prisciano - Francesco d'Accorso - Andrea de' Mozzi » 90 Canto XVI — Cerchio settimo : Violenti contro na- tura - Guerrieri e uomini di Stato - Il mostro Gerione - Tegghiaio Aldobrandi - Jacopo Rusti- cucci )) 95 Canto XVII — Cerchio settimo, girone terzo : Vio- lenti contro l'arte - Gerione e usurai di triste fama » 100 Canto XVIII — Cerchio ottavo, bolgia prima : Ruf- fiani e seduttori - Bolgia seconda : Adulatori - Venedico Caccianimico - Giasone - Alessio Inter- minelli - Taide » 105 Canto XIX — Cerchio ottavo, bolgia terza : I Simo- niaci - Papa Nicolò III . . » no Canto XX — Cerchio ottavo, bolgia quarta : Indo- vini dell'antichità - Indovini del Medioevo - Ori- gini di Mantova » 115 Canto XXI — Cerchio ottavo, bolgia quinta : Barat- tieri - Un magistrato di Lucca - I diavoli comici e crudeli » 121 Canto XXII — Cerchio ottavo : Barattieri - Ciam- polo Navarrese - Fra Gomita - Michele Zanche - Zuffa fra i demoni » 126 Canto XXIII — Cerchio ottavo, bolgia sesta : Ipocriti - Frati Godenti - Catalano e Loderingo - Cai- fas » 131 Canto XXIV — Cerchio ottavo, bolgia settima : La- dri - Vanni Fucci » 13^' — 622 — iNDirr. Canto XXV — Cerchio ottavo, bolgia settima : La- dri - Caco - Invettiva contro Pistoia - Trasmu- tazione di cinque ladri iiorentini P^^g- ^4- Canto XXVI — Cercliio ottavo, bolgia ottava : Con- siglieri fraudolenti - Invettive contro Firenze - Ulisse e Diomede » 147 Canto XXVII — Cerciiio ottavo, bolgia ottava : Con- siglieri fraudolenti - Guido da Montefeltro . . » 153 Canto XXVIII — Cerchio ottavo, bolgia nona : Se- minatori di discordie - Maometto - Fra Dolcino - Pier da Medicina - Curio - Mosca - Bertram del Bornio - Legge del contrapasso » 158 Canto XXIX — Cerchio ottavo, bolgia decima - Fal- satori di metalli » 165 Canto XXX — Cerchio ottavo, bolgia decima : Fal- satori di persone, di monete e di parole - Gianni Schicchi e Mirra - Maestro Adamo - La moglie di Putifarre - Sinone il greco » 170 Canto XXXI — Discesa nel nono cerchio - I giganti intorno al pozzo - Fialte ed Anteo » 175 Canto XXXII — Cerchio nono, girone primo : Caina - Traditori dei congiunti. - Girone secondo : Ante- nora - Traditori della patria _ Conte Ugolino . » 181 Canto XXXIII — Cerchio nono, girone secondo : Traditori della patria o della parte - Girone ter- zo : Tolomea - Traditori dei commensali - Conte Ugolino e imprecazione contro Pisa - Frate Al- berigo e Branca d'Oria - Invettiva contro i ge- novesi )) 187 Canto XXXIV — ■ Cerchio nono, girone quarto : Giu- decca - Giuda - Bruto - Cassio - Lucifero, tra- ditori della Maestà » 194 PURGATORIO Canto Primo — Proemio - L'isoletta Catone . . . P^^g- 201 Canto II — Antipurgatorio - L'isoletta - L'Angelo di Dio - Casella e c( l'amoroso canto » . . . . » 206 Canto III — Antipurgatorio - L'isoletta - Anime dei morti scomunicati dalla Chiesa - Manfredi . . » 211 Canto IV — Antipurgatorio* - Primo balzo - Negli- genti - Belacqua » 217 - 623 - Ì.A Divina Commedia Canto V — Antipurgatorio - Balzo secondo - Neghit- tosi periti di morte violenta - Iacopo del Cassero - Buonconte da Montefeltro - Pia de' Tolomei . Pag. 223 Canto VI — Antipurgatorio - Neghittosi morti vio- lentemente - Benincasa, Guccio Tarlati, Federico Novello, Pier della Broccia, Sordello - Mali d'I- talia e di Firenze » 229 Canto VII — Antipurgatorio - La valle fiorita - Principi dedicatisi all'affermazione della potenza terrena » 236 Canto VIII — Antipurgatorio - La piccola vallea - Principi curantisi in vita solo della potenza ter- rena - Preghiera della sera » 242 Canto IX — ■ Antipurgatorio - Dante sogna nella val- letta fiorita - L'angelo portiere - Entrata nel Purgatorio » 24S Canto X — Balzo primo, o cornice prima - I superbi si purgano contemplando esempì di umiltà inta- gliati nella ripa » 254 Canto XI ■ — Balzo primo - La preghiera dei superbi - Omberto Aldobrandeschi - Oderisi d'Agobbio - Provenzan Salvani » 259 Canto XH — Balzo primo - I superbi - La scala che conduce al seconde balzo o cornice .... )> 265 Canto XIII — Balzo secondo - Invidia - Virgilio apo- strofa il sole - Esempi di carità ricordati da spi- riti invisibili - Sapia da Siena . . .... » 271 Canto XIV — Balzo secondo - Guido del Duca, e Rinieri da Calboli - Esempi d'invidiosi puniti . » 277 Canto XV — Girone secondo : Invidia - Salita al gi- rone terzo : Ira - Visione di Dante - Esempi di mansuetudine » 2S4 Canto XVI — Girone terzo : Ira - L'influsso dei i)in- neti e il libero arbitrio » 290 Canto XVII — Girone terzo : Ira - Esempi d'ira pu- nita - Progne, Haman, Amata - Salita al cerchio quarto - Teoria dell'amore - Divisione morale del Purgatorio » 2<)() Canto XVIII — Girone quarto : .Accidia - Virgilio palla dell'amore e del libero arbitrio - Alberto, abate di San Zeno - Esempi di accidia punitr. . » 302 Canto XIX — Visione simbolica di Dante. - Girone quarto : Accidia - L'Angelo sollecito. - Girone quinto : Avarizia e prodigalità - Papa Adriano V » 308 — 624 — Indice Canto XX — Girone quinto : Avarizia e prodigalità - Esempì di povertà e liberalità - Ugo Capeto - Esempi di avarizia punita - Scossa del monte . Pcm- 314 Canto XXI — Girone quinto : Avarizia e prodigalità - Stazio ■- . » 321 Canto XXII — Salita al girone sesto - Conversione di Stazio. - Girone sesto : Golosi - L'albero mi'itico ed esempi di temperanza » 327 Canto XXIII — Girone sesto : Golosi - Forese Donati - Nella - Invettiva contro le donne fiorentine . . » 334 Canto XXIV — Girone sesto : Gola - Forese Donati - Piccarda - Bonagiunta da Lucca - Papa Mar- tino V - Ubaldino della Pila - Bonifazio dei Fie- schi - Marchese degli Argogliosi - Gentucca - Corso Donati - Secondo albero mistico : esempi di golosità - Angelo dell'astinenza >| 340 Canto XXV — Saliti^ al settimo girone - La genera- zione dell'uomo - Infusione dell'anima nel corpo umaiio - Corpo, aere e ombre dopo la morte. - Girone settimo : Lussuriosi - » 347 Canto XXVI — Girone settimo : Lussuriosi - Guido Guinizelli, Arnaldo Daniello » 354 Canto XXVII — Girone settimo : Lussuria - L'An- gelo della castità - Salita al paradiso terrestre - Ùltime parole di Virgilio » 360 Canto XXVIII — Paradiso terrestre : I iìumi Lete - Eunoè - Matelda » 367 Canto XXIX — Paradiso terrestre : 11 trionfo della Chiesa • " : " •'^73 Canto XXX — Paradiso terrei'tre : Appaiizione di Beatrice - Scomparsa di Virgilio - Rimprovero di Beatrice a Dante >' 38'^' Canto XXXI — Paradiso terrestie : Dante si confessa - La (( donna soletta » tuff:i Dante nel Lete - Beatrice svelat.i " 3^(1 Canto XXXII — Paradiso terrestre : Albero simbo- lico - Trasformazione del carro - La mala fem- mina e il gigante ■ ■ ; " ^"^-^ Canto XXXIII — Paradiso terrestre: Vaticinio di Beatrice - Il dolce bere di Dante nel fiume Eunoè >■■ 400 62 < - La Divina Commedia PARADISO Canto Primo — Proposizione della terza cantica - Invocazione - Ascesa alla sfera del fuoco - Ordi- ne dell'universo ^'".C- 4'>7 Canto II — Cielo primo : Luna - Spiriti venuti meno al voto di castità - Avvertimenti al lettore - Le macchie lunari » 413 Canto III — Cielo primo : Luna - Spiriti venuti me- no ai voti religiosi - Ficcarda Donati e Costanza imperatrice » 4i 493 Canto XV — Cielo quinto : Marte - Martiri della reli- gione - Cacciaguida - Firenze antica e gli ante- nati di Dante » 498 C\nto XVI — Cielo quinto- Marie - Martiri della fede - Cacciaguida - I suoi maggiori - Firenze al tempo suo )> ^o^ Canto XVÌI — Cielo quinto : Marte - Martiri della religione - L'esilio doloroso confortato dal corag- gio della verità e dalla fama onorevole ... » 512 Canto XVIII — Cielo quinto: Marte _ Martiri della religione - Ascesa al cielo sesto : Giove - Principi saggi e giusti - L'aquila imperiale e l'avarizia papale » 518 Canto XIX — Cielo sesto : Giove - .Spiriti amanti della giustizia - Fede ed opere sono necessarie alla salute eterna - Principi cristiani perversi . » 525 Canto XX — Cielo sesto : Giove - Spiriti saggi e giusti - Davide, Traiano, Ezechia, Costantino, Guglielmo II il Buono, Rifeo - La predestinazione » 531 Canto XXI — Cielo settiiìio : Saturno - Spiriti con- templativi - La scala aurea - Invettiva di Pier Damiano contro il lusso dei prelati » 538 Canto XXII — Cielo settimo : Saturno - Spiriti con- templativi - San Benedetto - Corruzione del suo ordine. - Cielo ottavo : Stelle fis.se - Spiriti trion- fanti - Il segno dei Gemelli - Veduta dei pianeti e della Terra » 544 Canto XXIII - Cielo ottavo: Stelle fisse - Spiriti trionfanti - Trionfo di Cristo e Incoronazione di Maria . » 550 Canto XX ÌV — Cielo ottavo : stelle fìsse - Spiriti trionfanti - San Pietro interroga Dante 'sulla fede » 556 Canto XXV — Cielo ottavo : Stelle fisse - Spiriti trionfanti - Speranza di tornare in patria - San Jacopo interroga Dante sulla speranza - San Giovanni » 562 Canto XXVI — Cielo ottavo : Stelle fisse - Spiriti trionfanti - San Giovanni iriterroga Dante sul- la carità n 568 — O27 — I.A Divina Commedia Canto XXVII — Cielo ottavo: Stelle fisse - Spiriti trionfanti - S. Pietro, S. Jacopo, S. Giovanni e Adamo. - Cielo nono : Primo mobile o cristallino - Bellezza celeste e corruzione terrestre .... P'ii^. 574 Canto XXVIII — Cielo nono : Primo mobile o cri- stallino - Le gerarchie degli angeli » 580 Canto XXIX — Cielo nono : Primo mobile o cri- stallino - Invettiva di Beatrice contro i predi- catori di vanità » 586 Canto XXX — Cielo decimo : Empireo - Dio - La rosa dei beati - Il seggio di Arrigo VII ... . » 593 Canto XXXI — Cielo decimo : Empireo - Dio - l>a rosa candida - San Bernardo - Orazione di Dante a Beatrice - Gloria della Vergine Maria ... )) 599 Canto XXXII — Cielo decimo : Empireo - Dio - An- geli - Beati - Divisione della rosa coleste - Par- voli beati - Maria, Gabriele, Adamo, S. Pietro ed altri santi » 605 Canto XXXIII — • Cielo decimo : Dio, Angeli, Beati - Preghiera di San Bernardo a Maria - L'eterna luc^ - L'ultima perfezione e l'ultima beatitudine » 612 628 PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY